STORIA- Pagina 35

Il Latino? Un evergreen

Cosa vi ricorda rosa, rosaerosae? Sicuramente la scuola e le temutissime versioni di latino. Quante volte abbiamo pensato, probabilmente con sollievo, che la nostra relazione con questo antico idioma sarebbe finita lì,  che si sarebbe spenta al suono dell’ultima campanella alla fine del nostro percorso scolastico

 

Forse a quell’età non siamo in grado di comprendere l’importanza di questa lingua che ha dato voce e ispirazione a filosofi, a pensatori immensi, a personalità straordinarie che hanno segnato e lasciato tracce nella storia; o forse chi aveva il compito di farci entrare in sintonia con questa materia non è riuscito a farcela amare.

Di fatto siamo sposati con latino per tutta la vita, ci accompagna tutti i giorni ed è parte integrante delle conversazioni supportandoci nella comprensione di concetti e significati che altrimenti sarebbero troppo lunghi e complessi da spiegare.

Per capire quanto siamo legati a questa lingua, indubbiamente d’altri tempi ma evidentemente evergreen, possiamo fare un elenco, anche breve, di alcuni termini ed espressioni utilizzati quotidianamente nelle nostre conversazioni sia di carattere privato che professionale.

Agenda:  il calendario dove annotiamo le cose da fare o da ricordare e i nostri impegni, albumil raccoglitore dove teniamo le foto, bisaut aut: una scelta senza alternative, capsulacelluladatade visu: visto con i propri occhi, exferramentaformulagratisad interim: incarico provvisorio, iterlapsus: errore involontario, lavabolegendalibellulanon plus ultra: il massimo, nulla ostaopera omnia: l’insieme delle opere di un autore, pro capitepropaganda: cose da diffondere, prosit!: una forma augurale quando si brinda, raptus: un impulso improvviso,rebus: gioco enigmistico, referendumretrosolariumsosiastatussui generis: originale, supertotultrauna tantum: solamente una volta, vademecumvirus.

Che ne dite poi di parole decisamente attuali come monitorvideoaudiosponsor o tutor, inglese? No ancora latino. Il nostro latino quotidiano, un supporto linguistico, un sempreverde privo di data di scadenza che è parte viva della nostra meravigliosa lingua italiana, ma apprezzato ed utilizzato universalmente per il suo impiego nel linguaggio giuridico, medico o tecnologico.

Un amico quindi, un compagno che trasforma una parte della comunicazione in linguaggio globale ed ecumenico, un gergo immediato che innalza il tono della conversazione rendendola musicale e ricercata.

La nostra storia dunque, le nostre radici ma anche il presente e il futuro della nostra comunicazione; il latino è parte di noi  e quindi anche, e soprattutto, in questo caso Melius abundare quam deficerestudiamolo, amiamolo e usiamolo!

Maria La Barbera

Dai lager alle Doc, le due vite di Paolo Desana

Presso la sede di via Maria Vittoria al Centro Pannunzio, dove “si ritrovano i titolari del proprio cervello” secondo il motto dello stesso Centro, è stato recentemente presentato il libro scritto da Andrea Desana dal titolo “Paolo Desana: la storia di due vite tra lager e vini DOC”.

