STORIA- Pagina 125

Un 25 aprile diverso

Di Marco Travaglini /  Il giorno della Liberazione, che si celebra quest’anno per la 75° volta, è una ricorrenza che riveste particolare importanza in  questo momento delicato per il Paese,colpito da una gravissima emergenza sanitaria. Le manifestazioni si svolgeranno in forma virtuale. Noi tutti siamo coinvolti in una sfida inedita che sta condizionando  la nostra esistenza, le abitudini, le attività nelle quali siamo impegnati, le nostre stesse libertà.

I provvedimenti di distanziamento sociale e di restrizione della libera circolazione adottati dalle autorità nazionali e regionali ci obbligano ad essere responsabili. Nessuno si sarebbe immaginato di dover ricordare l’anniversario della Liberazione in queste condizioni, compiendo una scelta di responsabilità a tutela della salute di tutti. Settantasette anni fa la stessa Resistenza nacque da una scelta. Lo sgomento dei giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre ’43 si trasformò per molti in voglia d’azione, le tante umiliazioni patite in desiderio di riscatto. In quei venti mesi si affermò un sentimento nuovo, potente e due fronti opposti –  il fascismo e l’antifascismo – si diedero battaglia.

Ciò che accadde nella primavera del ’45 rappresentò il momento della rinascita. Nel corso degli anni abbiamo appreso dai protagonisti lo “spirito del tempo” di quell’epoca drammatica: la tragedia della dittatura fascista, la guerra, l’armistizio, l’occupazione tedesca e la Repubblica di Salò, le imprese coraggiose e spesso disperate della Resistenza fino all’arrivo degli alleati e alla Liberazione. Le immagini e i racconti di quel 25 aprile di settantacinque anni fa ci confermano che rappresentò davvero un giorno di gioia e di libero orgoglio per la riconquistata dignità di un intero popolo. Le testimonianze dirette di coloro che hanno scritto pagine importanti di quel periodo storico, di persone note e meno note che hanno lottato per restituire  libertà e dignità al nostro Paese ci hanno consentito, ben più dei libri, di conoscere e di fare nostra quella grande lezione di speranza e volontà di rinascita. Mai come ora, nelle condizioni che stiamo vivendo, occorre riflettere  sull’importanza dei sacrifici di tante donne e tanti uomini che non esitarono ad opporsi al regime fascista che stava distruggendo l’Italia. Ora c’è un’emergenza sanitaria imposta da un virus ma nel paese, negli ultimi tempi, un altro virus non meno pericoloso serpeggia: quello dell’intolleranza, del negazionismo, dell’offesa nei confronti degli ebrei e della Resistenza. E’ un sintomo preoccupante di regressione e violenza che sarebbe grave sottovalutare o sottacere.

 

Primo Levi diceva che “tutti coloro che dimenticano il loro passato sono condannati a riviverlo”. E’ il momento di aprire gli occhi e scacciare il torpore dalle coscienze perché ciò che sta accadendo sotto i nostri occhi rappresenta un rigurgito di fascismo e l’affacciarsi nuovamente del demone dell’antisemitismo,nei confronti dei quali dobbiamo reagire. Inquieta e preoccupa il riemergere dalle tenebre del passato di fantasmi, sentimenti, rigurgiti razzisti, del diffondersi della predicazione dell’odio, amplificata a dismisura dai nuovi mezzi di comunicazione in rete. Contro la violenza dell’intolleranza servono coraggio e determinazione, un grande impegno culturale e responsabilità. Bertolt Brecht scrisse “quando l’ingiustizia diventa legge, la resistenza diventa dovere”. La Repubblica, che insieme alla Costituzione rappresenta il frutto più importante della Resistenza, tra i suoi doveri ha quello di far rispettare, con fermezza, quanto è scritto nella nostra Carta Costituzionale all’articolo 3: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Tutto ciò mi fa dire che non stiamo commemorando cose lontane e sentimenti ormai vecchi ma valori ben vivi e necessari. Mai come ora possiamo dire che la Resistenza non è mai finita e la sua lezione resta attualissima oltre che necessaria. Le tante e diverse scelte compiute allora nello “scegliersi la parte” ci rendono fieri, orgogliosi e consapevoli dell’importanza della Resistenza. Lo storico Giovanni De Luna nel suo “Fieri della Resistenza” ha scritto che perpetuarne il ricordo significa ritrovare la scintilla di allora in chi oggi mette in atto scelte altrettanto consapevoli, violando le regole del conformismo, del compiacimento, dell’allinearsi al verbo dell’uomo forte. Scegliersi la parte significa sfidare il male del silenzio e la sordità del potere, rompere la crosta di egoismi e interessi di parte. Significa contrastare l’indifferenza che, come diceva Gramsci “è il peso morto della storia”.

