Presentata la stagione 2021 – 2022 del Teatro Stabile di Torino
Sarà “Casa di bambola” di Ibsen ad aprire al Carignano il 4 ottobre prossimo (repliche per l’intero mese) la nuova stagione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, regia e interpretazione di Filippo Dini con Deniz Özdogan nel ruolo di Nora, in una lettura curiosa nella sua novità, non legata soltanto al tema del femminismo e della rivolta familiare – ritroveremo il regista genovese tra marzo e aprile al Gobetti con “Ghiaccio” dell’inglese Bryony Lavery, un dramma pluripremiato, un thriller psicologico, un testo di rimorso, punizione e redenzione, un’opera che dolorosamente affronta un tema scabroso della società di oggi, come è quello della pedofilia.
Parole di grande ottimismo durante la conferenza stampa di presentazione di un calendario (“abbiamo debuttato con ‘Molto rumore per nulla’, ora facciamo molto rumore per qualcosa che funzione davvero”, “in questa Italia vincente il teatro è vincente”) che è presentato dai responsabili, presidente Vallarino Gancia e direttori Fonsatti e Binasco grande intrattenitore, nella sua completezza – da metà settembre a metà giugno -, che poggia sul tanto lavoro sui tanti mesi di chiusura dei teatri e ben oltre, sul rapporto di fiducia del pubblico, sul sostegno continuo della Regione, del Comune e degli Enti bancari maggiori. La riapertura vuol dire “primo amore” ovvero lo spettacolo dal vivo (l’icona annuale mostra due giovanissimi, un lui e una lei ancora ben distinti, sotto l’albero della valle dell’Eden in versione 2.0, con lui tra l’imbronciato e il sospettoso a mostrare nella mano sinistra una rossa mela, mentre lei guarda immobile in macchina incorniciata da una riccioluta chioma bionda), il ritorno a casa definitivo, le poltrone della sala forse a poco a poco tutte utilizzabili, il ritrovarsi e l’abbracciarsi, il tiepido accendersi di qualche discussione (antica costante ormai pressoché spenta). Il luminoso versante ottimistico accoglie in primo luogo le 7 nuove produzioni esecutive, le 5 coproduzioni, le 4 riprese e i 32 titoli ospiti (62 titoli suddivisi tra Carignano, Gobetti e Fonderie Limone), tra i quali s’attendono con curiosità e interesse l’applaudita prova di Kriszta Székely “Il cerchio di gesso del Caucaso”, il 19 gennaio alle Fonderie dal Katona di Budapest (la regista mise in scena da noi un moderno “Zio Vania” nel gennaio 2020 e la vedremo con una nuova produzione sempre per lo Stabile di casa nostra nell’autunno 2022), lo shakespeariano “Antonio e Cleopatra” firmato per il Teatro Nacional D. Maria II di Lisbona da Tiago Rodrigues (da pochi giorni nominato nuovo direttore del Festival di Avignone), ancora alle Fonderie il 27 marzo, e infine “Come tu mi vuoi” di Pirandello, dall’Odéon parigino al Carignano il 27 maggio, con la regia di Stéphane Braunsschweig.
Il direttore artistico Valerio Binasco, scommettendo anche sulle stagioni e sul loro sovvertimento, nel freddo (forse?) di fine anno inscenerà in un Carignano trasformato in un bosco fin dal foyer “Sogno di una notte di mezza estate”, testo a lungo inseguito, mentre tra maggio e giugno porterà alle Fonderie gli euripidei “Ifigenia” e “Oreste”, la vicenda che abbraccia due vittime, “un ideale percorso di indagine nel dolore dei figli, nella cupa solitudine della famiglia, nel peso delle responsabilità che innervano la storia del teatro”. Leonardo Lidi (la cui “Casa di Bernarda Alba” con Orietta Notari, Francesca Mazza e Francesca Bracchino inaugurerà il 14 settembre la stagione del Gobetti, dove era stata costretta a chiudere dopo un pugno di repliche causa pandemia) metterà in scena, avvicinandoci ai 400 anni dalla prima rappresentazione al Palais-Royal, “Il misantropo” di Molière, Fausto Paravidino ripescherà dagli impegni cancellati della scorsa stagione, con l’interpretazione di Rocco Papaleo (divenuto ormai torinese a tutti gli effetti), “Peachum. Un’opera da tre soldi), personale rivisitazione del testo brechtiano. Restando sempre in casa Stabile, il nome emergente di Emanuele Aldrovandi, “talentuoso drammaturgo”, con “L’estinzione della razza umana”, dove un virus trasforma le persone in tacchini, protagoniste due coppie divorate dalle loro contraddizioni; in ultimo, attesissimo, dopo il planetario successo di “Macbettu”, premio UBU come “migliore spettacolo dell’anno”, Alessandro Serra con “La tempesta”, ancora Shakespeare, uno spettacolo fatto intimamente di amore e di odio, di perdono umanamente abbracciato, di magia in cui è bello perdersi.
Ultima eccellente stazione. Tra le coproduzioni e le ospitalità cogliamo i mostri sacri Giulia Lazzarini e Anna Maria Guarnieri in “Arsenico e vecchi merletti”, Emma Dante, Antonio Latella con “Chi ha paura di Virginia Woolf” interpretato da Sonia Bergamasco e Vinicio Marchionni, Umberto Orsini e Franco Branciaroli, Gabriele Lavia (“Il berretto a sonaglia” al Carignano dal 22 marzo), “Moby Dick alla prova”, con Elio De Capitani regista e interprete, un progetto di Orson Welles che prese vita a New York nel 1955, lui chiaramente maestoso Achab, che prese anche la forma di un film mai completato. E ancora: Mario Martone (in video-collegamento, ha sperato “che i teatri, come le scuole, non chiudano mai più, neppure se dovesse tornare la zona rossa, sarebbe un danno gravissimo, dobbiamo evitarlo e dobbiamo stringerci tutti quanti assieme perché questo non accada”, applauditissimo dal pubblico presente, soprattutto dai tanti attori in sala che per mesi sono stati chiusi tra le mura di casa) che porterà “Il filo di mezzogiorno” di Goliarda Sapienza, eccentrica e controversa scrittrice a relazionare per autobiografia sul proprio percorso psicanalitico, Matthias Martelli alle prese a riverire (si spera anche con un briciolo di divertente humour) nel settecentesimo anniversario padre Dante “fra le fiamme e le stelle” sotto l’occhio attento di Emiliano Bronzino e soprattutto del divulgatore Alessandro Barbero, amabilmente votato alla leggerezza, “Museo Pasolini” di e con Ascanio Celestini, “Il silenzio grande” scritto da Maurizio De Giovanni con la regia di Alessandro Gassmann, Ottavia Piccolo e Paolo Pierobon con “Eichman. Dove inizia la notte”, testo di Stefano Massini, i due attori nei ruoli di Hannah Arendt e del boia incriminato, processato e condannato a morte per genocidio e crimini contro l’umanità nel 1962.
Elio Rabbione
Nelle immagini, Umberto Orsini, in scena con Franco Branciaroli, con “Pour un oui ou pour un non” di Nathalie Sarraute; Rocco Papaleo in “Peachum” di Fausto Paravidino (foto Tommaso Le Pera; Giulia Lazzarini e Anna Maria Guarnieri in “Arsenico e vecchi merletti” (foto Tommaso Le Pera); il pirandelliano “Comme tu me veux” dall’Odéon di Parigi (foto Simon Gosslin); “Il nodo” di Johanna Adams con Ambra Angiolini e Ludovica Modugno con la regia di Serena Senigaglia (foto Serena Serrani)