STORIA- Pagina 129

Per scoprire il FAI appuntamento all’Unitre

“Manta e Masino. Ultimi restauri e scoperte” Venerdì 7 febbraio alle ore 15.30  Sede FAI di Torino, Via Giolitti 19

ALLA SCOPERTA DEL FAI

Proseguono gli appuntamenti dell’Unitre Torino per conoscere da vicino il FAI, i luoghi che tutela e il grande patrimonio italiano in termini di “meraviglie”. Il 7 febbraio alle ore 15.30 si parlerà di “Manta e Masino. Ultimi restauri e scoperte”. I due castelli, accomunati dal piacere della vita di Corte – rispettivamente nel secondo Quattrocento e a partire da Benedetto Maurizio Duca del Chiablese – sono stati recentemente oggetto di nuove interessanti scoperte e di restauri. L’incontro, che si svolgerà presso le sede FAI di Torino in Via Giolitti 19, sarà condotto da Silvia Cavallero e Carlotta Margarone del FAI. Per partecipare è necessaria la prenotazione presso la segreteria dell’Unitre Torino in Corso Trento 13.

Quelli del Pci: “Noi c’eravamo”

Nostalgia canaglia. Serata con i vecchi amici e compagni del PCI. Precisamente il Gotha dei dirigenti del partito di Torino anni ’60 e anni ’70. Il massimo del massimo. Stagione irripetibile. Direi quasi – almeno per il sottoscritto – mitica

Mille storie, mille rivoli confluenti in un solo fiume. Nostalgia che non diventa mai tristezza. Nostalgia mista a consapevolezza per ieri ma anche per l’ oggi. Oggi decisamente triste ed al di sotto delle speranze di ieri. Impossibile citare tutti nelle oltre 100 presenze.

Autoconvocati? Non proprio, cominciando da Gaspare Enrico segretario di Ivrea e a Torino braccio destro di Piero Fassino. Anna Apostolico moglie e compagna di una vita tra azienda della famiglia e passione politica. Con Rocco Imperiale operaio e funzionario di partito tra zona nord e fabbriche. Con il pallino dell’ organizzazione. Patron della serata Carlo Foppa che ha rivitalizzato un asfittico Circolo del Risorgimento. Quasi 77 anni e un’ altra scommessa politica vinta. Alfredo Schiavi 94 anni arrivato appositamente da Sanremo: indubbiamente ha fatto un accordo con il diavolo. Partigiano e tipografo. Lui non era un dirigente della stampa e propaganda. Lui era ed è la stampa e propaganda.

E Sante Baiardi anche lui 94 anni. Scuole di partito anni ’50 , assessore alla Sanità in Piemonte e riorganizzatore della Sanità. Enrico Cavalitto con la sua dolcissima moglie Silvia Gibellino. Enrico, il più giovane consigliere del Pci nel 1975 con Marcello Vindigni assessore, architetto, dalla Sicilia sua patria. Enrico con la sua casa Editrice Felix che vedendomi mi redarguisce: ti dai una mossa a scrivere il libro su tuo padre? Ha ragione da vendere e Rocco Larizza da allievo operaio Fiat a Parlamentare e Senatore della Repubblica. Scusate se è poco. E arriva Primo Greganti tra i più famosi dei presenti. Sicuramente il più invidiato dagli altri partiti della prima Repubblica. Invidiato per come si è comportato di fronte a Di Pietro. Angela Migliasso commossa che girava i tavoli. La nostra pasionaria è la mia preferita. Ha sempre detto ciò che pensava, coerente con quel che faceva.

Altro che non ha mai avuto peli sulla lingua è Giorgio Ardito. Dai cattolici del dissenso al comunismo libertario. Racconta sempre che per imparare leggeva ogni sera una parola del vocabolario. Irraggiungibile. Ed Emanuele Braghero orgoglioso dei suoi genitori con il padre operaio della Michelin. Sempre con la valigia in mano. Segretario della Fgci a Catania e segretario di Luciano Violante quando era Presidente della Camera . È arrivato appositamente da Firenze. Risiede ad Empoli ed è stato capo di gabinetto del Sindaco,  ora in Regione Toscana. Ammette che Matteo Renzi lo ha proprio deluso: se l’è proprio giocata male.

Poi  la Senatrice Magda Negri che la politica ce l’ha proprio nel sangue. Tanti e tanti altri presenti nella serata e nei nostri ricordi. Poi… poi il sottoscritto. Un piccolo primato con Manuele Braghero e Antonio Sucamiele: i più giovani della sala. Anche se un altro piccolo primato penso di avercelo.  Amo dire: mi sono iscritto alla Fgci nel 1956, quando ero nella pancia
di mia madre, sartina,  ex giovane comunista e moglie di Ferdinando, mio padre grande capo della commissione interna della Grandi Motori. Avevo poco da scegliere. Sacre le tradizioni di famiglia.

Sia ben chiaro che non tutto allora era perfetto. Si sono consumati tanti scontri verbali e quando il PCI è diventato Pds non era solo Achille Occhetto che piangeva. Era diventato un abito troppo stretto. Sentivo liberatorio questo nuovo percorso politico. Teneri gli ex compagni che diedero vita a Rifondazione, ma appunto teneri e basta. Ricordo Giorgio Gaber alla fine della canzone “Qualcuno era comunista” con l’allegoria del tentativo  di spiccare il volo, stupenda allegoria. Ma almeno ci tentammo. Non poca cosa. Alla fine “rubo” una bellissima frase di Lorenzo, amico e compagno di studi universitari di Sara, mia figlia. Siamo dei singoli che scegliamo di essere un Noi. Ottima sintesi.  Anche speranza per un futuro possibile. Noi che non abbiamo mai amato un uomo solo al comando. Noi contenti e felici di essere un Noi. Con la enne maiscola. Noi, protagonisti del nostro futuro.

