SPETTACOLI- Pagina 30

Terminato con  successo il 42mo TFF. I dati premiano il primo festival di Giulio Base

Quel segno più deve aver disturbato i sonni del direttore Giulio Base non poco, nella preparazione del suo TFF e durante, la prima volta non è una scommessa da poco. Le vene e i polsi, ne risentono parecchio (confessava di essersi sentito, tanto per cominciare, perso sin dalla prima serata, quando s’è visto mancare accanto a lui la madrina Capotondi tenuta a casa da un’influenza che non perdonava). Discorsi che qua e là abbiamo già seminato la settimana scorsa, uscendo ed entrando nelle sale per la visione dei tanti film che hanno convinto come di quelli che hanno lasciato poco o tanto amaro in bocca (vedi questi ultimi alla voce Italia). Sappiamo che Base non è che sia sbarcato in città con l’approvazione e con il sorriso sostenitore di tutti, addetti ai lavori come lo stuolo non indifferente di appassionati duri e puri della vecchia guardia non vedevano certo di buon occhio le innovazioni e il nuovo corso che il regista aveva in mille dichiarazioni detto di voler intraprendere.

In una Torino in cui – altre certezze per altri tempi? vetero DNA sabaudo? l’esageruma nèn che incontri a ogni angolo di strada? malcostume addirittura verso le proprie risorse? – si è sempre andati alla ricerca, sotto i tanti direttori che si sono avvicendati (le origini di Rondolino, Alberto Barbera, Turigliatto e D’Agnolo Vallan, Moretti, Amelio e la comparsa veloce veloce di Paolo Virzì, Emanuela Martini e Steve della Casa), dell’hic manebimus optime, della cittadella rassicurante e appartata costruita anno dopo anno, della nicchia che poneva in una certa luce più che signorile e saggiamente chiusa nell’unicità, un arrivo che intendesse sconvolgere del tutto quello che già aveva basi solide lo si vedeva con uno storcere di labbra, con qualche mugugno, con non pochi pollici versi. Se Base ti capitava di incontrarlo ancora nell’ultimissimo giorno di festival, quello che racchiudeva tutti i film vincitori nella sala del Massimo, lui, ostentando fraternamente la felpa dei volontari del festival, giusto omaggio alle ragazze e ai ragazzi che con molta gentilezza quanto grande disponibilità avevano informato, spiegato, accompagnato, sorriso per la settimana intera, ti guardava quasi stupito – ineccepibile commediante! – con poche parole che spremevano tutto il suo politicamente corretto: “Dubbi tutti nei miei confronti? Ma direi meglio, più che accettati, guai se avessimo tutti la volontà di seguire le stesse strade, pareri diversi certo altrimenti sai che noia!”.

Quel che più aveva disturbato i benpensanti era quell’aria di glamour promessa o minacciata che stava per soffiare sulla città, quei nomi che sui marciapiedi (anche sconnessi) di Torino non ci avevano mai messo piede, quel Ron Howard che accompagnava il suo inaugurale “Eden” e che forse prima non sapeva neppur bene dove noi fossimo posizionati nella cartina del mondo, quella Sharon Stone che ha fatto accendere milioni di flash e ha spadroneggiato con il suo lungo abito rosso e il giorno dopo se ne girava per gallerie d’arte promettendo una sua personale qui la primavera prossima, Angiolina Jolie, giunta quasi all’improvviso, sempre inattesa, con il capo affettuosamente poggiato sulla spalla di Alessandro Baricco, grazie al quale ha dato alla luce il suo ultimo “Without blood”, Jessica Parker che con il marito rifiutava una visita al Cambio per godersi una più intima cenetta nella trattoria sotto casa. Ogni tassello, occorre dirlo, sotto l’occhio vigile, e prima ancora gran preparatore, di Tiziana Rocca, alias signore Base, impercettibile magari al pubblico ma sempre presente, osservatrice, fil rouge tra l’operato del consorte e i più che validi risultati. Dio non voglia, ma potremmo anche pensare che quelle Stelle della Mole che i suddetti, con qualche altro ospite, si sono portati a casa finiscano – come ci insegna il Brando di Billy Zane – a svolgere il compito di ferma porta nelle ville hollywoodiane: ma loro qui ci sono stati, con gli abiti e i sorrisi e le dichiarazioni e i milioni di flash, hanno riempito serate, hanno smessi di far sembrare quei red carpet con cui i torinesi hanno poca o nessuna dimestichezza una cosa lontana anni luce e non proprio irraggiungibili. Anche grazie a loro, ma soprattutto grazie alla macchina organizzativa messa in piedi, slancio, con quel buon tasso d’euforia forse fin qui defilato, la presenza del festival s’è vista nelle strade, nei ristoranti, nel largo passaparola, nel turismo che si toccava con mano e che riempiva e rallegrava, nella gente che ritrovava una città vivace, accattivante e smagliante come non mai.

