SPETTACOLI- Pagina 87

I bambini salgono sul palco dello Spazio Kairos

Per avvicinare anche i bambini al teatro, Onda Larsen organizza domenica 21 gennaio alle 16 la merenda (che viene offerta), seguita alle 16,30 dallo spettacolo teatrale “Verso un’isola piena di bimbi e pirati” diretto e interpretato da Tita Giunta. Ad ospitare il pomeriggio è lo Spazio Kairos, ex fabbrica di colla di via Mottalciata 7, al confine tra Barriera di Milano, Aurora e Regio Parco.

 

La scelta non è caduta a caso su questo spettacolo. E’ una storia, infatti, per grandi e piccini, un gioco teatrale e musicale: i bambini vengono truccati e diventano protagonisti. Guidati da due buffi personaggi voleranno verso un’isola misteriosa, dove conosceranno pirati, indiani e fate, canteranno e giocheranno nel duello finale: insomma, diventeranno loro i veri protagonisti della storia e del pomeriggio.

L’idea alla base è commistione tra il teatro di narrazione e quello interattivo per permettere alle famiglie di avvicinarsi in modo giocoso al palcoscenico.

 

LO SPETTACOLO IN BREVE

Teatro interattivo e di narrazione
Dai 3 anni in su
Durata: 50’

 

 Biglietto unico (con merenda omaggio alle 16): 8 euro.  Info: biglietteria@ondalarsen.org

Le “lezioni di vita” del prof scorbutico e solitario

Sugli schermi “The Holdovers” di Alexander Payne

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Scattano le vacanze dell’ormai lontano 1970 nel college privato Barton nel New England e la maggior parte degli studenti prepara le valigie per tornarsene a casa. L’albero di Natale, gli abbracci con genitori e parenti, i regali, il pranzo, si comincia a respirare appieno quel clima di festa. Qualcuno, un gruppuscolo di malcapitati, ha uno e cento motivi per rimanere nella scuola sotto lo sguardo (troppo) vigile dello scorbutico professor Paul Hunham, e trovarsi ancora alle prese con le sempiterne guerre del Peloponneso, lui, pipa e farfallinod’obbligo, chiuso e arrogante e perennemente arguto di citazioni dalla sua materia che è la storia antica, in piena quanto incancrenita misantropia, un esempio di antipaticismo allo stato puro, inviso al direttore e ai colleghi, inviso agli studenti per i quali lui è e sempre rimarrà Occhio Sbilenco, visto il difetto che lo identifica immediatamente.


Se qualcuno nei giorni successivi riesce ancora a spiccare il volo
verso la libertà, nulla da fare per il quindicenne Angus Tully, problemi di socializzazione, incarognito, per niente desideroso d’agganciare con i compagni, anche lui le valigie piene di speranze che stazionano in camera, ma che una telefonata della madre, che non ha ancora avuto il tempo di assaporare la luna di miele con il nuovo compagno e quindi in partenza, lo obbliga al soggiorno forzato. Compagnia ridotta quindi, a cui s’aggiunge la capocuoca Mary, che da non molto ha perso il figlio in Vietnam. Man mano che un sempre grande Alexander Payne, sincero e sottile e umanissimo narratore, racconta e delinea nelle giornate piene di neve i suoi personaggi, ci rendiamo conto che quello non sia altro che l’incontro di tre solitudini, che ognuno ha la propria pena nel cuore, che qualcuno sa nascondere meglio e altri con le lacrime che riempiono gli occhi, che il sorriso momentaneo o la fuga o la ribellione non sono altro che la ricerca di una scappatoia dalla propria immalinconita esistenza.