 

Patrizio Tosetto

In difesa della libera ricerca storica alla vigilia del giorno del Ricordo

La caccia alle streghe, di qualsiasi colore, è  sempre incompatibile con la democrazia liberale

Di Pier Franco Quaglieni 
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Ascoltando Antonio  Scurati  che in modo serio ed accigliato stabilisce un confronto tra Mussolini e Salvini, si rimane stupiti degli elementi di somiglianza politica  tra i due  che lo scrittore – che non è uno storico – riesce a trovare
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In effetti ambedue si possono considerare a loro modo dei populisti, ma il confronto, ammesso che si possa fare, va a tutto vantaggio di Mussolini che fu un vero politico. Salvini rivela il fiato corto sia  tattico che strategico. I pieni poteri uno li chiese in Parlamento da presidente del Consiglio, l’altro bevendo un mohito a Milano Marittima. Questi confronti, se vengono considerati storicamente e  non sotto un profilo meramente politicante, finiscono di avvantaggiare Mussolini che seppe realmente perseguire un fine  politico e personale molto preciso che sfociò nella dittatura. Rappresentano quasi un’apologia del Duce di cui Scurati non si rende conto.
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Creare allarmismo perché Salvini sarebbe un potenziale dittatore è totalmente sbagliato. Salvini, sia pure con l’aiuto di qualche Sardina, si è dimostrato un avversario che è  possibile battere anche per le sue ingenuità che appaiono, a volte, forme di intollerabile  arroganza. La fobia del fascismo e’ incompatibile con una seria ricerca storica. Dai tempi di  Renzo De Felice in poi – al di là delle scomuniche di Nicola Tranfaglia – le vulgate non sono vera  storia, ma interpretazione politica della storia, se non  addirittura uso politico della medesima.
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Forse stiamo smarrendo per strada  questi ragionamenti a cui si era giunti faticosamente. Prima i governi Berlusconi con lo sdoganamento dei neo fascisti e adesso Salvini  hanno messo indietro l’orologio della ricerca storica. Uno storico come  Gian Enrico Rusconi, ad esempio, non ha  più spazio neppure sui giornali. E’ un segno allarmante del conformismo che si sta delineando all’orizzonte. In passato Claudio Pavone, pur sollevando polemiche, poté scrivere di  Resistenza come guerra civile. Forse oggi questi discorsi non si potrebbero più  fare. Eppure stiamo parlando di temi legati alla prima metà del secolo scorso e quindi ampiamente storicizzabili  ed anche già  storicizzati.
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Le cose che si potevano scrivere liberamente in passato, oggi non è più possibile  scriverle perché si rischia la scomunica, se non il linciaggio mediatico. I libri di Giampaolo Pansa vennero astiosamente criticati perché considerati non storici da campioni dell’antifascismo gramsciano come Angelo d’Orsi che si accanì  con poverissime argomentazioni contro lo scrittore  che si limitava a fornire dei dati incontrovertibili sulla guerra civile e sul dopo, senza pretendere di fare lo storico . Invece di confutare Pansa si fece di Pansa  un fantoccio polemico contro cui accanirsi.
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Oggi lo storico  dell’arte Tomaso Montanari  può permettersi di dileggiare Pansa a cadavere caldo senza una effettiva presa di distanza, se non da parte del critico televisivo del “Corriere della Sera”Aldo Grasso a cui va reso merito per il suo articolo di condanna per un atto orrendo, oltre che ingiustificato, compiuto da Montanari, eroe di un antifascismo gladiatorio e vistosamente illiberale. Nessun altro si è dissociato dal volgare oltraggio al cadavere di Pansa, idealmente esposto al ludibrio in una sorta di un nuovo piazzale Loreto mediatico.
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Se si parte dall’idea che il fascismo è un reato, si cade obbligatoriamente sul  piano giudiziario, impedendo la libera  ricerca.  La ricerca storica non ha mai fine, mi diceva Franco Venturi, il grande storico che fu anche un fermissimo antifascista, ma che si oppose alla contestazione studentesca che voleva riallacciarsi alla Resistenza per giustificare il ricorso  alla violenza. E quindi non ci si può scandalizzare della revisione storica che è il sale della ricerca storiografica. La storia, in ogni caso, va discussa nelle aule universitarie, non in quelle giudiziarie. La caccia alle streghe, di qualsiasi colore, è  sempre incompatibile con la democrazia liberale.  Forse può essere compatibile con le pseudo- democrazie illiberali dei paesi dell’ Est che hanno convissuto con la dittatura comunista e sono poco avvezze alla libertà.
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Lo abbiamo scritto tante volte e lo ripetiamo anche oggi: le idee vanno confutate con  valide argomentazioni, non vanno vietate soprattutto quando le valide argomentazioni non mancano. Altrimenti si cade in un regime  che in nome della salvaguardia della  libertà impedisce  paradossalmente la libera espressione delle idee. Le democrazie assistite o protette che tanto piacevano, ad esempio, a Scelba e a Sogno, improntate a certi furori ideologici del secondo Dopoguerra,   non erano vere democrazie. Questo dato storico va riconosciuto, sia che si parlasse di comunisti che di fascisti.
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Se a distanza di decenni ci ritroviamo costantemente a parlare di fascismo e di antifascismo, non è un buon segno. Alla vigilia del Giorno del ricordo del 10 febbraio sento una brutta aria che tira. Con la scusa del contestualizzare e del voler  capire c’è quasi  un tentativo in atto, se non di  riabilitare, almeno di  giustificare, gli  infoibatori che avrebbero agito così, reagendo alla dominazione fascista. La storia non è mai giustiziera, ma non può neppure essere sempre giustificatrice. La storia delle foibe non è questa  e nessuno ha  il diritto di tentare di giustificare dei criminali, fermo restando che va condannato, senza distinguo,  il regime fascista per le sue violenze nei territori dell’Adriatico orientale.
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Meno che mai ha senso confrontare i profughi Giuliano-Dalmati  con quelli della Prussia Orientale  dopo la fine della II Guerra Mondiale. Sono storie diverse che non possono essere confrontate  e il tentativo di paragonarle e’ storicamente fuorviante ed è volto a ridimensionare il dramma dell’Esodo in Italia dopo  le violenze  e la pulizia etnica di Tito.
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Speravamo che il Giorno del Ricordo fosse un punto fermo ed invece temiamo che non sia più così. Occorre di nuovo che Gianni Oliva ripubblichi i suoi libri per far capire una realtà che solo Rifondazione comunista si rifiutava di riconoscere. Io vorrei rivendicare il valore  più che mai attuale dell’antifascismo liberale di  Benedetto Croce che nel 1949, rivolgendosi ai giovani dell’ istituto per gli studi storici di Napoli disse che, essendo stato lui un fiero  antifascista, non avrebbe mai potuto scrivere una storia del fascismo. Uno dei miei maestri, Alessandro Galante Garrone, mi disse la stessa cosa. Si trattava di uomini  di alto livello innanzi tutto morale di cui oggi si è smarrito anche il ricordo .