L’evento, che si è svolto grazie alla disponibilità del Presidente professor Pier Franco Quaglieni, ha visto l’introduzione di Stefano Morelli e, a seguire, le presentazioni, ognuna per ogni vita del Senatore monferrino, ad opera dello storico dell’internamento e giornalista de La Stampa Andrea Parodi e, la seconda vita, del giornalista e scrittore Cristiano Bussola. Presente l’autore Andrea Desana, per la prima parte è stata presentata ed approfondita la grande vicenda storica, per più di settant’anni volutamente dimenticata dallo Stato e dalla storia, degli Internati Militari Italiani ( IMI ) ovvero ben 650 mila giovani militari italiani che dopo il nefasto armistizio dell”8 settembre del 1943 furono catturati e tradotti nei peggiori lager tedeschi dove purtroppo ben 55 mila di loro persero la vita. Cristiano Bussola e Andrea Desana hanno invece parlato della seconda vita di Paolo Desana che il 12 luglio del 1963 riuscì a far approvare al Senato della Repubblica la legge delle Doc vinicole italiane, ovvero il DPR 930. In sostanza la vita di Paolo Desana fu contraddistinta da due forti “NO”, il primo di resistenza nei lager nei confronti del nazifascismo e del lavoro coatto imposto dagli aguzzini e il secondo “NO” contri i vini adulterati e generici privi di ogni garanzia di origine geografica e di salubrità per il consumatore. Oggi le 408 Doc vinicole attive sul mercato, i 123 Consorzi di tutela attualmente operanti sui numerosi territori vocati della nostra penisola e i 15 milioni di enoturisti che ogni anno visitano le italiche cantine sono la prova che la strada della DOC era quella giusta non solo per il mondo della produzione vinicola ma per lo sviluppo economico e turistico di numerosi territori italiani. Al termine hanno rivolto domande all’autore e svolto importanti considerazioni Salvatore Vullo sull’operato vinicolo di Paolo Desana e sulla importante strada che ha saputo tracciare e Antonella Bartolo Colaleo anch’essa autrice di un prezioso libro sull’internamento militare “Matite sbriciolate”.

Da sinistra: Bussola, Parodi, Desana

San Martino trionfa con El Greco

L’11 novembre si festeggia San Martino, un Santo venerato dalle chiese cattolica, ortodossa e copta. Patrono di mendicanti, albergatori e cavalieri, è diventato famoso per l’episodio del mantello. Secondo la tradizione popolare, il Santo vedendo un mendicante seminudo soffrire il freddo durante un temporale gli donò metà del suo mantello e poco dopo fece la stessa cosa con un altro poveraccio offrendogli l’altra metà del manto e subito il cielo si rasserenò e la temperatura si alzò. È da questa leggenda che deriva l’espressione “l’estate di San Martino” che indica un periodo in cui in autunno, dopo le prime gelate, le temperature diventano più miti con belle giornate di sole e un clima gradevole. Quest’anno San Martino di Tours trionfa nel celebre dipinto di El Greco in mostra al Palazzo Reale di Milano nell’esposizione dedicata al pittore cretese del Rinascimento, fino all’11 febbraio 2024. El Greco dipinse “San Martino e il mendicante” a Toledo alla fine del Cinquecento. L’opera è conservata alla National Gallery of Art di Washington.  FR

