SPETTACOLI- Pagina 14

È Gennaro Sangiuliano il “personaggio più memato dell’anno”

È Gennaro Sangiuliano il “personaggio più memato dell’anno” ai Meme Awards di Memissima 2024: il festival della cultura memetica ideato da Max Magaldi e prodotto da The Goodness Factory che si svolge ogni anno a Torino e che assegna l’Oscar dei meme e premia le pagine e i memer più irriverenti e creativi da tutta Italia all’interno di un grande evento che ha ospitato anche le migliori agenzie di comunicazione.

 

Tornato alla ribalta proprio in questi giorni per le nuove intercettazioni sul caso Sangiuliano – Boccia, l’ex ministro della Cultura trionfa nella notte degli Oscar dei Meme, stravincendo la categoria di personaggio più memato dell’annoLa statuina dell’Oscar – “trasfigurata” nel volto da un meme, appunto – viene ‘virtualmente’ accettata da un divertentissimo Sangiuliano in AI che ringrazia il festival attraverso un video meme (scaricabile qui) che il festival invita a condividere sul web.

 

I meme – racconta il direttore artistico Max Magaldi al termine dell’evento – sono il mezzo di comunicazione più potente del contemporaneo perché nessuno pensa che i meme siano il mezzo di comunicazione più potente del contemporaneo. Memissima nasce per creare massa critica aggregando persone che producono, consumano, condividono e studiano queste immagini che tutti vediamo centinaia di volte al giorno e che influenzano l’estetica e il dibattito pubblico contemporaneo molto più di quanto pensiamo.

 

Insieme al personaggio più memato dell’anno, nella serata di sabato 7 dicembre, sono stati assegnati a OFF TOPIC anche gli Oscar dei Meme alle 13 pagine e creator vincitori e vincitrici per ogni categoria:

  • Personaggio più memato dell’anno: Gennaro Sangiuliano
  • Politica: Grande Flagello
  • Tik Tok: Marco Ballarini Sindaco
  • 7 Reels: Everything is Italian
  • 4 IGP: Relatable Roma Memes
  • Scuola, Università e Lavoro: Cat splaining
  • TrashDankNonsense: Liskokopulos Cliiffiao
  • Musica, Arte e Spettacolo: Correttore Mematico
  • Sport: Er Club La Riserva
  • Attualità: Il Silmemillion
  • Nerd: Memopoli Capopalestra
  • Troppo io: Produci Consuma Mema
  • Premio URMET: Filosofia Coatta

 

Quasi 400 i meme candidati e 13 i vincitori scelti.  Per la prima volta quest’anno, grazie al sostegno e all’ intraprendenza di URMET, meme per gli acquisti è diventato anche un contest che ha invitato le pagine di meme ad immaginare contenuti legati all’azienda. Le Decine di proposte/meme arrivate sono state vagliate dal reparto creativo di Urmet che ha decretato inoltre il vincitore premiato durante i meme awards con un premio in denaro da 500€ assegnato a Giulio Armeni e la sua pagina Filosofia Coatta.

 

Tra le novità di questa edizione, anche ‘Meme per gli acquisti’, l’incubatore sul memevertising che ha ospitato alcune delle migliori agenzie di comunicazione italiane, pensato per studiare il rapporto tra meme e pubblicità nell’incontro fra memer e admin di pagine meme con agenzie di comunicazione e aziende come URMET, UNA, dieci04, ti:mbro agency e molte altre.

 

Memissima è stata una quattro giorni intensa di formazione e lectio magistralis di ‘scrittura memetica’ fra Scuola Holden e OFF TOPIC fra talk, speed date, presentazioni di libri e tanto spettacolo, con performance si stand up comedy che hanno coinvolto artisti, docenti universitari ed esperti del mondo della comunicazione per imparare a riflettere e conoscere come quanto i meme possano e debbano oggi essere integrati all’interno di una strategia di comunicazione, per imparare a conoscerne i rischi, ma anche tutte le opportunità.

Si è parlato di attivismo nel mondo dei meme, di come l’IA stia cambiando la creatività, ma anche di storie, tradizioni, dialetti e località per imparare a scrivere nell’era in cui tutti scrivono adottando un proprio stile riconoscibile, ma anche di algoritmi e bot, fino ai doppiaggi live dell’ospite Fabio Celenzada Giorgia Meloni e il Dalai Lama fino a Matteo Salvini e Mick Jagger, scoprendo anche come comunicare l’arte nell’era dei social.

