“Litteris servabitur orbis”. Questa frase latina ha una grande importanza. Tradotta in italiano significa “il mondo sarà salvato dalle lettere”
Durante le leggi razziali l’acronimo di questa frase, ovvero L.S.O., veniva usato dall’editore fiorentino ebreo Leone Samuele Olschki per poter stampare i suoi libri. Un modo intelligente per esprimere una grande verità e rimarcare il proprio diritto d’autore, evitando d’incorrere nella
repressione. Nell’autunno di ormai più di ottant’anni fa le leggi razziali fasciste, ancor prima della loro codificazione in decreto, allontanavano gli studenti di fede ebraica dalle scuole pubbliche italiane. “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”, scriveva nella prima metà dell’800 il poeta tedesco Heinrich Heine. Un monito tragicamente anticipatore di quei “roghi di libri” organizzati nel 1933 nella Germania nazista durante i quali vennero bruciati tutti i libri non corrispondenti all’ideologia del regime dalla croce uncinata. Quei roghi, pensati per distruggere “lo spirito non tedesco“, vennero organizzati dalla Deutsche Studentenschaft , l’associazione degli studenti tedeschi. Una follia
negazionista che venne salutata da Goebbels, il ministro della propaganda del Terzo Reich come un ottimo modo “per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato“. Quale fu la logica conseguenza nemmeno il monito di Heine poteva lontanamente immaginarlo e tutto il mondo scoprì l’orrore delle persecuzioni, delle deportazioni nei lager e dell’olocausto. Eppure sono in molti ad aver dimenticato la storia o a volerla minimizzare. “Chi nega la ragion delle cose, pubblica la sua ignoranza”, scriveva Leonardo da Vinci mezzo millennio fa. In un tempo dove si legge sempre meno, dove la cultura viene presentata come un peso e l’ignoranza si accompagna quasi sempre all’arroganza, c’è poco da stare allegri. Un antidoto ci sarebbe ed è racchiuso in quella frase piena di speranza: “il mondo sarà salvato dalle lettere”. A patto che non rimanga solo una frase.
Marco Travaglini

Era il 4 aprile 1947 quando il signor Giovanni Ravetti, 46 anni, residente a Torino in via Cibrario, si precipitò al commissariato di San Donato per avvisare gli agenti del fatto che sua moglie si trovasse in dolce compagnia in una camera d’albergo nei pressi di piazza Statuto. Gli agenti intervennero subito e sorpresero i due amanti nell’atto di compiere il reato di adulterio ma, a quel punto, la reazione del marito fu indubbiamente tra le più originali che siano mai avvenute. Sventolando minacciosamente il tradizionale foglio di carta bollata propose al rivale, un facoltoso macellaio di Torino, una curiosa alternativa: il signor Ravetti non li avrebbe denunciati per il reato di adulterio se il macellaio avesse versato la somma di 10 mila lire all’ospizio di carità di Pozzo Strada. L’amante accettò la proposta e firmò un assegno rendendosi un benefattore suo malgrado. [Gazzetta del Popolo]
Di Pier Franco Quaglieni
Torino Liberty
Eugène Grasset, nato a Losanna nel maggio 1845, dall’ebanista e scultore Joseph Grasset, frequenta inizialmente le scuole nella città natale. In seguito lavora presso la bottega del padre e prosegue gli studi di architettura al Politecnico di Zurigo. Dopo un periodo di viaggi che lo portano anche in Egitto, torna a Losanna, e si dedica alla scultura e alla pittura. Qualche anno dopo decide di trasferirsi a Parigi, dove affina la sua modalità artistica che unisce tecniche xilografiche e litografiche, preferendo una composizione più formale, colori sfumati, tenui e pallidi. Le sue opere aprono le porte a una moltitudine di artisti, tra i quali Alfons Mucha.
E’ addirittura il più antico museo del mondo dedicato totalmente alla cultura egizia, il secondo per importanza dopo quello del Cairo.
La riscrittura in tempi normali la tentò Renzi che aveva colto l’opportunità di alcuni cambiamenti, ma si rivelò un pessimo costituente, proponendo un testo pasticciato e confuso. Oggi non siamo
Era stata fissata per domenica 19 aprile ma naturalmente non si farà nulla. Sarà per la prossima volta…ma di Tonco si continuerà a parlare lo stesso, per sempre, non solo per la sua Giostra, ma perchè in paese abitava un personaggio molto importante, più famoso del pitu, che i tonchesi ben conoscono, ne vanno fieri e soprattutto non vogliono farselo portar via da certi storici. 