

Situato a Mirafiori sud a Torino, al confine con il comune di Nichelino, il Mausoleo della Bela Rosin, dedicato dai figli alla madre Rosa Vercellana, amante e poi moglie di Vittorio Emanuele II di Savoia, e’ un mini pantheon situato al centro di un bel parco di trentamila metri quadrati.
Progettato dall’ architetto Angello Demezzo tra il 1886 e il 1888, consiste in una pianta circolare, con un diametro di 16 metri, e un frontone che riporta il motto “Dio, Patria e famiglia”; questa struttura possiede 16 colonne, 8 nella parte esterna (il proneo) e 8 che delimitano le nicchie dove una volta erano contenute le salme di Rosa e dei suoi figli che ora riposano altrove, l’ingresso e’ in ferro battuto ed e’ caratterizzato dalle insegne dei Conti Mirafiori.
Il mausoleo, purtroppo, negli anni e’ stato teatro di episodi spiacevoli fino al suo recente restauro che gli ha restituito il suo valore e il suo pregio. Nel 1970 dopo essere stato acquistato dal Comune di Torino e aperto al pubblico e’ stato profanato dalle attivita’ illecite di tombaroli in cerca di gioielli e oggetti preziosi, motivo per cui le salme della Rosin e dei suoi figli sono state trasferite al Cimitero Monumentale di Torino; dopo qualche anno fu ancora deturpato e utilizzato, o almeno cosi’ si dice, per riti satanici. Diverse furono le proposte perche’ questo luogo storico potesse essere riqualificato: realizzare una moschea o il planetario, nessuna di queste fu realizzata soprattutto a causa dei costi diristrutturazione necessari per una nuova destinazione d’uso. Nei primi anni del 2000 finalmente si attuo’ l’ambito restauro che ha mantenuto le prerogative originarie, come lo stile neoclassico, con qualche rifacimento strutturale indispensabile come la ricostruzione del tetto e la realizzazione di un trompe-l’oeil sul soffitto a cassettoni; all’esterno invece fu effettuato il taglio degli alberi del viale d’ingresso.
Dal 2005, data della inaugurazione del nuovo corso, il Mausoleo della Bela Rosin e’ gestito dalle Biblioteche Civiche Torinesi ed e’diventato un punto di servizio bibliotecario, durante l’estate, poi, il parco diventa un giardino di lettura, attrezzato con gazebo e panchine per permettere ai visitatori di leggere sul posto libri disposti su carretti colorati o prenderli con il prestito gratuito.Inoltre si organizzano eventi, mostre, concerti e spettacoli come “Pazze Regine” ispirato alla storia d’amore tra Rosa e Vittorio Emanuele II.
La sua posizione non centrale e il non essere inserito, molto spesso, nei circuiti turistici penalizza un po’ questo ulteriore gioiello di Torino che si sta cercando gia’ da anni di rimettere al centro dell’attenzione attraverso varie iniziative e avvenimenti interessanti. Il Mausoleo della Bela Rosin rimane, comunque, un monumento di importanza sia storica che architettonica, un altro tesoro della preziosa dote di questa citta’.
MARIA LA BARBERA
Per informazioni
https://bct.comune.torino.it/sedi-orari/mausoleo-della-bela-rosin
mausoleo.belarosin@comune.torino.it
“Questa è Radio Caroline sul 199, la vostra stazione musicale 24 ore su 24”. Con questo messaggio preregistrato sessant’anni fa, lanciato da una vecchia nave passeggeri danese, la MV Caroline , che stazionava al largo delle coste dell’Essex, a sudest dell’Inghilterra, venne annunciato l’inizio delle trasmissioni della prima radio libera del mondo ( “pirata”, si diceva un tempo), di gran lunga la più famosa. Era il 28 marzo 1964, quasi all’ora di pranzo. I due ragazzi terribili alla consolle, Chris Moore e Simon Dee, sapevano bene che in acque internazionali le leggi inglesi non valevano e che la musica poteva librarsi nell’etere senza ostacoli. La prima canzone che venne mandata in onda fu Not Fade Away dei Rolling Stones. In Gran Bretagna le nuove generazioni impazzivano per la musica dei Beatles e dei Rolling Stones, dei Moody Blues e degli Who che dividevano le scene con gli Yardbirds di Eric Clapton e i Kinks.
