STORIA- Pagina 127

La giornata della memoria a 80 anni dall’Olocausto. Un monito contro il razzismo e un ricordo di chi non si piegò

La giornata della memoria che si celebra ogni anno il 27 gennaio , deve essere, secondo me, non solo il ricordo della follia omicida nazista , scatenata in particolare contro gli ebrei , ma anche il monito perché il razzismo in tutte le sue forme non diventi mai più parte di un programma politico di governo.

Quest’anno voglio parlare dei “buoni”. Di quelli che furono non solo solidali, ma coraggiosi soccorritori degli ebrei perseguitati.

E per ricordarli , mi si perdonerà se porterò una testimonianza personale, diretta , di quanti si misero in gioco dopo l’8 settembre 1943, quando farlo poteva costare molto caro.
Di quei lontani fatti, in casa mia se ne parlava: mia madre e mio padre ( non ancora sposati né conoscenti) avevano aderito entrambi alla Resistenza. Venivano da famiglie antifasciste, vere non quelle che si scoprirono tali il 26 aprile 1945, con i tedeschi in fuga e i repubblichini braccati e arrestati.

Mia madre ( Anna Rosa Gallesio ) fu una dirigente del Cln femminile torinese. Suo padre, sindacalista “bianco”, iscritto al Partito Popolare di don Sturzo, era stato duramente discriminato durante il regime fino a ridurgli la famiglia in miseria, controllato costantemente dalla polizia. Con mia madre operarono anche le mie zie.
Fu dunque “normale” che venisse “arruolata” nel campo partigiano e lo fu nella redazione del quotidiano torinese L’Italia dove lavorava . Così raccontò in un libro edito nel 2008 dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana per ricordare i giornalisti partigiani: “Ho iniziato a fare la giornalista durante la guerra nella redazione torinese dell’Italia. Ero andata a sostituire mio padre, che per tanti anni non aveva potuto lavorare, perchè era un noto antifascista. Il prof Arata ( n.d.r il direttore) lo aveva chiamato a collaborare ( n.d.r nel 1938) .Ma lui si è ammalto e io sono andata a sostituirlo”.

In queste poche righe senza retorica, ci sono già alcune notizie , la prima : il vedersi discriminati fino a perdere il lavoro era il destino di quelli che non volevano piegarsi al regime. La seconda: Mio nonno si “ammalò” di polmonite dopo una aggressione sotto casa da parte di fascisti che volevano vendicarsi del 25 luglio 1943 ( caduta del fascismo). Era inverno , restò alcune ore svenuto in strada, prese una polmonite e morì. Aveva 58 anni. La terza notizia è la risposta alla domanda: come mai un noto antifascista viene chiamato a collaborare a un giornale , dopo tanti anni di discriminazione? Questa domanda si ricollega proprio alle leggi razziali. Ma prima facciamo un po’ di storia .

Precedute dal “Manifesto degli scienziati razzisti” (14 luglio 1938), sottoscritto da 180 scienziati e redatto dallo stesso Mussolini, e sostenute da una campagna di stampa massiccia, le leggi razziali in Italia uscirono a più riprese, a partire dal 5 settembre 1938, e furono immediatamente seguite dalle ordinanze applicative. Le prime ordinanze furono, i provvedimenti per la difesa della “razza” nella scuola italiana che esclusero studenti e professori ebrei da tutte le scuole del Regno.
Bisogna dire che l’antisemitismo non era nel programma originario del fascismo, al quale , anzi , larga parte degli ebrei italiani avevano aderito. Un nome fra tutti: quello di Margherita Sarfatti, già socialista come il duce, ambiziosa ,colta e intelligente donna dell’alta borghesia milanese che era stata una fascista della prima ora, e una delle muse ispiratrici di Mussolini di cui fu l’ amante fino al 1933.

Le leggi razziali, pur precedute da un progressivo avvicinamento del duce a Hitler, piombarono così sulla comunità ebraica italiana come un fulmine a ciel sereno.
Ma anche gran parte dell’opinione pubblica italiana fu sorpresa e incredula ,influenzata dalla aperta ostilità della Chiesa Cattolica .Il papa Pio XI aveva dettato una linea precisa e le condannò anche in discorsi pubblici, come quello del 18 settembre 1938, due settimane dopo la loro emanazione in cui disse : “ L’antisemitismo è un movimento al quale noi cristiani non possiamo affatto partecipare…spiritualmente noi siamo dei semiti”. Discorsi naturalmente taciuti dalla stampa italiana , pubblicati solo sull’Osservatore romano ( spesso sequestrato nelle edicole) e sulla stampa estera. Anche alcuni alti gerarchi fascisti erano contrari , come Italo Balbo che ne parlò al Re ,in visita agli inizi del 1937 in Libia , dove Balbo era governatore: “ Io sono qui in Africa, ma mi arrivano certe notizie sugli ebrei. Non faremo certo l’imitazione dei tedeschi!…” disse a Vittorio Emanuele III . E quando fu approvato il “Patto d’acciaio” con la Germania nazista aveva detto a Mussolini e Ciano : “ finirete tutti a fare i lustrascarpe di Hitler!”.

Rispondo dunque alla terza domanda: mio nonno fu chiamato a lavorare al quotidiano cattolico l’Italia proprio dopo le leggi razziali e la sempre più stretta alleanza dell’Italia fascista con Hitler. La Chiesa cattolica, che già aveva avuto forti dissapori con il regime nel 1931( tentativo di abolizione dell’Azione cattolica) ne voleva prendere decisamente le distanze e radunava i vecchi “popolari” in vista del “dopo” Mussolini . In quei mesi ci fu infatti un complotto internazionale, noto come “Orchestra nera”, di cui il Vaticano era informato, per far fuori Hitler e di conseguenza far cadere il duce, ed evitare la guerra. Tentativo poi messo in opera il 20 luglio del 1944,ma fallito nel sangue, ad opera dell’eroico colonnello von Stauffenberg.
Ma torniamo alle leggi razziali. Nell’azione clandestina di mia madre un posto particolare ebbe il soccorso agli ebrei perseguitati, a cui fu chiamata dal Cardinale di Torino Maurilio Fossati, che aveva ricevuto precise disposizioni dal Vaticano.

