Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, uno dei padri della patria, oltre ad essere sempre pronto – come dice Massimo Bubola nel testo della sua bella canzone, “Camicie rosse” – “a menare le mani per la libertà”, nutriva uno sconfinato amore per gli animali. Ed è questo, probabilmente, uno degli aspetti meno conosciuti della sua complessa e poliedrica personalità. Un amore, il suo, che lo spinse nel 1871 a fondare, assieme alla contessa di Southerland, la “Società Reale per la protezione degli animali“, divenuta poi l’attuale Enpa.
Sfogliando le note storiche dell’ Ente Nazionale per la Protezione degli Animali – che custodisce documenti e lettere firmate di suo pugno da Garibaldi – si scopre infatti che le origini stesse dell’associazione vanno fatte risalire al 1° aprile 1871, anno in cui Giuseppe Garibaldi, su invito di una nobildonna inglese – lady Anna Winter, contessa di Southerland – incaricò con una lettera inviata da Caprera il suo medico personale, dottor Timoteo Riboli, di costituire una società per la protezione degli animali, annoverando la signora Winter , il medico e se stesso come soci fondatori e presidenti onorari. Un atto fondamentale che costituisce il più antico documento conosciuto contro il maltrattamento degli animali.
Fu così che nacque la “Società Reale per la Protezione degli Animali“, con un ufficio provvisorio a Torino, al primo piano del n. 29 di via Accademia Albertina, di cui la storica tipografia di Vincenzo Bona stampò, nel 1872, uno Statuto Sociale, stilato in lingua italiana, inglese, francese e tedesca.
Marco Travaglini
                    

Il manifesto “liberale”  torinese ha  creato un po’ di confusione a livello locale e nulla di più. Miei amici romani con cui sono stato, non ne sapevano nulla.

A Carcare dopo il  convegno di ieri, tenuto nei  locali della  scuola media,   su chi scrisse per  davvero l’Inno nazionale (Mameli o padre Cannata)  il Comune corre ai ripari e affida ad una borsa di studio offerta agli studenti dell’Università di Genova la ricerca relativa all’autore dell’inno nazionale. Il relatore unico  del convegno, l’ottuagenario e prestigioso  prof. Aldo Alessandro Mola di Torre San Giorgio,   accademico e senatore del regno,  non deve aver molto  convinto con la sua tesi, vecchia di trent’anni, su padre Cannata, lo scolopo  che sarebbe  stato il vero autore dei versi (per altro orribili) dell’inno musicato da Novar . Si tratta di una tesi  senza  reali prove,  fondata  sul pettegolezzo di paese, che non ha mai trovato riscontri e che offende la memoria di Mameli morto eroicamente  nella disperata difesa della Repubblica romana. L’esito della tesi esposta a Carcare ha portato il Comune  ad affidarsi a degli studenti. Un esito incredibile, anche se  forse abbastanza  prevedibile. Per evitare di infierire non riporto cosa mi disse il pro . Umberto Levra  ordinario di Storia del Risorgimento a Torino e presidente del Museo nazionale del Risorgimento  su quella tesi bizzarra.

È nato come fortezza per difendere il territorio circostante nel XIV secolo su antichi accampamenti di origine romana e longobarda e sui resti di un convento forse templare. E qui inizia la sua lunga storia, una storia piena di fascino e bellezza. É un complesso fortilizio a ferro di cavallo, con torri ovali e due massicce torri quadrangolari, difeso da un fossato, un tempo pieno d’acqua, e da una cinta muraria. Diventò una fortezza poderosa per mano dei Visconti di Milano e sotto i Balbi, potente famiglia genovese che lo acquistò nel Seicento, l’edificio fu trasformato in una residenza nobiliare alla fine del 1800. Oggi è proprietà del conte Niccolò Calvi di Bergolo che con la moglie Annamaria e il figlio Alessandro lo ha acquistato dai cugini Doria-Odescalchi, ultimi eredi dei Balbi. Il maniero è passato indenne sotto diverse dominazioni.