Salvaguardato, protetto, assicurato, vivificato il nucleo primo del festival, i film in concorso, i temi trattati rispecchianti da vicino paesi e mentalità e problematiche, l’apprezzamento dei contenuti. E di conseguenza, le code agli ingressi dei cinema che si portano dietro la scomodità ma anche la felicità per le sale piene, forse il rammarico di dover rinunciare a certe proiezioni, già oggi con l’idea fissa che per il 2025 – già segnatevi le date: dal 21 al 29 novembre – la “voce sale” debba essere rivista o il maggior numero di proiezioni per alcune pellicole. I dati ci dicono che, rispetto al 2023, il numero totale delle presenze è passato da 35.000 a 36.700 con un programma che prevedeva 202 titoli l’anno scorso e 121 in questo, evitando masterclass o eventi fuori biglietteria. Non è di poco conto che il riempimento medio delle sale cresca dal 53% al 70%, che in campo social si siano avuti 2,3 milioni di visualizzazioni, che i tanti canali pubblici e privati abbiano raccolto segnali e numeri impensabili, che la stampa abbia prodotto un “entusiasmante” +66% di articoli rispetto alla passata edizione, TV, carta stampata, radio e web in un unico lavoro (svolto “con rispetto, curiosità e interesse”, definiva Base, mentre Cristiana Capotondi aggiungeva il “respiro internazionale” che attraverso quel lavoro il TFF aveva raggiunto, dando alla stampa il privilegio di aver “messo a soqquadro una città” per l’intera durata del festival).

Base tocchi ferro. Si usa dire nel mondo del cinema, e s’è a volte toccato con mano, che le opere seconde non vengano fuori con quello sfavillio e quel successo che hanno accompagnato i debutti. Che il dolce non venga fuori dal forno come dovrebbe. Base è già tornato a Roma, per rimettersi da buon soldatino al montaggio del suo prossimo film: ma il cordone ombelicale con Torino continua, fin da adesso, “sto già pensando alla prossima edizione, anzi per far spazio a una retrospettiva che si porti dietro il successo che ha visto quella di Brando, due o tre idee ce le ho già in mente.” A fargliele scucire, manco se ne parla. Quindi, per ora, soltanto auguri.

Elio Rabbione

Nelle immagini, al centro il direttore del Torino Film Festival Giulio Base con ai lati Carlo Chatrian e Enzo Ghigo, direttore e presidente del Museo del Cinema; Sharon Stone che ha illuminato le giornate del suo soggiorno torinese (foto di Alessandra Tartarini); ancora Giulio Base durante la serata d’inaugurazione.

Tff, un successo nelle sale e sui social

Cala il sipario sul 42° Torino Film Festival ed è tempo per i primi bilanci di questa edizione.

Il numero totale delle presenze, rispetto al 2023, passa da 35.000 a 36.700, con un programma che prevedeva 202 titoli nel 2023 (181 in programma e 21 fuori programma) e 121 nel 2024 (non ci sono state masterclass o eventi fuori biglietteria).

Il dato porta a un riempimento medio delle sale che cresce dal 53% al 70% con una percentuale dei biglietti venduti per singola proiezione che da 73 arriva ai 100 di quest’anno.