Di lì a poco avrebbero fatto la loro comparsa anche i Pink Floyd con le loro atmosfere psichedeliche. Pur in presenza di uno scenario unico e straordinario nella storia della musica pop e rock, le trasmissioni radiofoniche erano dominate dai tre canali radio della BBC, che confinava questi gruppi e le loro canzoni nello spazio angusto e risicato di pochissime ore la settimana e non voleva saperne di ospitare le band delle etichette indipendenti, mostrando di subire l’influenza delle grandi case discografiche come EMI e Decca. Quest’approccio piuttosto grigio, in puro stile old british, della radio pubblica e un insieme di regole alquanto strambe che, tanto per fare un esempio, limitavano a cinque ore il tempo massimo in cui si potevano suonare dischi in diretta o la scelta di mandare in onda canzone cantate da altri interpreti o in versioni solo strumentali, fecero guadagnare a Radio Caroline un successo incredibile. L’idea della stazione “galleggiante” era venuta a Ronan O’Rahilly, un ventiquattrenne irlandese che aspirava a diventare un imprenditore musicale, riadattando allo scopo una nave passeggeri danese di 700 tonnellate, la MV Fredericia (formalmente registrata a Panama).
La famiglia di O’Rahilly, piuttosto benestante, era proprietaria di un piccolo porto privato a Greenore, nel nord dell’Irlanda. Le apparecchiature radio vennero installate con l’aiuto dell’ingegnere svedese Ove Sjöström che aveva lavorato in una esperienza simile in Svezia. Per il nome si ispirarono a una delle celebri foto di Caroline Kennedy, ritratta mentre giocava nello Studio Ovale della Casa Bianca ai tempi della presidenza del padre, John Fitzgerald Kennedy. Radio Caroline trasmetteva musica pop tutto il giorno e arrivò a raggiungere, dopo pochi mesi dall’inizio delle trasmissioni, quattro milioni di ascoltatori. Si apriva così una stagione del tutto nuova nel mondo delle comunicazioni e l’esempio di questi ribelli dell’etere generò molte altre radio libere che iniziarono la loro attività al punto che, in un sondaggio del 1966, quasi la metà dei sudditi di Sua Maestà dichiarava di sintonizzarsi regolarmente su una radio pirata o su Radio Luxembourg, potente emittente lussemburghese che era una specie di antenata delle radio pirata. Il governo britannico non stette con le mani in mano e pose di fatto fine all’epoca delle radio libere con il Marine Offences Act, un provvedimento restrittivo che entrò in vigore il 15 agosto del 1967. La legge, tuttora in vigore, “proibisce di trasmettere dalle navi, dalle strutture off-shore e dagli aerei in acque territoriali britanniche, o da navi e aerei registrati nel Regno Unito dovunque si trovino”. Quasi tutte le radio pirata smisero di trasmettere ma il testardo O’Rahilly, da buon irlandese cocciuto, decise di andare avanti e poco dopo la mezzanotte di quel ferragosto informò dai microfoni che la radio Caroline avrebbe continuato la sua attività e mandò in onda All You Need Is Love dei Beatles. Qualche anno più tardi Radio Caroline ripartì a bordo di una nuova nave, l’ex rompighiaccio Ross Revenge, dalle quali le trasmissioni continuarono fino al 1989 quando il ministro inglese Margaret Thatcher ordinò la presa di forza della nave con la successiva chiusura della radio. Ma nemmeno la Lady di Ferro riuscì a zittire l’emittente. Da allora Radio Caroline riprese e interruppe le trasmissioni più volte e ancora oggi è sulla breccia, trasmettendo via satellite.
