SPETTACOLI- Pagina 16

Per te, che puoi fare a meno di me

Mostra-evento effimera dedicata alle Storie d’Amore interrotte, allo spazio Antro

Antro, 14/02/24, Torino, Largo Saluzzo 34/e – In occasione della festa degli innamorati, che quest’anno coincide con il Mercoledì delle ceneri, dopo l’ultimo giorno di Carnevale, Antro accoglierà una mostra-evento effimera dedicata alle storie d’amore interrotte. Questo evento trae ispirazione dal progetto Brokenships e dal Museum of Broken Relationships di Zagabria, promuovendo una riflessione sulla natura mutevole e spesso dolorosa dell’amore.
La giornata del 14 febbraio sarà un’opportunità alternativa per esplorare e riscoprire il significato dell’amore attraverso una varietà di esperienze artistiche e interattive. La mostra-evento si propone di celebrare il gioco delle forme che l’amore assume nelle vite di ciascuno di noi, offrendo uno spazio sicuro per la condivisione e la riflessione sulle esperienze passate.
Gli oggetti esposti rappresenteranno testimonianze tangibili di storie d’amore finite, invitando i visitatori a esplorare la complessità delle relazioni umane e a riconsiderare il significato dei simboli materiali o virtuali che hanno segnato il proprio percorso sentimentale.
La mostra-evento, aperta al pubblico dalle 16 fino alle 23, offrirà un’occasione unica per partecipare ad un’azione di risignificazione personale e collettiva. Antro e le sue stanze si trasformeranno in uno spazio di introspezione e meditazione, dove ognuno sarà invitato a esplorare la propria connessione con l’amore e la sua presenza nella vita quotidiana attraverso le emozioni che accompagnano una rottura d’amore. Sul tema, l’evento ospiterà anche un concerto, una performance e una stand-up comedy.

L’ingresso è gratuito per tesserati Antro, la prenotazione è consigliata al fine di garantire un’esperienza migliore. Di seguito il link: https://bit.ly/42G9ndm

Per ulteriori informazioni e dettagli sull’evento:
Pagina Instagram di Antro: @antro_torino Mail: info@antropo.it
Numero di telefono: +39 3667304077

All’Auditorium Rai il celebre Concerto di carnevale

 

 

In programma martedì 13 febbraio alle 20:30, all’Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino il tradizionale concerto di Carnevale, trasmesso in live streaming sul portale di RAI Cultura e in diretta su Radio 3.

Sul podio il direttore d’orchestra americano, e di origini estoni, Kristjan Järvi, frequente ospite dell’OSN RAI. Anche produttore, compositore e arrangiatore, ha all’attivo più di 60 album e ha calcato i più rinomati palcoscenici internazionali, dirigendo il grande repertorio da Wagner a Čajkovskij, passando per la musica contemporanea di Steve Reich fino al rock alternativo dei Radiohead. Il programma prevede l’apertura affidata al Can Can tratto da “Orfeo all’inferno” di Jacques Offenbach, fino all’Ouverture de “Il pipistrello” di Johann Strauss Junior, passando per una serie di pagine danzanti come il valzer “Gold und Silber” op. 79 di Franz Lehár o la Danza spagnola tratta da “La vida breve” e la danza finale da “El sombrero de tres picos” di Manuel de Falla. Il programma è completato dalla Toccata “Little train of Caipira” dalla Bachianas brasileiras n. 2, dalla “Fête polonaise” da ‘Le roi malgré lui’ di Emmanuel Chabrier e da “Errinerung an Ernst, oder ‘Der Karneval in Venedig’”di Johann Strauss padre, in pieno spirito carnevalesco. Non mancano celebri pagine operistiche come la sinfonia da “L’italiana in Algeri” di Gioacchino Rossini e la sognante “Barcarolle” dai Racconti di Hoffmann di Offenbach.

Biglietti in vendita sul sito dell’OSN RAI e presso la biglietteria dell’Auditorium RAI “Arturo Toscanini” di Torino

Biglietteria.osn@rai.it

Info: 011 8104653

 

Mara Martellotta

Rock Jazz e dintorni a Torino. Jethro Tull e Paola Turci

GLI APPUNTAMENTI MUSICALI DELLA SETTIMANA 

Lunedì. All’Hiroshima Mon Amour serata in ricordo di Roberto “Freak” Antoni.