Scrive ancora mia madre: “ La redazione dell’Italia era diventata un punto di incontro: non solo preparavamo il giornale antifascista clandestino che si distribuiva attraverso le parrocchie, ma aiutavamo anche gli ebrei in collaborazione con il cardinale Fossati e il suo segretario mons. Barale. La cosa più importante era procurare agli ebrei documenti falsi. A prepararli era un piccolo comune ( n.d.r Santa Margherita Ligure) che aveva i timbri giusti per falsificarli. Poi andavamo a prenderli dal vescovo di Genova”.
Così la giovane partigiana tornava a Torino, con indosso le carte false, contando sul fatto che una ragazza dall’aria innocente non venisse fermata e perquisita .
Un giorno però i tedeschi fecero irruzione in vescovado , a Torino, con prove schiaccianti e arrestarono mons. Barale. Fu tradotto in un campo di transito in Lombardia in attesa di essere inviato in un lager. Si salvò perchè si era ormai alla fine della guerra e poco dopo arrivò la liberazione.
Diretti testimoni come i miei genitori confermavano quanto scritto dallo storico del fascismo Renzo De Felice: “ la persecuzione antisemita è stata una delle tappe più significative della storia del fascismo: Con essa il regime divorziò pubblicamente dal popolo italiano, dalla sua mentalità, dalla sua storia”.

Ma allora perché fu possibile ? perché quasi tutti tacquero? Bisogna tener conto che l’Italia viveva sotto una dittatura severa, che buona parte dei dirigenti fascisti si uniformò, come i più fanatici militanti, e poi la paura delle conseguenze a partire dal posto di lavoro. Naturalmente ci furono anche i vigliacchi, i profittatori , i traditori. Furono forse tanto numerosi quanto i “buoni” più coraggiosi . Ma la stragrande maggioranza della gente non collaborò, soprattutto quando la politica del fascismo nei confronti degli ebrei subì una svolta radicale a partire dal 1943, dopo l’8 settembre e la costituzione della Repubblica di Salò: quando si passò dalla discriminazione all’eliminazione sotto la regia tedesca.
Gli ebrei residenti in Italia , italiani e stranieri, al momento delle leggi razziali (in Italia ne erano arrivati circa 10 mila negli anni Trenta in fuga soprattutto dalla Germania) erano una piccola minoranza: circa 60-70 mila.

6800 furono deportati, circa il 10% dei cittadini di “razza ebraica o parzialmente ebraica” che erano in Italia. Quasi il 90% si salvò.
Dietro a ogni ebreo catturato vi fu la delazione di italiani attratti dalla ricompensa offerta e lo zelo di fanatici repubblichini.
Ma d’altro lato gli ebrei furono aiutati da una vasta rete di solidarietà, che fu favorita in primo luogo dalla fitta rete di contatti familiari e sociali che gli ebrei italiani avevano con non-ebrei.
Privati cittadini, ma anche istituti religiosi, orfanotrofi, parrocchie aprirono le loro porte ai fuggitivi. La geografia dei luoghi di rifugio offre una immagine molto vasta delle dimensioni del fenomeno.

A conferma, cito ancora una testimonianza che mi è stata fornita da un amico valdese. In quelle valli si rifugiarono diverse famiglie ebree . Scrisse la componente di una di esse , Franca Debenedetti Loewenthal ,sulla rivista “La Beidana” di Torre Pellice: “in quel momento sulla testa di ogni ebreo c’era una taglia con una cifra consistente, che veniva data a chi
avesse denunciato la presenza di un ebreo. Molti miei correligionari subirono questo destino, proprio per la delazione di alcune persone. Invece la popolazione di Rorà si dimostrò sempre molto solidale con noi, tacque, non parlò, non ci tradì, nessun ebreo nella Val Lusema venne preso dai tedeschi né venne deportato per la delazione della popolazione.”

Paolo Girola

Primo Levi in piazza Castello

L’esposizione Primo Levi. Momenti si sposta nella Sala Trasparenza della Regione Piemonte in piazza Castello 165 a Torino

 

Nell’ambito di Io so che cosa vuol dire non tornare, il ciclo di incontri dedicato alla Memoria e alla figura del grande scrittore, organizzato dalla Fondazione Circolo dei lettori in collaborazione con il Centro Internazionale di Studi Primo Levi, la mostra Primo Levi. Momenti si sposta nella Sala Trasparenza di piazza Castello 165 a Torino.

 

Realizzata in collaborazione con la Regione Piemonte, l’esposizione sarà allestita nella Sala Trasparenza di piazza Castello all’angolo con via Palazzo di Città, dalle ore 16 di mercoledì 27 gennaio, in occasione delle celebrazioni del Giorno della Memoria 2021. Dal momento che la mostra non sarà visitabile in presenza, il particolare allestimento in vetrina consentirà ai passanti di osservare la selezione di ritratti e gettare uno sguardo nella vita di Primo Levi.

 

Il percorso, curato da Guido Vaglio, presenta alcune significative immagini fotografiche di Primo Levi che rimandano alla sua quotidianità, alla testimonianza sul Lager, alla formazione e alle sue passioni: la chimica, la letteratura, la montagna, accanto al piacere del fantastico, l’umorismo, la curiosità per tanti e differenti campi del sapere. Questa sequenza di immagini si è voluta intitolare Momenti, a sottolinearne il carattere. Si tratta di frammenti, capaci di restituirci il senso di una vita, una storia, un’opera. Brevi testi tratti da romanzi, racconti, poesie, interviste di Levi che diventano una sorta di controcanto alle immagini capaci di rimandarci a un universo denso e multiforme, evocando la sua complessa figura.

 

In Primo Levi, tradotto in oltre 40 lingue, c’è molta Torino, la sua città natale, ma anche e soprattutto luogo di elezione di cui parla con convinzione, orgoglio e affetto.

Io so cosa vuol dire non tornare è un progetto di Fondazione Circolo dei lettori, realizzato con Centro Internazionale di Studi Primo Levi, in collaborazione con Regione PiemonteGiulio Einaudi EditoreTPE – Teatro Piemonte EuropaComitato Nazionale per le Celebrazioni del Centenario della Nascita di Primo LeviMinistero dell’IstruzioneFondazione Leonardo SinisgalliComune di Novara e Comune di Settimo Torinese.

Bersaglieri, all’assalto!

