STORIA- Pagina 29

Torino e i Savoia

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Credo che questo sia per me l’ultimo articolo dedicato ai funerali di Vittorio Emanuele. In primis lodo la bella (e coraggiosa) intervista del mio amico Gustavo Mola di Nomaglio (da non confondersi con il professore di Torre  Sangiorgio  (Cn) che decise con pochi amici legati ad una associazione segreta  la decadenza da principe ereditario di Vittorio Emanuele. Anche molto apprezzabile l’intervista dell’amico Alberto Turinetti di Priero. Poi vengono gli scarabocchi storicamente sgrammaticati di chi ritiene che il funerale del principe in Duomo sia un’offesa alla Sindone, dimenticando che la Sindone venne portata a Torino dai Savoia e che l’arcivescovo che non andrà ai funerali, è  il custode del dono che fece Umberto II al Papa. L’ultima ostensione vide Vittorio e famiglia ricevuti in pompa magna dall’arcivescovo pro tempore. Dopo l’esilio Vittorio Emanuele venne ricevuto dalla presidente Mercedes Bresso in Provincia;  duole apprendere che oggi la stessa Bresso parli con disprezzo del signor Savoia:  appare  infatti un po’ incongruente con il suo passato di donna ligia alle istituzioni. Un altro giornalista sportivo  che si definisce anche scrittore, scrive che il principe  venne a Torino solo nel 2003, dimenticando che il principe era in esilio per oltre 50 anni non certo per libera scelta. Ci vuole quello che Omodeo chiamo’ il senso della storia e allora vedremmo che Torino è città sabauda in ogni angolo salvo le Vallette, via Artom ed altri borghi. Sono i Savoia che hanno edificato Torino. Basta vedere il mostro del palazzo dei lavori pubblici  davanti al duomo o la  pur bella Torre Littoria, per rendersi conto di cosa invece i Savoia   hanno fatto con Juvarra, Guarini e i Castellamonte a Torino su invito della dinastia. Senza dimenticare il Museo Egizio e la Galleria Sabadua. Su Veneria Reale e la reggia non c’ è bisogno di dire nulla. Anche un fazioso non dovrebbe essere così incolto da non sapere. E al vero cretino che obietta anche su Superga come luogo di sepoltura del signor Savoia bisognerebbe ricordargli che la basilica venne edificata dal primo re sabaudo Vittorio Amedeo II.
Anche chi con più rispetto propone i funerali alla Consolata, non considera che la basilica è di piccole dimensioni e che è legatissima ai Savoia,  come dimostrano le statue delle due regine e il fatto che il principe Umberto andasse a pregare proprio alla Consolata. La chiesa che non osano proporre è il Santo velo che forse non viene più neppure usata  per i fini per cui era costruita. Assumete tutti un po’ di lexotan e  prendete atto almeno fino a sabato che Torino e’ inscindibile dai Savoia almeno fino  al 1946.  L’uomo di sinistra Umberto Levra avrebbe voluto Vittorio Emanuele a Palazzo Carignano  nel 2020 per il bicentenario del suo avo padre della Patria su mia proposta. Anche Aldo Cazzullo ha riconosciuto che ai Savoia si deve il Risorgimento. Non fu cosa da poco: implicitamente nella loro critica radicale lo riconobbero anche Gramsci e Gobetti. La mia famiglia e la mia cultura storica mi indicano il rispetto. Se i miei avi o anche solo mio nonno e mio padre, leggessero cose diverse da quelle che scrivo si rivolterebbero nella tomba. Il vecchio Piemonte era sabaudo.

L’elefante Fritz torna alla Palazzina di Caccia di Stupinigi e si mette in mostra

 Tra incontri, laboratori, spettacoli

 

 

Dopo l’esposizione, in piazza Castello a Torino, dell’elefante Fritz per la riapertura del Museo Regionale di Scienze Naturali, il pachiderma in vetroresina torna a “casa” alla Palazzina di Caccia di Stupinigi. Da lunedì 12 febbraio e fino al 14 aprile l’accesso al Giardino di Levante sarà aperto al pubblico per permettere ai visitatori di vedere Fritz nel Cortile dell’Elefante, nel luogo in cui ha vissuto dal 1827 al 1852.

Per l’occasione, domenica 25 febbraio, nel Salone d’Onore, sarà messa in scena la pièce teatrale “L’amico Fritz, lo zoo di Stupinigi” che ripercorre la storia dell’elefante e del serraglio degli animali esotici. Lo spettacolo è in programma alle ore 11, 15.30 e 17. Domenica 3 marzo l’incontro “La Menagerie di Stupinigi: lo zoo prima dello zoo” racconta la storia della menagerie e dell’allevamento di animali esotici per gli svaghi di corte. Domenica 7 aprile si parte invece alla scoperta dei piccoli animali con “Il micromondo di Stupinigi” per conoscere l’attenzione che veniva riservata a tutta la fauna, anche agli animali meno “appariscenti”, dagli affreschi ai capolavori di ebanisteria.

