STORIA- Pagina 127

12 settembre 1683, i Turchi conquistano Vienna: la storia capovolta

E se il sultano Erdogan puntasse a prendere anche Vienna dopo aver occupato parte della Siria e dell’Iraq, mezza Libia, il Mediterraneo orientale, con l’ambizione di tornare da conquistatore nei Balcani e arrivare perfino a Gerusalemme?

Nessuno riesce a fermarlo, la sua macchina geopolitica, economica e militare sta penetrando con successo ovunque, dall’Asia all’Africa. E se domani arrivasse in Europa? Non sarebbe la prima volta, i turchi-ottomani, i suoi predecessori ai quali spesso il leader turco si richiama, ci sono arrivati in tempi molto lontani, andando due volte vicino alla conquista di Vienna.

Oggi Erdogan vuole la rinascita dell’Impero Ottomano o almeno di un’ampia fetta di territorio di quello che fu lo sterminato impero dei sultani del Bosforo. Vienna non è così distante da Istanbul e neppure Roma. L’anniversario del 12 settembre 1683, la disfatta turca davanti alle porte della capitale viennese dopo due mesi di assedio, casca quest’anno proprio sull’onda delle conquiste neo-ottomane del presidente-sultano Erdogan. E allora proviamo questa volta a capovolgere la Storia. Quel giorno di oltre tre secoli fa i cristiani furono sconfitti e i turchi conquistarono Vienna. Sono le cinque del pomeriggio del 12 settembre. La battaglia è finita, l’esercito cristiano intervenuto per aiutare i viennesi è stato sbaragliato con gravi perdite. Sul campo restano migliaia di morti e tra questi c’è il sovrano polacco Jan Sobieski che comandava centinaia di cavalieri giunti in soccorso ai difensori di Vienna. I giannizzeri del gran visir Kara Mustafa entrano in città terrorizzando e massacrando gli assediati ormai ridotti alla fame. Scampato all’eccidio il frate-predicatore Marco D’Aviano assiste affranto dalle torri di Vienna all’ingresso dell’esercito ottomano in città. Per i turchi si apriva la strada verso altre capitali europee e verso la conquista del Continente ma cosa sarebbe successo se Vienna fosse davvero caduta nelle mani dei turchi? Quel 12 settembre avrebbe cambiato il corso della storia? Secondo molti storici gli ottomani non avrebbero avuto la forza necessaria per tenere a lungo la città per poi avanzare a nord o a sud verso la capitale della Cristianità. Certo, nessuno può dire se la conquista di Vienna sarebbe stata l’ultima tappa dell’offensiva turca in Europa ma l’Impero nel frattempo si era indebolito e le Corti europee non correvano più nessun pericolo. Alcuni anni dopo Vienna i turchi verranno travolti a Zenta sul Tibisco dall’esercito imperiale del principe Eugenio di Savoia e il trattato di pace di Karlowitz del 1699 segnò l’inizio del declino dell’Impero ottomano e la fine del controllo turco su gran parte dell’Europa centrale e orientale.

Filippo Re

Per non dimenticare l’11 settembre

Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani in occasione del 19° Anniversario dell’attacco delle Torri Gemelle intende ricordare il più grande attentato terroristico della storia contemporanea in cui persero la vita quasi 3 mila persone.

In quella nefasta mattina dell’11 settembre del 2001 diciannove terroristi di Al-Quaeda presero il comando di quattro aerei di linea e due di questi si schiantarono contro le Torri Gemelle del World Trade Center, a New York, causandone il successivo crollo. L’attacco ordinato da Osama Bin-Laden, leader dell’organizzazione terroristica di matrice islamica Al-Quaeda, oltre a determinare la morte di persone innocenti, causò un impatto drammatico nella storia e nella vita di tutti.

L’America si fermò e si fermò il mondo intero. Le immagini di morte fecero il giro del mondo e consegnarono ai cittadini dell’intero pianeta un dolore senza fine, la scoperta della propria debolezza e il pensiero terribile di costante vulnerabilità. Il Terrorismo più crudele e sanguinario fece il suo ingresso nel terzo millennio e dimostrò ai Paesi occidentali che nessuno era al riparo dalle Leggi violenti di Al-Quaeda e che tutti, uomini e città, potevano diventare macerie come quelle che avevano prodotto le morti nel cuore di New York.
In quei giorni di dolore tutti eravamo americani, tutti eravamo uniti contro le guerre ingiuste di un Terrorismo letale capace ormai di trascinare il mondo verso la fine. Nel 2004, infatti, Bin Laden, che inizialmente aveva negato ogni tipo di coinvolgimento, si dichiarò responsabile degli eventi dell’11 settembre. L’organizzazione terroristica islamica citò con forza come moventi il supporto statunitense ad Israele, la presenza di truppe statunitensi in Arabia Saudita e le sanzioni contro l’Iraq. La reazione degli americani non si fece attendere: nove giorni dopo il presidente Bush proclamò War on Terror, la guerra al Terrorismo per difendere gli Stati Uniti contro le minacce terroristiche di Al-Quaeda e le organizzazioni ad essa affiliate. Missioni e interventi militari per la lotta globale al Terrorismo inaugurarono un Duemila che sperava e sognava altri scenari politici e umani.

Intanto a New York erano ben visibili i segni del violento e inaspettato attacco. Fu davvero difficile rimediare ai danni materiali dell’attentato: la distruzione del World Trade Center danneggiò l’economia ed ebbe un forte impatto sui mercati globali, inoltre la rimozione dei detriti delle torri crollate fu completata solo nel maggio 2002. Quello che fu certamente impossibile fu la restaurazione delle anime lacerate delle tante famiglie che in quella orribile tragedia avevano perso i loro cari. Si pensò subito di erigere un Memoriale, il National September 11 Memorial & Museum, in onore delle vittime sui luoghi dove sorgeva il complesso del World Trade Center. Ma nessuna commemorazione, nessuna targhetta di rimembranza, nessun museo della memoria rimosse mai, neppure in piccola parte, le macerie umane dai tanti, troppi cuori in lutto. E poi, tutti iniziarono a fare i conti con la paura, si era pervasi dal terrore di un nemico invisibile che in qualsiasi momento può colpire e uccidere. Mancava ormai quel senso di protezione con il quale la bandiera a stelle e strisce aveva sempre cullato e accarezzato i suoi figli. Gli Stati Uniti avevano scoperto la propria fragilità.