La toponomastica è una cosa seria

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

La toponomastica non può essere un’occupazione senile per giochi illusionistici  e comparsate giornalistiche di consiglieri comunali sedicenti radicali  che passano dalla caccia ai crocifissi alle intitolazioni di alcune  vie. Altrimenti  una materia storica molto seria si snatura, se viene lasciata in mano a certi personaggi che forse  già prefigurano un triste  Viale (del tramonto) ad essi  intitolato, come è stato  scritto su un quotidiano con dubbio gusto.
Ogni occasione appare  oggi  buona per sparare provocazioni e anche cazzate (solo questa parola rende bene l’idea), anche  cazzate, dicevo,  di vario tipo su Pannella, su Bobbio, su Galante Garrone e adesso sulla coppia Pertini a Superga. Sono ignorantelli  che, ad esempio, non sanno che i fratelli Garrone erano gli zii di  Sandro Galante Garrone e che il padre e il figlio Frassati sono egualmente ricordati nella toponomastica torinese su proposta  di Jas Gawronski e anche di chi scrive. In particolare l’idea bizzarra e stupida che corso Siccardi e la passeggiata Pannella  abbiano qualcosa a che fare con Piazza Savoia e l’obelisco  a cui segue via della Consolata, stupisce. La vera toponomastica non segue forzature ideologiche, ma la storia che è fatta non a misura di alcuni autentici fessi che pretendono una città a misura di simpatie politiche che riguarderebbero persino le vecchie sedi del partito radicale torinese. Queste sono evidenti sciocchezze. La città è fatta di Leggi Siccardi e  di processioni per la Consolata e l’Ausiliatrice. Volti diversi della stessa città, laica  e religiosa.
La storia  vera è fatta di corso Siccardi e di via della  Consolata,   senza beatificare, come è stato fatto  di recente  vecchie cariatidi e  preistorici consiglieri comunali “emeriti” del PSI che vennero eletti una sola volta per il rotto della  cuffia nel 1975 e che non rappresentarono e  non  rappresenteranno nulla di  davvero importante neppure dopo la loro morte. Gli esaltati che si esaltano non debbono più  toccare palla su materie che non conoscono e che usano per curare il loro protagonismo velleitario  e il loro  narcisismo  senza limiti.  E, in primis, la proposta sulla presidente Jotti non può essere snobbata  in modo indecente da vetero destrorsi che non meritano anche solo di nominare la Jotti, come è accaduto.
In particolare, più in generale, sarebbe forse  anche il caso di calmarsi con intitolazioni continue che non hanno senso e fanno scadere il valore di un riconoscimento civico importante. Forse val la pena di ricordare la regola molto  saggia di far intercorrere dieci anni tra la morte e la intitolazione, come prescrive la legge. Le eccezioni non possono diventare la regola,  altrimenti si travisa la stessa toponomastica torinese che in passato era affidata agli storici e non solo ai politici. La falsa regola del subito santi deve cessare. Subito!

Ivo Andrić e il piccolo Caffè di Lutvo

E’ verde, la Bosnia. Boschi, vallate, montagne e fiumi sono le gemme  di una natura sfacciatamente bella da suscitare quasi imbarazzo. Fiumi limpidi che corrono nelle gole  tra monti aspri per poi precipitare in spettacolari cascate e laghi. Come l’Una, un fiume che – s’intuisce dal nome stesso – è davvero unico con le sue isole, i canali e una vegetazione tanto ricca da trasmettere un senso di pace incredibile. Delle cascate di Kravica, lungo il fiume Trebižat, a quaranta chilometri da Mostar,  dicono un gran bene. Io non le ho viste ma mi sono fidato di Mustafà che me le ha descritte  come uno dei luoghi più incantevoli dell’Erzegovina. In una versione ridotta di quelle del Niagara, sono alte una trentina di metri e precipitano in un anfiteatro naturale, offrendo uno spettacolo che lascia senza fiato. E la Neretva, dalle gelide acque verdi smeraldo, che attraversa il paese tra strette gole verso nord-ovest per poi piegare a sud, attraversare Mostar e sfociare nell’Adriatico?