Mercoledì. Al Peocio di Trofarello si esibisce il batterista Aquiles Priester. Al Museo d’Arte Orientale suona il trio Sirom. Allo Ziggy si esibiscono le Asagraum. Al Blah Blah sono di scena i Constant Smiles con il duo Clementine Valentine. Al Circolo Mossetto si esibisce Federico Sirianni e il duo Merakee.

Giovedì. Al Cafè Des Arts suona il trio del chitarrista Christian Coccia. Al teatro Colosseo arrivano i “mitici” Jethro Tull di Jan Anderson. Al Blah Blah si esibiscono i Fvzz Popvli mentre al Magazzino sul Po è di scena il cantautore Lepre. Al Cap 10100 suonano i Tropea.

Venerdì. Al Circolo della Musica di Rivoli si esibiscono Enzo Avitabile e Peppe Servillo. All’Hiroshima è di scena Dente. Al Magazzino di Gilgamesh per la rassegna blues si esibisce il cantante LeBron  Johnson. Al Folk Club suona il leggendario sassofonista dei Blues Brothers Lou Marini. All’Off Topic si esibisce Ibisco mentre all’Imbarchino suonano i Big Cream. Al Blah Blah sono di scena i Fratelli Lambretta  Ska Jazz. Allo Spazio 211 si esibiscono i Vintage Violence.

Sabato. Al Concordia di Venaria canta Paola Turci. Al Cap 10100 hip hop con Sa-Roc. Alla Suoneria di Settimo si esibisce Lucio Corsi. Allo Spazio 211 è di scena Any Other. Allo Ziggy suona il duo Selofan.

Domenica. Al Blah Blah Punk rock con gli Hi Fi Spitfires.

Pier Luigi Fuggetta

”Danza nel tempo” è il nuovo album di inediti del fisarmonicista Luca Zanetti

Sarà ospite il 17 febbraio del Caramella Choco Bistrot

 

È uscito un nuovo album di inediti del fisarmonicista piemonteseLuca Zanetti in duo con Paola Torsi al violoncello, intitolato “Danza nel tempo”. In questo album Zanetti compone musica descrittiva.  Sono sette brani come sette visioni dedicate a personaggi comuni  che, con le loro storie ordinarie, fanno riemergere pulsioni, ricordi, sentimenti,  anche con forza.

Si tratta di racconti musicali precisi, dettagliati, interiorizzato e restituiti, che parlano direttamente alla parte più  profonda dell’ascoltatore. Sono voci narranti di cui si avverte intera l’emozione e tutta l’intensità espressiva.

Fondamentale è  anche la sensibilità,  oltre che i colori musicali, che Paola Torsi riesce a donare all’opera. Il violoncello, infatti,  dialoga con il mantice della fisarmonica in modo colto, elegante, tanto da sembrare un’ulteriore voce narrante. Basti ascoltare il ‘tema di Shari’ per vedere, attraverso la musica, una bambina che cammina tra le macerie  di una guerra che non le appartiene. Le corde del collo diventano i battiti del suo cuore, mentre i tasti della fisarmonica disegnano una melodia infantile e struggente. O in “Deportati” il suono contemporaneo  dei due strumenti assume le sembianze dei treni della morte che giungevano nei campi di concentramento, evocando  a tratti lo stridere acuto delle ruote contro i binari.

La ragazza ritratta sulla copertina rappresenta l’ottava visione, figura odierna che non nasconde le sue difficoltà,  anzi mostra il braccio artificiale senza pudori, vagheggiando dolcemente a occhi chiusi la sua personale “danza nel tempo” verso il futuro.

Scritto, arrangiato e registrato in presa diretta, in questo lavoroZanetti e Torsi raggiungono un’intesa che riesce sapientemente a valorizzare le potenzialità timbriche di fisarmonica e violoncello. In esso c’è tutto il suono e il tocco di Zanetti, la sua maturità artistica e la sua volontà di sperimentare e di stupire.

Sabato 17 febbraio Zanetti si esibirà  al Caramella Choco  Bistrot, lo spazio accogliente e quasi fiabesco che ha aperto la casa editrice guidata da Paola Caramella nel quartiere Cit Turin, in corso Francia 34.

