Aprile 2018- Pagina 19

Da Fondazione Crt i fondi per la disabilità

È aperto il bando “Vivomeglio” della Fondazione CRT, che stanzia oltre 1,3 milioni di euro per progetti di welfare capaci di migliorare la qualità della vita delle persone con disabilità in Piemonte e Valle d’Aosta. Enti e associazioni non profit possono presentare le domande fino al 29 giugno sul sitowww.fondazionecrt.it. Ogni singolo progetto può ricevere contributi fino a 25.000 euro.

 

Il bando sostiene proposte di soluzioni nuove, efficaci e sostenibili per favorire l’integrazione sociale, lo sviluppo delle autonomie e delle abilità personali, la valorizzazione delle capacità delle persone con disabilità in tutti gli ambiti della vita quotidiana: dai programmi di avvicinamento all’autonomia abitativa e di preparazione alla vita indipendente orientati al “dopo di noi”, alle attività ludico-ricreative; dagli interventi di integrazione scolastica alle azioni di supporto e ascolto della persona disabile e della sua famiglia; dai percorsi di inserimento lavorativo alla formazione per i caregivers, ossia famiglie, operatori, volontari, figure educative che, a vario titolo, si relazionano con le persone disabili. “Il progetto Vivomeglio rientra a pieno titolo tra gli strumenti del welfare responsabile, che connotano l’attività della Fondazione CRT – afferma il Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia –. In questi anni Fondazione CRT ha saputo analizzare il tessuto sociale del territorio e delle comunità di riferimento, con una particolare attenzione alle situazioni più difficili e a chi fa più fatica. Da tale disponibilità all’ascolto delle diverse istanze, ha dato vita a modalità efficaci per rispondere in maniera sempre più adeguata all’emergere di nuovi bisogni e per contribuire a contrastare le tante fragilità di cui soffre la società contemporanea”. “Sosteniamo associazioni e progetti che promuovono l’autonomia, il benessere e la partecipazione attiva alla vita sociale e culturale delle persone con disabilità – dichiara il Segretario Generale della Fondazione CRT e Presidente dell’European Foundation Centre Massimo Lapucci –. Garantire il diritto alla piena integrazione significa anche saper abbattere le barriere relazionali che, non meno di quelle architettoniche, ostacolano l’accesso ai luoghi e la fruizione degli eventi for all: un impegno che deve essere ancora più significativo nell’anno europeo del patrimonio culturale”. Superano così i 21 milioni di euro le risorse che la Fondazione CRT ha destinato al bando Vivomeglio dal 2005 a oggi, per un totale di quasi 2.000 interventi finanziati. Nell’ultimo anno, in particolare, sono stati sostenuti circa 140 progetti in grado di aiutare oltre 77.000 persone con disabilità: dall’avvio di tirocini e borse lavoro, all’integrazione scolastica ed extrascolastica degli allievi disabili; dall’organizzazione di tornei, attività sportive, laboratori teatrali, di cucina, lettura e perfino yoga, ai programmi di pet therapy e musicoterapia; dalle visite ai musei e dalle serate al cinema, ai soggiorni in montagna e al mare; dalla creazione di spazi di ascolto e sostegno psicologico, all’accompagnamento domiciliare e alla preparazione alla vita indipendente.

Gabriel Tallent “Mio assoluto amore”

Scuola Holden, piazza Borgo Dora, 49
Introduce e modera: Martino Gozzi, direttore didattico della Scuola Holden. E’ prevista la traduzione in consecutiva dall’inglese
Gabriel Tallent ha 30 anni e ha esordito con Mio assoluto amore (Rizzoli), che il New York Times – ma anche Stephen King – ha definito un capolavoro. È una storia di coraggio e di redenzione, raccontata con una prosa nitida e capace di dare voce a un personaggio femminile riuscitissimo, che ha fatto del romanzo un vero e proprio caso editoriale, il debutto letterario più importante del 2017. L’incontro, realizzato da il Circolo dei lettori e la Scuola Holden, è mercoledì 18 aprile, ore 18.30 alla Scuola Holden (piazza Borgo Dora, 49).
Protagonista è una ragazzina di 14 anni, Turtle Alveston, vittima di abusi sessuali da parte del padre. È una sopravvissuta. Dalla morte della madre è cresciuta isolata nei boschi della California settentrionale sotto il controllo dell’unico genitore, violento e carismatico. Quando a scuola incontra Jacob, e se ne innamora, Turtle capisce quanto profondamente sbagliata sia la vita che conduce. E che la fuga è la sua unica possibilità. È una crescita dura, una parabola straordinaria incorniciata in un contesto tanto insolito quanto potente.
Ingresso libero, prenotazione obbligatoria: 01166632812, reception@scuolaholden.it