Gli accrediti rilasciati sono 2.039 contro i 1998 della scorsa edizione.

Brillanti sono stati anche i risultati che il Torino Film Festival ha avuto sui social con oltre 1 milione di persone raggiunte (+57,4% rispetto al 2023), 2,3 milioni di visualizzazioni e 76.900 interazioni. Il successo è trainato da Instagram, dove l’engagement è cresciuto del 29%, le condivisioni dell’83%, e le Stories hanno avuto 906.000 impressions grazie a una daily narrative consistente.

Da un punto di vista della copertura del 42TFF sui mezzi di informazione, (TV, carta stampata, radio e web), benché la rassegna stampa sia ancora un “work in progress”, può contare già di un entusiasmante +60% di articoli rispetto alla passata edizione.

Il Torino Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il contributo del Ministero della Cultura Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT.

Lo Stradivari di Ferràndez sul podio dell’OSN Rai insieme al direttore Andrés Orozco – Estrada

Giovedì 5 dicembre, alle 20.30, all’Auditorium RAI Arturo Toscanini, si terrà il concerto che vedrà protagonista Pablo Ferràndez, uni dei violoncellisti definito da Le Figaro “il nuovo genio del violoncello”. Suona il preziosissimo Stradivari “Archinto” del 1689, prestato da un Maestro della Stretton Society. Pablo Ferràndez torna a suonare con l’OSN Rai, giovedì 5 dicembre, in un concerto che sarà trasmesso in diretta su Radio 3 e in live streaming sul portale di Rai Cultura. In replica venerdì 6 dicembre alle ore 20. Per il suo ritorno con l’OSN Rai, con la quale aveva debuttato giovanissimo nel 2017, propone il Concerto per violoncello n.2 in si minore op.104 di Antonin Dvořák, pagina fra le più note del compositore boemo, scritta intorno al 1895, verso la fine del suo soggiorno americano. Capolavoro della letteratura violoncellistica, è amato dai grandi solisti per l’esuberante virtuosismo e l’immediata presa emotiva dei temi di ascendenza folklorica tra Vecchio e Nuovo mondo. La sua prima esecuzione fu a Londra nel 1896, con lo stesso Dvořák sul podio e Leo Stern come solista.

Sul podio dell’Orchestra Rai è chiamato il direttore principale Andrès Orozco-Estrada. Nato a Medellin, in Colombia, nel 1977, ha debuttato con l’OSN nel maggio 2022, e nell’ottobre 2023 ha iniziato la sua collaborazione come direttore principale. Nella seconda parte della serata Orozco-Estrada propone il poema sinfonico di Richard Strauss “Tod und verklärung” (morte e trasfigurazione), che illustra i temi dell’agonia umana e della salvezza ultraterrena, muovendosi tra l’esasperazione materialistica di stampo decadente e l’eterna aspirazione romantica.

La scena finale dell’opera, il canto di Isolde sul corpo di Tristano, cerca la soluzione al conflitto tra amore e morte nella trascendenza, nel passaggio a una forma altra, diversa da quella umana, di concepire quel desiderio di vita che costituisce la fonte inesauribile dell’eros. Mahler e Strauss concepiscono il proprio mondo in sintonia con la cultura del loro tempo, in cui le voci moderne sono Shopenhauer, Wagner e Nietzsche. “Morte e trasfigurazione” op.24 è un breve poema per grande orchestra di Richard Strauss, che iniziò a comporre nella tarda estate del 1888, e completò il 18 novembre 1889, dedicandola all’amico Friedrich Rosch.