L’attentato suscitò stati d’animo privi di serenità come ricordò l’allora presidente degli stati Uniti George W. Bush. “Il 12 settembre la gente dopo essersi ripresa dallo shock iniziale, ha capito che quella che stavamo affrontando era una guerra diversa. Era una nuova realtà. Una delle cose che sono cambiate dopo l’11/9 è la convinzione di essere un Paese protetto dagli oceani. In passato i conflitti erano avvenuti in luoghi remoti e noi ci sentivamo decisamente al sicuro. La gente aveva paura di andare al lavoro, di uscire di casa. Le compagnie aeree erano bloccate e le banche chiuse. La nostra società sotto certi aspetti era ferma.”

Sono passati 19 anni dall’attentato, ma le Torri Gemelle di New York che crollano -l’immagine simbolo dell’11 settembre- restano indelebile nei nostri occhi. L’attacco terroristico agli Usa è un evento che è entrato nella memoria collettiva dell’intera umanità e nei libri di storia, è un evento che ha cambiato non solo le relazioni internazionali, la geopolitica e la politica estera, ma anche le vite di ciascuno, il modo di guardare gli altri, di concepire la convivenza tra i popoli. L’11 settembre ha anche accresciuto la paura del Terrorismo e ha spinto i popoli ad unirsi finalmente in una comune lotta per debellarlo a livello planetario.

Il CNDDU, in occasione di una giornata così importante per il mondo intero, intende sottolineare ancora una volta la necessità di portare avanti una linea politica comune, costante ed efficace affinché il Terrorismo, cancro della società, possa essere individuato e debellato. E per fare in modo che ciò accada bisogna tagliare i canali che finanziano Al Quaeda. Il rapporto Terrorist Financing ha posto l’accento su tutti i finanziamenti di siti web, banche e istituzioni finanziarie che rimpinguano le tasche già piene del Terrorismo.

Per il CNDDU ora più di prima bisogna trovare forme di governance internazionale capaci di promuovere il bene comune globale, superando gli egoismi nazionali che permettono solo alle organizzazioni terroristiche di proliferare indisturbate.