Fra le pagine protagoniste di MEMISSIMA 2024 troviamo madonnafreeeda, cyaomamma, filosofiacoatta, Fabio Celenza, Il Sindaco Marco Ballarini, Hipster Democratici e giornalistichenonriesconoascopare.

Gli eventi sono stati realizzati in collaborazione con Scuola Holden, OFF TOPIC, Torino Comedy Lounge, ADCI, Except, URMET, UNA, dieci04, ti:mbro srl, Lorenzo Carnielo, Claudia Grande, Gabriele Marino, Bruno Surace, Simona Quaglia, Sebastiano Iannizzotto, Dario Bassani, Vincenzo Franciosa, Francesco Calarco, Daniele Di Sica, Giovanni Lo Leggio, Marco Rubiola, Luna Bianchi e Domenico Emanuele Spagnuolo.

Memissima, il festival della cultura memetica, è prodotto da The Goodness Factory, con il sostegno di Camera di commercio di Torino e Fondazione CRT e con il contributo di UNA e URMET. Un progetto realizzato nell’ambito di Creative Living Lab, in collaborazione con OFF TOPICScuola HoldenTorino Comedy LoungeADCI e con la media production partnership di Except.

 

“Buon Compleanno Beethoven” al Conservatorio Verdi

La violinista Irene Abrigo e il direttore d’orchestra Antonmario Semolini protagonisti di un concerto unico dedicato allo straordinario compositore

I virtuosi dell’Accademia di San Giovanni proporranno, il 16 dicembre alle ore 21, in piazza Bodoni, presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino, il concerto intitolato “Buon Compleanno Beethoven”. Si tratta di un’iniziativa lodevole a sostegno delle borse di studio per studenti meritevoli ma con difficoltà economiche dell’Istituto Superiore di Studi Musicali (ISSM) Conservatorio Giuseppe Verdi di Torino. La serata è organizzata e sostenuta dal Rotary Club Torino Duomo (distretto 2031) nell’ambito del progetto “Lo spirituale nell’arte” dell’Accademia della Cattedrale di San Giovanni, con il patrocinio del Conservatorio Giuseppe Verdi, dell’Associazione Culturale Ipotenusa Camelot e sotto l’egida di “Magia del Rotary International”. Protagonisti la violinista italo elvetica Irene Abrigo e il direttore d’orchestra Antonmario Semolini. I principi ispiratori del Rotary di servizio e comunità si riflettono nella scelta del programma musicale del concerto, articolato in due celebri opere di Beethoven, ispirate a unità, armonia e natura, capaci di toccare il cuore degli ascoltatori. La prima parte del programma sarà dedicata al Concerto per violino in Re maggiore op.61, la seconda alla Sinfonia n.6 in Fa maggiore op.68, definita “Pastorale”.

Il Concerto per violino in Re maggiore op.61 rappresenta la principale opera per violino di Beethoven e una delle opere più amate e ammirate dal pubblico di tutto il mondo. Alla fama notevole della Sinfonia contribuisce non poco il lirismo del violino, le espansioni contabili, le suggestioni dei passi virtuosistici che con nessuno strumento tanto impressionano quanto con il violino (tanto che si narra che il violino sia lo strumento preferito dal Demonio). Il Concerto fu composto nel 1806.

La Sinfonia n.6 in Fa maggiore op.68 fu composta da Beethoven tra il 1807 e l’inizio del 1808. La prima esecuzione avvenne a Vienna il 22 dicembre 1808 al Theater an der Wien, aprendo il medesimo concerto nel quale debuttò la Sinfonia n.5. Beethoven a quell’epoca trascorreva molto tempo in campagna, e ne era affascinato. Lo stare a contatto con la natura lo colpiva nell’intimo, creandogli quell’immenso piacere di partecipare in prima persona alla vita campestre, di cercare in essa il raggiungimento della pace. Dai suoi trascorsi ricordi nasce la “Pastorale”, composta in contemporanea con la Sinfonia n.5.

Ingresso libero fino ai 18 anni e oltre gli 80.