Marco Travaglini
Venerdì 19 luglio
Palazzina di Caccia di Stupinigi (TO)
Una visita guidata per Abbonamento Musei
“Un viaggio a Oriente” è una visita alla scoperta di un mondo lontano. In occasione dei settecento anni dalla nascita di Marco Polo, alla Palazzina di Caccia di Stupinigi è in programma un’immersione nei racconti dei grandi viaggiatori per arrivare fino in Cina attraverso la via della seta. Dai paesaggi ad acquerello delle carte da parati alle splendide stoffe, dall’esotica Sala da gioco con le sue chinoiserie ai bizzarri animali del serraglio: l’amore dei reali del l’esotismo è evidente a Stupinigi.
INFO
Palazzina di Caccia di Stupinigi
Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)
Venerdì 19 luglio 2024, ore 15.45
Un viaggio a Oriente
Visita narrata riservata agli abbonati di Abbonamenti Musei
Prezzo attività: 5 euro
Il biglietto di ingresso è gratuito per gli abbonati di Abbonamento Musei
Info: 800 329 329
www.ordinemauriziano.itwww.abbonamentomusei.it
Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).
La prima e più importante delle colonie walser, il “nido d’aquila” di questo grande popolo di montanari che disseminò di comunità i due versanti dell’arco alpino. Lo storico Enrico Rizzi, scrivendo per l’editore Grossi la “Storia della Valle Formazza” , ha consegnato ai lettori un lavoro monumentale, frutto di anni di certosine ricerche, raccogliendo documenti e testimonianze. Un’opera davvero completa che illustra la storia ricca e spesso imprevedibile della Valle Formazza. “ La nostra posizione strategica, quasi fosse un cuneo nel cuore delle alpi centrali – afferma la vulcanica sindaca di Formazza, Bruna Papa – ha consentito al nostro territorio di essere per secoli un’arteria di traffici mercantili, scambi e contatti con il nord delle Alpi più di qualsiasi altra vallata dell’eco alpino”. Una valle “sospesa tra sud e nord” a far da cerniera e punto d’incontro anche per motivi artistici, religiosi e civili. Il nodo dei passi attraversati nei secoli dai someggiatori lungo le vie europee del sale, del vino, dei formaggi, la sua eccezionale posizione strategica, hanno fatto della più antica colonia fondata dai Walser nel medioevo, una “piccola repubblica” sospesa tra la Lombardia e la Svizzera . Territorio conteso con agli Svizzeri che cercavano un altro sbocco verso il Mezzogiorno, allargando e rettificando il confine meridionale della Val Leventina, venne aggregato al ducato di Milano, e seguì le vicende di tutto il restante della Val d’Ossola rimanendo sotto la dominazione spagnola fino al 1714, e passando poi sotto le dominazioni austriaca (1714-48), sabauda (1748-97), francese (1797-1814) e italiana.Retta per secoli autonomamente, con il proprio tribunale valligiano e rustiche magistrature democratiche, Formazza ha sempre coltivato la sua fiera indipendenza, la sua lingua, lo stile delle sue case di legno, le sue antiche tradizioni, un ricchissimo paesaggio naturale che ha nella superba Cascata della Toce il suo monumento più suggestivo, ammirato nei loro viaggi alpini da naturalisti e scienziati, poeti e artisti come Saussure, Dolomieu, Coolidge, Ermanno Olmi,Carlo Rubbia. Un luogo che Mario Rigoni Stern raccontò nel suo libro “L’ultima partita a carte”, descrivendo il suo “corso sciatori” in alta Val Formazza nel gennaio del 1939 : “Mi ricordo ancora bene che vicino alla diga di Morasco avevamo fatto una gara sci-alpinistica partendo dalla Cascata del Toce. Nella neve si viveva e si moriva. Un aspirante che era con noi era rimasto sotto una valanga durante un allenamento. Noi sciavamo, bevevamo il vin brulé, vincevamo la coppa, ma poi, nel gennaio del 1943 eravamo andati a morire per il freddo, nella neve, in guerra”. Tornando al libro di Rizzi va detto che lo storico delle Alpi e autore di molti libri sui Walser nelle 480 pagine di quest’opera straordinaria, corredata di foto e documenti, non tralascia nulla nel ricostruire la storia di questa bellissima valle.