Alexander Payne arriva con “The Holdovers – Lezioni di vita” (applaudito al recente TFF) alla sua nona prova, ha già regalato “A proposito di Schmidt” con Nicholson e “Paradiso amaro” con Clooney, “Sideways” e “Nebraska”, ha già portato a casa due Oscar per la migliore sceneggiatura non originale, continua qui a giocare magistralmente con il materiale umano, con estrema raffinatezza, con intelligenza e con cuore, mescolando sempre, al momento giusto, il dramma e la comicità, il sorriso insperato, il lato disperato della vita e quei piccoli momenti che la rendono gradevole e tutta da vivere. Qui ricostruisce un mondo, con il crescere di un rapportoti fa respirare la vecchia aria dell’”Attimo fuggente”, ci mette la sensibilità e l’avventura del racconto che ancora a Hollywood non gli rendono piena giustizia. Noi attraversiamo i sopralluoghi dell’insegnante con la pila in mano, la mancanza di riscaldamento nella maggior parte degli ambienti, le provviste che non sono poi eccezionali, i programmi in tivù da far pena. All’interno, covano incomprensioni, tristezze e dolori, ferite non facilmente rimarginabili, abbandoni, frecciate al limite della rissa: ma ci sono anche tratti in comune che vanno scoperti poco a poco, vivendo giorno dopo giorno. Realtà e poesia malinconica, la rabbia per un attimo sopita, la fuga può avere la scusa e le false sembianze di una gita scolastica, una breve felicità che Mary assapora con una visita alla sorella a Boston, Angus può svelare l’ombra del suo dolore che è un padre che lui ha raccontato a tutti come morto ma che è malato di mente e ricoverato, Hunham può svelare l’ombra della sua vita, un corso di studi non proprio immacolato. Non sveliamo le scene finali, il fantasma del vecchio professor Keating è sempre presente (ricordate? era il 1989 e i versi di “O Capitano! Mio capitano!” ci risuonavano in testa): qui ha i tratti alla fine rassicuranti di Paul Giamatti (Payne lo ritrova felicemente a vent’anni da “Sideways” e lo ha portato all’affermazione ai recenti Goldel Globe quale migliore attore per la categoria film commedia, la grande interpretazione di un grande attore che costruisce scena dopo scena un impareggiabile rapporto padre/figlio.

Cinema “antico”, può pure essere, con i suoi movimenti di macchina e gli zoom improvvisi, la fotografia di Eigil Bryld che abbraccia spazi e suggestivi particolari, visi che ti restano nella memoria. Una rivelazione il giovane Dominic Sessa che è alla sua prima prova e che al contrario pare avere anni e anni di obiettivi su di sé, Da’Vine Joy Randolph (s’è guadagnata il Golden Globe quale miglior attrice non protagonista in un film commedia) che allinea dolori e bevute e lacrime con una sincerità come raramente è dato vedere. Non perdete “Lezioni di vita”: e godetevelo in tutta la sua rabbia, in tutta la sua dolcezza.

Sold out per il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra il 26 gennaio

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Nasce da un’iniziativa della Città di Torino e dell’Assessorato alla Cultura il concerto, già sold out, che venerdì 26 gennaio vedrà protagonisti all’Auditorium Giovanni Agnelli il Maestro Riccardo Muti e la Chicago Symphony Orchestra. Si tratta di un evento eccezionale di grande prestigio che unisce, per la prima volta, la Fondazione per la Cultura di Torino, Lingotto Musica e la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul Cancro. Promuove due tra le maggiori manifestazioni musicali torinesi, il festival MITO Settembre Musica e la rassegna dei concerti del Lingotto. L’evento, coprodotto dalla Fondazione per la Cultura di Torino e Lingotto Musica, contribuirà a sostenere le attività dell’istituto di Candiolo, una delle eccellenze italiane e punto di riferimento internazionale nel campo della ricerca e della cura oncologica.

Quella di Torino è la prima data del tour italiano, che il 27 gennaio toccherà anche la Scala di Milano e il 28 gennaio il teatro dell’Opera di Roma. La serata segna il ritorno, dopo molti anni a Torino, della Chicago Symphony Orchestra, sotto la guida di uno dei direttori più amati e celebrati del nostro tempo.

“Nell’anno in cui dirigerò a Torino un ballo in maschera di Giuseppe Verdi – afferma il Maestro Riccardo Muti – sono felice di riportare la grande Orchestra di Chicago in questa città, che ho imparato ad amare e ammirare”.

Il Maestro Muti ha concluso il suo mandato lo scorso giugno da decimo direttore musicale della blasonata compagine americana dopo tredici anni, ed è stato nominato direttore musicale emerito a vita nel settembre 2023, titolo mai assegnato prima nella storia della Chicago Symphony Orchestra.

Legata al filo doppio, alla cultura della musica mitteleuropea, tedesco di nascita era il suo fondatore Theodore Thomas, che creò l’Orchestra nel 1891, la Chicago Symphony Orchestra è stata guidata da direttori come Daniel Baremboim, Pierre Boulez, Carlo Maria Giulini e Claudio Abbado, che ne hanno ricoperta la carica di direttori ospiti principali.

“È un vero piacere accogliere di nuovo a Torino il Maestro Muti – afferma il Sindaco Stefano Lo Russo – dopo il grande successo del Don Giovanni del 2022 al teatro Regio, dove tornerà in primavera. Questo appuntamento, reso possibile dalla Fondazione per la Cultura Torino e da Lingotto Musica, sarà ancora più prestigioso grazie alla presenza di una delle orchestre più blasonate al mondo, la Chicago Symphony Orchestra. Un concerto di livello internazionale che avrà la finalità, altrettanto importante, di favorire le attività di fundraising di un’altra eccellenza che ha sede sul nostro territorio, la Fondazione Piemontese per la Ricerca sul cancro.”