Prof.ssa Rosa Manco
CNDDU

L’11 settembre 1697

Il primo fatidico “11 settembre” si combatté sulle rive del Tibisco: a Zenta, nei pressi del Danubio, in terra ungherese, fu fermata l’avanzata dell’esercito ottomano in Europa che dopo la disfatta epocale davanti alle mura di Vienna nel 1683 aveva riconquistato Belgrado nell’ottobre del 1690 e minacciava nuovamente l’Ungheria. Erano tutt’altro che annientati i turchi che ripresero vigore pensando di portare nuovamente le loro armate nel cuore dell’Europa. Quel giorno Eugenio di Savoia, al comando dell’esercito imperiale d’Asburgo, inflisse ai turchi una sconfitta disastrosa. Era l’11 settembre 1697: la battaglia di Zenta (oggi Senta, nel nord della Serbia) fu uno scontro determinante della guerra contro i turchi, iniziata con l’assedio di Vienna nel cuore dell’Europa, e si può considerare il primo vero “11 settembre” della storia del secolare scontro di civiltà tra cristiani e musulmani, tra il Cristianesimo e l’Islam incarnato a quel tempo dalla potenza ottomana. Non quindi il recente l’11 settembre 2001, di cui ricorre oggi il sedicesimo anniversario, né tanto meno il 12 settembre 1683, il mitico anno della liberazione di Vienna asburgica dall’assedio del Gran Vizir Kara Mustafà, anche se alcuni giornalisti e registi si dilettano a fissare la data della battaglia di Vienna nel giorno della vigilia, l’11 settembre, per trovare a tutti costi un’analogia storica con il giorno dell’attentato alle Torri Gemelle di New York. In realtà la battaglia alle porte di Vienna si svolse nella giornata del 12 settembre, dalle prime luci del giorno fino al tardo pomeriggio. Poco male, si dirà, tuttavia si scrivono poderosi libri su Vienna e non si parla mai della vittoria di Zenta che pose fine alla minaccia turca per l’Europa cristiana esaltando la fama di Eugenio come uno dei più abili generali e strateghi del suo tempo. Sulle sponde del Danubio gli ottomani sconfitti furono costretti ad accettare le condizioni del trattato di pace di Karlowitz del 26 gennaio 1699, il primo trattato imposto ai turchi dalle potenze cristiane. L’imperatore d’Asburgo riprese gran parte dell’Ungheria, abbattendo il vessillo della Mezzaluna dopo 150 anni di dominio, e la Transilvania mentre Venezia prendeva possesso della Morea e della Dalmazia. Nei saloni dei suoi Palazzi viennesi il Principe si aggiornava sui movimenti dei turchi nei Balcani e passava in rassegna le proprie truppe, la fanteria, i dragoni a cavallo, gli ussari d’assalto. Si preparava a un nuovo scontro con i turchi di cui non si fidava. Li conosceva bene, li aveva già combattuti e sconfitti in Austria e in Ungheria. Il sultano Mustafà II era partito da Belgrado al comando di 100.000 uomini, un esercito immenso composto da giannizzeri, cavalleria, artiglieri, seguiti da una moltitudine di artigiani, cuochi, giocolieri, donne dell’harem ed eunuchi. Non si conosceva la direzione dell’armata turca. Soltanto il 7 settembre Eugenio venne a sapere da un pascià disertore che il sultano aveva raggiunto il fiume Tibisco vicino al villaggio di Zenta allestendo in gran fretta un ponte di sessanta barche per farvi transitare il suo esercito diretto verso Temesvàr (Timisoara) e la Transilvania. Eugenio di Savoia era diventato solo un mese prima, nell’agosto 1697, comandante dell’esercito imperiale austriaco. Nel pomeriggio dell’11 settembre una parte della cavalleria turca aveva già guadato il fiume ma il grosso dell’esercito era rimasto sull’altra sponda formando un semicerchio intorno al ponte con trincee, depositi di armi e viveri e fortificazioni che però non ebbe il tempo di completare. Il principe Eugenio era ancora lontano dal fiume ma i suoi messaggeri lo aggiornarono in breve tempo sui piani dei turchi. L’occasione per attaccarli era troppo favorevole. Non perse tempo e ordinò ai suoi uomini di avanzare e dopo una lunga estenuante marcia arrivò nei pressi del fiume. Il Principe era raggiante: i turchi erano davanti a lui, sulla sponda occidentale del Tibisco, circondati dalla sua cavalleria. Lanciò i dragoni imperiali all’assalto gettando nello scompiglio il campo turco, al di qua del Tibisco, dove si trovava il grosso delle truppe nemiche. Gli ottomani furono travolti e sbaragliati dalla furia degli austriaci. I giannizzeri, il corpo d’elite dell’esercito della Mezzaluna, attaccati da ogni parte si difesero fino all’ultimo con armi da fuoco e scimitarre per poi darsi alla fuga che si trasformò presto in un massacro. Molti soldati turchi furono uccisi sul ponte e tanti altri morirono annegati nel fiume rosso di sangue. Galleggiavano così tanti corpi che, scrisse Eugenio nel suo diario di battaglia, “i suoi soldati potevano stare in piedi sui cadaveri dei turchi come su un’isola”. L’esercito sultaniale cadde sotto il fuoco dei cannoni imperiali e fu distrutto. Quindicimila uomini morirono combattendo e altri 10.000 annegarono nel Tibisco. Poche centinaia si misero in salvo sulla riva orientale del fiume tra cui il sultano che evitò di essere catturato e fuggì con un manipolo di fedelissimi verso Temesvàr. Il gran visir e alcuni governatori della Bosnia e dell’Anatolia insieme a numerosi ufficiali furono uccisi. In campo austriaco si contarono appena 400 morti e un migliaio di feriti. Anche il bottino catturato era favoloso e comprendeva migliaia di carri, almeno 20.000 cammelli e 800 cavalli, 400 bandiere, denaro e armi in gran quantità. Tra i trofei finiti nelle mani dei vincitori c’era anche il sigillo del sultano (il Tughra, in turco-ottomano) che il gran visir portava al collo come segno della sua autorità. Eugenio lo raccolse nella polvere insanguinata della battaglia, tra destrieri caduti sul terreno, soldati morti o feriti e armi abbandonate, e oggi si trova nel Museo viennese di storia militare. I combattimenti cessarono nella tarda serata, “come se, scrisse il feldmaresciallo all’imperatore, il sole non avesse voluto tramontare prima di aver assistito al completo trionfo delle gloriose armi di Vostra Maestà Imperiale”. L’apoteosi delle gesta del principe Eugenio emerge in tutto il suo fulgore nei palazzi e nei giardini viennesi, come il Belvedere, decorati con allegorie che celebrano le sue grandiose battaglie contro i turchi. Dopo l’11 settembre di Zenta la potenza della Mezzaluna decadde in Europa anche se i sultani del Bosforo rimasero una minaccia costante sia a est che a Occidente e l’esercito ottomano era ancora, per le sue dimensioni, la più grande armata d’Europa, un nemico eccezionale. Un dubbio tuttavia resta nei pensieri e nelle analisi degli storici a oltre tre secoli di distanza: la fama di Zenta e delle altre vittorie contro il feroce Turco erano davvero merito esclusivo di Eugenio e delle sue truppe imperiali o sono da imputare anche agli errori tattici dei turchi sul campo di battaglia e al logoramento della loro forza militare. Forse la verità sta nel mezzo ma ciò non toglie, come ha scritto Joseph von Hammer, il principale studioso dell’Impero ottomano, che “la battaglia di Zenta diede all’impero asburgico la vittoria definitiva e determinò irrevocabilmente il declino di quello ottomano”. Ma la guerra del Prinz sabaudo e dell’imperatore Leopoldo I contro i turchi continuò, restava da riconquistare Belgrado, ancora in mano al sultano. L’11 settembre di tre secoli fa era stata vinta a Zenta una battaglia molto importante ma non definitiva perchè una parte dell’esercito turco era riuscito a mettersi in salvo. Il grande “scontro di civiltà” era destinato a non tramontare.

Filippo Re

 

Assedio 1706, apre il museo Pietro Micca

314° anniversario della Liberazione di Torino dall’assedio del 1706 e riapertura del museo Pietro Micca e dei siti sotterranei collegati