In chiusura un’altra pagina di Strauss, ma all’insegna del divertimento, il poema sinfonico “Till Eulenspiegels lustige Streiche” ( I tiri burloni di Till Eulenspiegel), definito dallo stesso autore molto allegro e spavaldo. Fu composto tra il 1894 e il 1895, ha avuto la prima assoluta a Colonia il 5 novembre 1895 sotto la direzione di Franz Wüllner. Racconta gli scherzi e le avventure di un personaggio di fantasia molto popolare in Germania, Till Eulenspiegel. I due temi che rappresentano Till sono interpretati dal corno e dal clarinetto; il tema del primo è una melodia che procede cadenzata fino al suo culmine, per poi ricadere e terminare in tre note lunghe e forti, decrescenti in scala. Il tema del clarinetto è più complesso, come a suggerire un burlone intento a preparare i suoi scherzi.

Biglietteria: biglietteria.osn@rai.it e online sul sito dell’OSN Rai

 

Mara Martellotta

 

I mondi di James Cameron prenderanno vita al Museo del Cinema

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 Dal 26 febbraio al 16 giugno 2025

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino dedica una mostra intitolata “The Art of James Cameron” a uno dei più grandi registi, sceneggiatori, produttori e innovatori contemporanei, ideata dalla Cinémathèque Français in collaborazione con l’Avatar Allianz Foundation. Si tratta di un viaggio avvincente nel percorso creativo di uno dei più immaginifici innovatori della storia del cinema. La mostra ripercorre sei decenni di espressione creativa di James Cameron, raccogliendo una straordinaria selezione di opere rare e mai viste prima, tratte dall’archivio privato del regista. Questa esposizione, adattata alla particolare struttura verticale della Mole Antonelliana è unica nel suo genere, e mette in mostra il processo che ha portato alla creazione di classici contemporanei come “Terminator”, “Aliens”, “Titanic”, e la serie di “Avatar”.

Pur avendo creato e utilizzato tecnologie cinematografiche di altissimo livello durante la sua carriera, il processo creativo di Cameron è iniziato molto semplicemente con penna, matita e colori, prima di prendere in mano una macchina da presa. “L’arte di James Cameron” include tutto, dai suoi primi schizzi ai progetti mai realizzati, fino alle sue opere più celebri. L’affascinante universo de “L’Arte di James Cameron” è diviso in sei aree tematiche: Sognare ad occhi aperti; La macchina umana; Esplorare l’ignoto; Titanic, viaggio nel tempo; Creature: Umani e Alieni; Mondialità selvagge. I più di 300 oggetti in esposizione includono disegni, dipinti, oggetti di scena, costumi, fotografie e tecnologie 3D, realizzate e adattate dallo stesso Cameron, grande innovatore tecnologico in molteplici discipline. La ricerca instancabile di nuove tecniche per realizzare la sua visione creativa si esprime anche nell’esposizione attraverso esperienze multimediali ricche e coinvolgenti. La mostra “The Art of James Cameron” è una sorta di autobiografia attraverso l’arte, come la definisce lo stesso Cameron “un’esperienza unica del suo importante percorso e iter creativo.

Museo Nazionale del Cinema- via Montebello 20, Torino

Info e prenotazioni: prenotazioni@museocinema.it

 

Mara Martellotta

Concerto dell’Avvento, “Il genio giovanile di Mozart”. Con l’Orchestra da Camera Polledro

Domenica 8 dicembre prossimo, alle 17.30, presso il teatro Fonderie Limone

Di Mozart vengono scelti la Sinfonia in Fa maggiore n.13 KV 112, il Concerto per fagotto e orchestra in Si bemolle maggiore K 191, la Sinfonia in La maggiore n.29 KV 201. Il Concerto per fagotto in Si bemolle maggiore K 191, composto nel 1774, è una delle più celebri opere solistiche scritte da Mozart per strumenti a fiato. Con una struttura in tre movimenti, il concerto è noto per la sua ricca espressione melodica, la sua tecnica virtuosistica richiesta al fagottista. Il primo movimento, intenso e brillante, si alterna con il secondo movimento lirico, mentre il terzo, vivace e pieno di spirito, mostra il talento di Mozart nel trattare il fagotto come un vero strumento solista, capace di una sorprendente varietà espressiva. Questo meraviglioso concerto sarà suonato da un solista d’eccezione, il Maestro Nicolò Pallanch, primo fagotto del Teatro Regio.