 

LA STORIA DELL’ELEFANTE FRITZ ALLA CORTE DEL RE

Un po’ reggia e un po’ residenza di loisir alle porte di Torino, realizzata da Filippo Juvarra tra il 1729 e il 1733, la Palazzina di Caccia di Stupinigi è stata prima residenza sabauda per la caccia e le feste, poi, finita l’epoca delle grandi cacce, ha ospitato dal 1815 circa una “Ménagerie” destinata alla cura di una gran varietà di animali esotici, molti dei quali mai visti prima a Torino. Una sorta di giardino zoologico ante-litteram in cui trovò posto anche Fritz, l’elefante indiano regalo del viceré d’Egitto Mohamed Alì al re Carlo Felice nel 1827, la cui storia a corte è ricca di aneddoti.

Per accoglierlo nell’ex scuderia fu ricavato uno spazio interamente recintato e dotato di un cortile con una vasca di forma circolare munita di scivolo per facilitare l’accesso nell’acqua del pachiderma. Fin da subito fu oggetto di grande interesse: fu ritratto dal vivo dalla pittrice Sofia Giordano e da Enrico Gonin nel 1835, attorniato da una folla di curiosi durante una parata, ed immortalato in un dagherrotipo, unico in Italia con un soggetto animale. La presenza dell’elefante rappresentò un’occasione importante per mostrare alle potenze straniere l’importanza raggiunta dallo stato sabaudo e, inoltre, richiamò a Torino l’attenzione del mondo accademico. Casimiro Roddi, chef della Ménagerie, Franco Andrea Bonelli, Giuseppe Genè e Filippo de Filippi, che si avvicendarono alla direzione del Museo Zoologico torinese, registrarono con cura notizie e informazioni sui suoi comportamenti, la sua alimentazione (spesso inadeguata) e le cure mediche. Questo il necessario: “24 cavoli, vino 2 pinte al giorno, 50 pani al giorno, zucchero, riso, burro per ungerlo, tabacco da fumare e fumo di persona fumante”. Amava la musica e il suono del corno da caccia, oltre al canto del suo custode. Fritz fu l’attrazione e la star della Palazzina per ben 25 anni, fino alla tragica fine: dopo la morte del suo guardiano storico, Fritz afferrò con la proboscide il nuovo custode e lo scagliò a terra uccidendolo. Nel 1852 si decise così di sopprimerlo e oggi l’elefante tassidermizzato è custodito nel Museo Regionale di Scienze Naturali.

Nel 2015, in occasione della mostra “Fritz. Un elefante a corte”, realizzata dal Museo di Scienze Naturali di Torino e dalla Fondazione Ordine Mauriziano, è stata realizzata dalle Scuole Tecniche San Carlo una copia in vetroresina del pachiderma, tuttora custodita alla Palazzina di Caccia di Stupinigi.

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Biglietto di ingresso: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

Info e prenotazioni: 011 6200601 stupinigi@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

Museo Regionale Scienze Naturali verso le 50 mila prenotazioni dopo sole tre settimane

Dopo tre settimane dall’inaugurazione, avvenuta venerdì 12 di gennaio, il Museo Regionale di Scienze Naturali, aperto al pubblico dopo interventi resi necessari a seguito dell’incendio (agosto 2013) che ha danneggiato parte dell’edificio, ha totalizzato 45 mila prenotazioni. Di questi in 6.500 hanno già riservato i loro biglietti per i prossimi giorni.

È entusiasmante riscontrare ancora una volta il grande successo che sta registrando il Museo Regionale di Scienze Naturali – affermano il Presidente Alberto Cirio e l’assessore alla cultura della Regione Piemonte, Vittoria Poggio -. Averlo restituito alla cittadinanza era doveroso e l’affluenza record conferma come fosse necessario farlo”.

Da oggi il Museo, che ha festeggiato la riapertura omaggiando l’ingresso (su prenotazione) per i primi 20 giorni, sarà visitabile con un biglietto di 5 euro.

Numeri importanti anche per gli accessi alle piattaforme online. A visitare il sito e i canali social sono stati in oltre 400 mila. Anche il totem con l’avatar di sir Alfred Wallace, in grado di parlare con i visitatori grazie all’uso dell’intelligenza artificiale generativa, novità assoluta del Museo 2024, ha totalizzato ben 10 mila interazioni. Dal MRSN hanno verificato che le domande più frequenti a lui poste sono state “cos’è la linea di Wallace?” (una linea immaginaria che separa dal punto di vista biologico, la regione asiatica da quella relativa all’Oceania) e “qual è il suo rapporto con Darwin?” (avevano idee molto diverse, talvolta opposte).