MARA MARTELLOTTA

Debutto di “Antonio e Cleopatra” di William Shakespeare al teatro Carignano

Con Valter Malosti nelle vesti di regista e interprete, il 13 febbraio prossimo 

 

Debutto al teatro Carignano, martedì 13 febbraio, alle ore 19:30, di ‘Antonio e Cleopatra’, spettacolo per la regia di Valter Malosti, che ha curato traduzione e adattamento dell’opera shakespeariana insieme a Nadia Fusini. Protagonisti dell’opera saranno Anna Della Rosa e lo stesso Malosti.

Lo spettacolo è coprodotto da Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura. Resterà in scena per la stagione d’abbonamento dello Stabile fino a domenica 18 febbraio. Le recite in programma dal 13 al 18 febbraio, al Carignano, sono accessibili attraverso sovratitolazione, audiodescrizione e materiale di approfondimento. Venerdì 16 febbraio, alle ore 18:00, è previsto un tour descrittivo e tattile sul palcoscenico.

“Antonio e Cleopatra” è un’opera disincantata e misteriosa che mescola tragico, comico, sacro e grottesco, santifica l’eros con alcuni dei versi più evocativi dell’opera shakespeariana. Valter Malosti e Anna Della Rosa sono i protagonisti della grande tragedia di Shakespeare, scritta tra il 1607 e il 1608 che, come suggerisce Gilberto Sacerdoti, è un prisma ottico: visto di fronte è la storia di amore e politica narrata da Plutarco. Visto di sbieco, ci spinge a decifrare l’infinito libro di segreti della natura.

“i due straripanti protagonisti – spiega Valter Malosti – eccedono ogni misura per affermare la loro infinita libertà. Politicamente scorretti e pericolosamente vitali, al ritmo misterioso e furente di un baccanale egiziano, vanno oltre la ragione e i giochi della politica. Inimitabili e impareggiabili, neanche la morte li può contenere”.

“Di Antonio e Cleopatra – prosegue il regista – la mia generazione ha impressa nella memoria l’immagine, ai confini con il kitsch, vista attraverso la lente di ingrandimento del grande cinema (grande davvero, vista la regia Joseph L. Mankiewicz), di Hollywood, della coppia Richard Burton/Liz Taylor. Su quest’opera disincantata e misteriosa, capace di mescolare il tragico al comico e il sacro al grottesco, su questo meraviglioso poema filosofico e mistico-alchemico, che santifica l’eros, che gioca con l’alto e il basso, aleggia, secondo più di uno studioso, l’ombra del nostro grande filosofo Giordano Bruno. Si tratterebbe di un ‘teatro della mente’”.

“Mi hanno sempre colpito, leggendo e rileggendo Antonio e Cleopatra – spiega Malosti – la prima e l’ultima scena, ma non capivo esattamente il perché. Mi sembravano due scene, stavo per dire inquadrature, non rilevanti. Nella prima scena, uno degli ambasciatori arrivati da Roma, per avere un colloquio con Antonio parla del grande Generale come fosse un vecchio demente, disordinato, libidinoso, perso dietro l’amore per la zingara Cleopatra. Nella scena che chiude la tragedia, osserviamo il vincitore Cesare Ottaviano davanti al copro esanime di Cleopatra, che incita al massimo ordine. Antonio e Cleopatra inizia quindi col massimo disordine in atto, in cui Eros vive insieme a Thanatos in un baccanale egiziano, e convive con le guerre e la Res Publica e il potere, ma tutto questo sconvolgimento svanisce con la morte dei due amanti ‘senza pari’. L’ultima scena appartiene a Cesare Ottaviano che, dopo la beffa politica del suicidio di Cleopatra, concede ai due una imperitura tomba, ed esige dai suoi il massimo ordine relativamente al rito di sepoltura, con tutto l’esercito schierato. Massimo ordine che vuole cancellare per sempre il massimo disordine, ed è istintivamente, proprio per me dall’immagine ineludibile di questa tomba-monumento, che è iniziata la nostra ricerca su Antonio e Cleopatra. Ho chiesto a Margherita Palli di creare una scena ‘tomba’ con gli strati millenari della storia visibili. Una scena tomba che potesse riprodurre un mausoleo odierno.