“Ringraziamo la città e la Fondazione per la Cultura Torino per aver proposto a Lingotto Musica – afferma il Presidente Giuseppe Proto – di essere partner musicale di questo progetto, che testimonia una volta di più come la musica sia non solo nutrimento dell’anima ma anche uno strumento efficace per finalità filantropiche”.

Il programma impaginato dal Maestro Muti per la tappa torinese della Chicago Symphony Orchestra è un florilegio tutto mediterraneo. È affidato alla Sinfonia n. 4 in La maggiore op. 90 di Felix Mendelssohn, detta “Italiana” perché ispirata all’esuberanza di colori e di vita che l’animo dell’artista riportò dal soggiorno in Italia durato dal 1830 al 1832, e alla fantasia sinfonica “Aus Italien” op. 16, che il ventiduenne Richard Strauss compose nel 1886 per rievocare le impressioni riportate dal suo primo viaggio nel Bel Paese. Ad aprire la serata la prima esecuzione italiana di “The triumph of the Octagon”, di Philip Glass, commissionato nel 2023 dalla Chicago Symphony Orchestra. Dedicato alla pianta ottagonale della famosa fortezza federiciana di Castel del Monte, in Puglia, il nuovo lavoro del grande compositore minimalista è un omaggio al Maestro Muti e alla sua terra d’origine.

“Il mistero che avvolge questo antico maniero e l’unicità delle sue forme geometriche sono stati dei catalizzatori formidabili -afferma il compositore Philip Glass – anche se ho scritto musica su persone, luoghi e culture non ricordo mai di avere composto un pezzo su un edificio storico. Era chiaro che non stavo scrivendo un brano su Castel del Monte, ma sulle suggestioni simboliche che offre un luogo così enigmatico”.

 

Mara Martellotta

Saranno famosi: al Teatro Alfieri fino al 28 gennaio

“Fame”, chi non ha seguito le avventure della scuola americana che negli anni 80 ci incollava alla TV: gli studenti della prestigiosa High School for the Performing Arts di New York sognano in grande. Tra loro figurano Danny, un aspirante comico, Coco, un cantante e ballerino ambizioso, e Leroy, che spera di riscattarsi attraverso la danza. Un telefilm leggendario e intramontabile della cultura pop.
Sicuramente è stato influenzato Luciano Cannito che ha realizzato le coreografie, trasformandolo in un  musical, curando il coordinamento artistico e, mettendo in scena uno spettacolo al top in ogni sua combinazione, a partire dalla scelta degli artisti, ballerini, cantanti, musicisti bravi, ma anche scene, costumi e luci.

Nel rinnovato Teatro Alfieri a Torino si replica fino al 28 gennaio prossimo: uno spettacolo divertente,  due ore imperdibili per gli appassionati di danza e non solo. Tra gli interpreti Barbara Cola, Harrison Rochelle.

GABRIELLA DAGHERO

Harmonie in San Francesco con l’orchestra Polledro

Il maestro Federico Bisio sul podio per il concerto nella chiesa di San Francesco a Moncalieri giovedì 25 gennaio

 

L’Orchestra Polledro presenta , con il patrocinio della città di Moncalieri, il concerto Harmonie in San Francesco”, con il maestro Federico Bisio sul podio, direttore stabile dell’Orchestra e quale primo oboe il maestro Carlo Romano, già primo oboe dell’orchestra RAI e oboe solista scelto dal maestro Morricone.

Il titolo del concerto è mutuato dal fatto che si terrà giovedì 25 gennaio prossimo, nella chiesa di San Francesco, in piazza Vittorio Emanuele II.

Il concerto, a ingresso libero, prevede un ricco programma musicale con la Serenata n. 10 in si bemolle maggiore K 361 detta “Gran partita” di Wolfgang Amadeus Mozart.

Un unicum per la sua ricchezza armonica e la densità della tessitura musicale, la cosiddetta Gran partita di Mozart (attributo apocrifo che non si deve tuttavia al compositore) KV 361 si colloca ai vertici del repertorio per fiati del XVIII secolo.

L’Harmoniemusik, ensemble di strumenti a fiato, ha iniziato a svilupparsi all’inizio del Settecento, quando sono nati gli oboi, i clarinetti e i fagotti moderni. L’ensemble era generalmente composto da una coppia di oboe o clarinetti, uno o due fagotti e una coppia di corni. Il genere più amato era la cosiddetta partita o parthia, una suite composta da tre a otto brevi movimenti. Questo genere musicale ebbe il suo primo sviluppo come accompagnamento alle battute di caccia e alle occasioni militari.