Alla scoperta dei monumenti di Torino / Il monumento venne posizionato all’interno del Giardino Lamarmora, un piccolo giardino di 6200 metri quadrati, donato nel 1862 alla Città di Torino da Alfonso Lamarmora (fratello minore di Alessandro). Il monumento celebrativo al Centenario venne posizionato vicino all’opera dedicata ad Alessandro Lamarmora, fondatore del corpo militare

Situata nel giardino Lamarmora, all’angolo tra via Bertola e via Stampatori, si innalza una massiccia struttura lapidea di forma quadrangolare. Nella parte frontale un rilievo bronzeo raffigura un manipolo di bersaglieri che muove compatto all’assalto, animato e guidato dall’allegoria alata della Patria vittoriosa. Dalla rigida struttura di pietra sporgono i corpi dei militari che, macabri e scavati, contemplano e quasi scavalcano un compagno morente completamente nudo.

Le due parti, ossia il gruppo bronzeo e la struttura lapidea, sembranoessere poste in totale disarmonia tra loro, oscillando tra vibrazioni di forme ed instabili equilibri; grazie a tutti questi elementi, la scultura assume un messaggio significante, riflettendo sui temi della morte e della memoria.

Le prime notizie del monumento al Centenario dei bersaglieri risalgono al 1936, occasione in cui si festeggiarono i 100 anni della fondazione dell’arma che, per volere di Benito Mussolini, si svolse con due adunate: la prima a Torino e la seguente a Roma. L’idea di commemorare i caduti di un corpo militare nacque dalla volontà dei commilitoni di ricordare le imprese dell’arma e i loro compagni deceduti.

Fu il presidente generale della sezione del corpo torinese, Luigi Bossi, di concerto con tutte le sezioni dell’Associazione Nazionale Bersaglieri, che decise di commemorare l’anniversario con un segno tangibile e permanente da tramandare a ricordo del grande raduno e a venerazione delle stirpi future.

Durante l’assemblea convocata dal Podestà di Torino per decidere che tipo di monumento erigere in onore della commemorazione, Luigi Bossi fece presente che vi fosse già un altorilievo dedicato ai bersaglieri del IV reggimento della caserma Monte Grappa, sede del reggimento omonimo. Il monumento venne eretto nel 1923 grazie ad una sottoscrizione popolare e fu completamente realizzato dallo scultore Giorgio Ceragioli.

L’opera del Ceragioli, carica dello spirito bersaglieresco, costituì (dal 1923 fino al quel momento) la parte superiore della lapide murata all’esterno della caserma. Nel 1936, però, con il passaggio del IV bersaglieri dalla regione Crocetta a via Asti, secondo il presidente della sezione, l’opera per ragioni ideologiche e di prassi conservative non ebbe più ragione di stare in strutture militari o affini.Venne così proposta, da Luigi Bossi, la nuova collocazione del monumento nel centro di Torino, in onore sia alla stessa città che, sotto Carlo Alberto, diede vita al corpo militare, sia alla commemorazione della nascita dell’arma.

Su volontà del Capo del Governo e in base agli ordini del Ministro dell’Educazione Nazionale, la Città di Torino provvide alla rimozione del monumento dalla caserma e incaricò uno scultore sconosciuto di costruire, in un tempo molto ridotto, il basamento lapideo sul quale, ancora oggi, si inserisce l’altorilievo.

Il monumento venne posizionato all’interno del Giardino Lamarmora, un piccolo giardino di 6200 metri quadrati, donato nel 1862 alla Città di Torino da Alfonso Lamarmora (fratello minore di Alessandro). Il monumento celebrativo al Centenario dell’arma venne posizionato vicino all’opera dedicata ad Alessandro Lamarmora, fondatore del corpo militare.

Anche per oggi la nostra passeggiata alla ricerca delle meraviglie della città termina qui. L’appuntamento è per la prossima volta con Torino e i suoi splendidi monumenti.

Simona Pili Stella

(Foto: Museo Torino)

“Fare memoria”, il progetto digitale dello Stabile

È partito il 21 dicembre 2020 FARE MEMORIA, progetto digitale dedicato alla Giornata della Memoria promosso dal Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e dal Liceo Scientifico Carlo Cattaneo di Torino.

Un percorso lungo un mese, realizzato completamente da remoto, in cui 4 classi (per un totale di circa 75 studenti coinvolti, divisi in piccoli gruppi di lavoro), nell’ambito delle ore di Educazione Civica, riflettono e fanno loro i temi della shoah attraverso il teatro e lo studio di alcuni celebri spettacoli dedicati a questo tema, tra cui Se questo è un uomo di Primo Levi e La vita offesa nella riduzione di Anna Bravo e Daniele Jalla.

A dare supporto ai ragazzi, e alle loro docenti che hanno fissato i temi cardine, si sono attivati il settore Partecipazione e Sviluppo Culturale e il Centro Studi del Teatro Stabile di Torino, che hanno fornito preziosi materiali estratti dall’Archivio digitale del TST –  https://archivio.teatrostabiletorino.it/ – e collaborato alle attività di ricerca sulle opere teatrali che negli anni hanno affrontato il tema dell’Olocausto.

Il risultato del lavoro svolto dagli allievi, arricchito da foto d’archivio, infografiche e contributi audio incisi dagli stessi ragazzi (come piccoli podcast) verrà presentato il 27 gennaio ai compagni delle prime classi, in un ideale passaggio di testimone.

Un’occasione unica per gli studenti coinvolti, che non solo hanno trovato modi originali per diventare ‘voci’ della memoria, ma hanno acquisito in itinere competenze preziose per la loro futura carriera scolastica e più in generale per la vita di cittadini: un efficace metodo di consultazione dell’Archivio e della biblioteca digitale del TST, e soprattutto lo studio critico delle fonti, bussola per orientarsi con maggiore sensibilità nella sovraccarica mediasfera del mondo contemporaneo.

“Il Museo dell’Artiglieria deve tornare alla Cittadella (e farlo in tempi brevi)”

Magliano: “Lunedì in Consiglio Comunale la mia nuova interpellanza sul tema”

Caro direttore, centotrent’anni: da tanto dura il vincolo che impone di destinare la Cittadella a sede Museo Storico Nazionale d’Artiglieria.