 

Mara Martellota

Mahler “orientale” al “MAO”

 

Si intitola “Frammenti” il singolare evento musicale dedicato a Gustav Mahler dal “Museo d’Arte Orientale” di Torino

Domenica 11 febbraio, ore 12/13 e 17/18

Abbracciare e divulgare l’idea di un “orientalismo consapevole”, sottolineando il carattere di parzialità e soggettività implicito nel concetto di Oriente. Parte di qui la volontà del “MAO-Museo d’Arte Orientale” di Torino, di “dare spazio a voci dissonanti e punti di vista alternativi, per suggerire nuove possibili letture dei fenomeni culturali che, dall’Asia, si diffondono in Europa e in tutto il mondo”. E di qui prende avvio l’iniziativa, sicuramente singolare, messa in campo per domenica 11 febbraio (ore 12/13 e 17/18) dell’evento musicale dal titolo “Frammenti”(da un’idea di Erik Battaglia, con coreografie di Vincenzo Di Federico e di Lanxin Zheng), attraverso il quale, negli spazi del “Museo” di via San Domenico, risuoneranno dal vivo le note di alcuni brani di “Das Lied von der Erde”( “Il canto della terra” ) di Gustav Mahler, composizione per contralto, tenore e orchestra in sei movimenti che mette in musica altrettanti “Lieder” della raccolta “Die chinesische Flöte” del poeta tedesco Hans Bethge, un’antologia di testi di autori cinesi di “epoca Tang” (fra cui Li Bai e Wang Wei) riscritti dall’autore a partire da versioni tedesche e francesi. Con “Il canto della terra”, e soprattutto con il conclusivo “Abschied”, il grande compositore austriaco prende congedo dalla vita ma “l’addio, pur nella sua drammaticità, suggerisce il ricordo di una vita felice e piena e porta con sé una promessa di rinascita e di eternità”.

 

Inserito nell’ambito dei festeggiamenti per il “Capodanno cinese” (dal 10 al 24 febbraio), l’evento é il secondo atto di una collaborazione avviata lo scorso anno fra il “MAO” e il “Conservatorio Statale di Musica Giuseppe Verdi” di Torino in occasione di “Sonic Blossom”, la “performance partecipativa trasformativa” dell’artista taiwanese-americano Lee Mingwei che ha animato il “Museo” a maggio 2023. Nell’ambito di questa collaborazione e del progetto#MAOTempoPresente, che aspira a trasformare le sale e le gallerie del “Museo” in luogo vivo, spazio di sperimentazione e conoscenza delle culture dei Paesi dell’Asia attraverso esperienze multisensoriali, al “MAO” saranno installati due pianofortigenerosamente messi a disposizione dell’azienda “Piatino” di Torino: fino al 2 giugno gli strumenti, collocati nelle gallerie“Giappone 1” e “Paesi islamici dell’Asia”, saranno a disposizione di un gruppo di studenti del Conservatorio, che potranno esercitarsi durante l’orario di apertura del Museo.

Sottolineano dal “MAO”: “Da Schubert a Ravel passando per Schumann, Puccini, Mahler, Debussy e molti altri, il repertorio sarà quello della tradizione musicale classica occidentale legato al fenomeno dell’orientalismo e rappresenta una nuova occasione di riflessione sull’ ‘eurocentrismo’, sulla percezione dell’altro, sull’insieme di stereotipi in cui l’Occidente ha rinchiuso e imprigionato l’Oriente, dipingendone un’immagine esotica, selvaggia e favolosa”. Ben lontana dal vero.

Artisti partecipanti: Laura Capretti(mezzosoprano), Emma Bruno (contralto), Pamela Pelaez (flauto), Pier Nicolò La Rotonda (oboe), Viola Pregno (violoncello), Diletta Capua (arpa), Lorenzo Abbona (tam tam).

Per info: “MAO-Museo d’ARTE Orientale”, via San Domenico 11, Torino; tel. 011/4436932o www.maotorino.it

g.m.

Nelle foto: “Abschied”, versione cinese e Arpa

 