314 anni fa, con una esemplare coralità di volontà, capacità e impegno, governanti, amministratori,
religiosi, militari, lavoratori e cittadini tutti di Torino coronavano 117 giorni di determinata resistenza
all’assedio e di immani sacrifici personali e collettivi con la vittoriosa battaglia del 7 settembre
1706, favorita dall’arrivo dei determinanti soccorsi alleati e dalla intelligente scelta del settore di
attacco, tra Dora e Stura, sui prati ora occupati da Borgo Vittoria, significativa per la storia di
Torino, del Piemonte e della futura Italia.
Torino, cosciente del valore esemplare dell’esperienza del passato per vivere con consapevolezza
il presente e programmare con intelligenza il futuro, commemora ogni anno gli eventi fondanti del
1706, nella memoria della sua storia, nella riconoscenza per chi ne è stato protagonista e
nell’impegno costante a valorizzare il suo patrimonio valoriale, artistico, storico e infrastrutturale di
cui essere orgogliosi e attenti custodi.
Quest’anno le commemorazioni hanno un significato particolare per vari motivi.
Il primo , che coincidono con la riapertura dei siti del museo dopo 5 mesi di chiusura per
l’emergenza sanitaria, un periodo più lungo dell’assedio stesso.
Il museo Pietro Micca dell’assedio di Torino del 1706 , che nell’attesa ha rinnovato le sue
esposizioni con nuovi cimeli, uniformi e dipinti, ha riaperto dal 5 settembre la sua sede in via
Guicciardini 7 tutti i giorni della settimana, a meno del lunedì, con orario 10,30 -17 (ultima entrata)
con ingressi contingentati per la maggior sicurezza dei visitatori e a prenotazione al tel. 011 01167580 e all’e-mail
info@museopietromicca.it per favorire l’accesso senza attese.
Il secondo motivo è che riaprono anche, a ingresso gratuito e secondo l’ordine di arrivo (senza prenotazione), i siti collegati del Rivellino degli Invalidi
di corso Galileo Ferraris 14, tutte le domeniche nell’orario 15 – 19, e del Pastiss di via Papacino 1, l’ultima domenica del mese sempre nell’orario 15 – 19.
Il terzo motivo è che la commemorazione avrà luogo sabato 12 luglio e, nel rispetto delle norme in vigore, non prevede la tradizionale sfilata del Gruppo Storico Pietro Micca della Città di Torino ma limiterà le rappresentanze partecipanti e le attività esterne ai quattro monumenti simbolici: Lapide ai combattenti del 1706 (ore 16 al museo Pietro Micca), monumento a Pietro Micca (ore 16,30 al Maschio della Cittadella), monumento al principe Eugenio (ore 17 presso il Palazzo di Città) e concluderà la commemorazione alle ore 18 nella Chiesa di Nostra Signora della Salute in Via
Michele Antonio Vibò, 26, con la celebrazione religiosa, i discorsi ufficiali e gli onori nella Cripta- Sacrario dei Caduti del 1706.
Chi desidera partecipare dovrà raggiungere autonomamente i vari luoghi di cerimonia agli orari indicati. Per partecipare alla celebrazione religiosa e commemorazione finale è necessario indossare la mascherina.
Per informazioni:
tel. 011 0116 7580 – e-mail
info@museopietromicca.it
– sito www.pietromicca.it

Con Anpi e Progetto Cantoregi per celebrare l’8 settembre 1943

“Camminando a Racconigi”. La nascita della Resistenza in Piemonte

Giovedì 10 settembre, dalle 21 alle 22,30

Racconigi (Cuneo)

Un percorso non a caso in piazze e vie della città. E parole per tenere viva la memoria e riproporre valori, oggi fortemente messi in gioco, attraverso letture e musiche a tema. Sarà una serata itinerante scandita in cinque tappe, quella organizzata da Anpi Racconigi e dalla locale compagnia teatrale “Progetto Cantoregi”, per celebrare la nascita della Resistenza in Piemonte l’8 settembre 1943. L’appuntamento è per giovedì prossimo 10 settembre a partire dalle 21 per concludersi intorno alle 22,30 con letture e canzoni alla Soms di via Carlo Costa (casa sociale appartenuta fino a un anno fa alla Società Operaia di Mutuo Soccorso e  oggi sede di “Progetto Cantoregi”), seguendo un ben preciso itinerario lungo il quale far rivivere un periodo cruciale della nostra storia, che con il sacrificio, il coraggio ed il valore di molti – giovani e meno giovani, uomini e  donne – ha contribuito a forgiare le basi della nostra Repubblica.

Questo l’itinerario:

Si parte alle 21 da piazza Carlo Alberto, dal monumento dedicato ai partigiani cittadini, per poi raggiungere piazza Vittorio Emanuele II (Piazza degli Uomini) e quindi piazza San Giovanni dove, nella sede della Parrocchia, prese vita il CLN (Comitato di Liberazione Nazionale). La quarta tappa sarà piazza Santa Maria dove si ricorderà il funerale del partigiano Tormenta. Il cammino prosegue quindi in via Priotti, fino alla lapide del partigiano Mimì Appendino, ucciso a 20 anni, per poi terminare alla Soms e dare il via alle letture.

Qui, i momenti storici saranno rievocati da Pierfranco Occelli, presidente della sezione Anpi di Racconigi, partendo dal proclama di armistizio annunciato dal maresciallo Badoglio l’8 settembre 1943.

Le letture di romanzi, saggi e poesie saranno a cura di Irene Avataneo, Cristina Fenoglio, Valentina Perlo, Pierbartolo Piacenza, Andrea Piovano, Federico e Mariagrazia Soldati che daranno voce alle parole di scrittori, poeti o protagonisti e protagoniste della Resistenza, fra cui: Salvatore Quasimodo, Cesare Pavese, Giorgio Bocca, Irma Marchiani, Liana Catri, Giuseppe Marinetti, Giaime Pintor. Da non dimenticare la fondamentale partecipazione di Michele Banchio con la sua chitarra.

L’iniziativa è realizzata con il contributo della Fondazione CRS e con il patrocinio e la collaborazione del Comune di Racconigi.

Info: 335.8482321 – www.progettocantoregi.it – info@progettocantoregi.it Fb Progetto Cantoregi – Tw @cantoregi – IG Progetto Cantoregi. Ufficio stampa Progetto Cantoregi: Paola Galletto – pao.galletto@gmail.com

g. m.

L’ombra di Pascoli e le campane di Castelvecchio

Il 1895 rappresenta un anno decisivo nella vita di Giovanni Pascoli. Nel settembre si sposa la sorella Ida, causando in lui il secondo “dramma familiare” dopo la tragica morte del padre, assassinato mentre tornava da una fiera il 10 agosto 1867. L’abbandono del “nido” da parte di Ida viene vissuto come un tradimento dal poeta che vede sgretolarsi un nucleo familiare nel quale aveva riposto tutta la fiducia e tutti gli affetti. Da quel momento l’unica fedele compagna della sua vita e depositaria delle sue volontà dopo la morte resterà l’altra sorella Mariù.