Questa condizione fu posta al momento della cessione del bene al Comune di Torino (1891): dal 2008, tuttavia, data di inizio dei lavori di ristrutturazione, tutti gli allestimenti e i documenti sono sono stati trasferiti presso la Caserma “Carlo Amione” in piazza Rivoli. Qui, le condizioni di contesto non sono adatte non dico all’esposizione, ma forse neanche alla conservazione di un patrimonio storico-culturale di tale prestigio, natura e dimensione; lo stesso locale messo a disposizione dell’Associazione Amici del Museo (la cui attività è ferma da due anni) quale ufficio e archivio è stato dichiarato inagibile. Torno lunedì in Consiglio Comunale, dopo i quesiti da me discussi nel 2018, a presentare un’interpellanza sul tema. Non pare siano stati avviati studi per un riallestimento museale della parte già agibile della Cittadella: per il rifacimento, ritenuto indispensabile, del padiglione laterale manca ancora il finanziamento (circa 10 milioni di euro): tempi lunghi, dunque? Quanto esattamente? Urge sollecitare il Ministero della Difesa a utilizzare al più presto il Mastio per ripresentare al pubblico il patrimonio del Museo. Mi aspetto risposte puntuali e convincenti: il Museo dell’Artiglieria deve tornare a far parte a pieno titolo del patrimonio culturale e dell’offerta turistica di Torino.

Silvio Magliano – Capogruppo Moderati, Consiglio Comunale Torino

Alla Gipsoteca di Casale l’eredità artistica di Bistolfi

Leonardo Bistolfi: finalizzato l’accordo tra famiglia e Comune.  Il sindaco Federico Riboldi: «Grazie alla fiducia della famiglia, l’importante patrimonio artistico sarà a disposizione del grande pubblico» 

A 88 anni dalla morte, il percorso artistico del grande scultore Leonardo Bistolfi si riunisce e si ricompone nella sua città natale: Casale Monferrato. Dopo la scomparsa dell’ultimo erede, Andrea, nel giugno del 2019, la vedova Vanda Martelli Bistolfi aveva intrapreso un dialogo con il Comune per una nuova collocazione della collezione, individuata al Museo Civico, e in particolare alla Gipsoteca Bistolfi, che, con la firma dei giorni scorsi, diventa proprietario e custode dell’importante patrimonio artistico e documentale appartenuto al celebre scultore.

La firma ufficiale sull’atto di donazione è stata posta martedì 19 gennaio a Torino da parte del sindaco Federico Riboldi e della signora Vanda Martelli, sotto la supervisione del notaio Marina Aceto.

Al Comune di Casale Monferrato giungerà così il patrimonio artistico della famiglia Bistolfi, costituito da sculture, dipinti, disegni, opere grafiche, taccuini, materiali d’archivio e libri, tutti provenienti direttamente dallo studio dello scultore che morì nel 1933 e le cui spoglie sono tumulate nel famedio del cimitero monumentale della città.

Numerosi sono stati i contatti intercorsi nei mesi scorsi tra l’Amministrazione Comunale, il Museo e la signora Martelli al fine di giungere a questo importante obiettivo. Fondamentale è stata anche l’inventariazione analitica dei beni affidata a Sandra Berresford, professoressa, studiosa ed esperta del settore, nonché apprezzata e indiscussa conoscitrice del percorso artistico di Leonardo Bistolfi.

Quella di martedì è comunque solo la formalizzazione di un percorso che ha sempre legato la città di Casale Monferrato, in particolare il Museo, e la famiglia Bistolfi: risale infatti al 1984 la primissima mostra dedicata allo scultore, iniziativa che aveva dato l’avvio allo studio delle opere, alla pubblicazione di un catalogo e a una campagna di restauri. A seguire, nel 1995 la prima donazione di opere d’arte per volontà di Andrea, in occasione dell’apertura del Museo Civico, per poi consolidarsi nel 2001 con l’aggiunta di nuove opere destinate alla quinta sala della Gipsoteca.

I coniugi Bistolfi, inoltre, non mancavano di essere presenti a Casale Monferrato nelle varie occasioni ufficiali: inaugurazioni di mostre, convegni, presentazioni.

Le dichiarazioni

Il sindaco Federico Riboldi: «L’amministrazione è grata e riconoscente alla signora Bistolfi della fiducia riposta nei confronti della città di Casale Monferrato, e in particolare al Museo Civico, e per aver aperto le porte della sua abitazione che hanno conservato finora con tanta cura e devozione ogni minima testimonianza proveniente dallo studio dello scultore».

Il vicesindaco Emanuele Capra: «Riteniamo questa donazione, che implementa e completa la collezione del Museo, di enorme importanza per la nostra Amministrazione, che ha tra i suoi obbiettivi quello di dare a Bistolfi la giusta valorizzazione affinché diventi uno dei principali motivi di richiamo del turismo culturale».

L’Assessore alla Cultura, Gigliola Fracchia: «Con questa donazione la nostra Gipsoteca e la nostra città potranno diventare il polo per gli studi e gli approfondimenti sulla vita artistica di uno dei più importanti scultori simbolisti d’Italia, capace con le sue opere di abbellire e arricchire piazze, teatri, palazzi e cimiteri in tutto il Mondo».

La conservatrice del Museo Civico – Gipsoteca Leonardo Bistolfi, Alessandra Montanera: «È questa un’occasione straordinaria. I materiali che verranno conferiti al Museo di Casale Monferrato rappresentano un’eredità culturale unica, che permetterà di riunire in un solo luogo oggetti preziosi che consentiranno di approfondire il percorso artistico e umano di questo grande artista, concorrendo alla valorizzazione della sua figura. L’acquisizione, il trasferimento e le prime operazioni volte alla tutela e alla conservazione di questo prezioso giacimento culturale, saranno programmate per renderlo il prima possibile accessibile e fruibile a tutti».

La collezione

La collezione che giungerà a Casale Monferrato consiste in opere di diretta produzione di Leonardo Bistolfi: 20 terrecotte e terrecrude, 9 opere in metallo, 20 in plastilina, 170 sculture in gesso, una in marmo, una cinquantina di medaglie in gesso e una quarantina di monete in metallo, una vastissima collezione di disegni di vario formato racchiusi in album e cartelle, 50 dipinti di formato medio e piccolo, 35 taccuini, miscellanea e memorabilia, corrispondenza da e a Bistolfi e l’archivio famigliare. A questo notevole corpus di opere si aggiungono altri materiali di artisti a lui contemporanei: sculture, dipinti, opere grafiche, una vasta biblioteca e una raccolta di riviste d’epoca.

La Gipsoteca oggi

La Gipsoteca di Leonardo Bistolfi (Casale Monferrato, 1859 – La Loggia, Torino 1933), ospita, al pian terreno del Museo Civico, oltre centosettanta opere tra terrecotte, disegni, plastiline, bozzetti e modelli in gesso, alcuni marmi e bronzi provenienti dalla donazione del banchiere casalese Camillo Venesio del 1958 e integrati, in seguito, con donazioni e opere in deposito dalla famiglia Bistolfi.