“Credo che la risposta del pubblico a questi primi giorni di riapertura sia straordinaria e vada al di là di ogni più rosea previsione – dichiara Marco Fino, Direttore del Museo Regionale di Scienze Naturali –. Vedere le sale piene e vissute, come questi giorni, è qualcosa di realmente appagante che ripaga tutti noi dello sforzo affrontato negli ultimi mesi. Ci riempie di orgoglio toccare con mano l’amore che i visitatori, torinesi e non, hanno per questo Museo. Vedere i bambini emozionarsi e sognare ad occhi aperti davanti alle immagini della barriera corallina è meraviglioso. Lo è anche osservare le persone ammirare le collezioni con gli occhi di chi aspettava questo momento da anni. Questo, oltre a renderci molto contenti, ci motiva ulteriormente a continuare con impegno sulla strada intrapresa.

 

Stanno, inoltre, proseguendo le visite didattiche al Museo organizzate con le scuole contattate e invitate dalla Regione.

 

Informazioni:

Via Accademia Albertina, 15 Torino (TO) – https://mrsntorino.it/

Fiabe e filastrocche di animali: passeggiata alla scoperta della Palazzina di Caccia di Stupinigi  

Domenica 4 febbraio, ore 15.45

Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela

 

 

In occasione dell’esposizione, in piazza Castello a Torino, dell’elefante Fritz per la riapertura del Museo Regionale di Scienze Naturali, la Palazzina di Caccia di Stupinigi, orfana del suo elefante, organizza una visita guidata su fiabe e filastrocche di animali.

Come nella favola dei musicanti di Brema, “Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela” è un percorso tra gli animali legati al vissuto e alle decorazioni della Palazzina. Il cervo, l’elefante e la scimmietta sono i primi tre animali ad accogliere i visitatori in questo strano viaggio nella storia e nella natura. Filastrocche, curiosità e favole che hanno per protagonisti gli animali creano un filo conduttore per un percorso di visita che si trasforma in un gioco per conoscere la vita ed il tempo in cui la palazzina è stata abitata.

 

INFO

Palazzina di Caccia di Stupinigi

Piazza Principe Amedeo 7, Stupinigi – Nichelino (TO)

Domenica 4 febbraio 2024, ore 15.45

Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela

Prezzo visita guidata: 5 euro + il prezzo del biglietto di ingresso

Biglietti: intero 12 euro; ridotto 8 euro

Gratuito: minori di 6 anni e possessori di Abbonamento Musei Torino Piemonte e Royal Card

Prenotazione obbligatoria per la visita guidata entro il venerdì precedente

Info e prenotazioni: 011 6200601 stupinigi@biglietteria.ordinemauriziano.it

www.ordinemauriziano.it

Giorni e orari di apertura Palazzina di Caccia di Stupinigi: da martedì a venerdì 10-17,30 (ultimo ingresso ore 17); sabato, domenica e festivi 10-18,30 (ultimo ingresso ore 18).

È morto Vittorio Emanuele di Savoia, sarà sepolto a Superga. Funerali in Duomo

/

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La notizia della morte del principe Vittorio Emanuele di Savoia era attesa, ma certo ha suscitato in me una certa emozione condivisa anche da alcuni amici a cui l’ho comunicata. La sua figura resta controversa e storicamente marginale. Lasciò l’Italia nel 1946 quando aveva 9 anni ed è sempre vissuto in esilio anche dopo la soppressione della XIII norma transitoria della Costituzione.  Non ebbe in Svizzera l’educazione necessaria ad un principe ereditario e preferì vivere come un borghese libero da obblighi formali. Il suo matrimonio fu un matrimonio d’amore contro i desideri del Re Umberto che alla fine si arrese alla volontà del figlio che solo dopo la morte del padre si sentì investito come discendente di una delle più antiche dinastie d’Europa. Due fatti vanno precisati a caldo: l’assoluzione in Francia per l’imputazione clamorosa di aver ucciso un turista tedesco in Corsica che sta di nuovo dominando i tg: la stupida dichiarazione di sedicenti senatori del regno (quale?) che affermarono che la discendenza doveva passare agli Aosta si è rivelata giuridicamente infondata in modo incontrovertibile.