Questo è, tuttavia, anche l’anno in cui il poeta si trasferisce a Castelvecchio di Barga, scegliendo, significativamente, per il trasloco il 15 ottobre, data della nascita di Virgilio. Castelvecchio rappresenterà il locus amoenus, l’altro polo geografico dell’esistenza e della poetica pascoliana, insieme alla nativa San Mauro di Romagna.


L’amore per Castelvecchio e per quella villa settecentesca, affascinante e silenziosa, nasce quasi per caso. Il poeta, durante il periodo di insegnamento a Livorno, aveva più volte manifestato il proprio desiderio di trasferirsi in un luogo in campagna nel quale dedicarsi a studi e composizione. Due amici, originari di quel paese, gli indicano Barga e, dopo una visita, Pascoli decide di affittare la villa che, all’epoca, era di proprietà della famiglia Cardosi-Carrara. Caprona presso Castelvecchio di Barga diventa il domicilio definitivo, dal quale Pascoli si distacca soltanto per gli impegni legati alla docenza universitaria. Il poeta impegna nell’acquisto della bella villa a tre piani, immersa nella solitudine e nella pace della campagna, tutti i suoi guadagni e, persino, il ricavato dalla vendita delle medaglie vinte nel concorso di composizione latina di Amsterdam.


“Il giorno fu pieno di lampi;/ma ora verranno le stelle,/le tacite stelle. Nei campi/c’è un breve gre gre di ranelle./Le tremule foglie dei pioppi/trascorre una gioia leggiera./Nel giorno, che lampi! che scoppi!/Che pace, la sera!” Questi versi de’ “La mia sera” ben descrivono l’atarassia raggiunta da Pascoli negli ultimi anni della sua vita, quell’approdo ad un porto sicuro, accogliente, consolatore, a una serenità che gli era stata negata durante l’infanzia e l’adolescenza. Le stelle che il poeta vede comparire a Castelvecchio sono “tacite” e benigne, sono quelle che brillano in un cielo divenuto sereno dopo un violento temporale e che, nella loro immota calma, si contrappongono ai lampi che hanno squarciato l’anima di Pascoli durante il giorno della sua esistenza. Sono le stelle generate dallo spirito di un uomo che sembra essersi finalmente pacificato se non con il mondo almeno con se stesso.

Quegli astri che si aprono nel “cielo sì tenero e vivo” non hanno più nulla in comune con “il pianto di stelle” che inondava l’atomo opaco del male nella notte del 10 agosto e che Pascoli invocava sul padre assassinato, stelle che cadevano come i vortici dei dipinti di Van Gogh, trascinando con sé un dolore violento e terribile, stelle che urlavano, stelle che chiedevano verità e giustizia, simili a Nemesi. Non a torto “I Canti di Castelvecchio”, l’opera della maturità di Pascoli, è considerata dai critici una delle raccolte più riuscite, quel vertice e quella perfezione della lirica che si raggiunge dopo aver tutto sperimentato in vita come nell’arte. “I Canti di Castelvecchio” che Pascoli, volutamente, fin dalla prefazione aggancia a “Myricae” ne rappresentano al tempo stesso un completamento e un’evoluzione. “E sulla tomba di mia madre rimangano questi altri canti…” si legge nell’incipit de’ “I Canti di Castelvecchio” dedica che fa da contraltare a quella di “Myricae” “Rimangano rimangano questi canti su la tomba di mio padre”: la poesia diventa un tributo, un’offerta votiva ai morti, ai cari perduti e mai dimenticati, ai penati, ma anche al pensiero stesso della morte senza il quale, afferma Pascoli, la vita è “un delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico”.


Queste erano le parole che Giovanni Pascoli scriveva in uno studio grande e luminoso con le finestre affacciate sul giardino e sullo splendido panorama delle Alpi Apuane, in quella villa settecentesca, che sembra uscita da un’opera di Guido Gozzano, o forse da un libro di lettura, con le sue stanze vetuste e ombrose, cariche di ricordi e di vita.
Oggi quel luogo, per volontà della sorella Mariù, scomparsa nel 1953, fedele custode delle opere e della memoria di Giovanni è tutto immutato, come se il tempo si fosse fermato per sempre. Il visitatore che varca il cancello di Casa Pascoli ritrova emozioni, sensazioni, voci, fantasmi, ritrova versi, immagini e rumori perché la casa è più viva che mai e ci restituisce intatte, stanza dopo stanza, le impronte di coloro che l’hanno abitata, amata e protetta. Questi luoghi cantati da Pascoli sono, ancora oggi, impregnati della sua presenza e non soltanto perché le sue liriche li hanno resi immortali, ma perché il poeta ha lasciato in essi qualcosa di sé e anche forse perché qui è tornato a dormire il suo ultimo sonno, nella cappella della casa.
Senza evocare atmosfere gotiche che poco si addicono a questa terra assolata si prova quasi la sensazione di passeggiare sulle orme del poeta, di seguirlo lungo i sentieri della campagna che sembrano tracciati con il gesso, nel giardino della villa dove era accompagnato dal cane Gulì, che riposa in un angolo sotto una colonna, monumento funebre alla fedeltà, sentimento che non appartiene all’uomo. E poi ancora di ascoltare con lui campane consolatorie, forse quelle della vicina chiesetta di San Niccolò. “Don… Don… E mi dicono, Dormi!/mi cantano, Dormi! sussurrano,/Dormi! bisbigliano, Dormi!/là, voci di tenebra azzurra…/Mi sembrano canti di culla,/che fanno ch’io torni com’era…sentivo mia madre… poi nulla…/sul far della sera”.