Quattro anni di Musei Reali: una realtà culturale in crescita

Musei più aperti, più accessibili, più partecipati: il bilancio degli ultimi quattro anni dei Musei Reali racconta una realtà in crescita, con un incremento del 61% del pubblico dal 2016 a oggi e 596.000 visitatori nel 2019

Un risultato reso possibile grazie al sostegno della Compagnia di San Paolo e della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino, e grazie anche all’impegno delle molte istituzioni, associazioni e imprese che hanno, a vario titolo, contribuito ad accompagnare questo cammino.

Il 2020 segna per i Musei Reali un primo importante punto di arrivo. Si chiude la prima fase del progetto di sviluppo promosso dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, che a partire dal 2014 ha riunito in un’unica realtà museale il Palazzo Reale con la Cappella della Sindone, l’Armeria, la Galleria Sabauda, il Museo di Antichità, i Giardini Reali, le Sale Chiablese e la Biblioteca Reale. Una fase di avvio che ha definito il profilo della nuova istituzione e che si apre ora a nuove importanti sfide.

 

«Oggi guardiamo al futuro dei Musei Reali – dichiara Alberto Anfossi Segretario Generale della Compagnia San Paolo – alla luce di un investimento della Compagnia di San Paolo che, coerentemente con il proprio piano strategico 2016-2020, ha agito come “fattore abilitante”, investendo in un processo coordinato di azioni strategiche che hanno prodotto un’evoluzione dell’ente ed una maggiore autonomia economico finanziaria. L’Obiettivo cultura che abbiamo scelto di perseguire ispirandoci ai Goals dell’agenda 2030 ci vedrà promotori della cultura al fianco delle istituzioni attingendo alla creatività e all’arte per rendere più attrattivi i nostri territori e rapportandoci ai beni culturali con spirito di custodia perché anche le prossime generazioni possano beneficiare del nostro patrimonio».

 

Osserva Adriana Acutis, Presidente della Consulta per la Valorizzazione dei Beni Artistici e Culturali di Torino: «Le imprese e gli enti soci di Consulta sono impegnati a favore dei Musei Reali di Torino da oltre 20 anni. Il loro è un investimento importante, 4 milioni di euro, con una collaborazione progettuale costante che ha accompagnato la transizione verso il consolidamento di una realtà museale di rilievo internazionale. Tale progettualità ha avuto un momento chiave nel dono del logo dei Musei Reali di Torino nel 2017. Consulta è intenzionata a mantenere il proprio supporto per la realizzazione di obiettivi futuri».

 

Al centro dei programmi futuri c’è lo scenario della grande narrazione storica legata dal filo del collezionismo dei Savoia e dalle imponenti architetture dell’antica residenza. Sempre più, il patrimonio sarà il perno delle attività dei Musei Reali, con l’impegno costante a favorire l’inclusione e la più ampia accessibilità.

 

UN FOCUS SU CANTIERI, ATTIVITÀ E NUOVI ALLESTIMENTI 2020

Il primo appuntamento è un suggestivo intreccio di antico e contemporaneo con THE BALLAD OF FORGOTTEN PLACES, il progetto promosso dalla Fondazione Merz e realizzato dagli artisti Botto&Bruno nell’ambito della terza edizione del concorso Italian Council (2018). Dal 20 febbraio l’opera entra a far parte delle collezioni dei Musei Reali e sarà allestita al primo piano della Galleria Sabauda, nella Sala degli Stucchi, ambiente caratterizzato da un’esuberanza decorativa neobarocca.

Dalle sale del museo all’ambiente digitale: dal 1° marzo sarà disponibile online il catalogo delle opere dei Musei Reali, con più di 15.000 schede e oltre 20.000 immagini a colori e in bianco e nero, in continuo aggiornamento e implementazione.

 

Nell’ARMERIA REALE, dal 4 aprile, un nuovo percorso dedicato ai visitatori più piccoli con pannelli che illustrano tematiche legate al mondo variegato delle armi e della guerra dalla preistoria all’età moderna.

