SPETTACOLI- Pagina 15

È in arrivo SEEYOUSOUND International Music Film Festival

 

A Torino dal 23 febbraio al 3 marzo 2024

 

Inizia il conto alla rovescia per la X edizione di SEEYOUSOUND International Music Film Festival: Per dieci giorni, dal 23 febbraio al 3 marzo prossimi, questo festival, in cui suoni e immagini si fondono, riempirà le sale del cinema Massimo di Torino, e altre location cittadine pronte ad ospitare dj set, mostre e talk che completeranno il calendario delle proiezioni. L’apertura di venerdì 23 febbraio mostrerà le varie sfaccettature di Cyndi Lauper che, da giovane punk a star del pop, ha saputo restare un’artista femminista, coerente e impegnata, grazie all’anteprima italiana di “Let the Canary Sing”, un film che sarà introdotto dalla regista Alison Ellwood. Generi e decenni si susseguiranno a SEEYOUSOUND X attraverso 90 titoli, di cui 30 in anteprima italiana, che hanno per protagonisti i The Birthday Party di Nick Cave o band come Gogol Bordello, il gruppo anarco-punk dei Crass e il doom metal degli Earth. Verranno scoperte anche tre figure cardine della musica elettronica come Morton Subotnick, padre della techno e pioniere del synth, che a novant’anni ha performative live alla Biennale Musica di Venezia; Siracusa Norman Cook, per il mondo Fat Boy Slim, e Nicky Siano, primo dj resident dello Studio 54 e capostipite della dance newyorkese anni Settanta, che al Festival si esibirà in un dj set esclusivo. New York farà da scenario anche al doc prodotto da Shaggy, che farà rivivere la dancehall giamaicana e che prese piede a Brooklyn negli anni Novanta, mentre il poliedrico Anton Corbijn firma il lavoro su Hipgnosis, studio di design che ha realizzato alcune delle cover più iconiche degli anni Sessanta/Settanta, come “The dark side of the moon”, celebre album dei Pink Floyd e “Housesof the Holy” dei Led Zeppelin. Si andrà oltre al biopic e il film-concerto grazie a un ritratto molto intimo della cantante folk e attivista Joan Baez, scoprendo l’anima rivoluzionaria e queer del The Architect of Rock’n Roll Little Richard, e al ritmo di bossanova si entrerà nell’intenso rapporto artistico del duo Tom Jobim e Elis Regina.

SEEYOUSOUND assegnerà per la prima volta un premio alla carriera e il prescelto sarà Julien Temple che, ospite sabato 2 marzo prossimo, porterà in sala quattro perle del suo archivio, percorrendo opere dei The Clash, Sex Pistols e Keith Richards.

Al cinema Massimo si esibiranno il pianista e compositore Christophe Chassol, Cristina Donà, la crew 19’40”, Alberto Bianco accompagnato da Margherita Vicario, il trombettista Giorgio Licalzi, con uno speciale live, e Lamante.

Biglietteria presso il cinema Massimo, via G. verdi 18, Torino

 

Mara Martellotta

Il “grottesco” dei due amanti nascosto dietro la Storia

Repliche sino a domenica 18 febbraio, al Carignano

Un fascio di luce a colpire il sipario ancora chiuso e un gagliardo soldato a dirci, con evidenza di ammiccamenti sessuali, quanto il suo generale “che nelle mischie di grandi battaglie ha fatto scoppiare le fibbie della corazza sul suo petto rinnega ogni moderazione ed è diventato il mantice ed il ventaglio per raffrescare la lussuria di una zingara”. È l’inizio dell’”Antonio e Cleopatra”, opera poco rappresentata da noi, che Shakespeare trasse dalle “Vite parallele” di Plutarco, è l’inizio di uno spettacolo importante, tra quelli della stagione, cui hanno posto mano Emilia Romagna Teatro ERT/Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano e LAC Lugano Arte e Cultura. È l’occasione per Valter Malosti – oggi direttore dell’ERT – di affrontare con una nuova traduzione, dovuta a lui e a Nadia Fusini (ed è da consigliare a ogni amante di teatro l’intervento di quest’ultima nel programma di sala, “il ragazzo Cleopatra”, quanto mai approfondito ed esplicativo e piacevole alla lettura), la love story tra il triumviro, deciso a sconquassare il potere di Roma e a costruire sulle sponde del Nilo un impensato punto di ripartenza, e la regina, questa “dark lady” di rare pulsioni, che tra amori e passioni e abbandoni ne ha fatto il suo buffone, “un tragico buffone”, accresce Malosti, il suo giocattolo.