La situazione cambiò drasticamente nella primavera del 1782, quando l’imperatore austriaco Giuseppe II ordinò che la sua musica da tavola fosse curata da ensemble di otto strumenti (due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni) composto da membri della sua orchestra del teatro di corte ( i predecessori dell’Orchestra Filarmonica di Vienna). In questo modo la musica per banda di fiati doveva essere eseguita da musicisti professionisti e il virtuosismo della Harmonie Viennese, la banda di fiati imperiale, con i fratelli Stadler come clarinettisti, divenne il modello imperante. Il modello fu presto imitato e molte corti dell’Europa centrale ebbero a disposizione un ottetto di fiati simile.

Non si riconosce esattamente l’anno di composizione di questa serenata per 13 strumenti K 361, ma si ha ragione di ritenere che essa sia stata scritta a Vienna intorno al 1783-84, contemporaneamente al concerto per pianoforte in mi bemolle maggiore K 449. L’annotazione apocrifa di “Gran partita” riportata sulla prima pagina della partitura, non è attribuibile a Mozart. Secondo la notizia poco attendibile del primo biografo di Mozart, Georg Nikolaus von Nissen, questa serenata fu il dono di nozze di Mozart alla moglie. Notizie certe di un’esecuzione della Gran partita ci riportano a Vienna nel 1784, quando quattro movimenti della serenata furono eseguiti dalla Harmonie, il gruppo dei fiati dell’orchestra della corte imperiale su iniziativa del clarinettista Anton Stadler, per il quale Mozart compose il suo Concerto per clarinetto k 622.

Nel catalogo mozartiano la Gran partita occupa una posizione di grande rilievo per la grandiosità della sua struttura formale che conta ben sette movimenti, per la felicità dell’invenzione melodica e armonica e per l’originalità dell’organico strumentale. Al convenzionale complesso di due oboi, due clarinetti, due fagotti e due corni, Mozart aggiunse una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, che fanno qui la prima comparsa nell’opus mozartiano, per riapparire poco dopo nel Ratto del serraglio.

Mara Martellotta

La serenata, cosiccome i divertimenti e le cassazioni, era destinata all’intrattenimento e spesso eseguita la sera all’aperto. La più celebre serenata mozartiana è, senza dubbio, Eine Kleine Nachtmusik, la piccola serenata notturna in sol maggiore KV 525 per archi.

Nella seconda metà dell’Settecento la serenata prende la forma di una successione di danze, spesso introdotte da una marcia. Di norma era intonata da un ottetto di fiati formato da due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti. Mozart dilata l’organico nella serenata in si bemolle maggiore KV 449 e aggiunge all’ottetto una seconda coppia di corni, il contrabbasso e due corni di bassetto, strumenti appartenenti alla famiglia del clarinetto, ma dal suono più grave di questo, che per la prima volta compare nella produzione musicale dell’autore.

“Fissavo una foglia d’acero che pendeva dall’albero madre”

MUSIC  TALES LA RUBRICA MUSICALE

“Fissavo una foglia d’acero

che pendeva dall’albero madre

mi sono detto che noi tutti abbiamo perso il contatto

il vostro frutto preferito ora sono la ciliegia ricoperta di cioccolato

e l’anguria senza semi

niente di quel che proviene dalla terra è buono abbastanza”

 

Gli artisti “famosi” svaniti. Ossia: le meteore della prima decade del secolo che ci hanno fatto sognare per una notte e hanno poi abbandonato il palcoscenico nel silenzio più totale.

Li avete ascoltati chissà quante volte. Nomi famosi e celebri della musica della decade 2000-2009. Poi, per qualche ragione, sono scomparsi nel nulla. Si fa per dire: non si sono certo disintegrati. Eppure tutti questi artisti, chiacchieratissimi fino al giorno prima, sono spariti dalle scene (e dalle classifiche) il giorno dopo. O quasi.

Perchè? I motivi sono tanti. Il primo sta naturalmente nel funzionamento dell’industria discografica, che nei 2000 ormai tende sempre più a fabbricare fenomeni grossi ma temporanei, piuttosto che affidarsi ai risultati di un artista o di una band dalle intenzioni “serie”, ambiziose e proiettate su un lungo termine.

Un altro motivo: la fortuna. Molti degli artisti che vedete qui sono giunti al successo magari non necessariamente in virtù della loro bravura, ma più perché presentatisi con le loro hit nel posto giusto al momento giusto. E terzo: la natura da “tormentoni” delle suddette hit. Se una canzone conquista il pubblico a livello maniacale, poi ce ne si dimenticherà più facilmente.