Marco Travaglini
Grigia e serissima, la Torre di Buccione – che non ha, evidentemente, un’anima – non può sapere che la sua citazione più conosciuta è contenuta in uno dei libri più belli e più ironici di Gianni Rodari, quel “C’era due volte il barone Lamberto”, ambientato lì attorno
C’è chi, nel lento trascorrere del tempo, vigila. Infatti, d’inverno , quando il lago è velato, a pelo d’acqua, dalla nebbia, sembra che stia lì, sentinella di pietra sul colle, a difesa del silenzio e della pace di questa terra cusiana, sulla sponda orientale del lago d’Orta.Grigia e serissima, la Torre di Buccione – che non ha, evidentemente, un’anima – non può sapere che la sua citazione più conosciuta è contenuta in uno dei libri più belli e più ironici di Gianni Rodari, quel “C’era due volte il barone Lamberto”, ambientato lì attorno. Nel racconto del grande scrittore omegnese, dopo l’invasione dell’isola di S.Giulio da parte dei banditi che sequestrarono il barone, i giornalisti di mezzo mondo si disputarono gli “osservatori “migliori per seguire le varie fasi della vicenda. E se i giapponesi ( i più sistematici.. ) occuparono i punti più alti, cioè l’Alpe Quaggione e la vetta del Mottarone, scrutando il lago da nord a sud, da Omegna a Gozzano, l’unico punto altrettanto alto e panoramico per guardare il lago da sud a nord era proprio la Torre di Buccione, “occupata in forze dalla Tv messicana”.
Non male come “utilizzo” nel XX secolo. Ma , riposta la fantasia e ripristinando la storia per com’è stata, bisogna dire che il primo documento che cita la fortificazione risale al 1200: il castello di Buccione fu teatro di un accordo stipulato alla presenza del vescovo Pietro IV tra i feudatari locali ed i rappresentanti del comune di Novara. Incontratisi nel prato sotto la Torre, che svettava con i suoi quasi trenta metri d’altezza sul colle, cercarono un’intesa per mettere fine alle dispute sulle questioni territoriali della Riviera. Nel 1205 il castello venne indicato come dimora del Vescovo e trent’anni dopo, in un altro documento, si ribadiva che la Torre e le fortificazioni di Buccione erano “indiscussa proprietà vescovile”. Il filo che lega questi documenti non solo testimonia la “presenza” della fortificazione di Buccione ma rappresenta tre momenti della originale evoluzione della Riviera di S.Giulio sotto il profilo istituzionale ed amministrativo, con i passaggi – nell’arco di trecento anni , dal Mille al XIII secolo – da signoria di “possesso territoriale” a signoria di “potere giurisdizionale” del vescovo di Novara, tant’è che per sbrogliare la complessa matassa fu persino necessario l’intervento degli arbitri dell’Imperatore.