 

Occidente e Oriente, lo sguardo su due mondi opposti che mai s’incontrano, la lotta eterna. Drasticamente setacciando i circa quaranta personaggi dell’originale (si ipotizza la stesura del Bardo intorno al 1607) a dodici presenze soltanto – per tutti: spariscono Pompeo e il suo giro come gli amici di Cesare, e ufficiali e luogotenenti, si unificano le ancelle della regina -, Malosti sceglie di chiamare in primo piano i due amanti, ce li propone sin dall’inizio immersi in quella scena-tomba, sghemba e imponente, approntata da Margherita Palli su orme metafisiche che potrebbero ricordare volentieri i vasti spazi cari a De Chirico, spazi che in seguito verranno occupati dai due troni, dall’incedere di un cavallo su cui avanza Cleopatra, di ronconiana memoria. Un antro al centro, un grande buco nero, una sorta di oltretomba che tutto inghiotte, entro cui sparire, entro cui annientarsi, forse nascondersi alla Storia.

Un luogo di Eros rappacificato e di Thanatos realissimo, che apre ad un lungo flashback, alla vivisezione di questi “straripanti” protagonisti, a questo generale che ha perso la ragione e la saldezza di un tempo, la propria forza e l’ordine che lo reggeva per scivolare nel disordine, nella passione sfrenata che impedisce il ragionamento, nelle tirate bellissime ma assurde; e a questa regina, la “Cleopatràs lussusiosa” dantesca, una regina instabile ormai, divisa tra amore e libertà, ambigua, quasi clownesca, impudente, fatta di risate e sberleffi (il divertimento che mette nello scimmiottare la Fulvia che il suo amante ha abbandonato a Roma) ma pure di lacrime e disperazione, moderna nella sua volontà di reggere le sorti del proprio paese -, e, ancora tra le pagine della Fusini, ci ritroviamo a fare i conti con le verità di Jan Kott, da quell’ormai lontanissimo 1964 quando ci mostrò quanto Shakespeare sia “nostro contemporaneo” -, pronta ad affrontare, pur di non consegnarsi al vincitore e vedersi chiusa dentro una gabbia nel suo trionfo lungo le strade di Roma, il proprio suicidio, dove il mezzo, qui, non è un’aspide consegnatale da un contadino dentro un cesto di fichi ma una più moderna rivoltella: la fine di una storia, un monologo davanti ad un grande specchio, come quello che le grandi attrici hanno in camerino, per prepararsi alla grande prova o per struccarsi, al termine, mentre il suo compagno di recita, Antonio, compare a offrirle un grande mazzo di rose rosse. Uno sparo, il buio, sipario.

Il tutto inteso scavando in quel tono grottesco che non ti aspetteresti, in quell’eccentrico e in quel deformato che si può tranquillamente scorgere negli anni Trenta del secolo passato. Schegge, e non soltanto, come è Ottavia che se ne arriva con il suo abitino bianco e la valigia grandi viaggi in un ambiente troppo lontano da lei; come sono tutti quei toni alti, tutti falsati e falsi, che smaniano in vaporosi movimenti e in continui cambi d’abito (i costumi sono di Carlo Poggioli, il rosso prevale per la corte d’Egitto, il bianco con corazze rivisitate per i soldati di Roma, lunghe palandrane senza tempo per tutti) della protagonista.

Perché è qui la suggestiva, matura, convincente impostazione dello spettacolo da parte di Malosti – c’è semmai da rammaricarsi che non abbia voluto pigiare maggiormente su questo pedale, relegando soprattutto nella parte iniziale il proprio disegno e non spingendolo più oltre. Voglio dire che, in quel percorso di sacro e profano, di alto e basso, di finzione e di reale, di maschere che la coppia si mette sulla faccia, quella veste attoriale di cui ha rivestito i suoi protagonisti, con tanto di sfacciato gioco di teatro nel teatro, di “play” che si mostra senza paura e sempre oltre misura, nella sembianza alta di porgere la battuta, nella tragicità ma anche nella ridicolaggine delle espressioni e dei movimenti, andrebbe spinta sino in fondo. Compresi gli applausi che sentiamo alle loro spalle e i commenti e le risate alle frasi ironiche e divertenti della sovrana, compresi quella chitarra elettrica di Andrea Cauduro o l’arpa celtica di Dario Guidi, in scena anche convincente Eros, pronto a non sopravvivere al suo signore, compreso e magari ampliato il progetto sonoro di GUP Alcaro. Uno sguardo al privato (la passione degli amanti) come pure al pubblico, che non è soltanto politico, ma coinvolge l’idea della recita e il coinvolgimento della sala (Malosti/Antonio non sfuggirà alla “necessità” di scendere in platea, rivolgendo quel “tu” non più, in quel momento, ad un suo compagno di scena e di lavoro, ma ad ognuno di noi, rendendoci testimoni, autentici e attuali).