Qui, tra le montagne del nord della Bosnia, tra rupi e fitte foreste dove  gli orsi convivono con cervi e daini, dal gennaio all’aprile del 1943 si combatté la durissima battaglia della Neretva, con le formazioni di Tito che riuscirono , con una rocambolesca e geniale azione a compiere una  ritirata strategica che fece  fallire l’obiettivo dell’Asse di accerchiare e distruggere le forze partigiane. Neretva ( così in serbo-croato, altrimenti conosciuta come Narenta) “dove scorre il tempo irreale e scorre l’acqua. Acqua contro Terra. Tremante svanisce, tremante riappare”, come canta Ginevra Di Marco in una canzone dal titolo come il nome del fiume. Montagne massicce, dunque, formate dalle tre cinture parallele delle alpi Dinariche, con le principali vette bosniache della Treskavica e della Bjelašnica, del gruppo del Vlašić fino a quello del Jahorina, con l’omonimo monte e quelli bellissimi e tristemente noti del Trebević e dell’Igman, attorno a Sarajevo. Queste barriere naturali, situate a ridosso dell’Adriatico, hanno consentito la formazione di particolari microclimi caratterizzati da una grande, straordinaria biodiversità. Difficile dar conto della varietà di tesori naturali, di specie rare  di flora e fauna autoctone, difficilmente rintracciabili nel resto d’Europa. Per tanti aspetti la Bosnia è il corno dell’abbondanza, la cornucopia  d’Europa. Come definireste altrimenti  un paese di foreste e monasteri ortodossi, di chiese cristiane e antichi minareti, borghi medievali e tanti, tanti ponti ad unire e far incontrare le opposte rive dei fiumi? Un paese così non si trova in nessuna altra parte d’Europa. Nonostante tutto. Nonostante le contraddizioni e la violenza che l’ha scosso fino nel profondo dell’anima del suo popolo. Nonostante tutto continua a offrirsi agli sguardi di chi non si limita ai luoghi comuni e continua a raccontare con la sua immensa storia e di cultura. Nonostante tutto, come gli avventori del piccolo Caffè di Lutvo, a Travnik. Nel suo “La cronaca di Travnik”, Ivo Andrić scriveva: “ In fondo al mercato di Travnik, sotto la sorgente fresca e gorgogliante del fiume Šumeć, è sempre esistito, da che mondo è mondo, il piccolo Caffè di Lutvo. Ormai neanche gli anziani ricordano Lutvo, il suo proprietario; da almeno cento anni egli riposa in uno dei cimiteri intorno alla città. Tuttavia si va sempre a “prendere un caffè da Lutvo”, e così ancora oggi il suo nome ricorre spesso nelle conversazioni, mentre quello di tanti sultani, visir e bey è da tempo sepolto nell’oblio”. C’è una frase che descrive bene la sensazione che prova un viaggiatore attento nell’avvicinarsi ad un luogo d’incontro di storie, culture che si uniscono, si contaminano e, al tempo stesso, prendono strade diverse o addirittura opposte. Un luogo molto bello ma non facile  e che, in ogni caso, non lascia indifferenti. La frase, quasi fosse una chiave con cui tentare di aprire una porta o un  forziere, senza peraltro riuscirvi,  la regala ancora l’autore de “Il ponte sulla Drina”: “Nessuno può immaginare che cosa significhi nascere e vivere al confine fra due mondi, conoscerli e comprenderli ambedue e non poter fare nulla per riavvicinarli, amarli entrambi e oscillare fra l’uno e l’altro per tutta la vita, avere due patrie e non averne nessuna, essere di casa dovunque e rimanere estraneo a tutti, in una parola, vivere crocefisso ed essere carnefice e vittima nello stesso tempo”.

Marco Travaglini

Quando la tv era libera. Renzo Villa e la leggenda di Antenna 3

Le chiamavamo televisioni libere, poi locali, poi private e infine commerciali. Sta di fatto che volenti o nolenti, hanno alimentato il nostro immaginario dagli anni 70, prima dell’avvento della cosidetta “era berlusconiana”. E’stata l’inventiva pionieristica e imprenditoriale di Renzo Villa che nel lontano 1977, in quel di Legnano realizza quel miracolo via etere che è ancor oggi Antenna 3 Lombardia.

 

Ci racconta questa avventura il giornalista Cristiano Bussola, in un agile saggio a metà tra la storia del costume e la sociologia della cultura: “Una fetta di sorriso Renzo Villa, l’inventore della tv commerciale raccontato da chi lo ha conosciuto” ( Paola Caramella editrice, 2022, pagg. 230, €. 18 corredato da un ricco apparato fotografico). In realtà l’autore, Renzo Villa non l’ ha mai conosciuto in maniera diretta. Come precisa nelle pagine introduttive, Villa è stato l’ispiratore principale, del suo avviamento alla professione giornalistica prima cartacea alla “Vita Casalese” poi a Prima Antenna, già Studio Televisivo Padano, come cronista e commentatore politico. Attraverso le interviste (alcune dirette alcune telefoniche) a una carrellata di personaggi (portati poi al successo da Villa) l’autore riesce a ricostruire nei minimi particolari, la realizzazione di quel sogno, nell’arco temporale di un decennio. Teo Teocoli e Massimo Boldi (scoperti al mitico Derby di Milano) poi Donatella Rettore e i Righeira solo per citarne alcuni. Ma anche maestranze e tecnici sentiti sui loro rapporti professionali e umani. Pochi anni dopo la sua prematura scomparsa nel 2010 a 69 anni, la moglie Wally Giambelli, la compagna di una vita, attraverso l’ente “Associazione Amici di Renzo Villa” ne tiene viva la memoria con iniziative di promozione sociale e formazione professionale (per materiale audiovisivo e di testo consultare: viaperbusto15.it ).