Oggi  scegliersi la parte equivale ad essere coerenti con i valori della Resistenza, con i desideri di giustizia e di uguaglianza, di tutela dei diritti e volontà di assolvere ai doveri che motivarono i “padri costituenti” della Repubblica. Ritrovare quello spirito, ritrovando noi stessi. Primo Levi, in una delle sue rare poesie intitolata “Partigia”, datata 23 luglio 1981 e pubblicata sulla terza pagina de La Stampa il successivo 18 agosto, scriveva: “Dove siete, partigia di tutte le valli,Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?Molti dormono in tombe decorose, quelli che restano hanno i capelli bianchi e raccontano ai figli dei figli come, al tempo remoto delle certezze,hanno rotto l’assedio dei tedeschi là dove adesso sale la seggiovia. Alcuni comprano e vendono terreni, altri rosicchiano la pensione dell’Inps o si raggrinzano negli enti locali. In piedi, vecchi: per noi non c’e’ congedo. Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,lenti, ansanti, con le ginocchia legate,con molti inverni nel filo della schiena. Il pendio del sentiero ci sarà duro,ci sarà duro il giaciglio, duro il pane. Ci guarderemo senza riconoscerci,diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi. Come allora, staremo di sentinella perché nell’alba non ci sorprenda il nemico. Quale nemico? Ognuno e’ nemico di ognuno,spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,la mano destra nemica della sinistra. In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:La nostra guerra non e’ mai finita”. Quest’appello è rivolto oggi a tutti i democratici con l’invito a “stare di sentinella” perché il nemico non ci sorprenda impreparati. Quale nemico? Quello, subdolo e pericolosissimo dell’intolleranza, del rifiuto della diversità, della democrazia e dell’umana solidarietà. Dunque, ritroviamoci perché anche per noi non c’è congedo.

 

“La Benedicta – Pasqua di sangue del 1944” online al Polo del ‘900

La Benedicta – Pasqua di sangue del 1944”è il titolo del video-spettacolo in due tempi che Gian Piero Alloisio, collaboratore storico di Giorgio Gaber e Francesco Guccini, ha registrato a casa e che si può vedere sul sito del Polo del ‘900 (https://www.polodel900.it/25-aprile-2020-festa-della-liberazione/).

 Lo spettacolo, realizzato con il sostegno del Comitato Resistenza e Costituzione del Consiglio regionale del Piemonte, in collaborazione con il Polo del ‘900, ricostruisce gli avvenimenti che portarono al più grande eccidio di partigiani combattenti della lotta di Liberazione.

La storia è ambientata nel 1959 e racconta del musicista partigiano Angelo Rossi, che nel dopoguerra divenne direttore dell’orchestra di Don Marino Barreto Junior, cantante cubano di grande successo. Angelo Rossi ricorda di quando era il partigiano “Lanfranco” e, alla Cascina Grilla, scrisse la sua prima canzone, nell’aprile del ‘44. Una sera in cui aveva il turno di guardia, il Comandante “Cini” gli diede un testo da musicare. Così nacque una delle poche canzoni partigiane interamente originali nel testo e nella musica: “Dalle belle città” o “Siamo i ribelli”, inno della Benedicta. Il video-spettacolo è diviso in due tempi per facilitarne la fruizione agli studenti e comprende testi scritti da Gian Piero e Giorgio Alloisio, canzoni partigiane e canzoni d’autore, testimonianze di partigiani (Pasquale “Ivan” Cinefra, Giuseppe Merlo) e di ex deportati (Gilberto Salmoni).Riprese e montaggio di Chiara Alloisio. Si ringrazia l’Associazione Memoria della Benedicta. Gian Piero Alloisio parteciperà anche alla grande Maratona Web del 25 aprile con il video della canzoneDalle belle città. La diretta social (#Torino25aprile) potrà essere seguita a partire dalle ore 10.00 sui sitiwww.comune.torino.it,www.cr.piemonte.itwww.lastampa.it.