Tutta quella carrettata di grottesco se la gioca brillantemente Anna Della Rosa (lei che già ebbe a che fare, applauditissima, con la Cleopatra di Testori), in una varietà di sensazioni, di sentimenti, di affermazioni del corpo e della voce tutte quante agguantate con estrema sicurezza, un ventaglio di momenti tutti da apprezzare. L’abbiamo preferita all’attore/regista, parrucca bianca a riccioli da monarca settecentesco, che depone presto le armi di fronte a quell’ironia che per un po’ gli è calzata a pennello. Dario Battaglia è un solido Ottaviano, Massimo Verdastro un indovino giustamente incantato, Danilo Negrelli un Enobarbo che convince nell’amicizia e nel tradimento all’antico compagno d’armi. Con gli altri compagni, hanno costruito una serata di autentico successo, e il pubblico del Carignano (le repliche proseguono sino a domenica 18) ha applaudito con rara convinzione.

Elio Rabbione

Le foto dello spettacolo sono di Tommaso Le Pera

Al teatro Carignano va in scena Robin Hood

 Dal 17 febbraio per la regia di Maria Cortellazzo Wiel

 

Il teatro Carignano dedica un appuntamento ai più piccoli e alle loro famiglie, mettendo in scena, fuori abbonamento, la pièce di Alexandre Dumas “Robin Hood”, per la traduzione e l’adattamento di Marta Cortellazzo Wiel, Christian di Filippo, Celeste Gugliandolo, Lisa Lendaro, Marcello Spinetta, Aron Tewelde, diretti da Marta Cortellazzo Wiel.

Lo spettacolo, prodotto dal Teatro Stabile di Torino, andrà in scena da sabato 17 febbraio alle ore 16 fino a domenica 26 maggio prossimo.

Il tradizionale appuntamento per le scuole e le famiglie è quest’anno dedicato all’abile arciere della foresta di Sherwood, Robin Hood. La sua vita si divide tra la speranza di ricongiungersi al primo amore, Lady Marian, e la missione di proteggere il popolo dalle ingiustizie di re Giovanni. Il coraggio del giovane viene messo a dura prova quando la foresta di Sherwood è minacciata dalla ferocia del sovrano, aiutato dal crudele sceriffo. È l’inizio di una grande avventura, nell’ambito della quale fioriranno leggende e ballate. Dalla fervida fantasia di Alexandre Dumas padre nasce uno dei ritratti più affascinanti del leggendario fuorilegge inglese. Ad affiancarlo nelle sue imprese figurano i suoi fedeli compagni tra cui il valoroso amico Little John e la scaltra Maude. Paladino della giustizia e difensore dei deboli, Robin Hood è il principe dei ladri, incontrastato signore della foresta di Sherwood.

“La letteratura – spiega la regista Marta Cortellazzo Wiel – ha sempre regalato storie di eroi e eroine che, con le loro eccezionali virtù di coraggio e abnegazione, hanno compiuto gesta memorabili. Spesso ci rassicura che sia un eroe a dover portare a termine una missione. Il nostro Robin Hood non è un eroe, bensì un ragazzo che, come ogni essere umano, si confronta con i propri dubbi e paure, consapevole di non poter agire da solo. A sostenerlo in questa missione ci sono l’amico Little John che, con i suoi consigli, guida l’istinto spregiudicato del protagonista, l’incantevole lady Marian che, spinta dall’amore per Robin e dal suo senso di giustizia, compie atti rivoluzionari contro il suo stato sociale e Maude, fedele amica della giovane e astuta complice. Oltre ad essere un eroe, Robin Hood è uno dei fuorilegge più celebri della letteratura, l’arciere che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Chi non ha mai associato a lui questa frase? Ormai è diventata quasi un epiteto che descrive i nobili intenti del protagonista del romanzo di Alexander Dumas padre. È stato inevitabile per noi nella creazione del testo porci degli interrogativi circa il concetto di giustizia oggi.

Qual è il confine tra giusto e ingiusto? E quando un’ingiustizia, operata per un bene più grande, può trasformarsi in un atto di salvezza?”

Età consigliata a partire dai 5 anni

Biglietteria del teatro Stabile di Torino

Teatro Carignano, piazza Carignano 6

Orar6i dal martedì al sabato dalle 13 alle 19. Domenica dalle 14 alle 19. Lunedì riposo.