Uno di loro è Gavin DeGraw…si, quello di “Chariot”. Sì, è quella. Oh Chariot. Quante volte l’avrete riascoltata? Cento? Duecento? Duemila.

Nel 2005 Gavin DeGraw pareva essere la nuova promessa del pop/rock americano. Poi, come sappiamo, non è andata così. Anche se è vero che il cantante ha sempre saputo mantenere un mediocre successo, un po’ in vari paesi, nel corso degli anni.

Ha pubblicato sei abum, l’ultimo dei quali è uscito nel 2016. Il primo, appunto Chariot, era uscito in realtà nel 2003 e aveva avuto un grande successo all’estero più con il singolo I Don’t Want to Be, arrivando addirittura al numero uno nella classifica degli Stati Uniti. Per noi, invece, è arrivato solo due anni dopo e appunto con Chariot.

 

Da allora il cantante ha vissuto di alterni successi, senza però mai figurare come nome importante nel mainstream. Molto è stato apprezzato, per esempio, il suo singolo Not Over You del 2011. Da almeno tre anni, tuttavia, è inattivo anche dal vivo. Quasi vent’anni di discografia, insomma; e qui in Italia ci ricordiamo solo di una sua canzone.

Ci spiace per lui, e non solo per lui, e ci auguriamo di poterlo risentire, a me non dispiaceva e, con questo brano, presagiva già questo nostro distaccamento dalla natura che incvece andrebbe ritrovato, risposato.

 

 

“Ogni cosa che puoi immaginare, la natura l’ha già creata.”

(Albert Einstein)

 

Vi invito all’ascolto ed attendo le vostre impressioni sul brano:

 

 

Buon ascolto

Gavin DeGraw- Chariot (lyrics)


CHIARA DE CARLO

scrivete a musictales@libero.it se volete segnalare eventi o notizie musicali!

 

 

Ecco a voi gli eventi da non perdere!

“Fame – Saranno famosi”, il musical che continua ad appassionare intere generazioni

Da giovedì 18 gennaio, sul palcoscenico del teatro Alfieri

Il film, in primo luogo, del 1980, una ricca stagione cinematografica dentro cui ritagliarono i propri spazi titoli prestigiosi, il luciferino “Shining” e “Toro scatenato”, il tormentato “Cancelli del cielo”, in cui Redford volava verso gli Oscar con la sua opera prima “Gente comune” e Fellini consegnava un’imperfetta “Città delle donne”, “Il grande uno rosso” di Samuel Fuller e Truffaut con “L’ultimo metrò”, in cui esordiva Almodovar e Richard Gere squadernava le voglie delle signore bene di Los Angeles con “American Gigolo”; e ancora David Lynch, Scola, Woody Allen, Verdone. E parecchi altri. Epoca di successi, di capolavori e di botteghini e produttori soddisfatti, nella quale un record economico non spingeva ad aprire dibattiti e intonare alleluja di ringraziamento. Nell’area dei successi s’inseriva a ragione, acclamato e seguitissimo, “Fame”, dilatato da noi con “Saranno famosi”, alla regia un ispirato Alan Parker – regista pronto a passare dalla tragedia del giovane Billy Hayes rinchiuso nelle carceri turche in “Fuga di mezzanotte” a “Birdy” e i traumi che la guerra in Vietnam ha lasciato in certi ragazzi, dall’odio razziale nel profondo Sud di “Mississipi Burning” al musical “Evita” con Madonna – ad impaginare le audizioni e i sogni e le grandi aspirazioni, i dolori e gli amori e i fallimenti di un gruppo di ragazzi, ballerini cantanti e attori, ritratti nei quattro anni di percorso nelle aule della prestigiosa High School of Performing Arts di Manhattan, a mostrare la grinta e la fatica di ogni giorno, a descrivere anche tra le aule della scuola quanto di “american dream” c’era in quei ragazzi che con ogni mezzo aspiravano ad un futuro. Una formidabile colonna sonora di Michael Gore e una canzone cardine, “Fame” appunto, cantata da Irene Cara, che abbracciarono due statuette agli Oscar (sei le nomination, tra cui quella per un’altra canzone, “Out Here on My Own”). Era difficile non portarsi a casa i sentimenti di Leroy Johnson, infanzia difficile e solitaria e rapporti disastrosi con gli insegnanti, di Coco Hernandez vero esempio di caparbietà, di Bruno Martelli e della sua voglia di esibirsi al pianoforte, dell’aspirante attrice insicura, Doris, e del talentuoso Montgomery. I ritmi nella sala prove e la musica che si riversa nelle strade, il saggio di fine corso che prende le mosse dal precedente “A Chorus Line”.