Bimbo figlio di due madri non viene registrato

Il Comune non riconosce il bimbo concepito con la procreazione assistita in Danimarca, figlio di due madri.  Chiara Foglietta, consigliera comunale del Pd di Torino è andata con la compagna, Micaela Ghisleni, all’anagrafe per registrare il bambino nato il 13 aprile. Si tratta di un problema di vuoto normativo poiché all’ anagrafe si applicano  le regole stabilite dal Ministero nel 2002 che non considerano la riproduzione assistita, obbligando  a dichiarare che la nascita è avvenuta da una unione naturale con un uomo. La consigliera Pd ha commentato che così è “negato il diritto di inserire dichiarazioni veritiere nell’atto di riconoscimento”  non permettendo al bimbo il diritto a un’identità che risponde alla realtà e di conoscere “gli eventi che hanno determinato la sua esistenza”.

FIAT Torino – Bologna: una strana sconfitta…

Purtroppo anche questa volta si deve parlare di sconfitta, ma si poteva parlare anche di vittoria se negli ultimi secondi fosse andata bene l’ultima azione. E forse i tifosi “del tipo” che ci sono solo quando si vince sarebbero tristi di non poter dire “…io l’avevo detto” o “… io lo sapevo”

In realtà la partita è stata giocata molto stranamente, come ormai consuetudine nel campionato italiano nazionale di basket, ad onde. Inizio di Torino, ritorno di Bologna, riparte Bologna, insegue Torino, sbaglia clamorosamente Bologna e ancor più clamorosamente Torino e vince Bologna. In mezzo: tanta confusione. Nel gioco ovviamente, ma anche nelle facce dei giocatori e nell’umore dei tifosi, che prima spingono, poi si spengono, poi rivivono ed infine calano nella notte della sconfitta triste. E’ difficile dire cosa pensa la curva, anche se c’è chi dice che vuol mollare (ma non lo farà… speriamo e crediamo) e chi sostiene a spada tratta i colori gialloblù e probabilmente hanno entrambi non dico ragione ma delle buone ragioni. I giocatori a volte si estraniano e sembrano spenti (forse alcuni lo sono, ma la speranza è forse ancora viva per i playoff) fantasticando che, anche se si riaccendessero, non sia troppo tardi. Ma ciò che inquieta è un senso di impotenza che esce talvolta quando in realtà questa squadra con un pochino (ma poco poco) di aggressività (sportiva) e intensità in attacco e senza paura su entrambi i lati potrebbe dimostrare ciò che già tempo fa aveva dimostrato: essere un’ottima squadra.In questa società in cui viviamo, dove nessuno ricorda il passato, dove si brucia il presente e del futuro non ci si interessa, è difficile far presa su valori che non diciamo antichi, ma “anziani” sembrano proprio esserlo.

In un post-finale di partita dove c’è chi contesta solo per sfogarsi e dimentica completamente, se mai l’avesse avuta, l’educazione insultando una donna che lo contraddice (quanta maleducazione regna intorno a noi) si nota solo una cosa: tanta insensibilità tecnica e sportiva da parte di tanti. Il rispetto e l’amicizia sono una splendida cosa: la partita finisce al suono della sirena e quindi tutto diventa non più arena e sangue ma splendido terzo tempo sportivo. Un tempo si diceva che se non piace un prodotto basta non comprarlo più, ma lo sport e le squadre non sono un prodotto. Però, colpire solo quando si ritiene di aver subito un torto non è corretto. Bisogna anche ringraziare chi ti permette di essere arrivato fin qua, con limiti e meriti come chiunque altro.Perdere, anche perdere male nello sport “ci sta”. L’esperienza potrebbe essere l’unica regola da seguire per non ripetere errori o cercare strade diverse per salire ulteriormente di livello. Questa squadra ha regalato l’unica gioia da sempre nello sport cestistico torinese nazionale ed è possibile che molti siano saliti sul carro dei vincitori solo per non stare a piedi. Però, adesso che la situazione è complicata, non è corretto dimenticarsi tutto, troppo facile.