MARA MARTELLOTTA

“La ragazza sul divano” di Jon Fosse in prima nazionale al teatro Carignano

Per la regia di Valerio Binasco,  dal 5 al 24 marzo 2024

 

Martedì 5 marzo prossimo, alle 19:30, debutterà in prima nazionale al teatro Carignano di Torino, lo spettacolo “La ragazza sul divano” di Jon Fosse, autore norvegese insignito del Premio Nobel per la Letteratura nel 2023. Il 27 febbraio prossimo uscirà, con Giulio Einaudi Editore, “La ragazza sul divano” del noto scrittore. La traduzione del testo è di Graziella Perin, a firmare la regia è Valerio Binasco, direttore artistico del Teatro Stabile di Torino, che sarà in scena con Pamela Villoresi, Michele Di Mauro, Giordana Faggiano, Fabrizio Contri, Giulia Chiaramonte e Isabella Ferrari. Le scene e le luci sono di Nicolas Bovey, i costumi di Alessio Rosati, il suono di Filippo Conti. “La ragazza sul divano” è una nuova produzione del Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale insieme al Teatro Biondo di Palermo. Lo spettacolo verrà replicato al Carignano per la Stagione in abbonamento dello Stabile di Torino fino a domenica 24 marzo 2024.

Valerio Binasco è riconosciuto come il principale interprete italiano di Jon Fosse. Da sempre affascinato dalla poesia introspettiva che attraversa ogni suo testo, e dalla relazione quasi proustiana che le opere del maestro norvegese tracciano tra passato e presente.

Questa storia ha il suo fulcro narrativo in una donna di mezza età intenta a dipingere il ritratto di una ragazza seduta su un divano. Combatte contro i dubbi sulle proprie capacità artistiche e con l’immagine ricorrente della ragazza da cui si sente perseguitata. Essa non è altro che il ritratto di se stessa da giovane, turbata da mille incertezze.

Binasco è affiancato da un cast di grandi interpreti e affronta la difficoltà di curare e rimarginare le proprie ferite affettive.

“La scelta di allestire un’opera – afferma Valerio Binasco – come scrissi tempo fa a proposito della commedia ‘Sonno’ di Jon Fosse, a volte nasce da minimi segni, come certe pietre sul sentiero danno l’indicazione di un percorso; altre volte è il titolo stesso un indizio ermetico di qualcosa che stiamo cercando, perché si concretizza in un’immagine che si trasforma in un personaggio che viene voglia di guardare, di vedere cosa fa e, alla fine, di trovarsi al suo fianco e nel suo mondo. Altre volte un personaggio ci appare come un volto visto in sogno; al risveglio non si è sicuri di chi sia davvero, ma si sente di amarlo, chiunque esso sia. Amo la percezione fuori fuoco della realtà che trovo nei testi di Fosse. Il tema principale de ‘La ragazza sul divano’ è l’abbandono. In molte opere di Fosse torna, come un sogno ricorrente, la figura di una donna che aspetta il ritorno di un uomo che è partito per mare e non è più tornato. I quadri che la donna dipinge in questa pièce sono il punto di vista di chi guarda una nave partire e svanire verso un orizzonte ostile, simbolo di una minaccia che non riguarda solo il mare. Il dipinto simboleggia il padre che se ne va verso la sua idea di vita (il mare), la figlia rimasta sola, reclusa nella vita d’appartamento, percossa dal mare di un’acerba femminilità, cosiccome da quella tempestosa della madre e da quella autodistruttiva della sorella. Il dipinto incompiuto, se si vuole parlare dell’attesa: chi aspetta resta sospeso come sospesa è la forza purgatoriale dell’eterna attesa di un padre che non ritorna mai. Lo stile ossessivo e minimale di Fosse mi seduce. Credo che la sua qualità principale sia il ritmo. Un ritmo che, nonostante appaia lento o inerte, non è mai in ‘battere’, ma, al contrario, possiede un andamento in ‘levare’, anche e soprattutto quando l’azione sembra procedere con esasperata lentezza. Il suo ritmo è scenico, e ciò che è scenico risulta festoso e pieno di humour. Ecco perché, sebbene i suoi temi siano molto tristi e spesso tragici, la tragedia e la tristezza non sono in primo piano. Vi sono in primo piano le atmosfere sospese e l’umorismo serio, quasi duro, inespressivo di personaggi e interpreti”.

 

Teatro Carignano, piazza Carignano 6, Torino

dal 5 al 24 marzo 2024, Prima nazionale

Orari: da martedì, giovedì e sabato ore 19:30/ mercoledì e venerdì ore 20:45/ domenica ore 16:00/ lunedì riposo

Mara Martellotta

“Goddam, Nina!”, con Doppeltraum Teatro allo Spazio Kairos

Sabato 17 febbraio alle 21 allo Spazio Kairos

ANTEPRIMA NAZIONALE PER “GODDAM, NINA
In occasione del compleanno, che cade il 21 febbraio, l’omaggio a teatro a Nina Simone

 

Cosa ci racconta oggi Nina Simone? Come possono tre donne, bianche, europee, immedesimarsi nella rabbia e nelle sofferenze di una donna dannatamente dotata? Debutto nazionale sabato 17 febbraio alle 21 allo Spazio Kairos, via Mottalciata 7, per “Goddam, Nina!”, portato in scena da Doppeltraum Teatro per la regia di Thea Dellavalle all’interno della stagione “Riflessi” organizzata da Onda Larsen.