La Sinfonia in Fa maggiore n.13 KV 112 è una composizione di Mozart scritta a Milano durante il suo secondo viaggio in Italia nell’autunno del 1771. La Sinfonia il La Maggiore n.29 KV 201 rappresenta una autentica svolta all’interno della produzione sinfonica mozartiana, segnando l’ultima tappa di un lento processo di affiancamento dall’influenza dominante del gusto italiano. Questo orientamento, avviato già all’indomani del terzo viaggio in Italia e del trionfo milanese del Lucio Silla, risalente all’inverno 1772-1773, potè trovare esiti adeguati soltanto dopo il viaggio a Vienna della successiva estate 1773. I frequenti e proficui contatti avviati nella Capitale imperiale, con le più significative tendenze contemporanee, prima fra tutte quella di Joseph Haydn, spinsero Mozart ad abbandonare quella struttura in tre movimenti concisi e i cui limpidi contrasti di matrice italiana che, appresa da bambino, era rimasta un punto di riferimento fin da bambino.

Fonderie Limone-Via Pastrengo 88, Moncalieri (TO)

Ingresso gratuito

 

Mara Martellotta

Un omaggio del Conservatorio Verdi al Museo Egizio con Sinfonie d’Oriente

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Mercoledì 4 dicembre, al Conservatorio Giuseppe Verdi, alle 20.30, si terrà un omaggio speciale al bicentenario del Museo Egizio con l’appuntamento intitolato “Sinfonie d’Oriente”.

Il fascino dell’Oriente prende vita in un concerto che unisce raffinatezza, energia e un pizzico di mistero. In programma tre autentiche gemme che raccontano l’Egitto attraverso la musica di Camille Saint Saens, Giuseppe Verdi e Gioachino Rossini.

Il concerto si inserisce nel fitto programma di celebrazioni per i duecento anni del Museo Egizio di Torino, che vivrà un anno di trasformazioni e nuovi progetti. Frutto della collaborazione tra il teatro Regio di Torino e il Conservatorio Giuseppe Verdi, questa serata rappresenta un omaggio congiunto al Museo Egizio, uno dei più importanti simboli culturali della città, d’Italia e del mondo.

Ascoltare la versione della Sinfonia per Aida è un’occasione rara e preziosa. Originariamente pensata per sostituire il preludio, tuttora presente, più breve e suggestivo, questa sinfonia, ricca di temi legati ai personaggi e alle vicende dell’opera, rappresenta un esperimento audace di Verdi nel portare la musica italiana verso un sinfonismo più ampio e strutturato.

Il concerto per pianoforte n. 5 di Camille Saint Saens, conosciuto come l’Egyptien, è un viaggio musicale compiuto a Luxor, dove l’autore si lasciò ispirare dai paesaggi e dai suoni d’Africa. Tra melodie nubiane annotate sul Nilo e sonorità evocative, questo brano trasporta il pubblico in un Oriente immaginario, ricco di virtuosismo e colore.

Le danze tratte da Moise et Pharaon di Gioachino Rossini rappresentano un omaggio maestoso alla corte faraonica con quell’inconfondibile tocco rossiniano. Una musica vibrante e d’effetto, capace di incantare con la sua eleganza.

A dirigere l’orchestra del teatro Regio sarà il maestro Christopher Franklin con al pianoforte il giovane talento Pietro Verna, formatosi al Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino.

Il concerto è inserito in Incanto Egizio, scoperte musicali e esplorazioni sonore del passato. Si tratta di tredici appuntamenti per i duecento anni del Museo Egizio, progetto di Sistema Musica in collaborazione con la Città di Torino, Museo Egizio e sostegno di Iren.