I cinquant’anni del Centro Studi del Teatro Stabile torinese

Se in questi giorni passeggiate sotto i portici di piazza San Carlo, avrete sotto gli occhi cinquant’anni di teatro, una ricchezza non soltanto per gli appassionati, una strada di piccole curiosità, una mostra fotografica, “cinquant’anni di memoria dello spettacolo dal vivo”, che non è che il curioso preambolo ai festeggiamenti l’anno prossimo per i (primi) settant’anni del Teatro Stabile torinese. Dal “Grande coltello” di Odets (stagione 1960/61) per la regia di Franco Parenti ad “Akhenaton”, un’Agatha Christie riadattata da Valter Malosti (stagione 2014/15), dal pirandelliano “Come tu mi vuoi” diretto da Susan Sontag con Adriana Asti (1980/81) all’”Ifigenia” di Valerio Binasco (2021/22), dalla “Commedia senza titolo” di Cechov diretta da Lavia (1997/98) a “Itala Film” di Giancarlo Sepe (1985/86) al lontanissimo “Come ali hanno le scarpe” di Alberto Perrini per la regia di Gianfranco De Bosio (1959/60). Per l’intero mese di febbraio, trentadue “bandiere” fotografiche, suddivise in quattro percorsi tematici – “appassionarsi”, “incontrarsi”, “abbandonarsi”, “cercarsi”: ovvero “le azioni attraverso cui i personaggi entrano in relazione tra loro o con il pubblico” -, che sono la vetrina del Centro Studi dello Stabile, fondato da Nuccio Messina e Aldo Trionfo, il luogo di raccolta e di conservazione di locandine, manifesti, recensioni, fotografie, schede e quaderni di sala, copioni, bozzetti e figurini, videoregistrazioni e note di regia “provenienti non solo dall’attività del Teatro Stabile di Torino ma anche dalle numerose collezioni librarie ricevute nel corso degli anni da artisti, compagnie, critici teatrali che hanno consentito un costante e capillare aggiornamento di tutto il materiale archivistico”, sottolinea Anna Peyron, responsabile del Centro.

Essendo il primo nucleo il fondo ricevuto da Lucio Ridenti, che alla fine del 1973 mise a disposizione l’archivio completo della rivista “Il Dramma”, dal 1952 al ’73 appunto, con al suo interno, tra l’altro, ricorda ancora Peyron, “un ricco carteggio tra Ridenti ed Eduardo, fotografie e ricordi, e le bozze di stampa delle “Voci di dentro” e “Questi fantasmi”, autografate”. A quell’importante lascito seguirono (e il risultato sono i 30.000 volumi attuali) quello di Gian Renzo Morteo, docente universitario e codirettore dello Stabile nella Direzione Collegiale che ne prese la guida tra il ’68 e il ‘71 (3000 volumi, più un centinaio di tesi di laurea), del Fondo Armando Rossi, del Gruppo della Rocca, del Cabaret Voltaire, del Teatro dei Sensibili di Guido Ceronetti, del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman, di Misa Mordeglia Mari e Febo Mari legati ai primordi del cinema torinese, di Fabio Doplicher e di Massimo Castri, indimenticato regista. Molto probabile ultimo tassello, sono in questi mesi in fase di acquisizione i materiali provenienti dall’archivio personale di Eugenio Allegri. È altresì da ricordare che nel 2009 il Centro Studi è stato riconosciuto come Istituto di ricerca attraverso un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri e dal 2015, oltre a garantire un costante servizio al pubblico (su appuntamento), ha reso disponibile gratuitamente on line tutta la documentazione relativa alla storia dello Stabile, dalla sua fondazione (1955) ad oggi, per un totale di oltre 700 spettacoli (60.000 pagine di materiali d’archivio).

Sottolinea ancora Peyron: “È la nostra un’eccellenza a livello nazionale, visitata non soltanto da studenti nella preparazione della tesi ma altresì da critici e da attori di passaggio a Torino. E da un pubblico in cerca di semplice documentazione. Sorprendono sempre le ricchezze che il visitatore può trovare al suo interno, da una ricca documentazione sulla “scandalosa” “Arialda” di Testori messa in scena da Luchino Visconti all’Eliseo di Roma nel dicembre del ‘60, certe rare fotografie di Pirandello, tra gli altri i bozzetti e gli allestimenti firmati da Luzzati e da Colombotto Rosso, i modellini di Enrico Job per i “Sei personaggi” o di Giulio Paolini per la “Mandragola”, spettacoli entrambi firmati da Mario Missiroli. Un vero patrimonio, ricco e ineguagliabile, non soltanto a raccontare la polvere del palcoscenico ma costruito ad essere una memoria che ancora trova solide base nel tempo presente.

