La prima puntata di Sandokan mi ha profondamente deluso. Quello che ho visto sullo schermo sembra aver completamente disintegrato lo spirito del romanzo di Salgari: l’atmosfera epica, il fascino dell’esotico, la tensione avventurosa… tutto sembra svanito, come se l’opera originale fosse stata solo un pretesto lontano.
Sandokan stesso appare più come un cosplayer ben truccato che come la Tigre della Malesia. Manca della sua aura minacciosa, del suo carisma selvaggio, della presenza scenica che dovrebbe dominare ogni scena. Non trasmette né il tormento né la forza che rendono il personaggio così iconico nei libri.
Yanez, invece, è ridotto a una macchietta ironica. La sua eleganza cinica, la sua astuzia sottile e la sua saggezza da vecchio lupo di mare cedono il posto a un personaggio caricaturale, che sembra inserito solo per strappare qualche sorriso facile.
Se questo era l’intento di rinnovare la storia, il risultato è un prodotto che si allontana troppo dall’anima salgariana, perdendo per strada proprio ciò che rendeva Sandokan e i suoi compagni immortali. Una delusione, almeno per ora.
Enzo Grassano

“Cresce il numero degli spettatori a parità del numero di titoli in programma – 120 suddivisi nelle tre sezioni di concorso e nelle tre sezioni non competitive -: la percentuale di riempimento delle sale arriva all’83%”, si recita dagli uffici di via Montebello, più che forti della quota salita a 38.000 per le presenze, 65 titoli sold out, calcolando ancora una crescita per abbonati e accreditati, per un incasso complessivo di oltre 152.000 euro, incasso che aveva quasi toccato i 130mila nell’edizione del 2024. Si gongola per i mezzi del momento, per una edizione “dal forte impatto social e risultati record di visibilità”, in cui si raggiungono i 7,3 milioni di visualizzazioni (+211%) e 3,3 milioni di persone (232%). Crescono nel 2025 le condivisioni del 116%, “segno di un passaparola di qualità”, del 149% su Instagram e del 23% di salvataggi, a conferma di un interesse sempre più attivo. Finalmente si è constatato come anche la tivù di stato sappia collegarsi per servizi e interviste e resoconti fin sotto le montagne, abbracciando pure la cerimonia d’apertura trasmessa in diretta su Raiplay: per cui sarà soltanto questione d’aver fede e tempo e pure le reti maggiori sapranno organizzarsi. L’impianto organizzativo e i tanti main sponsor – Ministero della Cultura/Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione Compagnia San Paolo e Fondazione CRT – avranno diritto a qualcosa che vada un po’ più oltre. Legittima attesa da presidenza e direzione. Già ad apertura di programmazione, la Regione metteva in campo “una visione ancora più ambiziosa” attraverso le parole dell’assessore regionale alla Cultura, Marina Chiarelli: “Il Torino Film Festival è l’evento cinematografico clou della nostra stagione culturale, un appuntamento che porta a Torino il respiro internazionale del grande cinema. Ma oggi voglio dirlo con chiarezza: Il Piemonte non deve porsi limiti. Possiamo e dobbiamo ambire a diventare uno dei poli cinematografici più importanti d’Europa.” Attraverso “investimenti mirati, un sistema produttivo in crescita e una programmazione capace di attrarre talenti e produzioni internazionali”: non resta che alzare l’asticella, ampliando le presenze di quanti fanno cinema per il mondo e costruendo opportunità nuove e concrete per chi crea.