E dare la colpa ad uno piuttosto che ad un altro non è uno sport intelligente. Come si dice, neppure Roma fu fatta in un giorno, figuriamoci Torino… (sic…) del basket e non solo. Ci vuole tempo per capire come gestire le scelte, come muoversi, chi contattare e con chi parlare, e non è facile, ma solo chi ha provato può capire, mentre chi osserva solamente ha tutto il diritto di commentare, arrabbiarsi o non venire più al palasport se questa cosa non gli va, ma non scaricare tutto addosso a coloro che comunque hanno concesso a questa città di vivere un sogno e un momento che ha commosso tutti i veri tifosi della Torino cestistica. E’ vero ed è stato ammesso che qualche errore (più di uno probabilmente) è stato fatto, ma nessuna squadra ci sembra avulsa da tale situazione.E allora, visto che commentare i giocatori sarebbe difficile, vista “la strana partita”, l’unico commento che mi piace lasciare è: il passato esiste, il presente anche e il futuro è dietro l’angolo, mollare adesso, questo sì, sarebbe una sconfitta.

Paolo Michieletto

MAROCCO, MOVIMENTO ANIMALISTA: “STOP ALLA STRAGE DEI RANDAGI”

“Purtroppo – spiega la responsabile organizzativa del Movimento, Simona Bazzoni – non è la prima volta che l’idea di far “piazza pulita” dei cani randagi si fa strada tra le autorità di Paesi o territori candidati ad ospitare competizioni sportive internazionali. Ne sanno qualcosa l’Ucraina e la Polonia per gli europei di calcio del 2012, la Russia per i mondiali di quest’anno ed ora il Marocco candidato per quelli del 2026. Del resto, senza uscire dai confini del nostro Paese, anche gli avvelenamenti di massa in Sicilia sono stati messi in relazione con il passaggio del Giro d’Italia, che farà tre tappe sull’isola. Quella di risolvere il problema del randagismo con bocconi avvelenati o pallottole – sottolinea Bazzoni – non è soltanto un’assurda e crudele illusione, che costa la vita a migliaia di animali innocenti, ma un tentativo inaccettabile di “sporcare col sangue” i valori positivi dello sport. Perciò – conclude -il Movimento animalista aderisce alla petizione online sulla piattaforma change.org indirizzata al re del Marocco perché si ponga fine alla strage dei cani vaganti a Taghazout, Agadir e in altre città del Paese”.

Le edicole potranno vendere cibi e offrire servizi

Le edicole di Torino  potranno vendere anche alimentari, souvenir e prodotti tipici, oltre a fornire servizi tipo la consegna dei pacchi ed esporre materiale pubblicitario. Queste  le novità introdotte dal nuovo regolamento varato dalla giunta Appendino e che dovrà passare il voto del consiglio comunale. Per gli edicolanti sarà possibile  inoltre commercializzare caramelle, cioccolatini, bevande analcoliche, escluso il latte e i suoi derivati. Il provvedimento intende aiutare una categoria sempre più in crisi.

Ecco il paradosso di Emilio Salgari

I suoi romanzi hanno ottenuto un eccezionale riscontro popolare, soprattutto presso gli adolescenti, ma sono stati scarsamente apprezzati dalla critica letteraria