Elio Rabbione

Nella immagine di Luigi De Palma, “Ifigenia” di Euripide per la regia di Valerio Binasco (stagione 2021/22) e, foto di Tommaso Le Pera, “Itala Film”, regia di Giancarlo Sepe (stagione 1985/86); nella foto di Michele D’Ottavio, Gabriele Lavia in “Commedia senza titolo” di Cechov (stagione1997/98)

Palcoscenico Danza 2024, l’altra metà del mondo

Sono otto gli appuntamenti della rassegna diretta da Paolo Mohovic per il teatro Astra

 

Sono otto gli appuntamenti di Palcoscenico Danza 2024, l’altra metà del mondo, la rassegna diretta da Paolo Mohovic, progetto del TPE Teatro Astra. Coreografi di rilievo nazionale e internazionale metteranno in scena le loro creazioni, due prime assolute, una produzione TPE, due coreografie firmate da Mohovich.

Il 10 febbraio prossimo andrà in scena al teatro Astra Cultus della compagnia Zappalà Danza.

Il 13 febbraio prossimo al Teatro Astra andrà in scena ‘Svelarsi’ di Silvia Gallerano, uno spettacolo rivolto alle donne o a chi si sente tale per riappropriarsi dello spazio negato dal patriarcato. E per farlo non si può che parlare di corpo, il corpo femminile. Invasione, mancanza di spazio, compressione da una parte. La potenza, lo strabordare, la risata travolgente dall’altra. La cultura patriarcale che ancora ci circonda insegna alle donne sin da piccole a limitare i propri desideri di potenza e ad accettare invasioni di campo da parte dell’altro sesso, dove il campo è il corpo, a mettersi in disparte e per senso di costrizione spesso a esplodere. Si parte da vissuti diversi che hanno una nota comune, l’umiliazione, la mutilazione, l’invisibilità.

Dal 15 febbraio al 17 marzo sarà di scena la pièce “Le mie parole vedranno per me” di Marco Cosucci e Andrea Dante Benazzo.

L’indagine sullo sguardo e il non vedere di Marco Cosucci si traduce in uno spettacolo immersivo e site specific realizzato in Area X, nell’ambito della stagione sostenuta da Intesa Sanpaolo.

Settanta registrazioni, diari sonori e tecnica binaurale, quando la tecnologia si pone al servizio della creazione artistica. In questo spettacolo sonoro immersivo due giovani promesse del teatro contemporaneo indagano il rapporto tra vedere e non vedere, portando in scena le testimonianze di persone cieche o ipovedenti. Lo spettatore, affiancato da un performer, viene messo al centro di un universo percettivo che contempla una pluralità di spazi, voci e suoni, ascoltando in cuffia ricordi e riflessioni di persone con cecità totale e parziale. In questo modo viene portato a interrogarsi sulla percezione della realtà e sul rapporto tra cecità e sguardo nel processo di formazioni di immagini. Marco Corsucci realizza così uno spettacolo che inverte le logiche dell’accessibilità: “Le mie parole vedranno per me” fa dell’accessibilità l’elemento portante del suo linguaggio.

Dal 16 al 18 febbraio prossimo al Teatro Astra andrà un scena il ‘Capitale’ di Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, che narra la storia dell’incontro tra una compagnia di teatro e un gruppo di operai metalmeccanici in una fabbrica occupata, insieme sulla scena. La compagnia Kepler-452, per affrontare il Capitale di Karl Marx, ha vissuto per due mesi all’interno della fabbrica GKN di Campi Bisenzio, occupata dal 9 luglio 2021. Una compagnia di teatro sceglie di mettere in scena il Capitale di Karl Marx, perché, dopo la fine del primo lockdown, avverte la necessità di mettersi in ascolto di chi, nella fase immediatamente successiva, avrebbe perso il posto di lavoro. Nicola ed Enrico decidono di girare l’Italia alla ricerca di quei luoghi in cui le pagine di Marx diventano persone, spazi, avvenimenti. Parlano con braccianti agricoli, sikh, lavoratori della logistica, sindacalisti di base. Un giorno finiscono in una fabbrica, la GKN di Campi Bisenzio, che ha appena chiuso. La mattina del 9 luglio 2021 i 422 operai della GKN ricevono una mail. Non devono tornare al lavoro il giorno dopo. Sono licenziati. Da quel giorno occupano la fabbrica, organizzano una mensa, un ufficio propaganda, dei turni di guardia. All’inizio dell’autunno la compagnia entra per la prima volta alla GKN. Gli operai li invitano a mangiare con loro.