Mara Martellotta

James Franco ha presentato a Torino il film “Hey Joe”

Ieri sera è quasi passata inosservata la presenza di James Franco in città, forse per la presenza di un’altra grande stella del cinema giunta sotto la Mole, Zoe Saldana. Eppure l’attore americano, antidivo per eccellenza in tenuta casual, è stato accolto con grande calore dal numeroso pubblico accorso per incontrarlo in ben due sale al Cinema Massaua Cityplex. In compagnia del regista Claudio Giovannesi James Franco ha presentato il film Hey Joe, ambientato a Napoli, un film sulle occasioni perdute, intriso di nostalgia e del neorealismo dei grandi maestri. James Franco interpreta un veterano di guerra del New Jersey, Dean Berry, che sul finire degli anni Sessanta decide di tornare in Italia, a Napoli, dove durante la Seconda Guerra Mondiale, ha avuto una relazione con una donna del posto dalla quale ebbe un figlio mai conosciuto. Barry fa ritorno in Italia nel 1971 per poter incontrare il figlio ormai venticinquenne, cercando di recuperare voragini di assenza. Suo figlio, interpretato da un convincente Francesco Di Napoli, ormai diventato un uomo, è ormai stato completamente assorbito dagli ambienti della malavita e non sembra facile l’impresa di sradicarlo.

Giovannesi ha sottolineato il paradosso di questa storia tra padre e figlio che non parlano la stessa lingua anche se c’è un’estrema vicinanza di sangue, una storia che viene raccontata attraverso la conoscenza di due estranei che devono sforzarsi per incontrarsi, avvicinandosi ognuno alla lingua dell’altro, infatti James recita mezzo film in italiano e Di Napoli prova a parlare un po’ in inglese.

James Franco ha raccontato al pubblico come ha costruito il suo personaggio, che non è stato molto difficile immedesimarsi in un personaggio che è americano come lui, arriva a Napoli dove non conosce la lingua, il tessuto della città, quindi rimane un po’ stordito allo stesso modo, doveva recitare in una lingua che non era la sua, insomma c’era questa assonanza con il personaggio. In più prima di iniziare la lavorazione del film c’è stato un lavoro di ricerca basandosi sul libro Napoli ‘44 di Norman Lewis e in più hanno guardato tantissimi film di Rossellini per carpire un po’ il senso di quello che era la vita italiana di quel periodo. Il suo modo di recitare in questo film è completamente diverso da quello a cui siamo avvezzi, ha lavorato per sottrazione, seguendo i dettami della sua formazione quando ha iniziato la scuola di recitazione. Gli veniva insegnato che è di fondamentale importanza prima capire la vita del personaggio, sentirla dentro e solo in un secondo tempo usare le parole. Ed è un po’ quello che ha fatto in questo film rispetto agli altri film, è stato un po’ come tornare alle proprie radici, anche perché ha senso che in questo film il personaggio non parli tanto e la maggior parte di ciò che è emerge dal comportamento, dagli atteggiamenti. E il regista è stato abile nel guidarlo perché ha lasciato che fossero più gli stati d’animo ad emergere senza mai cadere nel didascalico o nel sentimentale, con l’asciuttezza che lo contraddistingue. Giovannesi ha sottolineato come “questa è una storia tra padre e figlio che non parlano la stessa lingua e questo è già un paradosso, perché c’è un’estrema vicinanza di sangue che viene raccontata attraverso la conoscenza di due estranei che devono incontrarsi avvicinandosi ognuno alla lingua dell’altro, infatti James recita mezzo film in italiano e Di Napoli prova a parlare un po’ in inglese.”

Testo e foto di Giuliana Prestipino

Il giorno di Zoe Saldaña a Torino

Si è concluso da poco il TFF ma a quanto pare il red carpet non è stato ancora archiviato. Ieri è stato il giorno di Zoe Saldaña ospite speciale del Museo Nazionale del Cinema dal pomeriggio a tarda sera con tre appuntamenti diversi.

L’eclettica attrice di rara bellezza ha prima incontrato alle 17:00 al Cinema Massimo il direttore del Museo Carlo Chatrian, in una conversazione in cui ha passato in rassegna le tappe salienti della sua carriera, mettendo in luce il ruolo della donna nel cinema e la sua attenzione per l’ambiente.

