È partito il restauro della Chiesa di Traverses nel comune di Pragelato. Un lavoro che durerà circa due anni, almeno così dicono i progettisti, e che è destinato a diventare un punto di riferimento per eventuali restauri di altre chiese simili e presenti nell’alta Val Chisone.
Grazie ai finanziamenti provenienti dall’8×1000 della Chiesa Cattolica e da un fondo ottenuto attraverso un bando di UniCredit e destinato ad interventi su questo versante, i lavori possono decollare. Sarà una impresa edile locale, specializzata in questo settore, a fare questo delicato lavoro di restauro. Il progetto, molto articolato e complesso e condiviso con la Soprintendenza delle Belle Arti, può essere l’inizio per una serie di ristrutturazioni di altri edifici religiosi presenti nell’alta val Chisone e con una struttura architettonica abbastanza simile a quella di Traverses.
Anche solo a pronunciarlo, il nome Templari suscita particolari emozioni e soprattutto rievoca quell’antico mondo cavalleresco che cerchiamo in qualche modo di far rivivere, di riportare alla luce dalle tenebre della storia
Nato nel Castello dei Grisella e vissuto a metà fra il XIII e XIV secolo, Jacopo da Moncucco è stato l’ultimo Gran Maestro e precettore d’Italia dell’Ordine dei Templari, una delle più importanti associazioni monastico-cavalleresche del Medioevo, fondato nel 1118-19 da Ugo de Payns. “Sulla vita e sulle gesta di Jacopo non sappiamo quasi nulla, scrive l’autrice, e le poche notizie sono desunte dagli interrogatori dei Templari processati negli Stati della Chiesa, in Toscana e a Cipro e da qualche documento riguardante locazioni, permute e donazioni di terre e case”. Nel libro si parla della vita di Jacopo prima della soppressione del Tempio ordinata dal re di Francia Filippo IV il Bello e poi della fase successiva quando l’ex templare, diventato chierico di una chiesetta piemontese, la pieve di San Cassiano di San Sebastiano Monferrato, entra in contatto con il mondo della campagna, impregnato a quel tempo di credenze magiche e di superstizioni. In realtà, nel castello di Moncucco nacquero due cavalieri templari: i fratelli Iacopo e Nicolao. Il secondo fu arrestato e processato nell’isola di Cipro mentre Iacopo divenne precettore di Santa Maria del Tempio di Bologna alla fine del Duecento e nel 1303 divenne precettore di Lombardia, Roma e Sardegna. Nel 1308 si perdono le sue tracce come Templare. Ricercato dagli inquisitori fu condannato in contumacia per non essersi presentato al processo ai templari nello Stato Pontificio. Dov’era Jacopo quando fu condannato? “Forse ritornò nel suo castello del basso Monferrato, spiega la Capone Ferrari. Gli storici dell’epoca sostengono che molti cavalieri appartenenti a famiglie prestigiose tornarono nelle loro dimore senza essere molestati. Se diamo per certa quest’ipotesi, Jacopo rimase nella sua Moncucco fino al 1316”.
di Marco Travaglini
Rossella Marceddu aveva 19 anni e viveva con i genitori e la sorella a Prarolo, piccolo comune a sud di Vercelli. Studiava per diventare assistente sociale e aveva appena trascorso alcuni giorni di vacanza con il padre e la sorella al Lido degli Estensi. Stava rientrando a casa per raggiungere il fidanzato. Inizialmente, con l’amica che l’accompagnava, avevano pensato di fare il viaggio in moto, poi scelsero il treno ritenendolo più sicuro. Quella mattina si trovavano sul marciapiede del quarto binario in attesa del treno diretto a Milano. L’aria era afosa e così decise di andare a prendere qualcosa da bere. La bomba scoppiò mentre la ragazza stava andando al bar e la uccise. L’amica rimasta sul quarto binario si salvò.