Un oscuro professore di Cuneo non poteva decidere la discendenza di Casa Savoia e questo fatto appare assodato senza ambiguità. Conobbi il principe quando avevo diciassette anni: se debbo essere sincero, non ne ebbi una buona impressione. Freddo e impacciato, si vedeva che non aveva avuto quella formazione adeguata al suo rango a causa dell’esilio.  Il principe mi inviò dopo poco tempo una sua bella fotografia con dedica che ho conservato. Con una dedica scritta con inchiostro bianco.  Lo rividi di sfuggita ad Altacomba ai funerali di Umberto II a cui partecipai insieme agli amici magistrati Guido Barbaro e Attilio Rossi nel 1983.  L’ho rivisto prima del Covid ad Altacomba con l’amica Alessandra Belotti. Mi aveva insignito in precedenza di una onorificenza mauriziana. Fu molto gentile con me e mi disse che avrebbe desiderato venire a sentire una mia lezione. Non fu possibile. Nel 2020 lo avrei voluto invitare a palazzo Carignano per ricordare il suo avo, il Re Galantuomo nato in quello storico edificio duecento anni prima. Il Covid lo impedì. Mi rammarico di non averlo conosciuto più a fondo perché sicuramente dopo la morte di Re Umberto nel 1983 il principe, senza farsi illusioni, aveva preso piena consapevolezza del ruolo a lui affidato dalla storia della sua famiglia. Il modo in cui venne trattato in Italia con arresto e accuse infamanti che si rivelarono false, e’ una pagina da dimenticare.

 

Su sua richiesta Vittorio Emanuele sarà sepolto nella basilica di Superga. I funerali si svolgeranno sabato 10 febbraio in Duomo.

La magia delle bambole Lenci

Una passione torinese che si trasformo’ in successo internazionale

Il 23 aprile 1919 nacque a Torino la Lenci ,  “Ludus est nobis constanter industria” (il gioco è per noi costante lavoro), l’azienda delle famose e iconiche bambole conosciute in tutto il mondo che produceva anche altri giocattoli, mobili in legno, articoli per la casa e accessori per l’ abbigliamento.

Lenci non era solo l’acrostico del motto che i coniugi Enrico Scavini ed Elena Konig, donna colta e raffinata di origine austriaca, avevano creato per celebrare la loro attivita’ , ma anche il soprannome della signora che aveva cominciato la sua esperienza ludico-professionale in via Marco Polo 5 insieme al fratello che aveva deciso di aiutarla a creare le magnifiche creazioni che piacevano tanto ai Savoia.

Il marchio composto dall’immagine di una trottola, un filo e lo slogan che fa da cornice fu depositato nel 1922 e diede inizio ad una avventura che, oltre alla produzione e commercializzazione delle bambole, si configurera’ come punto di riferimento per la moda di quegli anni e sara’ motivo di ispirazione di artisti e sorgente di idee e creativita’.

Le Lenci non raffiguravano solo bambini, spesso dalla faccina imbronciata, ma anche silhouette con vestiti etnici e personaggi famosi come Marlene Dietrich e Rodolfo Valentino; raggiunsero presto un grande successo che le porto’ ad esposizioni molto importanti come quella di Parigi, Roma e Zurigo. Nel 1926 fu stampato il catalogo dell’azienda completo di tutti i prodotti che fu ampliato, a sua volta, nel 1927 con l’inserimento delle ceramiche. L’introduzione di nuove oggetti, oltre a rappresentare l’evoluzione della azienda, fu anche un ulteriore sforzo per combattere i diversi tentativi di concorrenza che misero l’azienda in crisi diverse volte. Dal 1928 la Lenci e’ nel momento di massima di espansione, ma questo non evitera’ difficolta’ economiche, dovute agli alti costi di gestione, che richiederanno la compartecipazione di un socio, Pilade Garella, che ne diventera’ proprietario unico nel 1937. Elena Koning rimarra’ come direttore creativo e si occupera’ di assicurarne lo stile e la linea fino alla morte del marito, momento in cui decise di lasciare l’azienda. Nel 1997 la Lenci venne venduta all’azienda Bambole Italiane che, purtroppo, e’ fallira’ nel 2002.

Ancora oggi si utilizza il panno lenci una stoffa non tessuta che viene usata per fare vestiti, ma anche accessori e collane grazie alla sua facilita’ di utilizzo e che rimanda alle famose bambole che erano foderate con un’ ulteriore strato di mussola, per renderle lavabili, e ricoperte di polvere vellutina.

L’avvento della celluloide rese le bambole di pezza obsolete e la produzione si concluse, ma ancora oggi le Lenci possono essere trovate nei mercati e nei negozi di antiquariato oltre che su diversi siti internet di commercio e di collezionisti.

Il loro successo fu talmente importante che vennero esposte nei musei di tutto il mondo tra cui New York e Tokyo, questa fama fu il frutto di una passione, trasformatasi poi in lavoro, che segno’ un periodo magico per Torino che ancora una volta si conferma luogo di fertile di estro e genialita’.

MARIA LA BARBERA

Gli appuntamenti della Fondazione Torino Musei

AGENDA APPUNTAMENTI FONDAZIONE TORINO MUSEI
2 – 8 febbraio 2024

 

 

LUNEDI 5 FEBBRAIO

 

Lunedì 5 febbraio ore 17

TORINO CITTÀ LIBERTY? DIONISIACO E APOLLINEO, DALLE PREMESSE BAROCCHE AGLI ESITI LIBERTY

Palazzo Madama – conferenza con Carlo Ostorero

Seconda conferenza del ciclo che approfondisce alcuni dei temi presentati nella mostra Liberty. Torino Capitale, in corso a Palazzo Madama fino al 10 giugno 2024. Al centro della riflessione Torino e l’Europa, attraverso lo specchio dell’architettura, dell’urbanistica e delle arti figurative.