Grazie a un mix di volontà, tenacia e capacità non comune di tessere relazioni umane, Renzo Villa lascia il dazio di Varese e prima approda a Tele Biella con Enzo Tortora, imparando tutto sulla televisione, poi dopo mille vicissitudini e traversie, diviene il patron di Antenna 3 Lombardia.

Fa l’intrattenitore, il pubblicitario e addirittura il cantante-attore (sua ambizione giovanile), nel mitico Studio 1 di Via per Busto 15 a Legnano, unendo in qualche modo nelle sue trasmissioni, lo status di direzione a quello di subalternità. In un equilibrato amalgama di assunzione di ruoli. Fino al fallimento nel 1987, determinato dal mercato pubblicitario e dall’accanimento della concorrenza e al passaggio alla nuova proprietà, Espansione Tv, poi dal 2004 passata nel Gruppo Mediapason di Sandro Parenzo, terzo gruppo televisivo privato italiano. Tanto che Silvio Berlusconi gli offrì 9 miliardi delle vecchie lire, per rilevargli il gioiello di Legnano. Ma lui rifiutò, sostenendo, parafraso sintetizzando al meglio il suo essere che: “se la pubblicità è l’anima del commercio, questa non deve divenire commercio dell’anima”. La sua e dei telespettatori. Tra le figure professionali mirabilmente descritte da Bussola nel libro, ne voglio ricordare tre, che più mi hanno colpito.

La prima è Patrizia Ceccarini (in arte Cecchi) che ad Antenna Tre accompagnava da valletta Ric e Gian nei loro sketch, dopo una lunga esperienza al teatro tenda con Vittorio Gassman. Molti anni dopo la sua avventura con Villa, tornò in visita negli studi a Legnano e di fronte alle mura diroccate e dismesse dei locali, si commosse fino alle lacrime, nel ricordare quegli anni meravigliosi, trascorsi lavorando con il con il compianto Renzo Villa.
La seconda è la testimonianza di Gian Paolo Parenti, che come l’autore del volume approdò al mondo della televisione, grazie allo stimolo della televisione stessa, in questo caso citando Karl Popper, divenuta suo malgrado, buona maestra. Oggi è docente di Marketing televisivo al corso di laurea in Media e giornalismo dell’Università di Firenze. Insegna all’Università Cattolica di Milano ed è autore di saggi sulla televisione.
E ultimo ma non ultimo, voglio ricordare il tecnico di trasmissione di Telebiella, conosciuto da Villa all’inizio della sua attività manageriale, Peppo Sacchi, che in parola afferma: “Ormai in tv si assiste a sproloqui di venti minuti. E ogni minuto rubato al pubblico è un minuto rubato alla vita del pubblico stesso. Con il proliferare incontrollato delle televisioni private i cui programmi segnano il trionfo della volgarità, dell’osceno, della violenza, del turpiloquio e forniscono un informazione che quando non è completamente falsa, è incompleta, deformata, tendenziosa, diretta a favorire interessi di parte. È legittimo porsi la domanda: Telebiella fu un bene o un male?”