Info: rc.torinoduomoeventicastalia@gmail.com

 

Carovana del Tango Argentino e la Via del Sale , da Torre Pellice a Sanremo

Quale potrebbe essere il trait d’union fra due tradizioni apparentemente così lontane come il Tango Argentino e la Via del Sale che unisce Torre Pellice a Sanremo?

Apparentemente poco o niente. Eppure, scavando fra le pieghe di alcuni fatti umani, si possono scorgere strette connessioni; il tango è una danza creata nei più poveri barrios di Buenos Aires tra immigrati europei arrivati nel Nuovo Mondo alla ricerca di riscatto e di un futuro unicamente da scavare con le proprie mani. Sono uniti da solitudine affettiva, una cultura diversa ed emarginante, il relativo prezzo di emarginazione sociale che ogni immigrato deve sempre pagare e da profonde nostalgie per una terra natìa che probabilmente non rivedranno mai più.

Nei barrios malfamati, evitati dalla borghesia ispanica, giovani uomini e donne del vecchio continente ‘malati di vita’ iniziano ad incontrarsi al suono di pochi strumenti, su palchetti improvvisati, unendo i loro corpi al suono di ritmi spontanei, desiderio di trasgressione, un erotismo non più da nascondere come nei Paesi d’origine (la leggenda del tango argentino nasce a fine XIX secolo), ma da valorizzare al ritmo di un’unione precisa nei movimenti, creata per atletiche fisicità. Come non poche volte nel cammino umano, l’esigenza, l’abitudine, la continua sperimentazione si solidificherà in Cultura, in un discorso complesso, un valore sempre più globale e simbolicamente più tardi riassunto dal famosissimo Tango de Gardel di Piazzolla.

Le vie del sale, rotte commerciali la cui origine si perde nella notte dei tempi, erano antichi percorsi e rotte di navigazione. Non esisteva un’unica via del sale: vari popoli utilizzavano diverse reti di collegamenti per portare varie merci, in cambio di un elemento indispensabile per la conservazione degli alimenti nel lungo periodo. Ogni produzione alimentare aveva estremo bisogno di elevate quantità di sale marino, ma anche attività artigianali come la concia delle pelli e la tintura ne richiedevano l’uso.

Per quanto riguarda la nostra piccola parte di mondo, incastonata fra il mediterraneo occidentale e le alpi, l’antica comunicazione fra la pianura padana, la Liguria, i territori francesi di Provenza, Savoia, Svizzera, permetteva il commercio di questo materiale prezioso, di difficile reperibilità per regioni lontane dal mare.

Fu il Sacro Romano Impero a costituire feudi con lo scopo di mantenere un passaggio sicuro verso il mare; assegnò questi territori a famiglie fedeli che per secoli controllarono le vallate, garantendone la sicurezza dei convogli. Il trasporto su terreni accidentati veniva effettuato a dorso di mulo. Le pianure, dove possibile, trasportavano invece il sale per via fluviale mediante grandi chiatte.

Da lontanissime origini e storie si arriva perciò all’oggi. L’umile saliera presente in ogni cucina, rappresenta l’ultimo anello di una catena lunghissima che ha permesso alle genti di vivere, viaggiare, far prosperare economie.

Quindi abbiamo forse trovato il l’emblematico trait d’union fra questi lontani argomenti. La carovana del Tango Argentino e la Via del Sale, che da Torre Pellice arriva a Sanremo racconta – su differenti scale – l’incessabile cammino dell’uomo, il suo nomadico spostarsi per placare bisogni e sete di conoscenza. Dietro ogni nuovo insediamento si creano codici che, inizialmente partiti da esigenze di sopravvivenza, si sedimentano in culture, mix di informazioni che si spostano, contaminandosi vicendevolmente in millenari rivoli che saranno a loro volta nuovamente rielaborati in un cammino polisemico senza fine.

A breve questo racconterà la bellissima Capitale dei Valdesi, con una serie di avvenimenti a partire da domenica 8 fino al 15 dicembre, grazie alle idee e la direzione artistica di una sempre effervescente e coltissima Monica Nucera Mantelli.