Il 17 febbraio alle 21 si terrà il dialogo con Francesca Coin e Laura Bevione dal titolo “Perdere o lasciare. Il lavoro oggi” cui interverranno anche Enrico Baraldi e Nicola Borghesi, in collaborazione con la Fondazione Circolo dei Lettori. Ci si interrogarsi sul motivo per il quale sempre più persone lasciano il proprio lavoro. Francesca Coin, sociologa, è autrice del volume “Le grandi dimissioni”( Einaudi)

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

Prenotazione consigliata a dialoghi@fondazionetpe.it

Biglietti abbonamenti e informazioni su fondazionetpe.it e in biglietteria al teatro Astra ( martedì-sabato 16/19)

MARA MARTELLOTTA

Cechov… per sempre Alla “Soms” di Racconigi

La compagnia teatrale “Muta Imago” si confronta con le “Tre sorelle” del grande drammaturgo russo

Sabato 10 febbraio, ore 21

Racconigi (Cuneo)

Opera iconica, fra le più rappresentate, nel tempo e alle più varie latitudini (del 2000 una versione giapponese della scrittrice Ai Nagai), le “Tre sorelle” – composta da Anton Cechov nel 1900, cui seguirà nel 1903 “Il giardino dei ciliegi” – sarà presentata, quale quinto appuntamento della rassegna teatrale “Raccordi”, nata nel 2022 dalla collaborazione dell’Associazione “Progetto Cantoregi” con la Fondazione “Piemonte dal Vivo”sabato 10 febbraioore 21, alla “Soms – ex Società Operaia di Mutuo Soccorso” a Racconigi (via Carlo Costa, 23), messa in scena  dalla Compagnia Teatrale romana “Muta Imago”, guidata da Claudia Sorace, regista, e Riccardo Fazi, drammaturgo e “sound artist”.

Il dramma cechoviano, ispirato, oltre un secolo fa, alle tre sorelle Zimmermann di Perm’ (figlie di un generale morto l’anno appena trascorso rispetto alla storia narrata: Maša sposata giovanissima a Kulygin, un professore di ginnasio che non ama; Ol’ga, la maggiore, insegnante liceale, e Irina, la più giovane) si apre e si dipana intorno ad una domanda che percorre insistente corpi e anime: “Perché ricordare?”.

In questa riscrittura, la Compagnia (abilmente diretta da Claudia Sorace) mette in scena la vita delle tre protagoniste e la loro volontà di “rendere la propria casa un luogo inviolabile contro lo scorrere degli eventi”. In una sorta di “buco nero”, sospeso tra passato e futuro, che non lascia spazio a vie d’uscita, le tre donne rivivono momenti, luoghi e situazioni che hanno segnato le loro vite, dalla morte del padre alla guerra, dagli amori ai fantasmi del passato. La loro é una sorta di “performance esoterica”, dolorosamente tesa a capire come liberarsi da ciò che è stato per aprirsi definitivamente verso il futuro. 

Spiega la regista, Claudia Sorace“Le parole pronunciate in scena saranno solo quelle di Cechov. Si è trattato piuttosto di togliere, di sottoporre il materiale a un lento procedimento alchemico di condensazione e colatura, che alla fine ha fatto restare l’essenziale. Abbiamo cercato ogni parola dove risuonasse la lotta, lo sforzo continuo di costruire un luogo inviolabile contro l’inevitabile scorrere degli eventi. Quel che rimane, e che continuerà a riecheggiare nel tempo, è la voce di tre donne, viste come le future fondatrici di mondi futuri”.

“Maghe” o “medium”, le sorelle “vengono attraversate dalle voci e dai corpi dei protagonisti maschili”. La morte del padre, l’arrivo dei soldati, gli innamoramenti, le violenze, i discorsi sul tempo e sul futuro, il carnevale notturno, l’incendio: tutto riaffiora, “torna e ritorna all’interno del meccanismo drammaturgico che rappresenta l’ultimo esito della riflessione sul rapporto tra ‘Tempo’ e ‘Identità’ che da anni è l’oggetto della ricerca di ‘Muta Imago’”.

Per info: tel. 349/2459042 o www.progettocantoregi.itg.

g.m.