Barbara Castellaro

Si ringraziano il Comune di Barga e il Custode di Casa Pascoli per la preziosa collaborazione

8 settembre 1943, oggi una riflessione serena è possibile

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Anche quest’anno il Comune di Torino ha programmato una cerimonia al cimitero monumentale per l’anniversario dell’8 settembre 1943, quando l’ Italia del tutto impreparata si trovò a far fronte all’armistizio  annunciato dagli Alleati all’improvviso e firmato nei giorni precedenti a Cassibile. Ha senso storico celebrare quel giorno? Sorgono legittime perplessità

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In primis fu un giorno in cui lo Stato italiano sembrò essersi sgretolato insieme all’Esercito lasciato allo sbando.Segnò la rottura con la Germania nazista, non la morte della Patria,come è stato sostenuto in modo errato, ma certamente la sua eclissi. Non fu un  “tutti a casa“ come nel film di Alberto Sordi perché una parte dell’Esercito cercò di resistere e una parte di militari cercò di riprendere le armi nella guerra di liberazione.

Il governo Badoglio, pur in condizioni difficilissime che avrebbero comportato la possibilità di errori da parte di chiunque nel tentativo di far uscire l’ Italia dalla guerra a fianco di Hitler, non fu all’altezza del compito e neppure gli alti comandi militari lo furono. Forse solo il Maresciallo Enrico Caviglia sarebbe stato in grado di affrontare l’arduo compito. L’ episodio eroico di Cefalonia non fu in realtà un atto di Resistenza, ma fu un massacro di Italiani lasciati in balia di se’ stessi. Una parte di responsabilità fu degli Alleati che annunciarono intempestivamente l’armistizio, prendendo in contropiede le autorità italiane. Passare dall’alleanza con Hitler al versante opposto senza danni era impossibile, specie per un paese dove Mussolini era ancora visto come un mito da tanti italiani che non condivideranno  il  “tradimento“ dell’ alleato tedesco. Salvare capra e cavoli era impossibile, ma certamente dal 25 luglio all’ 8 settembre l’’ Italia non fu in grado di prepararsi all’Armistizio in modo adeguato. Il governo non seppe fronteggiare un compito arduo,ma ineludibile, quello di contenere l’invasione dell’esercito tedesco in Italia. Forse non era possibile farlo, ma non fu seriamente tentato. Così ci fu la fuga di Pescara del Governo  e del Re, un altro episodio molto controverso. Il modo in cui avvenne la fuga non fu certamente eroico e forse il Re si giocò la Corona,  trasferendosi in territorio italiano non ancora occupato, preservando Roma dalla sua distruzione come avverrà a Montecassino. Ma quel trasferimento inglorioso avvenuto alla chetichella come era inevitabile, salvò l’ Italia, il re che aveva salvato l’ Italia a Peschiera nel 1917 durante la Grande Guerra, salvò un’altra volta l’ Italia a Pescara, trasferendo il governo e salvando la continuità dello Stato. Un atto eroico di  resistenza forse avrebbe salvato la Corona, ma avrebbe impedito allo Stato italiano di riaversi dopo il tracollo ,ricostituendo il suo esercito. L’8 settembre non è una data esemplare da celebrare perché l’ Italia in guerra, anche in quella maledetta guerra, fu migliore di quella che apparve quel giorno di settembre, considerato simbolicamente come il giorno della resa. E’ una data da cui partire per una serena riflessione storica che a 77 anni di distanza è possibile. Dopo quella data, la guerra non ebbe termine ma riprese con italiani schierati dalla parte del Regno del Sud (su cui scrisse pagine importanti e dimenticate  Agostino degli Espinosa) e dalla parte di Mussolini alleato della Germania, quando il duce creò la Repubblica Sociale: fu la Resistenza, ma anche la guerra civile che lasciarono  tracce indelebili nella storia italiana successiva.

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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Il Castello di Marchierù apre domenica 30

Domenica 30 agosto nell’ambito dell’ Itinerario Dimore Storiche del Pinerolese, circuito a cui hanno aderito castelli,palazzi ed antiche ville private, per lo più finora non aperte al pubblico, sarà visitabile il Castello di Marchierù (Villafranca Piemonte)

Come di consueto, saranno i proprietari del castello, appartenenti alla stassa famiglia che lo occupa dal 1220, ad accompagnare e guidare le visite delle sale ammobiliate, della cappella gentilizia, delle scuderie settecentesche e del parco ottocentesco, dalle10 alle 12 e dalle 15 alle 18.
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Prenotazione obbligatoria al 3405266980 * segreteria@castellodimarchieru.it – segreteria@castellodimarchieru.it 3394105153
Saranno adottati gli accorgimenti necessari alla salvaguardia della salute degli  ospiti, che dovranno essere obbligatoriamente muniti di mascherina ed utilizzare gli igienizzanti predisposti.

Visita guidata: adulti € 8 * bimbi gratis fino a 10 anni* Passport e TorinoPiemontecard € 5

Sulle tracce di Augusto 2000 anni dopo

Julia Augusta Taurinorum: era questo il nome  della città, istituita come colonia proprio da Augusto nel  28 a.c., sulla base di un precedente nucleo coloniale fondato da Cesare; l’impianto tipico romano, a castrum, è ancora intuibile oggi nella forma  del centro cittadino, a struttura quadrata con vie perpendicolari fra loro

Il 19 agosto di oltre duemila anni fa moriva a Roma, a 76 anni, il primo imperatore romano: Gaio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, noto ai più come Augusto. Il bimillenario è stato ricordato  nella capitale con numerose manifestazioni, fra cui l’illuminazione a colori dell’Ara Pacis, ed alcune mostre tutt’ora in corso.

Ma il nome del celebre imperatore e le sue opere non sono esclusivamente legate a Roma: Augusto, nipote dell’altrettanto glorioso Giulio Cesare e suo principale erede, lasciò la sua impronta in diverse città della penisola, come Aosta, Brescia, Ravenna, e la nostra Torino.