 

In primavera, nuova accoglienza ai GIARDINI REALI: mercoledì 8 aprile gli spazi verdi dei Musei Reali si arricchiscono di nuovi percorsi. Dopo i cantieri che hanno interessato il Giardino del Duca (conclusi nel 2016) e il Boschetto (autunno del 2017), sono proseguiti i progetti di riqualificazione. In particolare, i Giardini saranno dotati di nuovi percorsi pavimentati, illuminazione, casse e vasi come in origine. Inoltre, da settembre, nei giardini di levante, dove si concentrano le essenze più antiche del parco, sarà riattivata e riaperta al pubblico la settecentesca Fontana dei Tritoni.

 

A poco più di un anno dalla riapertura al pubblico della CAPPELLA DELLA SINDONE, il cui restauro ha ricevuto lo scorso 29 ottobre a Parigi il Premio Europa Nostra 2019, è ora imminente l’avvio del restauro dell’altare. Il cantiere sarà condotto senza interdire l’ingresso dei visitatori all’interno della Cappella, che potranno così seguirne lo sviluppo, pur nel rispetto delle cautele necessarie, fino alla sua conclusione prevista a luglio.

 

Il nuovo allestimento ANTICHITÀ REALI: MERAVIGLIE DAL MEDITERRANEO ANTICO sarà una grande occasione per far conoscere al pubblico le collezioni archeologiche meno note dei Musei Reali. Le opere provengono dagli acquisti effettuati dai duchi di Savoia, che si arricchiscono nel Sette e Ottocento grazie a donazioni; spaziano dai celebri rilievi assiri dei palazzi di Ninive e Khorsabad, alla scultura greco-romana, alla ceramica greca ed etrusco-italica, alla ricchissima collezione di arte cipriota. Le nuove sale saranno aperte al pubblico il 3 dicembre al piano terreno della Galleria Sabauda, a integrazione e completamento di un percorso di storia del collezionismo che prosegue con i dipinti ai piani superiori.

Prosegue anche l’impegno per l’arricchimento della rete di contatti con le istituzioni italiane ed europee per favorire la ricerca e la formazione nell’ambito delle nuove professioni della cultura. Nei prossimi due anni i Musei Reali coordinano le attività del progetto SYNOPSIS – Storytelling and Fundraising for Cultural Heritage professionals del programma europeo Erasmus Plus, che vede il coinvolgimento di partner provenienti da Italia, Belgio, Spagna e Grecia e che ha come obiettivo la definizione del profilo professionale specializzato in fundraising e storytelling, con la creazione di supporti formativi e la loro disseminazione. Nell’ambito delle nuove professionalità legate al fundraising, i Musei Reali ospiteranno inoltre i partecipanti al progetto Talenti per il Fundraising 2020 (TPF 2020) promosso dalla Fondazione CRT.

 

LE MOSTRE

Dopo Konrad Mägi. La luce del Nord, il primo appuntamento nelle Sale Chiablese è con CIPRO. CROCEVIA DELLE CIVILTÀ (dal 3 aprile) una grande esposizione incentrata sulle collezioni cipriote dei Musei Reali, che costituiscono un nucleo pressoché unico nel panorama dei grandi musei europei e sono legate alla memoria di Luigi Palma di Cesnola, primo direttore del Metropolitan Museum of Art di New York. Dall’archeologia alla fotografia con CAPA IN COLOR (dal 24 ottobre), progettata dall’International Center of Photography di New York, che presenta per la prima volta al pubblico le immagini a colori di Robert Capa (1913 – 1954) e mette in luce un aspetto trascurato della carriera del grande fotografo come fotogiornalista, testimone di eventi e ritrattista.

 

Archeologia e arte, ricerca e valorizzazione si intrecciano nel programma di “mostre dossier” previste negli spazi museali. Il percorso si apre con INCĒNSUM (dal 27 marzo), una suggestiva esposizione organizzata in collaborazione con l’Associazione culturale Per Fumum che illustra il percorso delle antiche vie dell’Incenso. Prosegue con I SAVOIA E L’ARTE DEL RITRATTO (dal 24 aprile), frutto di un progetto didattico-formativo in collaborazione con l’Università di Torino, e si chiude con LA FORTUNA DI RAFFAELLO NELLE COLLEZIONI DEI MUSEI REALI (dal 30 ottobre), che illustra la penetrazione del messaggio di Raffaello in Piemonte e la diffusione dei suoi modelli dalla prima metà del Cinquecento alla fine dell’Ottocento. In occasione delle celebrazioni per il cinquecentenario della morte di Raffaello sarà avviato un importante lavoro di aggiornamento scientifico della catalogazione dei disegni di scuola raffaellesca, che sfocerà in un’esposizione della BIBLIOTECA REALE (30 ottobre 2020 – 14 marzo 2021). Nel corso dell’anno, verrà inoltre rifunzionalizzato il Salone Monumentale della Biblioteca, con un nuovo impianto di illuminazione volto a rendere più confortevole lo studio e a valorizzare la decorazione pittorica.

 

Uno speciale approfondimento infine sarà dedicato al Barocco, con attività, concerti e percorsi di visita dedicati da marzo a settembre 2020.