 

Sul palco Chiara Bosco, Luana Doni e Cristina Renda mettono in scena il testo scritto da Elvira Scorza che tratteggia la geografia umana, emotiva e politica di Nina Simone, mappa delle passioni universali. A pochi giorni dal suo compleanno (Nina era nata il 21 febbraio 1933 a Tryon) un ricordo in musica ed emozioni della  cantante che Rolling Stone ha posizionato al 29º posto nella lista dei 100 migliori cantanti di tutti i tempi. Ma Nina Simone, scomparsa nel 2003 a causa di un tumore al seno, è stata anche pianista, scrittrice e attivista per i diritti civili statunitense.

 

Lo spettacolo
Nel 2023 le attrici della compagnia Doppeltraum Teatro hanno eleborato  il progetto pluriennale “Drops” con la volontà di riportare alla luce quelle figure di donne che, in ambito politico, letterario, musicale e artistico, hanno lasciato un segno indelebile nella storia e, come piccole gocce d’acqua, hanno eroso con perseveranza e attraverso la loro arte un panorama di pensiero dominante, cambiando per sempre la storia della cultura di massa.

La prima tappa di Drops è proprio “Goddam, Nina!”, un dialogo artistico e un omaggio poetico a una figura fuori dagli schemi, quasi marginalizzata eppure cardine della cultura popolare: Nina Simone che, tra pochi giorni, il 21 febbraio 2024, avrebbe compiuto 91 anni. Emblema di genio creativo, divismo ed eccezionalità musicale accompagnati da sofferenze e sconfitte personali, ma anche simbolo del black power e delle lotte per i diritti civili in USA, Nina Simone viene ritratta poeticamente dalle attrici che interpretano la sua storia, incarnano il suo passato e immaginano un dialogo tra la Sacerdotessa del Soul e il tempo presente.


LO SPETTACOLO

Regia di Thea Dellavalle
con Chiara Bosco, Luana Doni e Cristina Renda
scritto da Elvira Scorza

Produzione Doppeltraum Teatro


UTILITA’

Spazio Kairos è via Mottalciata 7.
Intero 13 euro. Ridotto (ex allievi Scuderia Onda Larsen, Over 65, studenti universitari) 10 euro.
Ridotto speciale (allievi Scuderia Onda Larsen 23/24, under 18 e disabili) 6 euro.
Biglietti online su: www.ticket.it. Necessaria la tessera Arci. Info: biglietteria@ondalarsen.org

 

“Giovedì Scienza”: Hedy Lamarr, l’attrice che inventò il Wi -Fi

Per “Giovedì Scienza”, il 15 febbraio 2024, al Polo del ‘900, in via del Carmine 14, a Torino, alle ore 17.45, si terrà l’incontro “Da Holliwood al Bluetooth – L’attrice che ci ha portato il Wi -Fi”. Un pomeriggio con l’attrice e scrittrice torinese Sara Damario e con la professoressa Michela Meo del Dipartimento di Elettronica e Telecomunicazioni del Politecnico di Torino alla scoperta dell’attrice austriaca Hedy Lamarr. La diva viennese, per Andy Warhol la “donna più bella del mondo” non fu un’attrice qualsiasi: oltre a diversi film, sei mariti ed il successo internazionale sin dalla prima pellicola in cui si vede un seno nudo – “Extase” del cecoslovacco Gustav Machaty nel 1933 – brevettò un’invenzione a scopo militare, oggi utilizzata per la telefonia mobile, la tecnologia wireless. Lady Bluetooth interpretò quindi un ruolo chiave nella storia dell’innovazione scientifica inventando il moderno metodo di comunicazione senza fili impiegato nelle reti wi -fi e nel Gps. Modernissima.

Igino Macagno 

Bob Marley one Love, sugli schermi dal 22 febbraio

Bob Marley one Love, sugli schermi dal 22 febbraio la vita ,la storia, la musica del re del reggae. Le lotte in Giamaica, il successo ,le tournée, il ritorno in patria in un concerto che ha riunificato l’ isola Caraibica. La vita di un bambino come tanti cresciuti con i suoi fantasmi, una grande fede che le ha permesso di vivere e fare della sua
musica un mezzo di  lotta contro l’oppressione politica e razziale e all’invito all’unificazione dei popoli di colore come unico modo per raggiungere la libertà e l’uguaglianza. L’aspetto politico della sua vita è stato più importante di quello artistico. Un film bello che esalta la breve ed intensa vita del famoso musicista Giamaicano.