Ettore Andenna, a destra, con Renzo Villa

Risposta di Sacchi: “Fu sicuramente un bene perché ha dato il via alla televisione privata, favorendo le opportunità di lavoro a decine di migliaia di persone che vivono di televisione. Un male perché aprì la stura a quel gran casino che é la tv di oggi”.  Che non fu quella di Renzo Villa che con Ettore Andenna produsse tra gli altri il programma “la Bustarella” prototipo di ciò che lo stesso Andenna condusse in seguito alla Rai come “Giochi senza Frontiere” che apriva la televisione a una concezione europeista nei contenuti, ancora senza Ue e moneta unica. Concludendo voglio ricordare lo slogan che coniò Marshall McLuhan nel suo scritto “Il villaggio globale” riguardo alla televisione : “Il mezzo è il messaggio”. E allora vigiliamo con la nostra coscienza critica, con l’ausilio dello zapping col telecomando. Senza moralismi. E’ l’unico mezzo di difesa che abbiamo.

Aldo Colonna

Lo studio Uno di Antennatre: ospitava 1200 spettatori

Centro Pannunzio: “9/11, nel Giorno della Libertà’ un pensiero rivolto allo Stato di Israele”

Legge 15 aprile 2005, n. 61 Istituzione del «Giorno della libertà». 1° comma. La Repubblica italiana dichiara il 9 novembre «Giorno della libertà», quale ricorrenza dell’abbattimento del muro di Berlino, evento simbolo per la liberazione di Paesi oppressi e auspicio di democrazia per le popolazioni tuttora soggette al totalitarismo. 2° comma. In occasione del «Giorno della libertà», di cui al comma 1, vengono annualmente organizzati cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti».

 

Il Centro Pannunzio invita a cogliere l’opportunità offerta da una legge dello Stato per ripercorrere le cronache di quei giorni, dell’anno 1989 e di tutto quel prodigioso ciclo di avvenimenti, che permise un così grande rivolgimento positivo con un così minimo spargimento di sangue.

Invita altresì a confrontare la buona riuscita di quel processo con le difficoltà e i fallimenti occorsi ad altre latitudini, come per esempio le cosiddette primavere arabe. E riflettere quindi, in queste settimane di recrudescenza delle pratiche terroristiche, sul portato di valori che denominiamo “giudaico-cristiani”.

Invita poi a mettere a tema, come indica il secondo comma della legge, i due opposti concetti: il totalitarismo a fronte del binomio democrazia-libertà.

Oggi il totalitarismo è declinato in nuove forme: può convivere con un’economia mista e con (più o meno libere) elezioni; l’ingerenza nella vita privata può manifestarsi non più (o non solo) con le ispezioni nelle case private per scorgere crocifissi appesi o libri vietati, ma in forme sofisticate come il “Sistema di credito sociale” della Repubblica popolare cinese, un apparato di sorveglianza di massa, dove il cittadino è osservato in ogni suo comportamento privato ed è passibile di punizioni anche non fisiche ma non meno spietate (esclusione da servizi, da voli aerei, da certe scuole, da lavori di prestigio, iscrizione su “lista nera pubblica”).

Un approfondimento di questi temi permetterebbe di verificare gli elementi di totalitarismo nel territorio governato dall’organizzazione terroristica Hamas. E consentirebbe altresì di valutare Israele secondo indicatori seri e obbiettivi: uno Stato di diritto, l’unica democrazia che si possa incontrare a partire dal mare innanzi alle Canarie fino all’India. Verificare come la minoranza araba sia rappresentata in tutti i livelli della Pubblica Amministrazione, fino alla Magistratura e compresa la Corte Suprema. La assoluta libertà di culto, la possibilità per la popolazione araba di accedere alle università come Medicina senza numero chiuso (ciò che invece vale per la popolazione ebraica) proprio per favorire l’integrazione e la partecipazione alla vita sociale dello Stato di Israele. Magari pure accennando alWelfare e a una Sanità che cura indistintamente tutti, compresi i palestinesi, siano essi della Cisgiordania o da Gaza stessa.