Le conferenze sono a cura di SIAT – Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino.

L’ascesa e il declino della temperie Liberty nella città di Torino, e da qui in tutta Italia, si manifesta in poco più di un trentennio dal 1890 ai primi anni Venti del Novecento. L’eredità barocca della forma urbis e delle più svariate manifestazioni architettoniche e artistiche si riverberano nella straordinaria adesione che la città tributa all’arte nuova. La perdita di fede nell’immortalità dell’arte, la maledizione futurista e il disastro epocale della Grande Guerra determinano la fine della “Bella Epoca”, ma lo spirito che la animò rimarrà, sotto traccia, per risorgere nuovamente.

 

Carlo Luigi Ostorero

Ingegnere, Dottore di Ricerca in Architettura, svolge attività di docente e ricercatore al Politecnico di Torino. Ha svolto esperienze di lavoro, di ricerca e di formazione in Danimarca, Portogallo, Montenegro, Svizzera e Paesi Bassi. Dall’anno 2000 presiede lo Studio Dedalo Architettura in Torino che ha prodotto insieme a colleghi nelle varie specializzazioni dell’architettura, dell’urbanistica e degli impianti numerose opere su committenza pubblica e privata, insigniti di premi internazionali, a titolo personale e collettivo, per il design, per l’architettura e per il restauro. Sull’argomento Liberty ha scritto con i colleghi Beatrice Coda Negozio e Roberto Fraternali una guida sul Liberty a Torino e con il fotografo Roberto Cortese un volume monografico sul Cimitero Monumentale di Torino. Condivide con altri autori l’edizione per la Società di Ingegneri e Architetti di una guida a tutti i periodi di espressione architettonica presenti nella capitale sabauda. Attualmente è il direttore del NLML – New Living Model Lab da lui fondato presso il Politecnico di Torino per lo sviluppo di nuove forme abitative adatte ad affrontare le sfide che i cambiamenti climatici e la crisi sociale ed economica ci impongono.

 

Prossimi appuntamenti

 

Lunedì 25 marzo 2024 ore 17Eredità del liberty torinese con Roberto Fraternali

Lunedì 29 aprile 2024 ore 17: Architettura e opera d’arte totale: dall’impaginato di facciata al dettaglio costruttivo con Beatrice Coda Negozio

Lunedì 20 maggio 2024 ore 17: Un salotto Liberty a Torino. Annibale Rigotti e Maria Calvi in via Oropa con Chiara Rigotti e Marco Corona

Ingresso libero fino a esaurimento posti

Prenotazione consigliata: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 9.30-13; 14-16)

madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

MERCOLEDI 7 FEBBRAIO

 

Mercoledì 7 febbraio ore 14

PALAZZO MADAMA È EUROPA

7 febbraio – 2 aprile 2024

ore 11 visita in mostra per la stampa

Palazzo Madama – nuove illustrazioni in Corte Medievale

Con i suoi duemila anni di storia, Palazzo Madama incarna significativamente la storia e l’identità europee: nel I secolo porta decumana di Augusta Taurinorum; dal XIII secolo castello medioevale e poi residenza rinascimentale; nel Settecento capolavoro del barocco e nell’Ottocento sede del Senato che decreta l’Italia unita dopo aver svolto lo Statuto Albertino, la carta costituzionale nata dal ciclo rivoluzionario e dai moti europei del 1848, spesso definiti ‘la primavera dei popoli’ in Europa. Promulgato da Carlo Alberto di Savoia Carignano il 3 marzo 1848, con l’Unità d’Italia del 17 marzo 1861 lo Statuto divenne la carta fondamentale del Regno fino all’entrata in vigore della nostra Costituzione repubblicana, che ancora trova in esso fondamenti.

Dopo la commissione da parte del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale – in occasione della Giornata dell’Europa del 9 maggio 2023 e a integrazione di quanto compiuto da Palazzo Madama nel maggio 2022 per la riunione del Consiglio d’Europa nelle sue sale – delle illustrazioni relative a quella che allora era solo l’utopia di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi – è il Manifesto di Ventotene del 1941 – e all’immagine che rievoca la nascita della Comunità Economica Europea con i Trattati di Roma del 25 marzo 1957, due tra i più significativi documenti compiuti dall’Italia per il farsi della comune storia europea, che hanno integrato il progetto Europa. L’illustrazione italiana racconta l’Europa dei popoli e l’hanno accompagnato in 43 paesi del mondo di cinque continenti, Palazzo Madama ha dunque scelto di completare questo intervento proprio con un’illustrazione dedicata allo Statuto Albertino, realizzata da Marta Signori, che ha preso significativamente spunto dalla chiosa del Proclama che annuncia lo Statuto, con le parole di Carlo Alberto.