Ricordare Re Vittorio? Doveroso, ma senza dilettantismi

Di Pier Franco Quaglieni

E’ giusto che Torino ricordi in modo adeguato Vittorio Emanuele II, il Padre della Patria, nato a Torino il 14 marzo 1820. L’ho scritto per primo su questo giornale una settimana fa

Tra i  quattro Re d’ Italia fu sicuramente  Vittorio Emanuele il più significativo  sotto il profilo storico. Coprotagonista del Risorgimento con Cavour, Garibaldi e Mazzini, seppe essere all’altezza del compito immane che la Dinastia sabauda si era assegnata, quello di realizzare  l’ unità  di un paese da secoli diviso, quello che Croce definì il “Sorgimento”, il fatto più importante della storia italiana.
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Senza voler necessariamente  accettare una certa agiografia sabauda, che non è certo vera  storiografia,  il Re fu  senza dubbio una personalità storica  importante e decisiva. Denis Mack Smith nel 1972 ne scrisse un’ampia biografia che non rende giustizia al Re. Non a caso,  la esaltò Franco Antonicelli che la presentò, in dialogo con l’autore, all’Unione Culturale. Andai a sentirli, rimasi allibito dalla loro faziosità ideologica. Rosario Romeo, il massimo storico del Risorgimento e di Cavour, mi disse che quella biografia era “miserabile”. Mach Smith era troppo angusto per poter  capire Vittorio Emanuele II che non era banalmente  riconducibile al fatto – sicuramente vero – che gli piacessero molto le donne, tanto per citare un aspetto insistito di quella biografia. Non capì  neppure Cavour. Al massimo esaltò acriticamente Garibaldi. Nel 2011 a palazzo reale di Torino, con grande dovizia di mezzi,  venne allestita una mostra su Vittorio Emanuele II in chiave meramente celebrativa che certo non contribuì alla sua conoscenza storica  Ho ripreso in mano l’imponente catalogo introdotto dal giornalista Giovanni Minoli e non da uno storico.Un’introduzione di una banalità  piuttosto sconcertante,  scritta in modo  un po’ strascicato da un giornalista televisivo, forse poco avvezzo a scrivere  articoli e meno che mai dei  saggi storici. Più che un catalogo si tratta di una rigovernatura di scritti  poco coerenti e poco scientifici. Un grande impegno finanziario per realizzare un evento  molto effimero e di scarso valore storiografico.
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Gli storici risorgimentalisti sono pochi, i dilettanti e gli improvvisatori sono invece tantissimi. Era vero nel  2011 , ma ancora di più oggi. La cattedra di Storia del Risorgimento e’ stata soppressa a Torino e in altre Università italiane. L’ istituto nazionale per la storia del Risorgimento è stato commissariato con l’intento di scioglierlo . Ho letto sui giornali dei nomi  di “celebratori” che mi fanno rabbrividire. Persone neppure laureate, comunque senza studi in campo risorgimentale, che si apprestano a pontificare su questo Re che va storicizzato più che celebrato. Non vorrei che fossero  protagonisti delle “celebrazioni”   del bicentenario anche gli eredi  ideali del Conte De Vecchi di Val Cismon , squadrista e quadrumviro della Marcia su Roma, dilettante di storia del Risorgimento, padre di una versione aberrante della storia risorgimentale di cui il fascismo sarebbe stato il pieno coronamento. Una tesi di Giovanni Gentile, di cui lo squadrista torinese realizzò la peggiore  vulgata.  De Vecchi mise  anche le mani sul Museo Nazionale del Risorgimento, stravolgendolo in chiave propagandistica del regime fascista, di cui fu un fanatico e ripetitivo sostenitore. Anche i monarchici fans del Duca d’Aosta stanno organizzando qualcosa a Torino. Leggendo i nomi proposti, se si esclude il giurista insigne Salvatore Sfrecola, non c’è da stare molto  sereni. C’ è un politicante saltafossi diventato  da poco deputato leghista  e il critico d’arte Sgarbi che non è certamente uno storico del Risorgimento. Appare strana invece l’assenza  a Torino del Presidente della sedicente Consulta dei Senatori del Regno che forse ricorderà il Re   direttamente al Pantheon, come appare più consono al  ruolo istituzionale che in modo un po’ troppo autoreferenziale crede di avere e di poter esercitare.
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 Appare anche strano che l’Accademia Albertina diventi sede privilegiata dell’ apertura delle celebrazioni del bicentenario. E ‘certo meglio questa Accademia Albertina di quella che fu protagonista della contestazione studentesca, ma  sicuramente , ad onor del vero,  il Re c’entra poco con un’Accademia di belle arti,  sia pure fondata e  intitolata al padre del sovrano, Carlo Alberto. Forse qualche sindacato dei docenti avrà qualcosa da ridire su questo pronunciamento coraggioso  e imprevedibile. Credo che davanti al monumento a Vittorio Emanuele  a Torino ci sarà tra i monarchici una corsa a premi a chi deporrà per primo una corona d’alloro  che appare un modo per celebrare in modo un po’ semplicistico, senza storicizzare. Ci sarà anche una Messa a Santa Cristina, malgrado il Re sia stato il sovrano delle Leggi Siccardi e della Breccia di Porta Pia. Manca finora un bell’incontro storico con storici veri. So che il Museo  Nazionale del Risorgimento,  presieduto dal grande risorgimentslista Umberto Levra, promuoverà un evento importante in autunno. Sembrano invece latitare in modo clamoroso le istituzioni comunali e regionali che finora non si sono sentite. E non si sa se il capo dello Stato Mattarella verrà a Torino per onorare il primo capo dello Stato dell’Italia unita. Nel 2011 Giorgio Napolitano rese omaggio al Pantheon  alla tomba del Re . Un esempio importante che segno’ un’epoca. Nel 1961, centenario del Regno e dell’ Unità ,un gesto simile da parte del presidente Gronchi sarebbe stato impensabile.
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C’è da augurarsi che Torino e l’Italia sappiano ricordare questo Re senza le solite distinzioni di parte all’italiana che appaiono davvero inadeguate. E senza “gli studiati silenzi e i meditati oblii” di cui parlava nel 1961 Vittorio Prunas Tola. Su Facebook ho letto che un ignorantello si è domandato perché si dovesse ricordare  “il nonno di Sciaboletta”( Vittorio Emanuele III). Se la situazione è questa , bisogna assolutamente ricordare in termini storici il primo Re d’Italia. Anche la scuola dovrebbe assolutamente farlo.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Al via le iniziative degli Amici di Villa della Regina