GD

Un ballo in maschera, il Maestro Riccardo Muti torna al Teatro Regio per il capolavoro verdiano

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Atteso ritorno al teatro Regio di Torino di Riccardo Muti  per dirigere l’Orchestra e il Coro del teatro Regio e un cast di interpreti di eccezione in ‘Un ballo in maschera’ di Giuseppe Verdi.

Il nuovo allestimento andrà in scena per sei recite da mercoledì 21 febbraio prossimo fino a domenica 3 marzo ed è firmato da Andrea De Rosa, direttore del TPE teatro Astra di Torino

Saranno protagonisti del capolavoro verdiano Piero Pretti nei panni di Riccardo, Luca Micheletti, protagonista dell’ultimo don Giovanni, nel ruolo di Renato, e Lidia Fridman in quello di Amelia.

“Siamo emozionati e orgogliosi di accogliere nuovamente al teatro Regio il maestro Riccardo Muti – dichiara Mathieu Jouvin – insieme al direttore artistico Cristiano Sandri abbiamo programmato la stagione 2023/2024 intitolata ‘Amour toujours’intorno a due punti centrali, Giacomo Puccini, nell’anno delle celebrazioni del Centenario, e la presenza straordinaria del maestro Muti con una nuova produzione del capolavoro verdiano”.

Regista teatrale di prosa e opera lirica, Andrea De Rosa è statodirettore del Teatro Stabile di Napoli e ora è  alla direzione del TPE teatro Astra di Torino. Poche opere verdiane ebbero tanti problemi con la censura come “Un ballo in maschera “. Nel 1859, anno della sua prima messinscena, era scandalosa unadrammaturgia che prevedesse un regicidio, una scena di magia e un amore extraconiugale. Per Verdi fu una sfida irrinunciabile.

“La corte di Riccardo, governatore di Boston – afferma Andrea DeRosa  descrivendo un ‘Ballo in maschera’ – sarà costantemente immersa in un clima di festa. Sin dalla prima scena tratteggerò un’atmosfera di spossatezza, stanchezza, ubriacatura, come sefossimo alla fine di uno dei tanti balli in maschera che si svolgono in questa casa. Ho immaginato un Riccardo Giovine che, prima di essere governatore, è un uomo che sprigiona un’energia vitale simile, per certi versi, a  quella di don Giovanni. Per un uomo così l’amore impossibile per Amelia, la moglie del suo migliore amico, diventa il limite invalicabile che egli è tentato di scavalcare. Il lato oscuro di questo amore, che trascina i malcapitati verso la rovina e la morte, avrà il volto di Ulrica, maga e veggente che, come le streghe in Macbeth, darà la spinta definitiva a quello che stava già precipitando.

La maschera sarà il tema centrale di tutta l’opera, non soltanto nel Ballo finale, ma nella messa in scena di tutto lo spettacolo.

Il melodramma in tre atti di Giuseppe Verdi, su libretto di Antonio Somma tratto dal dramma di Eugène Scribe, “Gustave III, out le bal masqué” debuttò al teatro Apollo a Roma il 17 febbraio 1859 e non a Napoli come previsto, dopo un’estenuante disputa con la censura borbonica che impose a Verdi di mascherare i messaggi potenzialmente antimonarchici al centro della vicenda. Riccardo, conte di Warwick e governatore di Boston, Renato, suo segretario, Amelia, moglie di Renato, questi i personaggi principali. Il conte ha organizzato un gran ballo in cui potrà rivedere Amelia, la donna di cui è innamorato segretamente, ma che è sposata con Renato. Questi lo avverte di una congiura ordita dai suoi nemici Samuel e Tom, mentre l’indovina Ulrica predice che la morte di Riccardo avverrà per mano di Renato,  profezia che nessuno ascolta. La scoperta dell’amore tra Riccardo e Amelia convince Renato a collaborare per uccidere il conte. Tutto accade durante la celeberrima scena del ballo in maschera quando Riccardo viene colpito a morte da Renato, accecato dalla gelosia.

Nell’opera, tratta da una storia vera, convivono in equilibrio magistrale il comico e il tragico, la frivolezza del paggio Oscar,  unico personaggio en travesti del teatro verdiano, e la passionalità del duetto d’amore del II atto e della grande aria di Renato “Eri tu che macchiavi quell’anima”.

La nuova produzione si avvale delle scene estremamente elegantie raffinate di Nicolas Bovey, premio Ubu 2021 per la miglior scenografia de “La casa di Bernarda alba” e “Le sedie”, premio Ubu 2022 per il miglior disegno e luci de “La signorina giulia” e “I due gemelli veneziani”.

