Popolari e Pd, una storia del passato

Di Giorgio Merlo
Forse è giunto il momento per dirlo con chiarezza e senza tanti equivoci. Il voto del 4 marzo, e il dibattito che l’ha seguito, ha rappresentato un vero e proprio spartiacque nella politica italiana.
Almeno su un altro punto, al di là dell’ormai noto rovesciamento politico alla guida del paese, non ci dovrebbero essere più dubbi. E cioè, l’esaurimento dei cosiddetti “partiti plurali”. E, nello specifico, il tramonto definitivo del Pd come “partito plurale”. Del resto, il Partito democratico da almeno 4 anni – cioè dall’irrompere di Renzi al comando di quel partito – e’ diventato a tutti gli effetti un “partito personale”, al punto che molti politologi e autorevoli commentatori, a cominciare dal bravo Ilvo Diamanti, lo avevano unanimemente definito come il “Pdr”, ovvero come il partito di Renzi. E il decollo del “partito del capo”, a prescindere dalla bontà o meno di quel nuovo modello politico ed organizzativo, aveva già di fatto archiviato e messo in soffitta l’intuizione dei fondatori di


quel partito. Cioè di un soggetto politico che riunificava al suo interno culture e filoni ideali diversi
che sino a qualche tempo prima erano alternativi e seriamente competitivi per la guida del paese.
Quell’intuizione originaria e’ stata archiviata per un motivo molto semplice. Nei partiti personali,
come tutta l’esperienza italiana e non solo italiana insegna, il pluralismo culturale e’ tollerato ad
una sola condizione: e cioè, questa pluralità deve coincidere con le posizioni delineate dal “capo”.
Altrimenti, come abbiamo sentito mille volte nel dibattito interno al Pd, ma non solo del Pd, il tutto
viene liquidato come “gufi”, “rosiconi”, “perditempo” e via discorrendo. Ora, la fine prematura del renzismo e la caduta politica di Renzi potrebbe far pensare a qualche simpaticone che l’orologio della storia torna indietro e, come se nulla fosse, si riparte da zero. Ma, come tutti sappiamo molto bene, la storia non si ripete mai come prima. E se adesso il partito


personale – ammesso che Renzi non comandi più in quel partito, cosa alquanto incerta e dibattuta
visti i concreti risultati politici che emergono – potrebbe essere giunto al capolinea, nel Pd emerge
un’altra valutazione politica, del tutto comprensibile e forse anche fondata. Ovvero, dopo la
debacle storica della sinistra italiana, in tutte le elezioni amministrative dal 2015 in poi culminata
con il tracollo del 4 marzo scorso, l’imperativo di larga parte di quel partito e’ uno solo: ricostruire il
pensiero e la cultura della sinistra. Ovvero trasformare il Pd in un nuovo, rinnovato e moderno
partito della sinistra italiana. Per capirci, un Pds rinnovato e moderno. E chi, ingenuamente,
continua a blaterare che dopo il 4 marzo il Pd resta un partito plurale come se nulla fosse capitato
o è un ingenuo, appunto o, nella migliore delle ipotesi, e’ semplicemente un iipocrita. Perché nega
cio’ che è, ormai, sotto gli occhi di tutti. Ora, in un contesto del genere – e cioè, il ritorno legittimo e fondato delle identità politico e culturali, e quindi la trasformazione del Pd in un novello Pds – l’apporto del pensiero popolare o di ispirazione cristiana, della cultura cattolico democratico e del cattolicesimo sociale sarebbe destinato ad essere più un esercizio accademico o retorico che non un fatto politico. Credo che sia, questa, una osservazione altrettanto nota e scontata che non merita neanche di essere


particolarmente approfondita se non per motivi protocollari e burocratici. Perché il ritorno delle
identità nello scenario politico italiano vale per la destra come la Lega correttamente persegue,
vale per il populismo dei 5 stelle, vale per la sinistra con il Pd ma deve valere, a maggior ragione,
anche per la tradizione e la storia del cattolicesimo politico italiano. Del resto, non si capirebbe il
perche’ questa operazione politica e culturale e’ consentita e giustificata per tutti tranne che per un
filone ideale, culturale e politico che è stato decisivo in tutti i tornanti cruciali della storia
democratica del nostro paese. Ecco perché, al di là della buona fede e della bontà delle intenzioni dei singoli, quel che rimane di questa cultura politica nel futuro del Pd non potrà che avere un ruolo del tutto ornamentale e periferico ai fini del progetto e del profilo politico di quel partito. Perché la ricostruzione della sinistra italiana non potrà che avvenire con coloro che rappresentano coerentemente e correttamente la sinistra italiana. E’ una inflessione talmente semplice e banale che non merita ulteriori commenti.

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