Tali materiali permettono di comprendere le diverse fasi del procedimento artistico di Bistolfi, uno dei maggiori interpreti, a livello internazionale, del Simbolismo: dal bozzetto in terracotta in cui lo scultore fissava con immediatezza la prima intuizione, al successivo bozzetto in gesso, al modello definitivo che concretizzava l’idea finale e costituiva l’effettiva realizzazione dell’opera, prima della sua trasposizione in marmo e bronzo.

Le opere esposte documentano l’articolato percorso artistico di Bistolfi: dagli esordi che lo legano alle esperienze lombarde coeve della Scapigliatura – Gli amanti (1883) –  intervallate da piccoli gruppi di gusto verista – Il boaro (1885) – fino all’elaborazione di un linguaggio proprio, in cui figura e simbolo daranno vita a una personalissima poetica che troverà riscontro in numerose committenze private e pubbliche, molte di queste legate alla scultura funeraria e celebrativa.

Sarà La sfinge (1890) per il Monumento funerario Pansa di Cuneo a consacrarlo scultore simbolista, a cui seguiranno opere memorabili come Il dolore confortato dalle memorie (1898) o Il funerale di una vergine (1899) o ancora Resurrezione (1902) e La Croce (1899). Ma di Bistolfi sono altrettanto noti i  monumenti celebrativi, realizzati per Giovanni Segantini (1899), Giuseppe Zanardelli (1908), Cesare Lombroso (1921), Giosuè Carducci (1908-1928) e quelli per Giuseppe Garibaldi (1908 e 1928), a cui si aggiungono numerosi ritratti e targhe commemorative.

La Gipsoteca domani

La ricezione dei materiali a Casale Monferrato, che avverrà a lotti con ditte specializzate  nel settore del trasporto di opere d’arte e sotto la supervisione del personale museale,  prevede la collocazione iniziale in locali di deposito. Si verificherà lo stato conservativo e le modalità idonee per la corretta conservazione, oltre agli interventi di manutenzione, attraverso la collaborazione della competente Soprintendenza.

Si procederà quindi all’esecuzione di una campagna fotografica ad alta risoluzione e alla digitalizzazione dei materiali cartacei che verrà utilizzata non solo a uso interno del Museo, ma resa disponibile anche attraverso la consultazione online, con modalità di accesso controllate.

Il futuro della Gipsoteca, quindi, sarà quello non solo di sala espositiva, ma di luogo di riferimento per gli studi su Leonardo Bistolfi, a cui ci si potrà rivolgere per la consultazione degli archivi dello scultore. È inoltre in cantiere un progetto digitale di geolocalizzazione delle opere dell’artista collocate sul territorio italiano: tale operazione interessa musei, cimiteri, palazzi storici, enti pubblici e privati a cui il Museo ha chiesto la collaborazione al fine di creare una mappatura elettronica, che verrà resa disponibile sul sito web. Uno strumento turistico, ma anche di approfondimento, che permetterà di mettere in dialogo il monumento realizzato e il modello in gesso o il bozzetto preparatorio o il disegno conservato in Museo.

In attesa di dare attuazione ai progetti di effettiva valorizzazione della Gipsoteca, che oltre a prevedere un intervento di parziale ristrutturazione dei locali attuali non escludono la creazione di un vero e proprio museo dedicato, si stanno valutando le modalità per rendere immediatamente fruibili al pubblico le opere donate: si potranno predisporre esposizioni parziali o a rotazione, la creazione di eventi di valorizzazione, l’inserimento di alcune opere nel percorso espositivo della Gipsoteca o l’istituzione di un “deposito aperto”, oltre alla completa messa a disposizione della collezione ai visitatori tramite strumenti multimediali.

Leonardo Bistolfi

Leonardo Bistolfi nasce a Casale Monferrato il 15 marzo del 1859 da Giovanni, di professione intagliatore e scultore ligneo, e da Angela Amisano. Ottiene nel 1874 una borsa di studio dal Comune di Casale Monferrato per frequentare l’Accademia di Brera a Milano. Condivide con i compagni di studi Segantini, Previati, Sottocornola il clima scapigliato della città lombarda. Desiderando studiare con lo scultore Odoardo Tabacchi si trasferisce a Torino, e da subito partecipa alle annuali Esposizioni della Società Promotrice di Belle Arti presentando piccoli gruppi di ispirazione verista (Boaro, Piove, Terzetto).

La sua originale interpretazione della poetica del simbolismo (di cui Bistolfi è considerato il maggior scultore europeo) trova espressione nei grandi monumenti funerari. Sono dell’ultimo decennio degli anni Novanta La sfinge a Cuneo, La bellezza della morte a Borgo San Dalmazzo, Il dolore confortato dalle memorie a Torino e il grande monumento commemorativo per Giovanni Segantini, La bellezza liberata dalla materia, che verrà eretto a Saint-Moritz nel 1906.

In questo periodo entra a far parte di numerosi circoli culturali torinesi condividendo le idee socialiste di Giovanni Cena e l’approccio alla scienza positivista di Cesare Lombroso.

È promotore, e in seguito vicepresidente, dell’importantissima Esposizione d’Arte Decorativa Moderna tenutasi a Torino nel 1902, per la quale fornirà anche il disegno del manifesto.

Alla VI Esposizione Internazionale della Città di Venezia del 1905 gli viene dedicata una sala personale in cui espone oltre venti opere, tra cui il gesso del grandioso portale per la cappella Hierschel De Minerbi, Il funerale di una vergine. In quell’occasione ottiene la medaglia d’oro per la scultura. Giunge nel 1908 l’incarico, affidatogli “per chiara fama”, dal Comune di Bologna per commemorare, con un imponente gruppo marmoreo, il poeta Carducci.

L’opera terrà lo scultore impegnato per circa vent’anni. Segue il gruppo de Il sacrificio per il Monumento a Vittorio Emanuele II di Roma. Precedentemente Bistolfi era stato nominato nella commissione per il progetto del monumento ma si era subito dimesso per contrasti sull’impostazione complessiva dell’opera.