I costumi sono firmati da Ilaria Ariemme, torinese, ma che vive e lavora a Milano. I movimenti coreografici sono di Alessio Maria Romani, le luci di Pasquale Mari. Il coro del teatro Regio è istruito  dal maestro Ulisse Trabacchin.

Muti sarà nuovamente sul podio del Teatro Regio dopo esservi stato in “Così fan tutte” di Wolfgang Amadeus Mozart, presentato in streaming nel marzo 2021, e dopo Don Giovanni, sempre di Mozart, nel novembre 2022.

L’Anteprima Giovani, riservata agli under 30, è in programma lunedì 19 febbraio alle 20.

MARA MARTELLOTTA

Emma Stone è Belle, un lungo percorso verso la conoscenza e la libertà

PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Yorgos Lanthimos, ateniese d’origine e classe 1973, fa cinema ormai da più di vent’anni, ventitrè per l’esattezza, lasciando presto le sponde dell’Egeo per essere chiamato a Hollywood e trovarvi successi e candidature agli Oscar e opere controverse. Film che non possono esimere nessun critico o spettatore dalla discussione, anche la più accesa, film che sconquassano, che non ti lasciano certo indifferente. Capolavori, come qualcuno li definisce senza alcun freno? Interessanti, controversi, barocchi, discontinui, assurdi, violenti, eccessivi, insopportabili, ammirevoli. Si ammirano e/o si detestano. Esci e avverti che qualcosa ti hanno lasciato, altro ti hanno immesso a forza. Capolavori io definirei “Il sacrificio del cervo sacro” e “La favorita” per la loro interiore quanto diversa “bellezza”, su altri titoli dubito.

Oggi, dopo il Leone d’oro veneziano, dopo gli osanna arrivati dalla stragrande parte della critica, arriva sugli schermi “Povere creature!” – con tanto di punto esclamativo ben in vista rispetto all’originale “Poor Thinghs” – che il regista ha affidato in primo luogo alla sceneggiatura di Tony McNamara, scivolato a sua volta nelle pagine dell’omonimo romanzo dello scozzese Alasdair Grey, scomparso nel 2019. E ci ritroviamo nuovamente a decidere quanto e se l’ultima fatica possa godere del termine “capolavoro”. Due Globe alle spalle e undici candidature agli Oscar di marzo, e qui pare che abbia già parecchie certezze sui podi definitivi e più alti: pieni convincimenti? leggi del cinema d’oltreoceano? la finale quanto inevitabile lotta con il superfavorito (assai più robusto) “Oppenheimer” per cui qualcuno non dormirà la notte e che dal giorno dopo la premiazione farà versare gli antichi fiumi d’inchiostro?

In una Londra vittoriana spruzzata qua e là da tracce di una fantasiosa modernità (scenografie di Shona Heath e James Price, oscarizzabilissimi, come i costumi della collega Holly Waddington), una donna, elegante nel suo abito blu, si suicida gettandosi da un ponte. In una fotografia (di Robbie Ryan, altra candidatura altra statuetta?) in bianco e nero, che si aprirà poi a sinfonie di colori, chiuso al riparo del suo gabinetto scientifico, cultore del più freddo positivismo, con il solo aiuto di un dolcissimo quanto in seguito innamoratissimo assistente, agisce il professor Godwin Baxter (Willem Defoe) – un viso distrutto e vistosamente ricucito, larghe orribili fessure che lo attraversano, una sorta di Frankestein uscito dalla mente di Mary Shelley, lo si udrà chiamare semplicemente God, radice divina, come il Godot beckettiano – che riporta alla vita la povera donna innestandole il cervello del feto che aveva in grembo. Ha inizio una storia d’amore e di protezione, una storia che s’immerge nell’horror, un percorso di ribellione e di emancipazione, un attraversamento di gironi danteschi a far assaporare tutto il male della terra, un urlo contro la sopraffazione dell’uomo nei confronti dell’essere femminile? Bella, questo il nome della nuova creatura, poco a poco impara ad assumere la posizione eretta, a leggere e a scrivere, a mangiare senza sputare nel piatto o addosso a chi è a tavola con lei; impara e predilige alla scoperta il piacere sessuale, quotidiano, mai trattenibile, fuori di ogni norma e misura.