Ferruccio Capra Quarelli

“Verso l’ora zero”, i meccanismi sempre perfetti della “signora del giallo”

Sino a domenica 8 al Gioiello, poi all’Erba per le feste natalizie

Tutto ha avuto inizio una trentina di anni fa con l’immancabile “Trappoli per topi”, capolavoro a lunghissima tenitura, poi un’altra mezza dozzina di titoli per arrivare all’ultimo “Verso l’ora zero”, la traduzione è di Emanuele Aldrovandi, un succedersi di applauditi successi da parte di Torino Spettacoli a rinverdire – se ce ne fosse ancora necessità – la fama della regina del giallo, Agatha Christie. Testo collaudato sui palcoscenici londinesi a metà degli anni Quaranta, esattamente a pochi giorni dalla fine del conflitto mondiale, ancora una volta il disegno perfetto di un plot e lo studio accurato delle psicologie dei personaggi che si muovono sulla scena.

La bella scena firmata da Gian Mesturino, elegantemente british, racchiude un angolo della villa della anziana lady Tressilian, una bella dimora costruita sulla scogliera e sul mare, inondata dai versi dei gabbiani che sembrano virare di quando in quando in acide risate. La raccolta di uno scampolo d’umanità per il finire dell’estate, un soggiorno di un paio di settimane che si dovrebbe annunciare tranquillo e che al contrario sin dal suo inizio nasconde una sensazione di tragedia. Sono ospiti il giovane Nevile Strange, il nipote della padrona di casa che ha pensato di portare con sé allo stesso tempo l’attuale moglie Kay e la donna da cui ha divorziato, Audrey, a cui mostra di essere ancora molto legato, l’infelice governante che cova in sé parecchie zone d’ombra, Ted che si mostra interessato a Kay e Thomas, un cugino tornato di recente da un viaggio in Estremo Oriente, che è parso liberatorio, ma fino a che punto?, di un passato che continua a tormentarlo. Vecchio amico di lady Tressilian è l’avvocato Treves, il deus ex machina che con giusta intuizione, non soltanto letteraria, mette in moto, in maniera chiarificatrice, il meccanismo che accompagnerà le indagini del commissario di turno: “Mi piacciono le storie gialle, ma come sapete cominciano sempre da un punto sbagliato. Cioè cominciano con il delitto. Ma il delitto è la fine. La storia inizia molto prima, a volte anni prima, con tutte le cause e gli eventi che portano certa gente in un certo punto a una certa ora di un certo giorno…”. Ragionamenti, suggestioni, presenze inquietanti e accuse che hanno preso strade sbagliate, personaggi che la Christie, ancora una volta grande conoscitrice dell’animo umano, fatto di luci e di ombre, maneggia con cura, costruzioni e architetture che mantengono più che viva l’attenzione dello spettatore.

Certo ci vuole una buona professionalità, un mestiere solido e un passato più che collaudato per rendere ogni cosa, ogni passaggio inventato dall’autrice, quel suo seminare e capovolgere indizi, plausibile e avvincente. Sono quei trascorsi successi e l’affiatamento che ormai si notano nei componenti della compagnia tutta a offrire una piena certezza, a fare apprezzare appieno la verità e il gioco teatrale con cui si srotolano tensioni e sospetti, l’avvicendarsi dei sottili interrogatori, l’incastro delle differenti psicologie, il tutto guidato dalla regia precisa di Girolamo Angione. C’è la vittima e c’è chi vorrebbe riscattare un’antica passione e un tradimento, ci sono – svelati nel travolgente finale: guai a svelare in nessun caso lo svolgimento della vicenda! – gli elementi messi in bell’ordine a costruire una colpa e un colpevole, un ingranaggio perfetto e difficilmente presunto. Nel gioco stanno con convinzione Elia Tedesco e Andrea Beltramo, il misterioso e combattuto Thomas di Matteo Anselmi, Elena Soffiato e Jessica Grande, Patrizia Pozzi e Barbara Cinquatti, Stefano Bianco, Stefano Fiorillo e Simone Marietta.

Per la stagione del Fabrizio Di Fiore Entertainment si replica al Gioiello sino a domani, domenica 8 dicembre, alle ore 16; poi “Verso l’ora zero” passerà, per il calendario di Torino Spettacoli, padrone di casa al teatro Erba, dal 12 al 15 dicembre e dal 28 al 6 gennaio prossimi. Per il più che convincente divertimento di tutti.

Elio Rabbione

Nelle immagini, alcuni momenti dello spettacolo.