L’incontro è proseguito con la proiezione del cortometraggio Dovecote, girato da Marco Perego, marito di Zoe Saldaña che si è unito alla conversazione. Dovecote, film di grande impatto emotivo girato all’interno di un carcere femminile della Guidecca a Venezia, è candidato alla categoria cortometraggi degli Academy Awards ed è stato presentato alla Biennale di Venezia 2024 nel Padiglione del Vaticano.

Alle ore 19:30 al Museo Nazionale del Cinema nell’Aula del Tempio Zoe Saldaña ha ricevuto il Premio Stella della Mole dalle mani del presidente del Museo del Cinema Enzo Ghigo e dal direttore Carlo Chatrian che ha sottolineato: “Siamo molto felici di poter accogliere una delle attrici che meglio incarna quella varietà di proposte che il Museo Nazionale del Cinema ospita nelle sue sale espositive. Splendido contrappunto alla mostra ‘Movie Icons’, Zoe Saldaña è icona cinematografica cara all’immaginario giovanile ma anche figura a tutto tondo carica di una profonda umanità. Nei panni delle “guerriere” Neytiri e Gamora ma anche in quelli dell’avvocato Rita Mora Castro, Saldaña ha dato corpo ad un’idea di femminilità capace di conciliare fragilità e fermezza”. Saldaña ha ringraziato in un perfetto italiano “per me significa tanto questo riconoscimento del mio lavoro che rappresenta tutto e soprattutto in Paese come l’Italia in cui mi sento a casa. L’intervento a sorpresa del regista James Cameron in video collegamento sui maxi schermo del Museo del Cinema ha entusiasmato il pubblico intervenuto. Il regista di Titanic e Avatar non solo si è congratulato con l’attrice statunitense ma ha promesso di venire a trovarci fra due mesi. L’ondata di star che approdano al Museo del Cinema sembra così non placarsi.

 La giornata torinese di Zoe Saldaña si è conclusa alle ore 21:00 al Cinema Massimo dove ha introdotto il musical EMILIA PÉREZ, diretto da Jacques Audiard e candidato francese per la categoria Lungometraggi Internazionali agli Academy Awards 2025. Il film ha ricevuto il prestigioso Premio della Giuria al Festival di Cannes e 4 candidature agli EFA, tra cui quella per il Miglior Film. EMILIA PÉREZ uscirà in Italia il 9 gennaio 2025, distribuito da Lucky Red.

Testo e foto di Giuliana Prestipino

Shel Shapiro, dal Mausoleo della Bela Rosin a Casale

Un fortuito, interessantissimo incontro con un grande rappresentante del beat italiano anni ’60: Shel Shapiro. Alcuni giorni fa Shel ha partecipato all’evento “Bisogna saper vivere”, intreccio tra musica e parole condotto da Renzo Sicco nel Mausoleo della Bela Rosin di Torino. L’eccellente musicista londinese nato nel 1943 naturalizzato italiano, eclettico, anticonformista e uomo di cultura, ha sviluppato con arte raffinata la sua lunga carriera di cantautore, scrittore, doppiatore e autore per interpreti come Patti Pravo e Dori Ghezzi, arrangiatore per Mia Martini, Ornella Vanoni, Raffaella Carrà, Mina e Dik Dik, produttore di album e singoli per Enrico Ruggeri, Gianni Morandi, Rino Gaetano, Luca Barbarossa e Ombretta Colli, moglie di Giorgio Gaber. Come attore cinematografico partecipò con Vittorio Gassman e Stefania Sandrelli a “Brancaleone alle Crociate” di Mario Monicelli e a “Rita, la figlia americana” di Piero Vivarelli con Totò e Rita Pavone.