Con l’inizio del nuovo anno, riprendono le attività dell’associazione culturale

Il primo appuntamento è la  serata di presentazione del calendario delle iniziative del 2020, calendario che si presenta particolarmente ricco di nuove proposte. Quest’anno il Direttivo ha deciso di dedicare più spazio all’organizzazione di iniziative indirizzate ai soci e agli amici che da tempo sostengono l’attività dell’Associazione.

“Il magico potere della comunicazione olfattiva”

giovedì 6 febbraio ore 18.30
Fondazione Paideia Onlus – via Moncalvo 1 Torino.

Patrizia Balbo, consulente di marketing olfattivo e studiosa di simbologia e astrologia, propone un viaggio nel tempo e nella storia, attraverso l’evoluzione dell’Arte del profumo e del Linguaggio dello Zodiaco.

COME PARTECIPARE

La serata, con aperitivo in chiusura, è aperta ad accompagnatori ed amici e l’offerta minima è di 10 euro per i soci e 12 euro per i non soci che potete versare anticipatamente con bonifico bancario sul c/c dell’Associazione o pagare in loco. In ogni caso, la prenotazione dei posti va fatta entro lunedì 3 febbraio, scrivendo alla casella mail infoamicivilladellaregina@gmail.com

Questo primo incontro sarà anche l’occasione di rinnovare la quota di adesione 2020 per chi non avesse già provveduto oppure di associarsi per la prima volta all’associazione.
Anche per il 2020 la quota è rimasta invariata a 100 euro che diventano 85 se ci si iscrive in coppia (1 socio deve essere nuovo).

Riprendono anche gli incontri con lo storico dell’arte Luca Avataneo, che sarà presente all’evento del 6 febbraio e illustrerà il programma di visite organizzato per l’associazione.

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Mariateresa Buttigliengo,  presidente dell’associazione, nella foto di Daniela Foresto pubblicata da  ScattoTorino

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La battaglia di Roma 170 anni dopo

Interverranno Umberto LEVRA, Presidente del Museo Nazionale del Risorgimento e Pier Franco QUAGLIENI

VENERDÌ 7 FEBBRAIO alle ore 15,30 nella Sala Cinema del Museo del Risorgimento (Via Accademia delle Scienze, 5), verrà proiettato il film di Luigi Cozzi “LA BATTAGLIA DI ROMA 1849”, ispirato al libro di Giovanni Adducci “Un garibaldino a casa Giacometti” premiato dal Centro “Pannunzio”.

Interverranno Umberto LEVRA, Presidente del Museo Nazionale del Risorgimento e Pier Franco QUAGLIENI.

 A 170 anni dagli avvenimenti, il film ricostruisce la storia della Repubblica Romana nata nel febbraio del 1849. Governata da un triumvirato composto da Carlo Armellini, Giuseppe Mazzini e Aurelio Saffi, ebbe vita breve a seguito dell’intervento dell’esercito francese (Battaglia di Roma, luglio 1849), ma rappresentò uno dei momenti più alti del Risorgimento: la sua Costituzione fu una delle più democratiche d’Europa, le leggi della Repubblica consentivano la libertà di culto, la laicità dello Stato, la separazione dei poteri, la libertà d’opinione.

I posti sono limitati, per cui è necessaria la prenotazione: tel. 3488134847 o email info@centropannunzio.it

La determinante memoria della Shoah

Settantacinque anni fa, il 27 gennaio del 1945, le truppe russe varcavano i cancelli di Auschwitz, portando davanti agli occhi e alla coscienza del mondo l’orrore uno dei più orribili buchi neri della storia

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Di Marco Travaglini

La memoria è determinante… perché essa dovrebbe arricchire la vita, dar diritto, far fare dei confronti, dar la possibilità di pensare ad errori o cose giuste fatte. Con la memoria si possono fare bilanci, considerazioni, scelte, perché credo che un uomo che non ha memoria è un pover’uomo. Non si tratta di ricordare la scadenza di una data, ma qualche cosa di più, che dà molto valore alla vita”.

Così scriveva, con grande chiarezza, Mario Rigoni Stern. Una di queste date determinanti per la memoria è stata scelta per celebrare la Giornata della Memoria, stabilita per legge dalla Repubblica italiana nel 2000 allo scopo di ricordare l’orrore della Shoah. Settantacinque anni fa, il 27 gennaio del 1945, le truppe russe varcavano i cancelli di Auschwitz, portando davanti agli occhi e alla coscienza del mondo l’orrore uno dei più orribili buchi neri della storia. Quei corpi ammassati, i volti scavati e spenti dei pochi sopravvissuti, i resti di baracche, camere a gas, forni crematori rappresentavano l’oscenità dell’ideologia nazista e del suo razzismo omicida, esploso al centro dell’Europa, umiliando popoli, negando ogni barlume di civiltà. Auschwitz è stato uno dei più tragici emblemi della perversione criminale del Terzo Reich di Adolf Hitler, quintessenza della metodicità nell’azione assassina, dell’odio razziale divenuto sistema, della macchina lugubre e solerte dello sterminio di massa, sostenuta da una complessa organizzazione che coinvolse buona parte della società tedesca.