Marco Travaglini

Pasqua e funerali blindati, 25 aprile “libero”. Ha senso?

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Giustamente il Governo Conte  aveva emesso una circolare per rendere compatibili i festeggiamenti del 25 aprile ad una situazione eccezionale come la pandemia, per evitare assembramenti. Un provvedimento sensato e condivisibile. Si trattava di una linea di condotta fondata sullo stesso principio di  ragionevolezza e di prudenza  che aveva portato ad impedire cerimonie religiose nelle chiese persino a Pasqua il Papa si presentò da solo in una piazza  San Pietro vuota

Un sacerdote è stato multato  domenica scorsa per aver celebrato Messa davanti ad una decina di persone in una chiesa di circa 300 metri quadrati. I funerali sono stati negati anche agli stretti famigliari dei morti con una scelta dolorosa che nessuno ha responsabilmente contestato. L’ Anpi invece pretende che vada fatta un’eccezione per la sua partecipazione al 25 aprile e quindi ha protestato con arroganza. Il governo giallo-rosso ha ceduto e quindi ci saranno manifestazioni ufficiali con possibili assembramenti, senza neppure tra l’altro  considerare l’età media  degli iscritti all’ Anpi. Che Pasqua venga sacrificata sull’altare della sicurezza e che il 25 aprile comporti obbligatoriamente la presenza dell’ Anpi rivela scarso  civismo, mancanza di responsabilità ,rinnovata manifestazione di una concezione monopolistica del 25 aprile che non necessariamente coincide solo  con la storia dell’ Anpi. Il partigianato non è stato solo comunista, ma  espressione di diversi orientamenti politici. Il fatto che non abbia protestato la FIVL che raccoglie gli ex partigiani anticomunisti, la dice lunga su certe prese di posizione egemoniche e prive  di adeguata sensibilità civica. Tra l’altro questa presa di posizione cozza con l’organizzazione di maratone on line per il 25 aprile in cui la parte del leone è quella dell’ Anpi. Dette maratone erano considerate sostitutive delle manifestazioni tradizionali com’era logico prevedere in questa circostanza drammatica.
Scrivere a quaglieni@gmail.com

Il significato del 25 aprile è sempre attuale

Niente da fare. Ogni volta che ci si avvicina alla data del 25 Aprile si fanno un sacco di polemiche

Polemiche inutili e pretestuose. Ora la Meloni e La Russa se ne sono inventata una nuova.

Propongo che sia ….. manco loro sanno che cosa hanno proposto. Fanno i guastatori perché non
accettano la Storia, direi proprio l’evidenza dei fatti storici.

Ma con loro ogni sforzo è inutile  e velleitario convincerli con le buone maniere,
controproducente tentare di convincerli con le maniere forti. Sia ben chiaro: maniere forti non
vuol dire violenza, bensì applicazione delle leggi e regole che ci siamo fatti con la Costituzione
italiana, appunto dopo esserci liberati del nazifascismo. Masticano amaro perché non
accettano ciò che è avvenuto ed in particolare le sue conseguenze, cioè la democrazia.

Considerano il nostro un sistema mediocre, e non pensano che possono ancora dire le loro
stupidaggini perché c’ è la democrazia. In fondo li compatisco. Hanno solo rabbia e rancore. E
con rabbia e rancore non vanno da nessuna parte. Viceversa io e tanti altri come me sentono
il sapore, il profumo di libertà che si respira in questi giorni. Libertà per te stesso e per gli
altri. Mentre scrivo un vortice di ricordi. Le mille fiaccolate a cui partecipavo. Le prime da
Pioniere. Giovanissimo non volevo il fazzoletto azzurro simbolo della pace. Ovviamente volevo
quello rosso, ma quello con la Stella. Fantastico e tanto fantasticavo. Mi immaginavo giovane
Partigiano sempre un fuga dai nazifascisti con la piccola piccozza che diventava un fucile
automatico. E l’ incontro con con la letteratura della Resistenza. Il disincantato Beppe Fenoglio
nel Partigiano Jonny. L ‘umantita’ di Elio Vittorini. In Uomini e No il gappista non ha il coraggio
di sparare al soldato tedesco. Ha la faccia da operaio. O i ricordi di Davide Lajolo in la Rossa
Primavera. Dopo essere stato fascista di ritorno dalla Russia decidendo di scegliere di diventare
comunista e Partigiano.