fare alcuni piccoli viaggi di rodaggio. Una serie di imprevisti costrinse Mirco a ritardare la partenza. E l’appuntamento con il destino lo colse quel maledetto sabato di agosto alla stazione di Bologna. L’individuazione delle responsabilità della strage di Bologna rappresenta una delle vicende giudiziarie più complicate, lente e discusse della storia contemporanea del nostro Paese. Una vicenda che ha conosciuto tentativi di depistaggio e che, viceversa, nella ricerca della verità, ha visto l’impegno dell’associazione tra i familiari delle vittime della strage, costituitasi il 1° giugno dell’81. Dopo vari gradi di giudizio si giunse a una sentenza definitiva di Cassazione solo quindici anni dopo la strage, il 23 novembre 1995: vennero condannati all’ergastolo come esecutori dell’attentato i neofascisti dei NAR Giuseppe Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (che si sono sempre dichiarati innocenti, pur avendo apertamente rivendicato vari altri omicidi di quegli anni). Per i depistaggi delle indagini furono condannati l’ex capo della P2 Licio Gelli, l’ex agente del Sismi Francesco Pazienza e gli ufficiali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte. Il 9 giugno del 2000 la Corte d’Assise di Bologna emise nuove condanne per depistaggio e sette anni più tardi venne condannato a 30 anni per l’esecuzione della strage anche Luigi Ciavardini (minorenne all’epoca dei fatti). Altri due imputati — Massimiliano Fachini (anch’esso legato agli ambienti dell’estrema destra ed esperto di timer ed inneschi) e Sergio Picciafuoco (criminale comune, presente quel giorno alla stazione di Bologna, per sua stessa ammissione) — vennero condannati in primo grado, ma poi assolti in via definitiva, rispettivamente nel 1994 e nel 1996.
Procura generale del capoluogo emiliano ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex militante di Avanguardia nazionale Paolo Bellini, in quanto esecutore dell’attentato alla stazione mettendo in rilievo che avrebbe agito in concorso con Licio Gelli, con l’ex capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, con l’imprenditore e finanziere piduista Umberto Ortolani e col giornalista Mario Tedeschi, tutti morti nel frattempo e tutti coinvolti come possibili mandanti o finanziatori dell’eccidio. Si può arrivare finalmente a gettare luce sui mandanti? C’è davvero una svolta importante nell’inchiesta sulla strage? Questo si vedrà ed è augurabile che accada per dare finalmente dei volti e dei nomi a chi decise di colpire al cuore la nazione, stroncando la vita e i sogni di tanti innocenti e delle loro famiglie.

Tutti diffidano di questo uomo che sembra destinato a fallire sempre, tutti tranne una persona, il fratello minore Theo che lo spinge a proseguire nella sua missione artistica, convincendolo ad adattarsi a tornare nella canonica di Nuenen presso i genitori dove potrà dipingere senza pensieri.
E’ la vita nella sua drammatica povertà, nella sua bruttezza e nella sua deformità a posare nei dipinti di Van Gogh, l’uomo si trasforma in oggetto e diventa simile a quelle patate che ha coltivato e raccolto.Nel 1886 e, dopo una breve parentesi a Anversa, Van Gogh si trasferisce nell’appartamento del fratello Theo in rue Lepic, 54 a Parigi. La passione per le stampe giapponesi, i contatti e gli scambi culturali con Monet, Renoir, Degas, Pissarro, Seurat, Signac, Toulouse Lautrec da soli non sono sufficienti a giustificare il repentino cambiamento della sua pittura. L’evoluzione è immediata, lo stile si modifica, i colori si schiariscono e tramontano i toni scuri. E’ come se Van Gogh, in pochi mesi, avesse assorbito, letteralmente, la lezione di tutti i movimenti pittorici che dominano la scena parigina e li avesse rielaborati a modo suo, stravolti e, al tempo stesso, migliorati, andando oltre.
della sua vita, l’antidoto al desiderio di morte. Un anno prima aveva scritto al fratello Theo: “Se non avessi la tua amicizia sarei rispedito senza rimorsi al suicidio e per quanto io sia codardo, finirei per andarci”. A Auvers sur Oise, tuttavia, non c’è serenità, i cieli si scuriscono di nuovo, il blu squillante della Provenza diventa un blu cupo, nero che schiaccia tutto e che tutto domina. Scrive ancora Vincent: “Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la tristezza, l’estrema solitudine”.
La mattina di quel giorno, secondo gli studi condotti sulla sua opera da Louis van Tilborgh e Bert Maes e rivelati in una pubblicazione del 2012 dal Van Gogh Museum di Amsterdam, aveva abbozzato la sua ultima opera, il suo ultimo grido al mondo, il suo testamento: “Radici e tronchi d’albero”. 