La storia dell’umanità e, in particolare, il “secolo breve” è costellata di stragi, uccisioni, genocidi. Il “secolo delle guerre”, ha visto dai primi anni del ‘900 fino al tramonto con gli ultimi bagliori delle guerre balcaniche più di 50 conflitti armati con oltre 185 milioni di morti, di cui l’80% civili. Le vittime dei conflitti, dell’odio e delle discriminazioni sono state tantissime, ma la Shoah – per la sua micidiale combinazione di delirio razzista, volontà di sterminio, pianificazione burocratica, efficienza criminale – resta un caso unico nella storia europea. Agli internati venivano negati il nome, gli affetti, la memoria e il futuro, il diritto a essere persone. L’unico sentimento del quale potevano disporre, secondo i loro carnefici, era la paura. Quando si nega a milioni di individui inermi non soltanto l’appartenenza al genere umano, ma lo stesso diritto di esistere, il passo successivo è l’uccisione a sangue freddo, senza nessuna remora o pentimento. Le misure persecutorie messe in atto dal regime fascista con le leggi razziali del 1938, la schedatura e la concentrazione nei campi di lavoro, favorirono enormemente l’ignobile lavoro dei carnefici delle SS. Dopo l’8 settembre, il governo di Salò collaborò attivamente alla cattura degli ebrei che si trovavano in Italia e alla loro deportazione, un altro capitolo di una vicenda orribile che rappresenta uno dei passaggi più bui e infamanti della nostra storia. Ancora oggi, e forse addirittura più che nel recente passato, il compito di custodire e tramandare la Memoria, perché non si attenui e non si smarrisca mai, è determinante per evitare il rischio di nuove tragedie. Lo è perché focolai di odio, intolleranza, razzismo sono presenti nella nostra società e il demone dell’antisemitismo è tornato ad affacciarsi in Europa e in Italia. Il 14 gennaio 2020 è stata pubblicata la prima ricerca italiana sulle discriminazioni curata da Euromedia Research per conto dell’Osservatorio Solomon. Secondo le rilevazioni si osserva la presenza di una percentuale di antisemiti dichiarati. Secondo il sondaggio l’1,3% degli italiani ritiene che la Shoah sia una leggenda, il 10,5% giudica, invece, che durante la Shoah non siano morti 6 milioni di ebrei, e il 49% è convinto che il settore economico-finanziario sia controllato totalmente dagli ebrei. Un dato impressionante se consideriamo che si tratta delle pietre angolari su cui il nazifascismo costruì la sua propaganda.

Riserva delle sorprese anche la percezione del numero degli ebrei italiani: il 36,6% degli intervistati ritiene che siano il 2%-10% della popolazione italiana. Oggi gli ebrei in Italia sono sotto le 30 mila unità, quindi appare ovvio una percezione esagerata riguardo alla loro presenza. Di fronte a questo quadro sarebbe un errore tremendo minimizzarne la pericolosità. Far riemergere dalle tenebre del passato fantasmi, sentimenti, rigurgiti razzisti e diffondere la predicazione dell’odio, amplificandola a dismisura con i nuovi mezzi di comunicazione in rete, inquieta e preoccupa. Contro il razzismo e la violenza dell’intolleranza servono coraggio e determinazione. E’ indispensabile consolidare i principi di democrazia, libertà, tolleranza, eguaglianza, convivenza. Per questo la Memoria, custodita e tramandata, è un antidoto indispensabile contro gli orrori del passato, rammentando la nostra Carta Costituzionale che, all’articolo 3, afferma solennemente che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Un’indicazione che rappresenta un monito. Il presente che viviamo tutti i giorni ci indica che di questo monito vi è più che mai bisogno.

 

Risplende di armi orientali l’Armeria Reale di Torino

Ventisette pezzi originali tra spade, sciabole, coltelli, pugnali, lance e moschetti provenienti da un’area geografica molto ampia compresa tra il Medio Oriente e il sud-est asiatico si aggiungono alla già vastissima collezione dell’Armeria Reale che conserva una delle più ricche collezioni di armi e armature antiche del mondo

Sono pezzi eccezionali, mai esposti prima, custoditi da decenni nei depositi dell’Armeria e finalmente ora venuti alla luce e presentati al pubblico in un allestimento permanente in una delle storiche vetrine della Rotonda di fianco alla Galleria del Beaumont.

Gli oggetti, di grande qualità e bellezza, appartengono a un nucleo di 500 esemplari e le origini della raccolta risalgono al 1839, anno in cui l’Accademia delle Scienze di Torino donò una quarantina di oggetti che l’esploratore piemontese Carlo Vidua aveva raccolto nei Paesi dell’estremo oriente. A questi si aggiunsero in seguito i doni diplomatici offerti a re Carlo Alberto e ai suoi successori. La collezione esposta nella nuova vetrina della Rotonda comprende armi di vario tipo. Troviamo una spada da cerimonia del Cinquecento donata a re Vittorio Emanuele III da una missione diplomatica dello Yemen, la sciabola regalata dal sovrano del Siam a re Umberto I, la cui impugnatura termina con un Naga a tre teste, il mitico serpente che custodiva i tesori del regno e poi c’è la splendida “kilic”, la sciabola che riporta sulla lama iscrizioni in caratteri arabi che esaltano la figura del profeta Maometto e sul fodero il nome di Solimano il Magnifico, sultano dell’Impero ottomano dal 1520 al 1566.