Scoprivo che cosa erano i commissari politici avendo un consulente in mio padre. Parlava poco
ed ancora meno di sé stesso. Mia madre mi raccontò che era finito in via Asti e l’oro dei nonni
lo salvò. E il 18 aprile uscito dalla Grandi Motori saltarono le rotaie dei tram e venne organizzato lo
sciopero generale.

Profumo di libertà. Sicuramente il principe dei ricordi è nel 1975. Fiaccolata per il 25
aprile e fiaccolata per Dante Di Nanni. Eroe prima ferito e poi ucciso in via San Bernardino.
Impressionante la testimonianza di Giovanni Pesce capo dei Gap prima a Torino e poi Milano.
Lo ero andato a trovare ed uscendo si accorse dei fascisti che circondavano la casa. Non
intervenne. Sarebbe morto anche lui.

Il corteo partiva da Piazza Adriano.
Una ragazza boliviana ci chiede se poteva sfilare con noi. Minuta, con un viso dolce da indios.
Spiccava una pancia , era incinta. Quando partorisci ?

Due mesi, purtroppo il papà era rimasto in Bolivia, clandestino perché per allora c’era la
dittatura militare. Entrambi erano del partito comunista boliviano clandestino. Dopo il parto?
La sua risposta mi sconvolse. Tempo d’allattamento e poi ritorno in Bolivia lasciando il bambino
ad una cugina a Torino. Non capivo o più probabilmente non volevo capire. Quando capii non
accettai. Lasciava il figlio per raggiungere il marito. Perché?

La risposta fu lapidaria: voglio far crescere mio figlio in una Bolivia libera.
Profumo di libertà. Sicuramente e personalmente non avrei avuto coraggio di fare simili scelte.
Coraggio che hanno avuto i nostri padri e le nostre madri.

Caro Sallusti te devi fare una ragione: anche quest anno, come tutti gli anni e decenni
successivi si festeggerà il 25 Aprile anniversario della liberazione. Magari, anzi sicuramente, un
anniversario diverso dagli altri. Ma non per questo meno importante degli altri. Caro Sallusti
e proprio perché sono passati 75 anni un profumo
sempre più intenso di libertà. Non ci saranno i partecipanti ai cortei di Milano o le
fiaccolate di Torino. Ma ci sarà sempre chi sarà davanti alla Lapide dei Sette fratelli Cervi come
al Martinetto di Torino dove furono trucidati i membri del CLN di Torino.

Ci saranno i Sindaci e rappresentanti delle istituzioni e dai balconi ci sarà sui balconi  chi
vorrà manifestare. I più, nati nella libertà e che vogliono continuare a vivere nella libertà. vogliono
continuare nel sentire profumo di libertà. Ricordiamo e festeggiamo non solo per ieri ma
anche, se non soprattutto per il domani. Mi sento in debito verso mio padre. Mi pare che i miei
infantili sogni abbiano contributo a perpetuare questa libertà. Una libertà che consegno alle mie
figlie. Magari è retorico, ma va bene così, qualcuno è morto per quella libertà e qualcun altro è
morto per impedire questa libertà.

Umana pietà per le morti è altra cosa. Guai se non ci fosse. Ma l’uso politico di questo
sentimento è l’ennesima prova di una destra che non riesce a liberarsi del fascismo. Quello duro
e puro che con il patto di ferro con il nazismo si è posto fuori dalla Storia. Una destra italiana s’intende.

Europea è un altra cosa. Persino quella tedesca che ha reciso ogni legame con quel
tragico passato. Aneddoto raccontato dal Professore Alessandro Barbero.