Il successo e l’arrivo di un bambino con la creazione di un nucleo familiare proprio da parte del fratello se da un lato rappresentano per lui episodi felici, dall’altro portano, tuttavia, con sé un profondo carico di turbamento e paure ataviche: quella del peso insostenibile della fama il primo e quello della perdita di un’intimità con Theo il secondo. Era arrivato un altro Vincent a prendere il suo posto, come lui aveva fatto con il suo fratellino nato morto 37 anni prima e l’artista inizia a percepire dentro di sé, con dolore, il passaggio da fratello amato a peso gravoso.
L’esercizio continuo e quasi disperato dell’arte pittorica, tuttavia, non basta ad allontanare le crisi e i periodi sereni si fanno sempre più rari fino a scomparire del tutto il 6 luglio 1890 quando Vincent ritorna a Auvers profondamente turbato e convinto di essere solo un fardello per i suoi cari. Durante la sua visita a Parigi, Theo gli è apparso, infatti, nervoso e distante, prostrato dai primi segni della sifilide, dalla preoccupazione per la salute del figlio che soffre di frequenti e inspiegabili attacchi di pianto e per gli affari.
Antonin Artaud nel suo “Van Gogh. Il suicidato dalla società” scrive: “Van Gogh non abbellisce la vita. Ne fa un’altra”. Non abbellisce la realtà, ne fa un’altra, dipinge la realtà che i suoi occhi colgono, vedono, osservano. Sempre Artaud: “[…] dirò che Van Gogh è pittore perché ha ricomposto la natura, che egli ha come ritraspirato e sudato, fatto schizzare a fasci sulle sue tele, a sprazzi scrocchianti di colore, la secolare frantumazione di elementi, la spaventosa pressione elementare di apostrofi, di strie, di virgole e di sbarre di cui sono composti gli aspetti naturali…”.
Dopo 150 anni il paese di Mirabello si appresta a festeggiare questo suo illustre cittadino che con ingegno, umanità, tenacia e spiritualità ha lasciato un’eredità straordinaria in tutto il Mondo.
La lunga pausa forzata ha frenato alcune delle iniziative, che erano già state previste per il mese di marzo, ma non ha cancellato i buoni propositi di celebrare al meglio la ricorrenza dei 150 anni della nascita di don Pietro Ricaldone, e così Mirabello si appresta a riprendere il discorso bruscamente interrotto con l’insorgere della pandemia. Comune e Parrocchia – con il prezioso supporto del comitato organizzativo costituito allo scopo – non hanno voluto rinunciare a onorare il quarto successore di don Bosco, programmando un momento celebrativo semplice ma significativo. L’evento avrà ufficialmente inizio alle ore 16 di sabato 25 luglio, con l’inaugurazione della mostra dal titolo “Don Pietro Ricaldone e l’opera salesiana a Mirabello e nel Mondo” all’interno della chiesa di San Sebastiano (un tempo luogo di culto dello storico Collegio Salesiano fondato da don Bosco nel 1863). L’esposizione, che sarà visitabile anche il fine settimana seguenti, ripercorre la vita di don Pietro e non solo attraverso documenti storici, curiosità e proiezioni . Alle ore 21 di sabato presso la chiesa Parrocchiale di San Vincenzo sarà recitato un rosario a ricordo di tutti i salesiani monferrini. Particolarmente nutrito il programma di domenica 26 luglio. A partire dalle ore 15 è prevista l’accoglienza dei presenti con la distribuzione di materiale informativo e la possibilità di visitare i luoghi mirabellesi simbolo della salesianità: la casa natia di don Pietro Ricaldone, il monumento a lui dedicato in piazza San Michele, la chiesa di San Sebastiano, la chiesetta campestre della Madonna della Neve tanto cara a Don Bosco e la casa di un allievo di don Bosco. Alle ore 15,30 seguirà lo spettacolo di arte circense con Lello Clown di “Passi di Vita Onlus” e la sua valigia, quindi alle 16.15 è prevista la commemorazione ufficiale di don Pietro Ricaldone con gli interventi delle autorità civili e dei superiori salesiani presenti. Chiuderà alle ore 17 la celebrazione solenne presso la chiesa parrocchiale, presieduta dal vescovo emerito Luciano Pacomio.