Prese parte alla commedia televisiva “Non cantare spara” di Leo Chiosso (paroliere di Fred Buscaglione) con il Quartetto Cetra e allo show di Febo Conti per gli alunni delle scuole medie “Chissà chi lo sa” dove il suo gruppo fu il più votato in Italia dal sondaggio promosso dal settimanale “Giovani”. Partecipò come attore teatrale a “Shylock”, tratto da William Shakespeare con Moni Ovadia. A Torino, durante un concerto con il gruppo formato in Inghilterra negli anni ’60, i musicisti si trovarono ad eseguire il repertorio in sostituzione del solista rimasto improvvisamente senza voce e l’episodio determinò la carriera solistica di Shel che fu scritturato per altri eventi musicali. A Roma fu notato da Teddy Reno suo futuro produttore, marito e manager di Rita Pavone che inserì il gruppo dei Rokes nello spettacolo televisivo “Gian Burrasca”. Il complesso partecipò al “Festival degli Sconosciuti” di Ariccia e fu tra i migliori gruppi italiani della Beat Generation ad essere invitato nel Piper romano con Patti Pravo.
Furono definiti i Beatles italiani senza essere per nulla scalfiti dalla diversa scala di valori del grande gruppo di Liverpool. Il successo dei Rokes è rappresentato dai cinque milioni di dischi venduti nel mondo e la loro immagine si identifica con le famose chitarre a freccia Eko Rokes del marchio Eko Guitars, ancora oggi ricercate dai collezionisti per la qualità dei materiali utilizzati. A ottobre Shel è stato invitato a Mestre per i festeggiamenti della storica etichetta veneta Azzurra Music con Tony Esposito, Maurizio Vandelli e Le Orme, serata presentata da Mara Venier. Il vuoto musicale immerso nel silenzio di un profondo sonno spettrale degli ultimi decenni non ha impedito a Shel di aprirsi un varco nella barriera immobile della bonaccia contemporanea e con lo stesso impegno artistico giovanile continua a dialogare con le nuove generazioni ed accumulare esperienze. I testi musicali dei Rokes ispirati alla fratellanza e alla pace e le note distorte trasognate di tristezza rappresentarono uno splendido miraggio per la nostra generazione di adolescenti ormai assopita dal tramonto delle illusioni. Dopo aver atteso invano per oltre mezzo secolo la nascita di una nuova estetica musicale, il sogno visionario del ’68 è destinato a non ripetersi.
Jack Kerouac è ormai lontano.
Armano Luigi Gozzano

Luca Argentero debutta come autore e conquista lo “Zecchino d’Oro”

L’edizione 2025 dello “Zecchino d’Oro”, uno degli appuntamenti  musicali più amati in Italia, giunto oramai alla sessantaseiesima edizione, si è conclusa domenica a Bologna premiando la canzone “Diventare un albero”.

Il brano scritto dall’attore torinese è stato eseguito da Anna Sole Dalmonte, di 9 anni, proveniente da Voltana, in provincia di Ravenna, accompagnata dal Piccolo Coro dell’Antoniano diretto da Sabrina Simoni. Luca Argentero si è cimentato per la prima volta nella scrittura di un testo per lo Zecchino e ha ottenuto un successo immediato. Oltre a lui, “Diventare un albero” porta la firma di Rebecca Pecoriello e Nicola Marotta, mentre la musica è stata composta da Pecoriello, Marotta e Stefano Francioni. Tematica della canzone l’importanza del vivere le diverse fasi della crescita: non bisogna avere fretta di diventare grandi perchè ci sono tante cose da scoprire giorno per giorno mentre, piano piano, si cresce e si diventa uno splendido albero.

 

Il Piemonte quest’anno era rappresentato allo Zecchino anche da Carlotta, una bambina di 7 anni di Pavone Canavese, in provincia di Torino, che ha cantato “Il leone Piagnone” e da Greta di 9 anni proveniente da Oleggio, in provincia di Novara, che ha cantato in trio “Il principe Futù”. La finale dello Zecchino d’oro, in diretta da Bologna su Rai , ha sfiorato il 17% di share ed è stata vista da 2 milioni 595 mila telespettatori. Un momento davvero speciale che Luca Argentero ci ha tenuto a festeggiare sui social con una storia Instagram dove non ha trattenuto il suo entusiasmo scrivendo: “Vincere lo Zecchino d’oro cheeeeck”.

Igino Macagno

Igino Macagno