Era a Francoforte per un simposio.
Nella vetrina di un negozio di filatelia erano esposti dei francobolli del periodo nazista. La svastica
era coperta e dunque nascosta. Una legge vieta la esposizioni in pubblico del simbolo del
nazismo. Australia e Francia hanno promulgato delle leggi che condannano penalmente i
negazionisti che negano l’esistenza dei campi di concentramento.

Perché non si fanno atti simili anche in Italia? Forse non è nella nostra indole questa
precisazione. Ma è nella nostra indole passione ed emozione di difendere le idee di libertà.
Bene, a volte eccediamo nell’ essere troppo enfatici.

Ripeto testardamente: questo 25 Aprile sarà maggiormente ricordato proprio per le difficoltà
prodotte dalle limitazioni.
Si ricorderà per il profumo di libertà di ieri di oggi e di domani. Per i nostri padri, un po’ anche per
noi e soprattutto per i nostri figli ed i nostri nipoti.

Povertà e dignità nella Barriera di una volta. E oggi?

Tra corso Giulio Cesare 45 e le ex scuole di via Alessandria liberate dalla polizia, dagli abusivi anarcoidi ci sono a mala pena 500 metri. Alcuni anni fa, tra corso Emilia, corso Brescia e corso Giulio Cesare erano scesi i residenti regolari a manifestare (diciamo in modo robusto) di notte contro spaccio e degrado. Esasperati dal clima di violenza ed intimidazioni. Manco il coronavirus ha fermato questi delinquentelli di antagonisti.

Che poi tanto piccoli non sono visto che alcuni di loro sono stati arrestati e condannati per terrorismo. Tra spinelli e birre e magari altre droghe inneggiano alla rivoluzione per giustificare la loro pochezza. In Barriera di Milano o in Aurora sono di casa e l’ altro giorno, per proteggere due rapinatori hanno cercato di sobillare la popolazione perché si riprendesse la libertà contro il coronavirus. Anzi più precisamente contro lo Stato che impedisce libertà con la scusa del virus.

Il loro soggetto rivoluzionario il sottoproletariato, miseria sia economica che culturale. Pronta la condanna dell Appendino ed un assordante silenzio dei pentastellati loro amici (poi mitigato da un documento in Consiglio comunale). Direi di più, di pentastellati che scelgono sicuramente loro contro tutto e contro tutti. Parola d’ordine comune tanto peggio tanto meglio. Ideologia non ben definita e dunque volutamente ambigua. Ci avrebbero pensato i pentastellati nel risanare le periferie. Parole al vento. Ci sono oltre 30 anni di errori da recuperare. Cosa , almeno ad oggi semplicemente impossibile. Non è stato sempre così. 100 anni fa da quelle parti pur essendoci povertà c’era dignità che non trovi in questo presente. Mi si può obbiettare che con la dignità non si campa. Vero, per campare ci vuole soprattutto lavoro. Verissimo, ma il degrado senza lavoro porta alla più totale assenza di dignità. Cosi piccoli furti, lavoro nero e sopravvivenza fanno una tragica e sconsolante differenza. Da piccolo mia madre mi portava tutte le settimane a visitare parenti in via Cuneo e via Bra. Case di ringhiera con i gabinetti al fondo dei balconi.

Forte l’ immigrazione pugliese negli anni ’50. Poi la Fiat con le grandi assunzioni, siciliani calabresi. Ma alla mitica Pizzeria da Cristina in corso Palermo un pizzico di Napoli. Sempre, da quando mi ricordo io. A volte non ci si capiva, a volte tante tensioni. Una volta feci a botte perché volevano rubarmi la bicicletta. Ebbi la meglio, ammirato dagli amici. Ma lo sai con chi hai fatto a botte? No. Con Catrambone il bullo di quartiere. Nel ’75 venne ucciso dalla polizia durante una rapina a mano armata dalla. Ricordo questo sottolineando che anche agli inizi degli anni 70 , come negli anni 60, c’ erano molti problemi di ordine pubblico. Alle elementari mio padre mi portava a Porta Palazzo per comprare l’auroretta. Ci davano ancora il voto per bella calligrafia. Nel negozio sotto casa costava 500 lire. In via Borgo Dora 450 . Pignolo come era le provava tutte. Nel mentre mi guardavo intorno. Nel ricordo, il ricordo che qualcosa non tornasse c’era tutto. Mi affascinava un signore che con le catene sul dorso alzava enormi sassi. Quasi un gladiatore ante-litteram. Spettacolo per raccogliere elemosine. Un emarginato che assurse alle cronache cittadine per la sua estemporaneità. Arrestato per una rissa si schermì: mi hanno pagato quelli di corso Francia, dove c’era la sede del Movimento sociale italiano. Violenza ed emarginazione c’erano allora come ci sono oggi. Sbaglierò ma per allora c’era ancora, magari faticante, il senso del limite. Ora tutto è sbordante. Appunto non esiste più il senso della misura.