Julia Augusta Taurinorum: era questo il nome  della città, istituita come colonia proprio da Augusto nel  28 a.c., sulla base di un precedente nucleo coloniale fondato da Cesare; l’impianto tipico romano, a castrum, è ancora intuibile oggi nella forma  del centro cittadino, a struttura quadrata con vie perpendicolari fra loro. Altri segni di romanità sono disseminati per il centro, fra cui importanti vestigia  di età augustea come le Porte Palatine ed il Teatro: le prime, in ottimo stato di conservazione, costituivano l’ingresso urbano sul lato settentrionale, il secondo, adiacente alle Porte, presenta attualmente solo dei resti.

Per trovare il monumento maggiore legato ad Augusto bisogna però uscire dalla città e spostarsi verso le Alpi, esattamente a Susa: qui si trova l’Arco di Augusto , fatto erigere da Cozio, regnante dei territori alpini, per onorare l’imperatore dopo la stipulazione di un reciproco patto di alleanza. L’Arco, costruito fra l’8 ed il 9 a.c., è posto su un’altura  ad occidente del centro abitato, sulla strada che collega Susa al Monginevro, ed  è costituito da una sola arcata.

Ai quattro angoli poggiano altrettante colonne corinzie, sormontate da capitelli scolpiti con foglie d’acanto, mentre il bassorilievo del fregio rappresenta  una scena di suovetaurilia, parola indicante il sacrificio di una scrofa, una pecora ed un toro-ricorrente presso i romani al costituirsi delle alleanze-ed un’ altra scena, quella del patto stretto fra Augusto e Cozio.  Lo stesso imperatore, di ritorno dalle Gallie, si fermò a Susa, conosciuta all’epoca come Segusium, per inaugurare l’opera a lui dedicata. L’Arco di Augusto e l’adiacente acropoli romana di Susa sono sempre visitabili e gratuite; per maggiori approfondimenti consultare il sito www.cittadisusa.it

Federica De Benedictis

Week-end ai Musei Reali, tra visite speciali dedicate alla Collezione Gualino e al cinema

Sono numerose le iniziative proposte dai Musei Reali in programma questo fine settimana.

Torinesi e turisti potranno, infatti, concedersi momenti speciali e di relax in uno dei luoghi simbolo della Città.

 

Dal virtuale al Reale

Se durante il lockdown l’esperienza di visita si è trasferita sui canali digitali e sulla piattaforma èreale (ereale.beniculturali.it), ogni mercoledì e venerdì alle ore 17 gli approfondimenti tematici tornano in museo con il programma “Dal virtuale al Reale”. Curatori e tecnici dei Musei Reali conducono i visitatori alla scoperta di opere e luoghi meno noti, rivelando inedite curiosità. Il 21 agosto il curatore Giorgio Careddu presenta “Oriente in Armeria Reale. Armi e armature dal continente asiatico”, mentre il 26 agosto l’archeologo Rosario Anzalone conduce i visitatori “Sulle tracce degli Etruschi nel Piemonte preromano”. La visita costa 7 euro.

 

Visite speciali

Sabato 22 e domenica 23 agosto alle ore 15, l’itinerario Bentornato a Palazzo! è visitabile con gli storici dell’arte e le guide di CoopCulture, alla scoperta delle sale di rappresentanza del primo piano di Palazzo Reale, con l’Armeria e la Galleria della Sindone, per scorgere anche il restauro “a vista” dell’altare della Cappella. Il percorso, della durata di un’ora, è fruibile in gruppi composti da massimo 8 persone al costo di 7 euro, oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali. Per una visita individuale, è possibile scaricare MRT, l’App ufficiale dei Musei Reali comprendente l’audioguida completa con oltre 35 ascolti, oppure acquistare al Museum Shop la nuova guida I Musei Reali di Torino, realizzata in collaborazione con CoopCulture e pubblicata da Allemandi Editore in italiano, inglese e francese.

 

Domenica 23 agosto, alle ore 15.30 e alle ore 17, è in programma anche una visita speciale “I mondi di Riccardo Gualino”, visita esclusiva alla Collezione della Galleria Sabauda con affaccio sulla terrazza. La proposta è un progetto CoopCulture per approfondire la collezione, considerata una delle più significative e importanti raccolte italiane del Novecento e che comprende reperti archeologici, arredi, oreficerie, arazzi e tessuti, sculture e dipinti, donati dal grande viaggiatore e imprenditore cosmopolita Riccardo Gualino. Le visite, acquistabili solo online, sono a carattere speciale e per un massimo di 5 visitatori. Per informazioni dettagliate info.torino@coopculture.it.

 

Cinema Reale

Venerdì 21 agosto, alle ore 18, CoopCulture offre al pubblico una visita speciale dedicata al mondo del cinema.  Un affascinante viaggio tra cinema e vita di corte da Barry Lindon di Kubrick a Marie Antoinette di Sofia Coppola un percorso iconografico per scoprire Palazzo Reale attraverso una selezione di suggestioni cinematografiche. È possibile prenotare la visita chiamando il numero 011.19560449 dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 13. Il costo della visita è di 7 euro, oltre al biglietto di ingresso ridotto ai Musei Reali.

 

Attività ai Giardini Reali

Nel weekend continua l’esperienza Welcome green, osservazione guidata alla scoperta delle specie floreali e vegetali che impreziosiscono i Giardini Reali, in programma domenica 23 agosto alle ore 16, al costo di 7 euro. È possibile acquistare il biglietto online sul sito dei Musei Reali www.museireali.beniculturali.it, prenotarsi con un’e-mail all’indirizzo info.torino@coopculture.it o chiamando il numero 011 19560449 dal lunedì al venerdì dalle ore 9 alle ore 13, oppure rivolgersi direttamente in biglietteria il giorno dell’evento o nei giorni precedenti.