Un abbrivio della nostra storia moderna che vede infine nuovamente protagonista Palazzo Madama con un nuovo documento essenziale per il farsi d’Europa: il 18 ottobre 1961 ospitando i firmatari della Carta Sociale Europea, il trattato del Consiglio d’Europa che protegge i diritti di ogni individuo nella sua vita quotidiana. Sono il diritto all’abitazione, alla protezione della salute, all’istruzione, al lavoro, alla tutela giuridica e sociale, alla libera circolazione delle persone e alla non discriminazione. Sono i diritti generati dai valori fondanti i popoli europei – la Libertà, il Rispetto della dignità umana, l’Uguaglianza, la Democrazia, la Scienza e il Rispetto dei diritti umani – cui si affiancano i valori primari dell’Unione Europea: la Fraternità, il Lavoro, la Cultura, la Pace, l’Ambiente, lo Stato di diritto e l’Inclusione. Le illustrazioni compiute nel 2022 da Lucio Schiavon, Ale Giorgini, Emiliano Ponzi, Bianca Bagnarelli, Marina Marcolin, Francesco Poroli, Giulia Conoscenti e che ora si completano con l’opera dedicata da Andrea Mongia alla Carta Sociale Europea. Un insieme di immagini che, nell’evocazione creativa dei grandi illustratori, sono capaci di raccontare un’Europa fatta di una comunità di nazioni che si riconoscono nella pacifica convivenza di una molteplicità di linguaggi, sensibilità e valori in costante dialogo tra loro.

www.palazzomadamatorino.it

 

Mercoledì 7 febbraio ore 18

NARCISI E GIACINTI

Palazzo Madama – conferenza botanica a cura di Edoardo Santoro

La mitologia greca ci racconta di Narciso e Giacinto, giovani e belli, ma come erano i fiori spontanei da cui i greci hanno preso ispirazione? I bulbi in primavera attirano da sempre l’attenzione e in particolare narcisi e giacinti sono quelli coi fiori più grandi e profumati. In ogni zona d’Europa c’è un giacinto selvatico differente e così vale per i narcisi gialli e bianchi, citati in molte opere e poesie, ma occorre attendere la super-potenza olandese per l’introduzione di bulbi più colorati e profumati, nati per il mercato del fiore reciso e oggi in commercio in tutti i mercati per gli amanti del giardinaggio.

La conferenza fa parte del ciclo Le piante nella storia del giardinovolto a svelare aspetti storici, botanici e ornamentali di piante che nei secoli hanno avuto un ruolo fondamentale in giardini, parchi e orti botanici.

Ultimo appuntamento

 

Mercoledì 6 marzo 2024 ore 18: Gerani e pelargoni

Costo: €15

Prenotazione obbligatoria.

Info e prenotazioni: t. 011.4429629 (dal lun. al ven. 09.30 – 13.00; 14.00 – 16.00) oppure scrivere a madamadidattica@fondazionetorinomusei.it

 


Theatrum Sabaudiae
 propone visite guidate in museo
alle collezioni e alle mostre di Palazzo Madama, GAM e MAO.
Per informazioni e prenotazioni: 011.52.11.788 – prenotazioniftm@arteintorino.com

https://www.arteintorino.com/visite-guidate/gam.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/mao.html
https://www.arteintorino.com/visite-guidate/palazzo-madama.html

