Delitto Moro, il giallo della pista torinese

A rivelare all’Ansa le sue indagini, un agente in pensione, Enrico Rossi. Le ricerche sono scaturite da una sorta di confessione da parte di uno dei presunti passeggeri della moto presente all’attentato, che ha rivelato dati per riconoscere il collega a bordo della Honda

 

Moro BrTorna all’onore delle cronache una delle pagine più buie della storia dell’Italia repubblicana. Spunta, infatti, una pista tutta torinese sulle due persone a bordo di una moto Honda,  nel corso del rapimento del presidente democristiano Aldo Moro (nella foto, durante la prigionia) in via Fani, a Roma, nel 1978.

 

A rivelare all’Ansa le sue indagini, un poliziotto torinese oggi in pensione, Enrico Rossi. Le sue ricerche sono scaturite da una missiva anonima contenente una sorta di confessione da parte di uno dei presunti passeggeri della moto, ora deceduto, che ha rivelato dati per riconoscere il collega a bordo della Honda (anche lui morto).

 

Rossi ha dichiarato all’agenzia di stampa: “erano uomini dei servizi con il compito di proteggere l’azione delle Br”.

 

 

DOMANDA E RISPOSTA 

Quali furono le fasi salienti del caso Moro?

 

Il 16 marzo 1978, mentre  Giulio Andreotti si apprestava a presentare in Parlamento il suo nuovo governo, l’auto su cui viaggiava il presidente Dc Aldo Moro  fu assaltata in via Mario Fani a Roma da un nucleo delle Brigate Rosse.

 

Le Br assassinarono a sangue freddo la scorta del politico: i  due carabinieri  Oreste Leonardi e Domenico Ricci  e i tre poliziotti Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Moro venne sequestrato e tenuto prigioniero per 55 giorni. Fu sottoposto a un “processo politico” da parte dei terroristi e venne ucciso quando lo Stato rifiutò uno scambio con detenuti brigatisti.

 

Il corpo venne ritrovato dopo una telefonata delle Br  il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 , in via Caetani, nella capitale, nei pressi di via delle Botteghe Oscure.

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