Sono degli anni Venti lo straordinario Monumento a Garibaldi a Savona, il Monumento ai Caduti di Casale Monferrato e quello per i Caduti di Torino. Di quest’ultima opera esegue i bozzetti e parte dei modelli ma il sopraggiungere della morte, nel settembre del 1933, gli impedirà di portarla a termine.

Contatti e riferimenti

Museo Civico e Gipsoteca Leonardo Bistolfi

Via Cavour, 5 – Casale Monferrato

www.comune.casale-monferrato.al.it/museo

www.comune.casale-monferrato.al.it/gipsoteca-bistolfi

museo@comune.casale-monferrato.al.it

 

 

“Promemoria_Auschwitz”. Il “viaggio della memoria” continua online

Visita virtuale per i giovani piemontesi all’ex lager di Auschwitz-Birkenau

Si parte mercoledì 27 gennaio

Sarà un viaggio virtuale. Ma non per questo privo di toccanti e dure emozioni, così come dell’invito forte a tenere viva la dolorosa ma salvifica memoria legata agli orrori inumani perpetrati dall’ideologia nazista, raccapricciante flagello storico inneggiante allo sterminio di massa. In questo anno in cui non è possibile spostarsi fisicamente, Promemoria_Auschwitz continua, infatti e comunque, il suo viaggio. Il progetto, organizzato dal 2013, per quanto riguarda il Piemonte,dall’Associazione “Deina Torino” e dal Comitatosubalpino dell’Arci (insieme a numerosi enti di tutta Italia fra i quali comuni, regioni, università, istituti storici), vede per il 2021 il coinvolgimento di oltre 1200 studenti piemontesi, che “entreranno” nell’ ex lager di Auschwitz-Birkenau attraverso una visita virtuale realizzata tramite riprese a 360 gradi che darà loro la possibilità di scoprire la storia e le memorie del luogo, vivendo in parallelo un’esperienza intensa e di forte impatto emotivo e conoscitivo. In tutta Italia saranno oltre 2mila i giovani coinvolti nel progetto, che nel corso degli anni si è sempre proposto come viaggio della memoria in treno coivolgendo complessivamenteoltre 16mila giovani tra i 17 e i 25 anniSiamo profondamente convinti – dice Cristina Lentini, presidente di Deina che un percorso di conoscenza di questo tipo non trovi il suo significato solo nel vivere un’esperienza di viaggio, che certo è fondamentale, ma sia  fatto di condivisione, di scambio, di apprendimento, di crescita personale, di consapevolezza e di scelte su che tipo di cittadini vogliamo essere oggi e domani . Abbiamo trascorso – prosegue Lentini – questo 2020 ridefinendo i contenuti dei percorsi educativi e laboratoriali dei nostri progetti, proponendo itinerari di educazione civica alle scuole, realizzando una formazione nazionale per i nostri tutor e immaginando un nuovo modo per viaggiare, incontrarci e partire insiemePer questo, da mercoledì 27 gennaio gli studenti parteciperanno a questo viaggio virtuale immersivo che li porterà a visitare Cracovia e l’ex campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau. In remoto, da casa propria o in presenza in classe, quando sarà possibile, ma sempre insieme, in una visita digitale che offre l’opportunità di vivere quest’esperienza da una prospettiva nuova, muovendo liberamente lo sguardo, osservando e ascoltando le storie di quei luoghi, accompagnati da una guida del Memoriale di Auschwitz-Birkenau. Un’esperienza importante, intensa e istruttiva, fondamentale nei giorni presenti, ma importante anche in un’ ottica futura, perché accessibile a tutti.

 Il progetto – che si svolge interamente online –accompagna i 1200 studenti coinvolti lungo tutto l’anno scolastico: si parte mercoledì 27 gennaio con le prime due conferenze al mattino rivolte alle scuole di Moncalieri e Alba, cui seguiranno un ciclo di laboratori in preparazione dell’esperienza, la visita virtuale guidata dell’ex lager di Auschwitz-Birkenau e un percorso di approfondimento successivo alla visita.

 

La sera di mercoledì 27, appuntamento aperto a tutti indiretta Facebook www.facebook.com/moncalierigiovane, dalle 21  alle 23. Ospiti della serata, realizzata con il sostegno del Comune di Moncalieri, lo storico Francesco Filippi, autore per Bollati Boringhieri de “Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo” ( che interverrà su “Le colpe del fascismo tra memoria e oblio)Tommaso Speccher, docente di filosofia alla Freie Universität Berlin Department of Philosophy and Humanities, che parlerà de “ll peso dei crimini nazisti nella storia tedesca” e lo storico Carlo Greppi, scrittore e collaboratore di Rai Storia, con un focus su “Perché abbiamo deciso di ricordare“.

 

Sono inoltre previsti incontri di formazione sul tema della memoria cui parteciperanno altri 1700 studenti piemontesi, arrivando a coinvolgere oltre 3000 studenti della regione in molteplici e inerenti attività.

 

Per maggiori informazioni www.deina.it. Le foto presenti nel testo sono di Stefano Bellumat e di Simone Cargnoni.

g. m.

Audrey, icona di stile e angelo dei diseredati

20 gennaio 1993. Si spegneva a Tolochenaz, in Svizzera, Audrey Hepburn, icona di stile e di classe. Il suo mito ancora oggi continua a vivere e, a differenza di molte altre attrici, la Hepburn conserva intatto il suo fascino, influenzando le giovani generazioni che continuano a eleggerla a modello di bellezza.

Audrey Kathleen Ruston Hepburn disse un giorno al figlio Sean Ferrer “Se dovessi scrivere una biografia, la incomincerei così: Sono nata a Bruxelles, in Belgio, il 4 maggio 1929… e sono morta sei settimane dopo”. Per un attacco di pertosse, infatti, la piccola Audrey smise per qualche istante di respirare, situazione alla quale sua madre pose rimedio con una bella sculacciata e con qualche preghiera.