Un pittore torinese contro il Sultano, una mostra in Duomo

Si infila a sorpresa in mezzo alla battaglia con un autoritratto e dipinge la liberazione di Belgrado dall’assedio degli Ottomani nel 1456 quando le bandiere della Mezzaluna minacciavano il mondo cristiano. L’artista torinese del Settecento Pietro Domenico Olivero (1679-1755) appare sul lato destro del quadro, con un manto rosso, la spada in mano e ai suoi piedi il suo amato cane, quasi coperto e protetto da Fra Giovanni da Capestrano, il vero protagonista dell’opera, un coraggioso frate francescano che con il vessillo crociato e il crocifisso in mano uscì dalla fortezza assediata e lanciò i cristiani contro i turchi che circondavano la città mettendo in fuga l’armata del sultano Maometto II che tre anni prima aveva conquistato Costantinopoli. Il religioso ebbe un ruolo importante nella battaglia, incoraggiò soldati e cittadini di Belgrado con le sue preghiere impegnandosi per la libertà dei cristiani.
Con le sue parole infuocate affascinò una folla enorme di giovani, studenti, contadini, borghesi, religiosi, poveri, eremiti e mendicanti diventando l’anima della lotta. La battaglia di Belgrado del 1456 fu vinta da una coalizione serbo-ungherese contro gli Ottomani e ritardò di 70 anni l’invasione turca dei Balcani. Le campane delle chiese suonarono a festa per interi giorni e la notizia della vittoria esaltò l’Europa cristiana. Nato a Capestrano, paesino presso l’Aquila, il francescano Giovanni è stato proclamato santo dalla Chiesa nel 1690. Oggi il frate abruzzese è il patrono dei cappellani militari di tutto il mondo. “Giovanni da Capestrano alla liberazione di Belgrado” è una delle sei opere di Olivero, recentemente restaurate, provenienti dalla Chiesa di San Tommaso ed esposte in via eccezionale in Duomo per pochi giorni, fino all’11 febbraio, negli orari d’apertura della cattedrale, in attesa di trovare una sede adeguata. Si tratta di sei dipinti a olio su tela con le storie di Santi Francescani commissionati nel 1731 a Olivero dai Frati Minori per l’antica chiesa di San Tommaso. Le tele era ridotte assai male, annerite e poco comprensibili, il delicato intervento di restauro le ha riportate all’originario splendore. Oltre alla liberazione di Belgrado, nella navata laterale destra del Duomo si ammirano altre cinque opere di Olivero, l’estasi di San Francesco d’Assisi, Francesco che muta l’acqua in vino, San Salvatore da Horta risana gli infermi, il miracolo della mula di Sant’Antonio da Padova e Sant’Antonio che predica ai pesci. Il restauro è stato fortemente voluto da don Carlo Franco, ex parroco del Duomo, musicista e direttore del Museo diocesano, scomparso un anno fa e proprio a lui è dedicata la mostra. Pittore dei Savoia, Pietro Domenico Olivero nacque e morì a Torino, subì l’influsso dei pittori olandesi e fiamminghi attivi in città alla fine del Seicento. È ritenuto tra i principali autori italiani della pittura bambocciante, scuola pittorica cresciuta a Roma nel XVII secolo.
                                                                      Filippo Re
nelle foto:
“San Francesco muta l’acqua in vino” opera di Pietro Olivero
“San Giovanni da Capestrano alla liberazione di Belgrado” opera di Pietro Domenico Olivero

 Gallerie d’Italia, si apre la mostra “Non ha l’età. Il Festival di Sanremo in bianco e nero 1951-1976”