Quell’immenso successo spinse i produttori a dar vita alla serie che avrebbe occupato le tivù per 136 episodi, lunga sei stagioni tra il 1982 e l’87 (da noi, sull’antica Rai 2, tra il gennaio 1983 e il gennaio 1989, inizialmente la domenica sera, poi in estate, nella fascia del dopo pranzo), qualcuno dei ragazzi a mantenere il proprio ruolo (Lee Curreri fu ancora Martelli, Gene Anthony Ray ancora Leroy) e altri a dire basta, come Irene Cara che cercò altre strade, come il cinema o i concerti, o una soap opera lunga cinque anni, che era più o meno lo specchio della sua vita, come il successo mondiale del brano “Flashdance… What a Feeling” che nel 1984 la portò ancora all’Oscar per la miglior canzone. Nuove facce, nuove voci, nuove problematiche in un mondo che stava cambiando tremendamente in fretta, nuovi successi cercati: anche una certa Louise Veronica Ciccone si presentò un giorno per entrare a far parte della serie e fu scartata. Curreri non ha mai smesso di creare note, qualcuno si perse, la rabbia di Gene Anthony Ray (Leroy) si riversò nella droga, nell’incostanza, nella ribellione, nei falsi progetti, nonostante un rifugio e l’interessamento di molti trovati in Italia.

Fame” continuava ad essere un fenomeno leggendario, un monumento, un’eccellente macchina dello spettacolo, un esempio da seguire per i molti che intraprendevano quella strada. Ecco che, nel 1988, a Miami, quello che già era stato il produttore del film, David De Silva, pensò di portare la propria creatura in palcoscenico: ne avrebbe decretato il successo in tutto il mondo e per sempre. Ultima tappa di un così lungo percorso artistico, ecco che, oggi, una grande produzione debutta a Torino, al teatro Alfieri – confermandosi in tal modo le promesse fatte da Fabrizio De Biase ad inizio stagione, di portare a Torino le eccellenze e le migliori produzioni, “Cabaret” d’inizio stagione non era stato che il biglietto da visita – da giovedì 18 gennaio (sino a domenica 28, per intraprendere poi una lunga tournée in giro per tutta l’Italia, da Milano a Cosenza a Trieste, da Trento a Napoli a Bari, da Bologna a Firenze a Roma, numerose alzate di sipario sino al maggio prossimo), “Fame” nella versione firmata da Luciano Cannito, che riunisce la lunga esperienza di regista e coreografo (lo affianca Fabrizio Prolli) internazionale, uno spettacolo dove in un ritmo travolgente, capace di coinvolgere con qualche minimo aggiornamento ogni generazione (quelli che con intensità si lasceranno nella memoria accompagnare dalle immagini conosciute un tempo sullo schermo, come quelli che per la prima volta non potranno non essere toccati dalla storia e dal suo ritmo indiavolato), in una colonna sonora arricchita di nuovi brani, si alterneranno canto, danza, recitazione, musica.

Le scene sono firmate da Italo Grassi e i costumi vedono la firma di Veronica Iozzi, la direzione musicale è di Giovanni Maria Lori (una lunghissima carriera di direttore e supervisore musicale, direttore d’orchestra, autore interno Mediaset e insegnante di canto ad “Amici” di Maria De Filippi, arrangia tra gli altri per Francesco Sarcina e i Maneskin, nel 2017 ha arrangiato il medley cantato da Robbie Williams per “XFactor”), gli arrangiamenti musicali sono di Raffaele Minale, Franco Poggiali, Angelo Nigro e Maurizio Sansone, tutte figure di spicco nell’universo del musical, del teatro e degli show pop internazionali. Le liriche sono di Jacques Lévy e le musiche di Steve Margoshes, la canzone dell’Oscar la si deve al duo Dean Pitchford e Michael Gore. Ad incanalare come insegnanti i ragazzi nelle varie discipline, sul palcoscenico ecco gli apprezzatissimi Barbara Cola (Miss Sherman), Lorenza Mario (Miss Bell), Stefano Bontempi (Mr. Sheinkopf) e Garrison Rochelle (Mr. Myers), uomo di spettacolo a tutti noto che trasporta con grande simpatia il proprio ruolo dalla televisione al palcoscenico. E poi ci sono i ragazzi, quelli che sera dopo sera esploderanno in quella bravura che è nella speranza di tutti possa manifestarsi in questo come in cento altri spettacoli che dovranno affrontare: c’è Alice Borghetti (Carmen), Flavio Gismondi (Nick), Ginevra Da Soller (Serena), Alfredo Simeone (Joe), Michelle Perera (Mabel), Raymond Ogbogbo (Tyrone), Giuseppe Menozzi (Shlomo), Greta Arditi (Iris), Arianna Massobrio (Grace) e Claudio Carlucci (Goody). Ognuno a percorrere, tappa dopo tappa, la strada verso un beneaugurante “saranno famosi”. E per chi voglia applaudirli al di fuori del teatro, è in programma ancora un flash mob, entusiasmante come il precedente in piazza Castello, sabato 20 gennaio, tra le 15,30 e le 16, presso il Centro Commerciale Lingotto. Buon (assicurato) divertimento!