Barriera di Milano, zona Aurora e Porta Palazzo sono un unico corpaccione malato, profondamente malato. Alla malattia non ci sono ad oggi delle cure. Qualcosa bisogna fare. In passato tante polemiche su come intervenire. Agli antipodi due tesi. La prima, l’ integrazione culturale e sociale. La seconda, repressione totale e radicale. In mezzo mille sfumature di grigio. Conclusione: difficile vivere da quelle parti. Io ci sono scappato alla fine degli anni ’90 e francamente non ci tornerei più a vivere . Venivo anche un po’ sbeffeggiato da chi, rimanendo, mi accusava di esagerare. In 20 anni le cose sono cambiate sicuramente in peggio ed oggi, chi vorrebbe cambiare non ha le forze per andare. Da lì all’assuefazione è un attimo. Magari volere o credere di fare molto si riduce nel fare poco o niente. Ma qualcosa si deve fare. Cominciamo con la tolleranza zero. Repressione e denuncia dei delinquenti. Non vedo, a breve, nessuna altra soluzione se non partire da qualcosa per raggiungere qualcos’altro. Pena la scomparsa di un intero quartiere che conta 200mila residenti ed anche l’estensione di questo cancro a tutta la città.

Patrizio Tosetto

Il torinese che rattoppa il Santo Sepolcro

In missione, da Venaria Reale a Gerusalemme. Una missione molto speciale, unica, affascinante, da brividi. Restaurare l’interno del Santo Sepolcro, rimettere in sesto il pavimento di duemila anni fa composto da grosse pietre calpestate nei secoli da sovrani, imperatori, papi, crociati, sultani e califfi, nonché da milioni di turisti

Uno straordinario lavoro di rattoppo interrotto dall’emergenza virus ma che presto riprenderà. Almeno così spera l’architetto Stefano Trucco, responsabile del Centro conservazione e restauro della Venaria Reale che guida la spedizione in Terra Santa insieme agli archeologi dell’Università La Sapienza di Roma.

“Se tutto andrà bene, confida Trucco, riprenderemo i lavori a settembre. Purtroppo le conseguenze del virus hanno portato alla chiusura totale della basilica. Noi abbiamo lasciato Israele alla fine di febbraio e ora l’ingresso è vietato anche ai custodi, a padre Pizzaballa e al Custode di Terra Santa padre Patton”. La prestigiosa istituzione venariese si occuperà dello studio preliminare e del restauro del pavimento della Basilica che la tradizione cristiana identifica come il luogo dove Gesù Cristo venne sepolto dopo la crocifissione e dove avvenne la Resurrezione. I lavori di restauro del Santo Sepolcro di Gerusalemme sono fermi da quando il coronavirus ha colpito anche Israele. Stefano Trucco, veneziano ma torinese da decenni per motivi di lavoro, ha il delicato compito di riportare all’antico splendore la chiesa di Costantino il Grande. Per Trucco e la sua equipe si tratta di un’impresa straordinaria: sistemare la pavimentazione interna alla Basilica che racchiude il sepolcro di Cristo dentro l’Edicola. Il pavimento è oggi molto malmesso, con lastroni mancanti e pietre sconnesse che rendono disagevole il percorso. Un intervento eccezionale: ogni pietra, vecchia di secoli, verrà datata e mappata, ed è stato scoperto che ci sono ancora pietre che risalgono al 325, al tempo in cui Costantino fece edificare la prima chiesa sui luoghi della Passione di Gesù. Un lavoro reso ancora più complesso dalla presenza massiccia e continua dei pellegrini che possono visitare la basilica dal mattino fino alle otto di sera. Poi tocca alle tre comunità cristiane, la Custodia di Terrasanta, il Patriarcato armeno e il Patriarcato greco-ortodosso, ripulire il pavimento spargendo petrolio e risistemare l’intero ambiente. Finite le pulizie di rigore entrano in scena gli Indiana Jones di Venaria che però hanno a disposizione soltanto tre-quattro ore perchè a mezzanotte ripartono le funzioni religiose dei cristiani, una comunità alla volta, che proseguono tutta la notte. I lavori saranno finanziati dalle tre principali comunità cristiane presenti all’interno del Santo Sepolcro: i due Patriarcati, greco-ortodosso e armeno e la Custodia di Terrasanta.