 Ecco il paradosso di Emilio Salgàri. Amato da generazioni di ragazzi almeno fino agli anni Settanta del Novecento – l’ultima cresciuta con il celeberrimo Sandokan televisivo -, spacciatore di fantasie esotiche da sfogliare sotto le coperte durante le notti insonni, eppure così poco considerato dai contemporanei. Mentre De Amicis e Carducci unificano i gusti letterari dell’Italia risorgimentale, sostenendo gli indirizzi autoritari e nazionalistici del Regno sabaudo, Salgàri compone romanzetti d’appendice per un quotidiano di Verona. Salgariello, come lo appellano ironicamente i concittadini, manifesta ambizioni probabilmente superiori alle proprie capacità e comunque bellamente ignorate dai circoli letterari. E lui che fa? Deluso e frustrato dalla mancanza di attenzione, si cuce addosso una biografia fittizia: ha abbandonato gli studi al Regio Istituto Tecnico e Nautico di Venezia, ma millanta d’essere capitano di lungo corso e di aver viaggiato per i sette mari. Si rifugia furtivamente nelle sale silenziose delle biblioteche, all’ombroso riparo di atlanti e mappe, inventandosi paesi lontani, giungle impenetrabili, belve in agguato ed acque infestate da pirati di cui si fa prigioniero a vita. Compone un libro dopo l’altro, lavorando instancabilmente ogni notte, in preda a una febbrile follia: finita una storia si catapulta in quella successiva, avido lui stesso di scorribande corsare in cui calarsi con il kriss tra i denti, covando riscosse impossibili.

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Che Salgàri fosse un gran dissipatore di fama e fortune, braccato a vista dai creditori, corrisponde più a leggenda che a verità. Va bene: forse era un mitomane, certamente un visionario, un fabbricatore di menzogne, ma non è la narrativa a essere tutta una menzogna? Scrive – questa la verità – non tanto per mantenere la moglie malata e i quattro figli, quanto per domare la tigre della depressione che gli artiglia l’anima senza dare tregua. Quella stessa depressione che gli ha già portato via il padre e di cui saranno vittime i figli Romero e Omar. È la fatica creativa a consumarlo come una candela nell’alloggio torinese di Corso Casale 205 in cui si è trasferito nel 1900. Quattro libri l’anno, impone il contratto-capestro sottoscritto con l’editore Speirani. Alla fine della sua esistenza lascerà una produzione impressionante, oltre duecento opere tra romanzi e racconti, di cui molti scritti sotto pseudonimo. Ogni giorno prende il tram e si reca alla biblioteca civica centrale per documentarsi con maniacale accuratezza. “Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere”, scrive ad un amico nel 1909. Si lamenta con Speirani d’essere osteggiato, rovinato, senza un soldo, invece è annichilito dal suo stesso sentirsi inferiore, oppresso da sentimenti di autosvalutazione. Il suo umore influenza le interazioni con il resto del mondo, soprattutto quello letterario, da cui non si sente riconosciuto. Incontra De Amicis alle partite di pallone elastico e nemmeno osa avvicinarsi per stringergli la mano.

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La storia triste di Emilio Salgàri finisce la mattina del 25 aprile 1911, immagino piovosa come nelle foreste di Mompracem. Possiamo seguire letteralmente i suoi passi come lui avrebbe fatto raccontando di Yanez o Tremal-Naik. Esce di casa, percorre Corso Casale sino alla chiesa della Madonna del Pilone. Oltrepassata la trattoria del Muletto piega a sinistra e comincia a salire per i prati verdeggianti del precollina, dove oggi si trovano Via Lomellina e Via Odoardo Tabacchi. Costeggia alcuni villini isolati in Strada del Lauro, quindi si inerpica per il bosco di Val San Martino. Lo ritroverà per caso una lavandaia in un burroncello: ha ancora in mano il rasoio con cui si è scannato come uno dei suoi eroi malesi, lo sguardo rivolto al sole nascente. “Vi saluto spezzando la penna”, lascia scritto, ma, sfortunatamente, neppure quel gesto estremo suscita nella comunità letteraria il clamore che egli aveva sperato; tutta l’attenzione del mondo accademico è rivolta ai preparativi per l’imminente celebrazione del cinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia. Al funerale che si svolge nel Parco del Valentino partecipano un nugolo di ragazzi, i suoi libri sotto il braccio. A ben pensarci, è il più bel commiato che uno scrittore possa meritare.

 

(Sulla vita di Emilio Salgàri consiglio il romanzo di Ernesto Ferrero Disegnare il vento – L’ultimo viaggio del capitano Salgàri, Einaudi, 2011.)