È aperta al pubblico dal primo febbraio al 12 maggio 2024, alle Gallerie d’Italia, a Torino, la mostra “Non ha l’età. Il Festival di Sanremo in bianco e nero 1951-1976”, a cura di Aldo Grasso e promossa da Intesa Sanpaolo
L’esposizione, che si avvale del patrocinio della Regione Piemonte e della Città di Torino, presenta 85
fotografie provenienti dall’Archivio Publifoto Intesa San Paolo sul Festival di Sanremo, la più celebre
manifestazione sulla canzone italiana, che rappresenta un capitolo decisivo non soltanto della storia della
della musica e della televisione, ma anche della storia sociale d’Italia. Le fotografie in mostra si soffermano
solo in pochi casi sulle esibizioni degli artisti sul palco, ma conferiscono un grande rilievo ai fuori scena, ai
cantanti durante le prove, alle passerelle degli artisti in giro per la città, agli autografi, al pubblico, agli artisti
ritratti in situazioni curiose, alla sala trucco, all’orchestra e alla sala stampa. Grazie alla media partnership
con la Rai, l’esposizione è arricchita da contributi video-sonori in collaborazione con Rai Teche.
La più celebre manifestazione della canzone italiana nasce nel 1951, organizzata dalla RAI di Torino, in tre
serate, e trasmessa radiofonicamente in presa diretta dal Salone delle Feste del Casinò di Sanremo.
Le prime edizioni furono trasmesse soltanto alla radio, ma dopo il successo crescente, la televisione decise
di appropriarsene. I fotoreporter dell’agenzia Publifoto intuirono l’importanza della manifestazione e, negli
anni in cui l’evento fu ospitato al Casinò di Sanremo, realizzarono circa 15 mila fotografie del Festival, ora
esposte alle Gallerie d’Italia. Nel 1955 la manifestazione comincia ad acquisire una certa popolarità e la
televisione decide di trasmetterla in diretta.
“Il Festival di Sanremo – spiega il critico e curatore della mostra Aldo Grasso – nasceva agli albori come
promozione turistica, sulla copia del Festival del Cinema di Venezia. Infatti le famiglie della buona borghesia
torinese erano solite andare a ‘svernare’ a Sanremo. Amilcare Rambaldi, partigiano e consulente del
Comune di Sanremo, voleva una manifestazione canora per sfruttare ancora di più le potenzialità turistiche
della città. Erano gli anni delle grandi trasformazioni radiofoniche in cui noti presentatori, come Nunzio
Filogamo, si cimentavano nei radiodrammi. La preparazione del Festival di Sanremo avvenne a Torino. Le
prime polemiche che scoppiarono furono relative allo scontro tra i melodici, gli amanti del belcanto, e i
cosiddetti ‘urlatori’. Polemica che negli anni proseguì su più fronti, compreso quello della direzione artistica
da impartire al Festival, chiedendosi se fosse meglio favorire la canzone pop o quella impegnata, in un’epoca
come quella del dopoguerra in cui tutti gli italiani cercavano di ritrovare la gioia del vivere anche attraverso
queste manifestazioni. Il titolo della mostra, “Non ha l’età”, si riferisce alla canzone di Gigliola Cinquetti, del
1964, con la quale vinse il Festival di Sanremo. L’immagine simbolica della mostra è iconica e rappresenta un
giovane Adriano Celentano, intento a cantare dando le spalle al pubblico, un modo di stare sul palcoscenico
oggi totalmente accettato ma che, a quel tempo, diede scandalo. Nel 1955, anno in cui vi fu la prima
trasmissione televisiva del Festival, la presentatrice fu Maria Teresa Ruta, zia dell’attuale, e forse più nota,
Maria Teresa Ruta. L’esposizione ripercorre anche gli anni successivi al 1968, quando fu organizzato un
controfestival da parte di Franca Rame e Dario Fo. Nei primi anni Settanta, durante il periodo dell’austerity,
la RAI si disamora del Festival di Sanremo e, nell’annata in cui i programmi RAI si concludevano alle 22:30,
non fu possibile conoscere neanche il vincitore del Festival. La televisione si appropriò della manifestazione
canora quando questa venne trasferita dal Casinò al teatro Ariston, a parte l’anno in cui si tenne, con scarso
successo, al Palafiori. Con lla presentazione da parte di Pippo Baudo, il Festival si trasformò in una
manifestazione dalle caratteristiche più televisive che non canore, pur tenendo al centro la canzone”.
“Ciò che apprezzo oggi maggiormente di Sanremo è il fatto che abbia riaperto le porte ai giovani musicisti –
precisa Aldo Grasso – invitando per esempio sul palco i vari vincitori dei ‘Talent’. I giovani, oggi, sono ancora
attenti al Festival, anche se la loro percezione dell’evento è diversa da quella degli adulti, proprio perché è
differente l’uso che fanno della televisione, mediata ormai attraverso i social”.
Ne nasce un album di fotografie spesso curiose, inconsuete, che ritraggono gli artisti lontano dai riflettori,
nei momenti di vita che accompagnano le frenetiche giornate del Festival, con una ingenuità e
immediatezza che ce li fanno sentire piuttosto familiari.
Sono fotografie che testimoniano di un’Italia che ha fretta di dimenticare la guerra e la povertà, che vuole
affidare alle canzoni una ritrovata serenità, come nel caso della canzone “Vola colomba”, che esprime un
desiderio di rivalsa circa la questione triestina o giuliana.
La colonna sonora dell’esercito di liberazione americano era stato il boogie-woogie, una musica piena di
energia, ma sconosciuta in Italia. Bisognava trovarne una italiana, legata alla tradizione melodica e al
belcanto.
La mostra si inserisce nell’ambito delle iniziative di valorizzazione dell’Archivio Publifoto, costituito da oltre 7
milioni di fotografie dell’agenzia fondata da Vincenzo Carrese nel 1937, che risulta la più importante agenzia
fotogiornalistica privata nata in Italia negli anni Trenta. L’Archivio è stato acquistato da Intesa Sanpaolo nel
2015 con un’operazione che ne ha evitato la dispersione, ed è curato e gestito dall’Archivio Storico Intesa
Sanpaolo presso le Gallerie d’Italia di Torino. In occasione della mostra, l’Archivio ha completamente
restaurato, digitalizzato e catalogato le oltre 15.000 fotografie dei servizi realizzati al Festival dall’agenzia
Publifoto, e ora consultabile online sul sito dell’Archivio Storico dell’Intesa Sanpaolo.
Lungo il percorso espositivo i visitatori potranno rivivere l’atmosfera di un’antica sala stampa grazie agli
elementi di design provenienti da ADI Design Museum Compasso d’Oro di Milano. L’allestimento è
ulteriormente arricchito dalle copertine originali di vinili che richiamano varie edizioni di Sanremo, grazie al
prestito dell’Istituto Centrale per i Beni Sonori e Audiovisivi e da un Cinebox della Mival, grazie a un prestito
concesso da Faro Games.
La mostra presenta inoltre una serie di contenuti audio scaricabili attraverso l’app Gallerie d’Italia, con
approfondimenti dedicati all’iniziativa e all’Archivio Publifoto.
Info: Gallerie d’Italia, piazza San Carlo 156, Torino
Orari: martedì, giovedì, sabato e domenica 9:30/19:30 – mercoledì 9:30/22:30 – lunedì chiuso
Mara Martellotta