Una mediazione non proprio pacifica visto che il Comune di Novara – impegnato ad espandere i suoi possedimenti – aveva creato ex-novo un suo avamposto tra il castello di Mesma e la Torre di Buccione ( il “borgo” della Mesmella ), insinuandosi come un cuneo nei possediemnti del vescovo così che , di conseguenza, gli arbitri imperiali dovettero ordinare la distruzione del borgo, restituendo all’autorità vescovile i castelli ed i villaggi posti a nord della Baraggia di Briga, con tutti gli annessi e connessi, cioè i diritti ed i poteri. Ma l’origine della Torre, secondo alcuni studiosi, ha radici ben più antiche dei cenni documentali già citati: radici che affondano nelle ombre e nei chiaroscuri dell’alto medioevo. Uno studioso che ha minuziosamente “rivisitato” la storia dell’imponente fortificazione – il Marzi – scrisse che “ si estendeva fino a coprire la vetta del colle”, identificandone due fasi di costruzione: “l’erezione della cortina e delle stanze del presidio sono da collocarsi intorno agli anni 1150-1175” mentre risultavano “troppo esigui gli elementi per datare i recinti successivi e il ridotto avanzato”. Resta il fatto che a rivelare le due fasi si possono citare almeno un paio di elementi: i parametri murari e la disposizione delle buche per il ponteggio. Le opinioni di carattere storiografico sono disparate: c’è chi giura si tratti di un manufatto di epoca romana, chi lo giudica invece opera dei Longobardi e chi ancora frutto di scelte ed indicazioni dei vescovi novaresi. Secondo il Marzi, nel suo “ Sulle origini del castello di Buccione “, edito dal comune di Orta S.Giulio nel 1984, gli autori vanno ricercati invece nei signori locali, legati da vincoli feudali al vescovo, forse i da Castello di Crusinallo.
Resta un fatto, abbastanza chiaro: il castello divenne una piazzaforte vescovile, in stretto contatto con il castello dell’isola di S.Giulio – eretto nel V secolo – di cui costituiva, insieme ad altre “torri” edificate sulle sponde del Cusio, una delle “teste di ponte” di un fitto ed articolato sistema di fortificazioni poste a guardia dello stato episcopale, una sorta di “enclave” indipendente nell’ambito dell’Italia del nord, nell’arco di ben sei secoli, dal 1219 al 1817. In cima alla torre, come si usava dire “..sospesa tra terra e cielo”, era posta la campana con cui si annunciavano gli imminenti pericoli: l’ultimo, prezioso, esemplare – fatto fondere nel 1610 – è tutt’oggi custodito nel giardino della sede del municipio di Orta. Il “castello di strada” e la torre, nei fatti, rappresentavano un’unica turrita fortezza alta, per l’esattezza, ventitre metri, con funzioni di segnalazione, suddivisa al suo interno in tre impalcati di legno che ne consentivano l’abitazione da parte della guarnigione . Il piano inferiore ( dove si apre l’ingresso attuale, risalente al 1800, mentre l’antico ingresso si trovava a circa sette metri da terra ) serviva da “caneva”, cioè da magazzino per i viveri e per l’acqua, necessari in caso d’assedio. Al secondo ed al terzo piano erano situate le latrine, con condotte convogliate verso il cortile per lo scarico dei liquami.
Al piano alto si trovava la cella – con la volta a crociera – munita di una bertesca organizzata su mensole, dalla quale si potevano spiare e combattere i nemici che minacciavano l’ingresso inviando loro dei “gentili omaggi” a base di pietre e, nei casi più ostinati, calderoni d’olio bollente. La fortificazione si completava di una cortina muraria esterna con camminamenti, feritoie, merli, ancora visibili all’inizio del ‘700 quando vennero descritte dallo storico rivierasco Lazzaro Agostino Cotta. Le mura, al loro interno, ospitavano un cortile rettangolare che includeva la “nostra” torre, mentre – in epoca successiva – venne edificato sul lato a nord un altro recinto che, stando ai resoconti del Cotta, poteva contenere fino a cinquecento soldati, ed un ridotto avanzato – situato sul crinale verso il lago – studiato come punto di controllo sulla strada che veniva percorsa da merci e viandanti. Oggi la Torre, impavida ed altera costruzione che domina il Cusio meridionale, dopo aver subito – in passato- le offese di vandali e teppisti, merita le cure di chi – per generazioni – è nato e cresciuto alla sua ombra. E la Riserva Regionale che oggi la tutela è stata pensata proprio per questo. Un nobile scopo per la nobile causa di una nobile ed ardita costruzione medioevale.
Marco Travaglini