Filippo Re

Nuova vita per i Musei e i giardini reali

L’ estate porterà nuovi allestimenti ai Musei Reali. Il mese di maggio (se ancora non sarà possibile la riapertura) servirà a riattivare il  cantiere dei Giardini

Una volta terminati i lavori verranno posizionate nuove grandi fioriere.

Per quanto riguarda i programmi, come anticipa il quotidiano La Stampa, alla riapertura si terranno corsi di acquerello all’aperto  e percorsi sensoriali guidati  da esperti tra piante secolari  e  fiori. Per la fine dell’estate è prevista l’inaugurazione  dei  giardini di levante, quelli che si affacciano  su viale dei Partigiani.

 

(foto: il Torinese)

Le curiosità di Gianni Oliva. Pillole di storia in libertà

La cultura non si ferma con l’isolamento, come la bellezza,  la clausura non trattiene il sapere, la storia continua a scorrere, il pensiero e  le parole, per buona fortuna, sono libere di circolare.

L’esperienza che tutti noi stiamo vivendo ha ridotto le nostre vite ad una reclusione invadente che durerà probabilmente ancora a lungo, questo però non ci impedirà di imparare, di leggere, di studiare anzi possiamo farlo di più e meglio. 

Il tempo improvvisamente è lì, a nostra disposizione come mai avremmo immaginato, utile soprattutto per approfondire ed arricchirci; la tecnologia, complice di questa profusione di informazioni in licenza, ci supporta moltissimo nell’apprendimento attraverso i social media, gli e-book, con siti ed edizioni speciali e lascia la porta aperta alla conoscenza.

In passato situazioni difficili e di isolamento forzato hanno portato ad invenzioni eccezionali, idee ed opere straordinarie lasciando tracce importanti e significative che hanno cambiato per sempre la nostra vita.

Alcuni di questi interessanti avvenimenti e scoperte ce li racconta lo storico  e scrittore Gianni Oliva che  ha creato una vera e propria serie di Curiosità Storiche in pillole costituite da mini-puntate della durata di 3 o 4 minuti ciascuna; questi episodi sono dedicati ad eventi e fatti storici a cui sono legate curiosità, abitudini ed usi che riguardano la nostra vita quotidiana di cui spesso ignoriamo l’origine e le circostanze che le hanno generate.

Utilizzando piattaforme che aiutano la diffusione delle informazioni come Instagram, Oliva, attraverso un linguaggio ecumenico e uno stile narrativo, ci racconta per esempio come e perché è nata la stretta di mano, ci spiega la ragione per cui si dice fare i Portoghesi,  ci illustra da dove viene il cioccolato, le singolari problematiche di carattere religioso legate al suo consumo e chi lo ha prodotto per primo in Europa; di indiscutibile interesse sono poi i racconti sulle conquiste storiche e sociali come l’agognato e combattuto voto alle donne, storie d’amore come la fuga di Carlo Pisacane con la sua amata  , l’origine e lo scopo iniziale della Legione Straniera, nata anche per dare una possibilità di nuova di vita a persone macchiate da crimini o con problemi politici, e successivamente il suo ruolo nel cinema.

Piacevoli ed appassionanti anche le pillole a richiesta inoltrate numerose dai follower di Oliva a cui il professore risponde con meticolosità e dovizia di particolari, tra le più curiose  la ragione per cui viene detto rinviare alle calende greche o l’utilizzo dell’espressione fa un freddo cane.