La Hepburn non riteneva la propria vita interessante. La sua infanzia fu scandita dall’abbandono del padre e dalla guerra. L’Olanda, dove viveva, subì, infatti, una delle occupazioni più lunghe: fu uno dei primi Paesi a essere invaso e uno degli ultimi a essere liberato. Come tanti altri bambini diede il proprio contributo alla Resistenza, trasportando messaggi segreti e come tanti altri bambini rimase profondamente colpita dalla deportazione di intere famiglie di ebrei. “Ho visto famiglie intere con bambini e neonati ammucchiati in vagoni bestiame, treni con grandi vagoni di legno e solo una piccola apertura sul tetto (…) Tutti gli incubi che mi hanno ossessionato successivamente erano legati a queste scene” confesserà Audrey anni dopo.
E poi ancora “La guerra mi ha lasciato in eredità una profonda consapevolezza delle sofferenze umane e spero che molti giovani non la debbano conoscere mai. Le cose che ho visto durante l’Occupazione mi hanno resa molto realista nei confronti della vita e da allora ho continuato a esserlo. Sono uscita dalla guerra riconoscente di essere in vita e cosciente che le relazioni umane sono la cosa più importante, molto più importante della ricchezza, del cibo, del lusso, della carriera o di qualunque altra cosa si possa citare”.

Dopo la Liberazione Audrey trascorse tre anni a Amsterdam continuando a dedicarsi ai suoi studi di danza e nel 1948 si trasferì a Londra. Fu qui che dovette abbandonare il sogno di diventare ballerina a causa della sua altezza (1 metro e 71) e della malnutrizione sofferta nel periodo della guerra e divenne attrice. Audrey iniziò così a dare vita a quei personaggi che sono diventati immortali: per Colette fu l’incarnazione della sua Gigi, per Billy Wilder Anna in “Vacanze Romane” e Sabrina, fu Holly Golightly in Colazione da Tiffany, interpretò “My Fair Lady”, “Cenerentola a Parigi”, “Sciarada” Dal 1967 in poi lavorò in maniera molto sporadica, aveva deciso di dedicarsi ai figli, alla famiglia. “A un certo punto della mia vita ho dovuto fare una scelta. Perdere alcuni fil o perdere i miei figli” dichiarò.


Ma la sua immagine era già entrata nella storia del cinema e dell’eleganza, sinonimo di grazia e di una bellezza nuova, diversa: occhi grandi, sopracciglia spesse, esile e eterea, eppure più vicina e raggiungibile delle altre.  La vita della Hepburn venne scandita da quelle che si possono definire due grandi avventure: entrambe affrontate con impegno, serietà, grande forza: la sua carriera cinematografica e il suo ruolo di Ambasciatrice dell’Unicef, iniziato nel 1988, una missione nella quale l’attrice concentrò tutte le proprie forze fisiche e morali.

La sua ultima missione sul campo fu in Somalia, la più dolorosa e la più importante: la Hepburn diede voce a chi era ignorato e costrinse la comunità internazionale a fare alcuni passi, anche se tardivi, nella direzione giusta per tentare di fermare il perpetrarsi di atrocità e di morti. Quando, al suo ritorno dalla Somalia, le fu chiesto quale pensasse fosse il ruolo della politica rispose così:

“La politica è una cosa molto difficile da capire per me, perché i suoi meccanismi sono così complessi. La politica, per definizione, dovrebbe essere per la gente, per il benessere di tutti. “Umanitario” significa “a favore degli esseri umani”. Idealmente la politica dovrebbe dare risposte alla sofferenza umana. Questo è il mio sogno. Ecco perché uso questo esempio che probabilmente resterà unico nella storia: sono gli aiuti umanitari a tenere a galla la Somalia. Penso che forse, col tempo, ci possa essere un’umanizzazione della politica. Sogno il giorno in cui saranno la stessa cosa. E questa è una delle ragioni per cui ho insistito per venire in Somalia, non perché io sia in grado di fare molto, ma perché i testimoni non sono mai abbastanza. Se ce ne potrà essere anche uno solo in più, e parlare per conto di quei bambini ne sarà valsa la pena”.

Il pensiero della sofferenza, di quello che Doestoevskij definì “il dolore dei bambini” la accompagnò fino alla morte, causata da un cancro allo stomaco. Le sue ultime parole furono dedicate a loro: “Non riesco a capire perché tutta questa sofferenza… per i bambini”.  La bambina abbandonata dal padre che aveva assistito a tutto il dolore della guerra continuava, nonostante tutto, a cercare risposte e forse rimedi a quello che continuerà a restare un interrogativo senza giustificazione: “Perché i bambini soffrono?”.
Fu il figlio Sean a scegliere Tolochenaz come luogo per il definitivo riposo di sua madre e così racconta: “Riattraversai il villaggio fino al Comune. Il Sindaco era un vecchio amico. Mi guardò e capì subito perché fossi lì. Tirò fuori un vecchio libro da uno scaffale e guardammo insieme la mappa del cimitero. Indicai il lotto 63 sulla piccola mappa. Mi disse che sarebbe costato 275 franchi svizzeri e che sarebbe rimasto nostro per i prossimi 500 anni. Gli chiesi: <<E quanto costerebbe averlo sempre?>>. Mi guardò di nuovo e disse: <<Sarebbero 350 franchi>>. Pensai tra me quanto fosse bello che in questo piccolo villaggio di ottocento anni, il prezzo dell’eternità fosse soltanto 75 franchi”.

Barbara Castellaro

Il Giorno della Memoria, le iniziative del Polo del ‘900

Dal 18 gennaio al 7 febbraio online sui canali del Polo del ‘900 

lI Giorno della Memoria si svolgerà anche quest’anno con un fitto programma di iniziative realizzato dal Polo del ‘900 di Torino e dai suoi Enti partner per mantenere viva la memoria delle vittime dell’Olocausto. Un impegno in ricordo delle tante vittime del nazismo, lo sterminio degli ebrei, le leggi razziali del 1938 reso possibile grazie al sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale e il patrocinio della Comunità Ebraica di Torino.

Altre iniziative sono previste sui territori delle province piemontesi a cura degli Istituti storici della Resistenza e della storia Contemporanea. Tra queste si segnala il progetto che vede impegnati tutti gli Istituti Storici piemontesi, unitamente all’Archivio nazionale cinematografico della Resistenza, nella realizzazione di un video intitolato “Le deportazioni dal Piemonte” (1943-1945). Un’idea per restituire ai cittadini la dimensione regionale della deportazione, valorizzando le fonti di memoria e quelle storiche presenti nei diversi archivi degli Istituti e delle amministrazioni locali, tenuto conto che tra il 1943 e il 1945 il Piemonte fu teatro di numerose deportazioni, così da diventare la seconda regione italiana per numero di deportati per ragioni razziali.