Lance giavanesi decorate con il caratteristico disegno del “pamor” che appare in seguito al trattamento della superficie dell’acciaio, altre sciabole e pugnali di manifattura ottomana e persiana, moschetti e archibugi di acciaio rivestiti in argento parzialmente dorato, di lavorazione arabo-indiana, completano l’esposizione. In molti casi le lame sono in damasco wootz, un acciaio particolare prodotto dal IV secolo nell’India del nord e in Persia mentre le decorazioni sono spesso realizzate a “koftgari”, un tipo di damaschinatura di origine indiana con cui si applicavano all’acciaio metalli preziosi come l’oro e l’argento. L’Armeria Reale di Torino, fondata da Carlo Alberto nel 1837, conserva numerosi tipi di armature, armi bianche e da fuoco, dalle armi archeologiche a quelle medievali e cinquecentesche, una raccolta di armature e armi dei Savoia, cimeli napoleonici, armi orientali e una collezione di bandiere.

Suggestivo e piacevole il percorso per raggiungere l’Armeria reale: si entra a Palazzo Reale, si sale al primo piano e si attraversano gli appartamenti reali fino a raggiungere la Galleria del Beaumont con cavalieri armati e vetrine stipate di armi. L’orario di visita dell’Armeria Reale: da martedì a domenica ore 9-19, lunedì ore 10-19, la biglietteria è all’ingresso di Palazzo Reale.

Filippo Re

Nuovo pubblico e più giovani per il Polo del ‘900

Quasi 80.000 visitatori nel 2019

Sono state 79.195 le presenze complessive al Polo del ‘900 nel corso del 2019, circa il 18% in più rispetto al 2018 (67.220). L’aumento è del 39% rispetto ai dati del 2017 (57.000). Se si considerano anche le iniziative del Polo e dei suoi enti realizzate sul territorio, le presenze complessive salgono a 97.800.

< I risultati del 2019 confermano la validità dell’offerta che il Polo del ‘900, insieme allo straordinario lavoro dei 22 Enti partner, costruisce con e per la cittadinanza. Oggi possiamo dire con certezza che il Polo è un punto di riferimento per studenti, insegnanti, ricercatori ma anche per le molte persone che vivono gli spazi come luogo di incontro e confronto – spiega Sergio Soave, presidente della Fondazione del Polo del ‘900  Il 2019 è stato segnato da un altro importante riconoscimento, a parte quello dei cittadini: il Premio cultura di Gestione di Federculture che ha premiato il Polo del ‘900 come esempio di gestione innovativa a livello nazionale>

Nell’anno si sono registrate 22.200 presenze nelle sale lettura, più di 15.000 partecipanti alle attività educative (+21% rispetto al 2018) e ulteriori 31 mila partecipanti alle iniziative e agli incontri proposti (+42%). Un dato di crescita complessivo che riguarda tutte le dimensioni di offerta: dall’accesso ai patrimoni dei 22 enti culturali, alle attività didattiche, alla partecipazione alle più di 840 tra iniziative, incontri, presentazioni e attività performative realizzate, all’utilizzo libero dello spazio come luogo di lettura, di partecipazione e di approfondimento.

<Nell’ultimo anno abbiamo introdotto alcune novità che si sono rivelate vincenti – commenta Alessandro Bollo, Direttore della Fondazione Polo del ‘900 – come l’apertura del Cortile di San Daniele che ha arricchito la proposta culturale del Polo, fornendo ai cittadini uno spazio estivo all’aperto per teatro, cinema e musica e il lancio della caffetteria e del bookshop. Numerosi sono stati i convegni, i workshop e i dibattiti sulle tematiche più attuali dal lavoro alla sostenibilità, dall’immigrazione ai muri, dai diritti all’innovazione civica. Pronte tante novità anche per il 2020, conservando l’obiettivo di fornire ai cittadini uno spazio culturale dove approfondire e riflettere sulle grandi domande e sulle sfide del presente

 Non solo presenze fisiche ma anche gradimento virtuale, online.

In crescita i contenuti di 9centRo la piattaforma digitale degli archivi che rende disponibili e accessibili i patrimoni culturali custoditi, nel 2019 passata da 100 mila a 400 mila contenuti digitali online, con una crescita degli utenti online del 39%.

Ecco nel dettaglio la stima delle presenze per ogni singola attività:

 Le attività didattiche

Le attività didattiche proposte per l’anno 2019 hanno coinvolto 15.500 studenti delle scuole di ogni ordine e grado e 733 insegnanti. Il 60% proviene dalla scuola secondaria di secondo grado, il 36% dalla scuola secondaria di primo grado e il 4% dalla primaria.

Le iniziative culturali

Nel 2019 la partecipazione alle iniziative, agli spettacoli e agli allestimenti temporanei è stata pari a 31.132 presenze.

Le iniziative proposte al Polo sono state 842, fra cui 256 incontri, 174 laboratori, 42 proiezioni cinematografiche, 52 spettacoli teatrali e musicali. Se si considera anche le attività realizzate sul territorio si arriva a un complessivo di 879 iniziative.

 La composizione del pubblico

Il 42% delle persone che hanno partecipato alle iniziative è pubblico nuovo, che non era ancora venuto al Polo. Aumenta il pubblico giovanile under 35 che passa dal 28% del 2018 al 32% del 2019

 Il 70% arriva da Torino, il 18% dal Piemonte e il 12% dalle altre regioni. Si tratta di pubblico composto per il 49% da utenti professionalmente occupati, il 28% pensionati, 16% studenti e 7% non occupati.

Analizzando i dati dei tesserati (che utilizzano i diversi servizi) si evince come il 65% sia under 35 e il 40% provenga da fuori Torino.