 

Paolo Maria Iraldi

 

Via Germagnano: demolite due casette del campo nomadi

In base al nuovo regolamento che prevede la ricollocazione delle persone che vivono nel campo, i tecnici del Comune di Torino coadiuvati dal Reparto informativo minoranze etniche della polizia municipale, hanno abbattuto due casette del campo nomadi di via Germagnano. Erano inagibili e non abitate e considerate pericolose per la sicurezza.  Il comandante della polizia municipale di Torino, Emiliano Bezzon ha spiegato che questi interventi sono possibili anche grazie alla presenza di pattuglie miste di militari e forze di polizia dello stato, fortemente volute dal prefetto.

Cattolici tra pensiero, azione e classe dirigente

Di Giorgio Merlo

Pensiero, azione e classe dirigente. Sono questi i 3 grandi appuntamenti che attendono oggi un rinnovato protagonismo politico dei cattolici democratici e dei cattolici popolari. 3 ingredienti che sono legati in modo inscindibile perché una presenza politica più incisiva non può e non deve prescindere da una nuova e qualificata costruzione di un pensiero; dalla capacità di saperla declinare con una feconda iniziativa politica; e, soprattutto, attraverso una casse dirigente che non si riduca ad essere una stanca riedizione dei “nominati” ormai tristemente famosi con le candidature imposte dall’alto dai vari capi partito. Ecco, solo con questi 3 tasselli sarà possibile qualificare l’area cattolica italiana nel momento in cui si appresta a considerare la politica non più come una dimensione importante ma lontana dalle proprie ambizioni e dai propri interessi ma, al contrario, come un terreno che va arato, frequentato e possibilmente cambiato. Non è un caso, del resto, che proprio dopo il voto del 4 marzo sta crescendo nel mondo un po’ elitario, ma comunque autorevole, dei commentatori e dei grandi opinionisti la necessità di ridare voce, fiducia e credibilità alla cultura che comunemente viene definita come cattolicesimo politico. Certo, una cultura che è stata credibile nel passato e che sarà credibile nel futuro solo se sarà capace di unire quei 3 elementi in un comune progetto politico. Non è un caso che la migliore stagione dei cattolici democratici nel nostro paese e’ sempre coincisa con l’autorevolezza di una classe dirigente che dispiegava un progetto politico attraverso una proposta capace di guidare i processi della società in quel determinato momento storico. Così è stato durante la fase che ha preceduto la nascita e il decollo della Democrazia Cristiana con il codice di Camaldoli; così con il centrismo degasperiano e la guida del paese in una fase drammatica; così con l’apertura e la stagione del primo centro sinistra di marca morotea; così durante la fase della solidarietà nazionale e così anche per la stagione controversa del’Ulivo. Dopodiché quel filone culturale ha iniziato a convivere con una stagione di progressivo indebolimento con l’esperienza del Partito democratico per poi scomparire del tutto con l’arrivo della gestione renziana del partito. Sul fronte del centro destra e dei 5 stelle il problema non si è quasi mai posto perché non rientra nell’interesse politico di quei due schieramenti. Il cosiddetto “centro”, purtroppo, non è mai riuscito a decollare come luogo politico capace di saper incidere nei rispettivi schieramenti o come soggetto autonomo. Oggi, dopo un voto che ha confermato un confronto tra opposti populismi e con culture politiche che prescindono radicalmente da qualsiasi riferimento al passato politico ed ideale del nostro paese e con scarsa, se non nulla, capacità di governo e di costruire alleanze, forse è arrivato il momento di invertire la rotta e di recuperare elementi e e metodi che per troppo tempo sono stati archiviati. Le mode tramontano rapidamente quando la politica langue. Adesso crescono gli inviti, interessati e singolari nonché curiosi, di commentatori notoriamente poco generosi nei confronti del cattolicesimo politico e di quello che ha rappresentato nel nostro paese, di “ridiscendere” nuovamente in campo da protagonisti. Al di là di questi “inviti” troppo interessati e speculari, c’è comunque il dovere morale, politico e culturale dei cattolici democratici e dei cattolici popolari di raccogliere un invito che si fa sempre più pressante. Soprattutto quando parte dalle file di quel mondo. In modo disinteressato e convincente una risposta comunque la si deve dare. Gli esempi e i modelli non mancano. E’ appena sufficiente non archiviare la storia concreta e vissuta del nostro paese per non commettere ulteriori errori.