Nelle foto: immagini dallo spettacolo

“Te l’avevo detto”, Ginevra Elkann alla sua seconda prova

 PIANETA CINEMA a cura di Elio Rabbione

Una tragedia climatica che sconvolge corpi e menti Siamo colpiti da tragedie climatiche, siamo colpiti nei corpi e nelle menti, un paio di anni fa ce le raccontava Virzì con quella siccità che prosciugava il grande fiume della capitale, poi gli incendi e le ceneri palpabili di Sollima, dovremo aspettarci di qui a non molto la pioggia di rane di Anderson a schiacciarsi sulle strade e sui parabrezza delle auto. Torniamo ai terrori dell’antichità, il futuro ci spaventa. E non poco. Dopo “Magari”, Ginevra Elkann arriva alla sua opera seconda con “Te l’avevo detto” e annega Roma in una insopportabile calura che inaspettata la ricopre durante i mesi invernali, un imperituro disco solare fisso nel cielo, una luce rarefatta, un impasto di giallo e arancio che la fotografia di Vladan Radovic coglie con esemplare quanto più che insistita esattezza. Un deserto africano, calore, corpi sudaticci e affaticati, tutti quanti persi in un girone dantesco di smarrimento, di insicurezza, di ricerca di una strada che li riporti a ritrovare un’aria più fresca e pulita.

Una via d’uscita cercasi. Simbologie volenterose ma quantomai facili. Nella scrittura concepita con Chiara Barzini e Ilaria Bernardini, di qualche pregio e di notevoli difetti, Elkann accompagna le vicende di una mezza dozzina di strampalati esseri umani (quanta voglia abbiamo di gente normale!), ad iniziare dalla Gianna di una sempre convincente – nel suo logorroico isterismo – Valeria Bruni Tedeschi, ossessionata da un versante religioso (madonnine e sacricuoredigesù abbondano) come dal suo e dal passato di Pupa (Valeria Golino, godetevela tutta, lei sì), pornostar con ritocchini e parrucca bionda, calata ormai sul viale del tramonto e che certo non dice di no ai selfie degli ultimi fan, colpevole di averle rovinato la vita sul versante coniugale e non soltanto: per tacere della di lei figlia, Mila, un brutto rapporto con il frigorifero e uno po’ di quattrini da definirsi stipendio facendo da badante alla vecchia signora Maria Antonietta, una immobile Marisa Borini. Alba Rohrwacher, madre che combatte contro l’alcolismo anche il giorno in cui il suo piccolo vorrebbe festeggiare con lei il proprio compleanno e che invece s’ingolla i fondi dei bicchieri che ritrova sui tavoli della festa: Rohrwacher continua a essere la (insopportabile) Rohrwacher e Scamarcio, che ormai sappiamo da sempre sui binari di un’unica espressione, trovandosi di passaggio sul set ha dato una mano all’amica regista nel ruolo di padre. Quello di Caterina e Riccardo è il raccontino peggio raccontato, insulso, prevedibile, vuoto, senza un’ombra di sviluppo, con due attori disadatti a gettare loro addosso uno straccio di emozione e di sentimento. Forse qualcosa di buono, più che un barlume di autenticità, ci viene dal prete Bill di Danny Houston, eroinomane a scacciare le tentazioni, poca voglia di fedeli e di confessioni, che vede non proprio di buon occhio l’arrivo della sorella Fran (Greta Scacchi: una bella coppia d’attori) che dagli States porta le ceneri della madre, per seppellirle al cimitero acattolico, accanto alla tomba di Keats, secondo i voleri. Ma riaffiorano ricordi e infanzie non troppo felici (è il film della tensione di rapporti tra generazioni, le madri messe all’angolo, forse in una scrittura che inevitabilmente porta con sé un tratto anche fievole di autobiografia? i padri sono una fotografia incorniciata, un’assenza, una presenza senza capo né coda), egoismi e soprusi, un affetto schiacciato da anni e una mal sopportazione, un equilibrio ritrovato: le ceneri della defunta non vedranno esaudite le proprie volontà e finiranno davvero irrispettosamente male. Ambizioso e zoppicante, fragile e inconcludente, prevedibile e soltanto ben intenzionato a tratteggiare storie con una qualche robustezza, “Te l’avevo detto” non mi pare sia la somma di qualche passo avanti fatto dall’autrice di “Magari”. Al centesimo minuto di proiezione ti rimane davvero poco da portarti a casa e rimpiangi quei film corali, intelligentemente intrecciati e profondi, che portavano le firme di Altman e di Kasdan, di Anderson e di Haggis. Certamente, Elkann non ha ancora i mezzi adatti.