In queste settimane, in cui abbiamo dovuto vedere come il sonno della ragione abbia animato tanti cortei, vera fiera dell’ignoranza e dell’ideologia (in Israele l’apartheid!), ebbene raccogliere l’invito alla riflessione offertoci dalla legge sul 9 novembre può far bene a studenti e docenti.

Gonzaga al castello San Giorgio Gozzani

L’illustre visita è avvenuta in forma privata nell’antico castello monferrino il 16-10-2021 a conferma della relazione materna tra i Gozzano di Agliè e i Gonzaga, pubblicata sul Torinese online il 3-8-2021. Il proprietario architetto Francesco Rolla ci ha descritto l’evoluzione della struttura risalente all’anno 859, costruita attorno alla torre di origine sassone detta del Barbarossa. Fu sede feudale di nobili famiglie investite dai marchesi del Monferrato. Con le possenti mura edificate dai Paleologi rappresenta una delle fortezze più antiche meglio conservate. Con il passaggio del Monferrato al duca Federico II° Gonzaga di Mantova, il maniero venne occupato dai francesi e in parte distrutto dagli spagnoli agli inizi del ‘600 durante la guerra di successione.
Fu ceduto dal duca Ferdinando Carlo Gonzaga-Nevers a Giovanni Gozzano il giovane per 2100 doppie d’oro nel 1670, succedendo alla famiglia dei Galeazzi-Salvati e infeudato della contea di San Giorgio, proprietà della famiglia Gozzano proveniente da Luzzogno fino agli inizi del ‘900. Nei piani nobili vivevano la corte e gli ambienti amministrativi mentre i piani inferiori erano adibiti a scuderie, cantine, granai e le strutture esterne a panificio, ghiacciaia e l’immenso parco a frutteto. Evidenti i segni lasciati dai marchesi Gozzani: stemmi di famiglia, il doppio scalone barocco, la terrazzata con finestre a scomparsa, il nome in rilievo sulla campana della torre.
La ricerca relativa alle due famiglie si è sviluppata tramite l’atto di cresima del principe SRI Maurizio Gonzaga, celebrata in Vaticano da papa Pio XII° il 16-6-1949 e conclusasi nell’archivio del duomo di Alba con la genealogia della ricca famiglia Alliana che ne ha confermato la parentela. Padrino della cresima fu il neuropsichiatra Mario Gozzano, figlio del generale Francesco di Agliè e nipote del generale principe SRI don Maurizio Ferrante Gonzaga. Ingrid Gozzano, neuropsichiatra infantile a Roma, unica figlia vivente di Mario è ancora in contatto con il cugino Maurizio Gonzaga.
Curiosamente, al battesimo di Maurizio Gonzaga del 3-12-1938 il padrino fu il duca d’Aosta, il re e cavaliere di Spagna a cui era stato offerto dagli ufficiali di cavalleria un trofeo in bronzo posto sulla tomba di Superga dal marchese generale Carlo Giovanni Gozzani, nipote di Evasio detto il marchese pazzo. A Roma venne istituita nel 2010 una visita virtuale a Villa Borghese con due guide d’eccezione, Paolina Bonaparte ed Evasio Gozzani, personale amministratore di casa Borghese e curatore delle nuove mostre nel 1812, accompagnati dalle preziose melodie di Bach, Monteverdi e Pergolesi.
Il principe Maurizio Gonzaga (*1938), discendente da Giovanni (1474-1525) terzo figlio di Federico I° di Mantova e Margherita di Baviera, ancora oggi utilizza una dialettica famigliare con accento italo-tedesco. Maurizio è autore di due romanzi: Fiori nel deserto (12 racconti che accendono una speranza ai piccoli e adolescenti oppressi e indifesi) e Assalto al castello (storia delle famiglie Scotti-Gonzaga nell’Italia del XVI° secolo dominata dalle due superpotenze dell’epoca, i guelfi allineati con la chiesa di Roma e i ghibellini, facenti capo al Sacro Romano Impero). Ad Agazzano i Gonzaga possiedono una rocca del 1200, elegante dimora signorile del rinascimento e un castello del 1700. Le due residenze nobiliari fanno parte dei castelli del ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli, ereditati dai tre figli di Corrado Gonzaga (1941-2021) marito della principessa Erica De Ponti Gonzaga.
Armano Luigi Gozzano