Elio Rabbione

Nelle immagini: il manifesto dello spettacolo, momenti del film di Alan Parker e “gli insegnanti” della “High School Performing Arts di Manhattan” (da sinistra, Stefano Bontempi, Barbara Cola, Garrison Rochelle e Lorenza Mario, con al centro Luciano Cannito).

Con Carlo Pestelli e Federico Bagnasco, le canzoni di George Brassens tradotte da Fausto Amodei

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Osteria Rabezzana, via San Francesco d’Assisi 23/c, Torino

Mercoledì 17 gennaio, ore 21.30

Oiseaux de Passage

Il progetto del duo formato dal cantautore Carlo Pestelli e dal contrabbassista Federico Bagnasco è la messa in scena di un repertorio a quattro mani di uno dei principali punti di riferimento della chanson francese, George Brassens e del “Brassens sotto la Mole” Fausto Amodei, padre ispiratore di molti cantautori italiani. Il grano del primo è passato al setaccio dal secondo, che nei decenni ha tradotto non poche canzoni di Brassens, ora in italiano, ora in torinese.

Il concerto “Oiseaux de passage” prende il nome dal recente lavoro discografico che contiene le più recenti traduzioni di Amodei delle canzoni di Brassens e segna il sodalizio tra Carlo Pestelli e Federico Bagnasco, responsabile degli arrangiamenti. La parte preponderante della scaletta è quindi costituita da canzoni di Brassens, alcune in originale e la maggior parte nelle traduzioni di Amodei, oltre a canzoni autografe degli stessi Amodei e Pestelli.

FORMAZIONE

Carlo Pestelli, voce e chitarra

Federico Bagnasco, contrabbasso (e cori)

CARLO PESTELLI

Carlo Pestelli vive e lavora a Torino, città in cui ha inciso il suo primo disco, Zeus ti vede, nel 2001. Muove i primi passi in particolare nell’orbita del Folk Club, aprendo concerti a diversi artisti, tra i quali: John Reinbourn, Amancio Prada, Gian Maria Testa, Claudio Lolli, Gipo Farassino ecc. Dal 1996 suona per due anni assieme ai Cantovivo.

Del 2009 Un’ora d’aria, disco molto ben accolto dalla critica, a cui hanno collaborato il chitarrista Alex Gariazzo, la cantante Lalli (ex Franti) e alcuni jazzisti di fama come Gianni Coscia e Giorgio Li Calzi. Il disco gli permette di suonare in alcuni festival internazionali come MiTo (a Torino nel 2009 e nel 2010 a Milano), Un paese a sei corde, Madame Guitar, Dallo sciamano allo showman (7ma edizione) e Folk Est. Del 2013 il successivo Da quando conosco te, ep di quattro canzoni (premio Giacosa 2014). Nel 2012 l’Unione Musicale gli affida la cura di due cicli di concerti per il Teatro Vittoria di Torino. Da questi appuntamenti scaturiscono il sodalizio artistico con il chitarrista Paolo Bonfanti e la formazione degli Ashville, gruppo folk country di cui Carlo è cantante e chitarrista. L’interesse per il teatro lo porta a scrivere due spettacoli: Note di un centromediano metodista, liberamente tratto da Il fuorigioco mi sta antipatico di Luciano Bianciardi e Ma la va diretta al Piave, riflessione corale sulla grande guerra a metà tra prosa e canzoni arrangiate per coro. Ideatore della rassegna concertistica MusiCogne, di cui è direttore artistico dalla prima edizione del 2017, ha scritto un libro sulla storia della canzone Bella ciao(add editore, prefazione di Moni Ovadia), tradotto in francese nel 2020. Ancora per Block nota, come già nel 2009, esce nel maggio del 2020 la sua nuova raccolta di dieci canzoni: Aperto per ferie.

L’amicizia con Fausto Amodei risale a venticinque anni fa: Fausto e Carlo hanno suonato assieme in molte occasioni, in Italia e all’estero (Spagna 2005): dal festival di Radicondoli, per volontà del suo direttore artistico Luciano Berio, al Primo maggio in piazza San Carlo, a Torino (per volontà dei sindacati). Il loro ultimo concerto assieme, presso l’Accademia della musica di Pinerolo, ottobre 2012, s’intitolava Tutte le lingue di Brassens.

