Binda, l’invincibile

Si può leggere un libro al ritmo frenetico di una corsa ai tempi del ciclismo eroico, dove la fatica si misurava su strade polverose e sterrate? Si può che si ha tra le mani una copia di “Binda l’invincibile”, scritto da Edoardo Rosso (Italica Edizioni), una biografia romanzata  di uno tra i più grandi esponenti del ciclismo internazionale, probabilmente il più grande della sua epoca, quella del ciclismo prima maniera, nei primi trent’anni del Novecento. Nato a Cittiglio, nel varesotto, l’11 agosto del 1902,  il futuro tre volte campione del mondo iniziò a correre in bici sulla Costa Azzurra dove si trasferì da ragazzo per lavorare come stuccatore insieme ad un fratello. Tornato in patria il giovane Alfredo venne ingaggiato dalla Legnano, con i colori della quale partecipò al Giro d’Italia del ’25 in cui centrò la prima di cinque vittorie a cui si

aggiunsero il Mondiale nel ’30 e nel ’32, il Giro di Lombardia (4volte), la Milano-Sanremo (2) e il Giro del Piemonte (2). Binda, nel mondo faticoso e bello dei “forzati della strada”, si trovò a rivaleggiare con un mostro sacro come Costante Girardengo. Come scrive Rosso, la parte più rilevante della carriera di Binda “si compie in un Paese ormai soffocato dalla miope grandeur della dittatura”; e sarà proprio il regime, insoddisfatto di quel campione troppo tiepido dal punto di vista politico, a contrapporgli un asso dalla maglia nera e il cognome tristemente profetico: Learco Guerra. Unico tra tutti gli sport, il ciclismo vanta un rapporto del tutto particolare con il suo pubblico, con quelli che lo amano e lo seguono sulle strade in ogni stagione, sfidando intemperie e rovesci. Pier Paolo Pasolini diceva che “il ciclismo è lo sport più popolare perché non si paga il biglietto” ma forse lo è anche perché la gente ne coglie il sentimento più profondo che lo rende lo specchio della fatica, del coraggio, della fantasia di quegli uomini curvi sul manubrio o in piedi sui pedali, impegnati in una corsa di un giorno o in una prova a tappe. Nonostante l’ombra del doping – che negli ultimi anni ha oscurato molte gare e carriere – il fascino del ciclismo resta lo stesso e non tramonta. Edoardo Rosso fa divorare le pagine di “Binda l’ Invincibile” come fossero tappe di una corsa epica, racconta Alfredo Binda mescolando dati e fotogrammi della vita del campione che dava battaglia spingendo sui pedali con forza, agilità e un’idea innovativa delle strategie di gara  e della preparazione atletica che l’ha – a buon merito –posto tra gli innovatori di questo sport negli anni ruggenti. Alfredo Binda è morto, ottantaquattrenne, nel 1986. Riposa ora nel cimitero di Cittiglio e sulla tomba campeggia una bella foto in maglia iridata.

Marco Travaglini

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