Welcome Tour per scoprire Chieri e Carmagnola

4 appuntamenti: sabato 11 novembre, 23 marzo, 20 aprile e 18 maggio

 

Un Welcome Tour per scoprire il ricco patrimonio storico e artistico della cittadina di Chieri è la nuova iniziativa realizzata da Turismo Torino e Provincia in collaborazione con il Comune di Chieri, socio dell’ATL.

Chieri come non l’avete mai vista” debutta sabato 11 novembre – e prosegue sabato 23 marzo, sabato 20 aprile e sabato 18 maggio – alle ore 15 per una durata di 90 minuti. La visita è in italiano al costo di 8€, ridotto a 6€ (compreso tra 7 e 11 anni, possessori di Abbonamento Musei, possessori di Torino+Piemonte Card Junior, possessori Torino+Piemonte Card), gratuito (compreso tra 0 e 6 anni).

Siamo davvero orgogliosi di questa iniziativa – sottolinea Elena Comollo, Assessore al Turismo e Promozione del Territorio – che grazie alla collaborazione decennale tra il Comune di Chieri e Turismo Torino e Provincia consente ancora una volta di valorizzare la nostra città e le sue eccellenze storico-architettoniche, oltre alle produzioni artigianali di qualità. Il nostro obiettivo è far vivere al visitatore un’esperienza completa, che prevede il tour guidato e può proseguire con un piacevole momento di degustazione in una delle due pasticcerie che hanno ottenuto il riconoscimento di Maestri del Gusto e da uno shopping di qualità nel centro storico cittadino“.

La passeggiata guidata – con l’ausilio di guide professioniste – porterà i visitatori alla scoperta dell’antica cittadina ricca di storia e cultura, fondata dai Celti e successivamente occupata dai Romani con il nome di Càrreum Potentia. Il suo nucleo storico è infatti caratterizzato da stradine acciottolate, edifici medievali ben conservati ed è noto per la sua ricca eredità religiosa e la presenza storica di un ghetto ebraico. Il Welcome Tour Chieri permette di andare alla scoperta di numerose chiese di notevole pregio, tra le quali la cappella Gallieri all’interno del Duomo, oltre a svelare tracce della storia ebraica della città.

Al termine del tour guidato è possibile degustare specialità tipiche a prezzo concordato e fare shopping, approfittando degli sconti offerti dagli aderenti al DUC (Distretto Urbano del Commercio) che partecipano all’iniziativa mostrando la ricevuta di acquisto del Welcome Tour anche dallo schermo dello smartphone. Lo sconto è valido per acquisti effettuati il giorno stesso dello svolgimento del Welcome Tour.

I locali aderenti sono: BUTTIGLIERI Pasticceria caffetteria – DOLCI E DOLCI Pasticceria caffetteria – ARS LUDICA Giocattoli – COMPAGNIA DELLA PELLE Borse e scarpe – FB ABBIGLIAMENTO – IL FARO Alimentari per diete speciali – LA CANTINA DEL CONVENTO Ristorante – PENNAZIO ELISA Hobbistica e filati -.

Siamo certi – evidenzia Marcella Gaspardone, Dirigente di Turismo Torino e Provincia – che questa iniziativa possa contribuire a far conoscere maggiormente le attrattive di Chieri, comune a pochi chilometri da Torino e che rappresenti un importante segnale per il nostro territorio essendo il turismo un settore in grado di valorizzare il tessuto economico-sociale legato a cultura e commercio”.

Per info e prenotazioni

https://www.turismotorino.org/it/esperienze/eventi/welcome-tourr-chieri