 

Sempre domenica 23 agosto, dalle ore 15.30 alle 18.30, i giovani artisti della Pinacoteca Albertina attendono gli appassionati di pittura per il workshop Acquarello Garden, progettato da CoopCulture per imparare a ritrarre i Giardini con la tecnica dell’acquarello. Le lezioni sono aperte per un massimo di 12 partecipanti, al costo di 30 euro per i possessori dell’Abbonamento Musei e 35 euro per i non abbonati (prenotazione obbligatoria via e-mail all’indirizzo info.torino@coopculture.it).

 

Le attività del Caffè Reale

All’interno della suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale, è possibile rigenerarsi con una pausa al Caffè Reale Torino, ospitato in una cornice unica ed elegante, impreziosita da suppellettili in porcellana e argento provenienti dalle collezioni sabaude. Venerdì 21 agosto, i sapori della tradizione piemontese tornano protagonisti grazie alla lezione di cucinasotto il porticato. I partecipanti potranno imparare a preparare il vitello in salsa tonnata, uno dei piatti tipici della cultura gastronomica regionale. L’incontro si terrà dalle 17 alle 19 per un minimo di 12 persone. Il costo è di 20 euro per gli adulti. Informazioni e prenotazioni al numero 335 8140537 o via e-mail all’indirizzo segreteria@ilcatering.net

 

Per i visitatori che si recheranno ai Musei Reali in bicicletta, ogni venerdì, sabato e domenica il Caffè Reale Torino propone l’iniziativa A Palazzo in Bicicletta e offre un dolce assaggio di pasticceria tipica regionale – un bacio di dama, un novarese, un torcetto o una pasta di meliga – a chi si presenti con un casco, una maglietta da corsa o un accessorio legato al mezzo a due ruote ecosostenibile per eccellenza.

 

Cinema a Palazzo

Prosegue anche ad agosto la nona edizione della rassegna d’autore Cinema a Palazzo, ospitata nella suggestiva Corte d’Onore di Palazzo Reale e organizzata da Distretto Cinema. Il programma è pubblicato sul sito dei Musei Reali e di Distretto Cinema (distrettocinema.it). Conservando il biglietto intero degli spettacoli, si potrà accedere ai Musei Reali con ingresso ridotto e, presentando il biglietto intero dei Musei Reali, per assistere alle proiezioni sarà applicata la riduzione a 4 euro. Apertura biglietteria alle ore 21 e inizio proiezioni alle ore 22. I biglietti possono essere acquistati anche online sul sito www.mailticket.it. Per informazioni, 324 8868183 e info@distrettocinema.com.

 

TOward2030. What are you doing?

Fino al 17 gennaio il pubblico potrà visitare l’esposizione dedicata al progetto TOward2030. What are you doing?Ideato da Lavazza e dalla Città di Torino per diffondere la cultura della sostenibilità attraverso il linguaggio della street art, il progetto ha previsto la realizzazione di 18 opere murali ispirate ai Sustainable Development Goals elaborati dall’ONU, 17 obiettivi di sviluppo sostenibile più il Goal Zero, pensato da Lavazza per divulgare gli obiettivi stessi. La mostra, curata da Roberto Mastroianni e da Filippo Masino, presenta nello Spazio Confronti della Galleria Sabauda fotografie e filmati degli artisti al lavoro, mentre nel Boschetto dei Giardini Reali sono riproposti gli scatti delle 18 opere d’arte urbana presenti a Torino, oltre ai lavori di alcuni artisti dei collettivi Il Cerchio e le Gocce, Monkeys Evolution e Truly Design, realizzati durante il live painting inaugurale con il coordinamento di MurArte Torino. Il documentario Street art for the sustainable development, dedicato alla realizzazione del progetto, ha vinto il premio Massimo Troisi al Festival di Salina. Una selezione di immagini tratte dal documentario è visibile in mostra.

 

Le iniziative TOward2030. What are you doing e Cinema a Palazzo sono incluse nel programma “Torino a Cielo Aperto”(www.torinoestate.it/torinoacieloaperto).

 

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MUSEI REALI TORINO
museireali.beniculturali.it

 

Orari

Dal martedì alla domenica: 9 – 19
Orario biglietteria: 9 – 18
Ultimo ingresso ore 18

 

La Biblioteca Reale è aperta da lunedì a venerdì in orario 9-13 e 14-18 (solo consultazione con prenotazione obbligatoria all’indirizzo mr-to.bibliotecareale@beniculturali.it). Dal 10 al 22 agosto 2020, l’orario di apertura sarà il seguente: dalle 8 alle 15.42, con accesso per gli utenti dalle 9 alle 13. Le regole di prenotazione rimangono le stesse.

 

Biglietti

Dal martedì alla domenica

Intero: Euro 15

Ridotto: Euro 13 per partecipanti a visite guidate e per soci FAI

Ridotto: Euro 2 (ragazzi dai 18 ai 25 anni)

Gratuito per i minori 18 anni, insegnanti con scolaresche, guide turistiche, personale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, membri ICOM, disabili e accompagnatori, possessori dell’Abbonamento Musei, della Torino + Piemonte Card e della Royal Card. L’ingresso per i visitatori over 65 è previsto secondo le tariffe ordinarie.

 

Visite ed appuntamenti speciali

Gli appuntamenti sono inseriti nel fine settimana e secondo un calendario consultabile sul sito museireali.beniculturali.it e sulla pagina dedicata www.coopculture.it/heritage.cfm?id=284

 

Nel rispetto delle norme vigenti, negli spazi interni i gruppi saranno formati da un numero massimo di 8 partecipanti.

 

La biglietteria presso Palazzo Reale, Piazzetta Reale 1, è aperta dalle 9 alle 18

 

Informazioni e prenotazioni al numero 011 19560449 o via e-mail all’indirizzo info.torino@coopculture.it

Web: Coopculture.it

foto: Ermano Orcorte