Per rimanere invece in attualità e creare delle corrispondenze con ciò che sta accadendo, Gianni Oliva ci parla dell’influenza spagnola, dove esplose e da chi fu portata nel nostro continente,  le vittime illustri di questa piaga che si è portata via artisti come Klimt, il padre della sociologia Max Weber, il nonno di Donald Trump. Pare che le disposizioni di prevenzione furono le stesse: stare a casa e addirittura il coprifuoco.

Stay tuned quindi! Sintonizziamoci su gianniolivaofficial su Instagram e ripassiamo un po’ di storia.

Maria La Barbera

 

 

 

 

Il mondo sarà salvato dalle lettere

Litteris servabitur orbis”. Questa frase latina ha una grande importanza. Tradotta in italiano significa “il mondo sarà salvato dalle lettere

Durante le leggi razziali l’acronimo di questa frase, ovvero L.S.O., veniva usato dall’editore fiorentino ebreo Leone Samuele Olschki per poter stampare i suoi libri. Un modo intelligente per esprimere una grande verità e rimarcare il proprio diritto d’autore, evitando d’incorrere nella repressione. Nell’autunno di ormai più di ottant’anni fa le leggi razziali fasciste, ancor prima della loro codificazione in decreto, allontanavano gli studenti di fede ebraica dalle scuole pubbliche italiane. “Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini”, scriveva nella prima metà dell’800 il poeta tedesco Heinrich Heine. Un monito tragicamente anticipatore di quei “roghi di libri” organizzati nel 1933 nella Germania nazista durante i quali vennero bruciati tutti i libri non corrispondenti all’ideologia del regime dalla croce uncinata. Quei roghi, pensati per  distruggere “lo spirito non tedesco“, vennero organizzati dalla Deutsche Studentenschaft , l’associazione degli studenti tedeschi. Una follia negazionista che venne salutata da Goebbels, il ministro della propaganda del Terzo Reich come un ottimo modo “per eliminare con le fiamme lo spirito maligno del passato“. Quale fu la logica conseguenza nemmeno il monito di Heine poteva lontanamente immaginarlo e tutto il mondo scoprì l’orrore delle persecuzioni, delle deportazioni nei lager e dell’olocausto. Eppure sono in molti ad aver dimenticato la storia o a volerla minimizzare. “Chi nega la ragion delle cose, pubblica la sua ignoranza”, scriveva Leonardo da Vinci mezzo millennio fa. In un tempo dove si legge sempre meno, dove la cultura viene presentata come un peso e l’ignoranza si accompagna quasi sempre all’arroganza, c’è poco da stare allegri. Un antidoto ci sarebbe ed è racchiuso in quella frase piena di speranza: “il mondo sarà salvato dalle lettere”. A patto che non rimanga solo una frase.

Marco Travaglini

Buon compleanno, Mole! 130 anni ben portati

Buon compleanno, Mole! Su Instagram la sindaca Chiara Appendino posta una suggestiva immagine della Mole, nel 130° anniversario dall’apertura al pubblico del monumento più torinese di tutti

 

«Il 10 aprile 1889, per la prima volta, si aprivano le porte di quello che sarebbe diventato il monumento simbolo della nostra Città – scrive la prima cittadina. Allo stesso modo, quello straordinario profilo che da 130 anni sovrasta Torino è entrato nel cuore di intere generazioni di torinesi, e di migliaia di persone che vengono a osservarlo da tutto il mondo. Buon compleanno, Mole Antonelliana»

La storia della Mole iniziò nel  1862, quando  la comunità ebraica torinese acquistò il terreno e incaricò del  progetto della sinagoga l’architetto novarese Alessandro Antonelli.  L’edificio si completò parzialmente in  6 anni, fino a un’altezza di 70 metri. Il lavoro dell’ Antonelli non fu però molto  apprezzato dalla Comunità Ebraica  a fronte dei costi aggiuntivi da sostenere per poter completare la struttura che, alla fine, fu venduta al Comune di Torino, mentre  una nuova sinagoga fu costruita nel quartiere di San Salvario. Nel tempo la Mole (la cui guglia fu persino abbattuta da una bufera negli anni ’50!) divenne sempre più il simbolo della città nell’immaginario collettivo. Oggi è sede del Museo Nazionale del Cinema.