Il 27 gennaio, 76° anniversario della liberazione del campo di sterminio di Auschwitz, è una data fondamentale nel calendario civile. “Fare memoria è un obbligo morale e civile per non disperdere  la fatica del ricordo e il dolore delle offese che per troppo tempo è stato possibile leggere sui volti dei sopravvissuti“, afferma il presidente del Consiglio regionale, Stefano Allasia. “L’internamento nei lager è stata un’esperienza estrema, una discesa negli abissi, inconcepibile per chi ritiene la storia un progressivo cammino di evoluzione e civiltà. Il germe dell’intolleranza e dell’odio è tuttora ancora presente. La recente irruzione nazista sul web, con minacce antisemite avvenuta durante la presentazione di un libro, è la dimostrazione che c’è la necessità  di rafforzare ulteriormente l’impegno nel contrastare ogni forma di razzismo, discriminazione e violenza“.

Come è già accaduto per il 25 aprile – aggiunge il vicepresidente del Consiglio, Mauro Salizzoni –  questa pandemia ci impedirà di celebrare il Giorno della Memoria come è sempre stato, incontrandoci e ritrovandoci insieme. Non per questo è venuto meno l’impegno del Comitato Resistenza e Costituzione e delle tante realtà associative che ne fanno parte, a cominciare dal Polo del ‘900. Mai come oggi abbiamo l’urgenza di non dimenticare ciò che è stato, di ‘commemorare’ ovvero condividere una comune Memoria. Lo dimostrano i recenti raid digitali antisemiti, la propaganda fascista e nazista fatta di gesti, parole e simboli che credevano appartenere al passato, il negazionismo basato sull’ignoranza che crede che Mussolini abbia fatto cose buone e che la Shoah sia un’invenzione. Lo dimostrano le donne, uomini e bambini in fuga tra i boschi dei Balcani, cacciati indietro a bastonate. Contro i fascismi di ieri e di oggi, contro l’intolleranza e il razzismo, siamo tutti chiamati ad un forte impegno culturale, educativo ed istituzionale”.

Il programma di iniziative realizzate dal Polo del ‘900 per il Giorno della Memoria 2021 dovrà ancora confrontarsi con l’emergenza sanitaria in corso. Per questa ragione, gli appuntamenti saranno online, da seguire sui canali web del Polo del ‘900 e degli enti partecipanti.

Il programma si apre lunedì 18 gennaio e andrà avanti fino a domenica 7 febbraio con dirette streaming, podcast, musica, proiezioni e reading che affronteranno il tema della memoria con molteplici linguaggi, proponendosi a un pubblico variegato.

Particolare attenzione è data alle nuove generazioni e al mondo della scuola, per cui sono stati elaborati contenuti ad hoc vista l’impossibilità, come ogni anno, di accogliere gli studenti fisicamente al Polo e in visita all’allestimento permanente del Museo Diffuso della Resistenza.

Come spiega Sergio Soave, presidente del Polo del ‘900: “Il giorno della memoria che da una ventina d’anni sta caratterizzando il nostro calendario civile, è già ridotto a stanco rituale? Il rischio c’è e noi dobbiamo esserne consapevoli. Le iniziative di quest’anno cui, come Polo del ‘900, siamo onorati di partecipare, hanno tentato quindi una sintesi tra tradizione e innovazione, alla luce anche delle restrizioni in corso per cui abbiamo dovuto affidarci molto al web. Come si vede dal programma, raggiungere i giovani è stata una priorità, proponendo contemporaneamente sia iniziative sperimentate e consolidate come quelle sulle pietre di inciampo, sia innovazioni di grande respiro come quella: “Adotta un negazionista” che, nell’epoca dei social media e della cultura del tweet, reintroduce il metodo del dialogo interpersonale paziente, ostinato e problematico su un tema molto attuale”.

Un giorno della memoria diverso che non permetterà di incontrarsi dal vivo – afferma Alessandro Bollo, direttore del Polo del ‘900 – ma  alla luce dell’esperienza maturata nel corso del 2020, il Polo del ‘900 ha elaborato una programmazione di qualità che sfrutta le opportunità del digitale per permettere, da un lato la partecipazione da remoto alle iniziative attraverso il sistema delle dirette streaming, dall’altro la fruizione nel tempo di contenuti digitali, raggiungendo anche coloro che non essendo di Torino non avrebbero potuto far visita al Polo. Inoltre, abbiamo prestato molta attenzione ai linguaggi che vanno dal podcast alla musica, dal dibattito al cinema, coinvolgendo in particolare studenti e insegnanti, in questo momento delicato di scuola senza la scuola ”.

“Le molteplici iniziative anche quest’anno promosse e organizzate, in occasione del Giorno della Memoria, dal Polo del 900 rappresentano un encomiabile esempio di quanto occorre fare per tenere viva la conoscenza e la consapevolezza degli orrori della Shoah – sottolinea Dario Disegni, presidente della Comunità Ebraica di Torino – La proposta educativa e culturale rivolta alla cittadinanza prevede manifestazioni che utilizzano la più ampia gamma dei linguaggi che possono raggiungere le varie fasce della popolazione, da attività di carattere più strettamente scientifico, quali convegni, seminari, ricerche e pubblicazioni, a eventi culturali quali mostre, film e documentari, spettacoli teatrali e musicali, anche se quest’anno, a causa della difficile situazione sanitaria, si potranno svolgere soltanto in modalità online. Va ancora una volta ribadito che la trasmissione della memoria è presupposto fondamentale per generare un forte impegno civile, tale da contrastare ogni forma di odio e intolleranza, e per riaffermare con forza e determinazione, non solo il 27 gennaio, ma in ognuno dei 365 giorni dell’anno, i valori di uguaglianza e di libertà sanciti dalla nostra Costituzione”.

ALCUNI APPUNTAMENTI IN PROGRAMMA

Le celebrazioni 2021 del Polo del ‘900 cominceranno lunedì 18 gennaio con un omaggio a Liliana Segre a cura del Centro Studi Piero Gobetti.  A partire dall’autobiografia “La memoria rende liberi. La vita spezzata di una bambina nella Shoah”, a cura di Enrico Mentana (Rizzoli, Milano 2018) si ripercorrono l’infanzia, il legame con papà Alberto, le persecuzioni razziali, il lager, la vita libera, l’identità ebraica, la depressione e gli affetti della senatrice a vita Liliana Segre. L’evento verrà trasmesso online sui canali del Centro Studi Piero Gobetti alle ore 18.

Un percorso inedito da segnalare mette al centro lo sport ai tempi dei lager a cura di Istoreto e dell’Unione culturale “Franco Antonicelli” […]