FEDERICO BAGNASCO

Contrabbassista, docente, compositore e arrangiatore, occasionale polistrumentista di strumenti ad arco e a pizzico, è da anni attivo come musicista che attraversa i generi musicali e i differenti contesti della cultura e dello spettacolo, dai più tradizionali ai più sperimentali.

Diplomatosi con lode in contrabbasso, presso il Conservatorio Paganini di Genova, ha approfondito anche la composizione, l’improvvisazione e la prassi esecutiva su strumenti antichi. Collabora occasionalmente con importanti orchestre e fondazioni lirico sinfoniche in Italia e all’estero anche in veste di prima parte. Collabora con molte formazioni italiane di musica barocca, suonando diversi “violoni”, partecipando a numerose e importanti rassegne in Italia e all’estero, di musica da camera e di musica corale, e suonando al fianco di alcuni fra i più importanti interpreti di musica antica. Dal 2013 fa parte dell’Eutopia Ensemble, dedito alla musica contemporanea e del ‘900. Spesso è stato coinvolto come musicista di scena per il teatro o come consulente e arrangiatore, per il teatro di prosa, per cabaret, per spettacoli per bambini, per reading poetici, o in performance teatral-musicali vere e proprie, come attore-musicista. Una parte consistente della sua attività è inoltre legata alla canzone d’autore.

Le sue esperienze musicali sono passate per il jazz, il tango, la musica medievale e rinascimentale, colonne sonore per il cinema, trasmissioni televisive, la musica popolare di tradizione e la libera improvvisazione, con importanti collaborazioni (tra queste il duo di contrabbassi con Ares Tavolazzi, il Buxus Consort di Ezio Bosso o i progetti discografici e concertistici con Vittorio De Scalzi). Ha al suo attivo circa una settantina di registrazioni discografiche (per importanti etichette quali Decca, Sony Classical, Amadeus, CPO, Glossa, Stradivarius, Avie, Brilliant classics, Ricercar, Nota, Felmay, Ala Bianca, Tactus, Bongiovanni, ecc.). Nel 2014 pubblica Le Trame del Legno (NBB Records), composizioni originali per contrabbasso e manipolazione elettronica, con ottimo successo di critica; mentre nel 2022 esce Consort Music (NBB Records), composizioni originali per consort di viole da gamba e manipolazione elettronica. È direttore artistico fin dalla sua fondazione del festival Combin en Musique. È docente di contrabbasso al liceo musicale Cavour di Torino.

Ora di inizio: 21.30

Ingresso:

15 euro (con calice di vino e dolce) – 10 euro (prezzo riservato a chi cena)

Possibilità di cenare prima del concerto con il menù alla carta

Info e prenotazioni

Web: www.osteriarabezzana.it

Tel: 011.543070 – E-mail: info@osteriarabezzana.i

Remo Girone, “Il cacciatore di nazisti”

Rock Jazz e dintorni a Torino: Bud Spencer Blues Explosion e Elio

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 


Lunedì.
Tributo di Elio a Enzo Jannacci con lo spettacolo “Ci vuole orecchio” al teatro Giacosa di Ivrea.

Mercoledì. All’Osteria Rabezzana Carlo Pestelli affiancato da Federico Bagnasco, reinterpreta il repertorio di Georges Brassens nella versione di Fausto Amodei.

Giovedì. Al Blah Blah si esibiscono gli Electric Wires. Allo Spazio 211 suona il duo Bud Spencer Blues Explosion. Al Magazzino di Gilgamesh blues con la band di Paul Steward. Al Jazz Club di Biella è di scena Mario Venuti, protagonista anche due sere dopo al Diavolo Rosso di Asti e tre sere dopo a Torino al Lambic.

Venerdì. Alla Suoneria di Settimo serata benefica con la Ukulele Turin Orchestra e gli Statuto. Al Jazz Club suona il quartetto Magazzino San Salvario. Allo Spazio 211 si esibiscono i Gazebo Penguins. Al Capolinea 8 sono di scena i Korishanti. Al Folk Club suona il trio Maestrale. Al Cap 10100 è di scena Gnut mentre all’Of Topic si esibisce Cicco Sanchez. Al Magazzino sul Po suonano : Cabrera, Uragano e Cruiserweight Champion.

Sabato. Al Capolinea 8 si esibisce il pianista Gianni Pepe. Al Gabrio sostegno a Radio Black Out con Luca Leli. Al Magazzino sul Po suonano i Sanlevigo.

Domenica. Al Q77 tributo a Chet Baker con il quintetto di Mauro Canclini.

Pier Luigi Fuggetta