Per soddisfarlo maggiormente, seguirà un avvocato (l’istrionico, famelico Mark Ruffalo), un bellimbusto che le farà gustare piaceri e viaggi attraverso varie città europee e non solo, sino all’ultima tappa parigina, in cui l’amante è messo di fronte ad una brusca ribellione e abbandona l’impresa, mentre Bella può anche saggiare i peccati del bordello e la varietà di esseri che ci bazzicano in cerca di compagnia. Nel ritorno a casa, sarà Bella a uscire netta vincitrice al traguardo di quel lungo, estenuante, eroticissimo (intriso di filosofia nelle chiacchierate di una coppia con cui si ritrova ad attraversare il mare) cammino: annientando in ultimo anche un preteso consorte, avendo appreso appieno quella scienza che un tempo vedeva operare dal suo forse folle professor Godwin.

Surreale, felicemente fanciullesco (come non sorridere davanti a quegli pseudo animali usciti fuori da una favola e dagli esperimenti di God?), sghembo, furbo (figuriamoci se il cinema si lasciava scappare il soggetto di Grey), liberissimo e trasgressivo come forse di rado si è visto sullo schermo, ardito per quanto riguarda il corpo (spesso nudo) e la interpretazione della protagonista, nonché coproduttrice, Emma Stone (è da incubo vedere come Lanthimos sappia rigirarsela tra le mani qui, dopo i già alti livelli della “Favorita”, e guardare soprattutto nella parte iniziale – la più convincente – i movimenti, le giravolte, gli squilibri, i gorgoglii, i gesti inaspettati con cui l’attrice riempie la sua Belle), probabilmente prossima migliore attrice anche se (e direi che il doppiaggio italiano insiste su questo versante) con lo svilupparsi del personaggio nelle varie stazioni di quella che potremmo intendere come la sua “crescita” tenda ad appiattirsi, s’egualizzi in una fissità (forse imposta?) che sottrae qualcosa a Belle. Anche se “Povere creature!” esula dal cinema che sta nelle preferenze e negli amori di chi scrive queste note, è innegabile la visionarietà, la costruzione di perenni fuochi d’artificio, la folle e strampalata immaginazione, il desiderio di stupire, il talento, il piacere nello sbrigliare il cervello e la pancia, da parte del regista, in un susseguirsi senza freni, smodato, ineguagliabile, di invenzioni e di aridità di (umani?) sentimenti, di sensazioni venute su allo stato brado. Viene il desiderio di andarsi a leggere subito subito “Poor Things” per vedere, conoscendo come a volte siano più stretti i confini del cinema, quanto della pagina scritta sia stato trasportato con fedeltà – tutta? in parte? – sullo schermo, quanto le pulsioni, gli smodati appetiti, la sfrontatezza, i desideri irrefrenabili, le novità di prospettiva, la lotta forse non del tutto chiarita della protagonista nemmeno a se stessa siano state rese da Lanthimos.

Per te, che puoi fare a meno di me

Mostra-evento effimera dedicata alle Storie d’Amore interrotte, allo spazio Antro

Antro, 14/02/24, Torino, Largo Saluzzo 34/e – In occasione della festa degli innamorati, che quest’anno coincide con il Mercoledì delle ceneri, dopo l’ultimo giorno di Carnevale, Antro accoglierà una mostra-evento effimera dedicata alle storie d’amore interrotte. Questo evento trae ispirazione dal progetto Brokenships e dal Museum of Broken Relationships di Zagabria, promuovendo una riflessione sulla natura mutevole e spesso dolorosa dell’amore.
La giornata del 14 febbraio sarà un’opportunità alternativa per esplorare e riscoprire il significato dell’amore attraverso una varietà di esperienze artistiche e interattive. La mostra-evento si propone di celebrare il gioco delle forme che l’amore assume nelle vite di ciascuno di noi, offrendo uno spazio sicuro per la condivisione e la riflessione sulle esperienze passate.
Gli oggetti esposti rappresenteranno testimonianze tangibili di storie d’amore finite, invitando i visitatori a esplorare la complessità delle relazioni umane e a riconsiderare il significato dei simboli materiali o virtuali che hanno segnato il proprio percorso sentimentale.
La mostra-evento, aperta al pubblico dalle 16 fino alle 23, offrirà un’occasione unica per partecipare ad un’azione di risignificazione personale e collettiva. Antro e le sue stanze si trasformeranno in uno spazio di introspezione e meditazione, dove ognuno sarà invitato a esplorare la propria connessione con l’amore e la sua presenza nella vita quotidiana attraverso le emozioni che accompagnano una rottura d’amore. Sul tema, l’evento ospiterà anche un concerto, una performance e una stand-up comedy.

L’ingresso è gratuito per tesserati Antro, la prenotazione è consigliata al fine di garantire un’esperienza migliore. Di seguito il link: https://bit.ly/42G9ndm

Per ulteriori informazioni e dettagli sull’evento:
Pagina Instagram di Antro: @antro_torino Mail: info@antropo.it
Numero di telefono: +39 3667304077