Una commedia modernamente ripensata, il risultato di un teatro autentico

La locandiera”, con Sonia Bergamasco, al Carignano sino al 15 dicembre

Un fondale di legno riempito di intarsi irregolari, di differente grandezza e interrotti. Sulla scena (firmata da Annelisa Zaccheria) un tavolo che diremmo vecchio da un lato con quattro sedie che andrebbero bene a un bar sulla spiaggia dei bagni, in riva al mare, di plastica verde, dall’altro una cucina moderna, un lavello, una gran pentola rossa, un angolo dove all’occorrenza mangiar mele e sbucciare patate. Al tavolo, siedono il marchese di Forlimpopoli (Giovanni Franzoni) e il conte d’Albafiorita (Francesco Manetti), modernamente vestiti (i costumi sono firmati da Graziella Pepe), quello con un maglione dopo una sciata sulle nevi del Sestriere, questo in pantaloni da tuta e cappellino con ampia visiera, entrambi a sbandierare la passione e l’innamoramento per la padroncina della locanda ma mai a chiederla in sposa. Arriverà pure poco dopo il cavaliere di Ripafratta, il cavaliere “selvatico”, refrattario a tutto quel genere delle donne che sono “una infermità insopportabile”, paletot marrone tipo il vecchio Brando nel “Tango” di Bertolucci e infradito ai piedi – volontaria controcorrente sbadataggine menefreghismo che si mescola alla comodità ad ogni ora? non lo sapremo (capiremo) mai, passerà così più di due ore per poi passare a un vestito più – diremmo? – consono -, a urlare tutta la sua misogenia e il proprio odio per quella Mirandolina che se lo gira tra le mani e circola in minuscole camiciole a mostrar le gambe e attimo dopo attimo lo fa innamorare, fuori da ogni ragionamento e idea da sempre coltivata. Questa – anche – “La locandiera goldoniana”, scritta più o meno 270 anni fa, giunta al Carignano per la stagione dello Stabile torinese al suo secondo anno di repliche (qui sino a domenica 15 dicembre), reinventata da Antonio Latella, studiata e analizzata ad ogni ansa, guardata in profondità, con gli interventi di Linda Dalisi in veste di dramaturg: diciamo immediatamente approcciata da chi scrive con un certo malgusto, guastato com’è da uno spericolato Cechov che ha davvero lasciato la rabbia e il segno. Qui non si fa l’occhiolino a idee vuote o a mode del momento, giochetti gratuiti che guardano poco lontano da sé, per cui c’è da ricredersi, subito subito, qui senti tutta la spinta degli stimoli offerti allo spettatore, il fermento delle suggestioni, anche le cose che non ti convincono appieno hanno un proprio intimissimo perché, ti convince quel testo non toccato nemmeno di una virgola e immesso senza forzature in quell’ambiente descritto, un testo cucinato su quella stufa senza gli stereotipi che tante volte abbiamo visto in questi decenni di vita teatrale, un testo che riempie i personaggi di umanità e di carnalità.

Una delle più belle commedie della drammaturgia italiana, non guastata, dove nulla è scontato. Che se abbandona in modo definitivo i tanti sguardi buttati prima – credo che non sia arrivata di brutto sulla scena italiana ma che alle sue spalle ci stiano a buon diritto Strehler e Missiroli e Castri e Cobelli -, dice ancora qualcosa di nuovo. Per esempio un Ripafratta che nella completezza e complessità del suo struggersi acquista quasi il ruolo di protagonista, figura “rustega” per eccellenza (un ottimo Ludovico Fededegni), la presenza incombente ed esatta del cameriere Fabrizio, punto finale di quella eredità che Mirandolina aveva ricevuto con la locanda dal padre in punto di morte, lui come gli altri personaggi condotto a seguire quei percorsi di precisa geometria che attraversa quel “luogo-mondo che accoglie infiniti mondi”, scrive Latella nelle note di regia. Anche con una ben scoperta proprietà di gesti delle sopraggiunte nobildonne o ancor meglio comiche, viste in contrapposizione alla padroncina, persino un orgasmo – che nemmeno Meg Ryan – aiuta a comporle con più spessore, Marta Cortellazzo Wiel e Marta Pizzigallo soprattutto.

Mette maggiormente a fuoco – o forse non lo avevamo mai pienamente fatto nostro prima – l’arco amoroso che Mirandolina guida, e dal quale è sul finale guidata, con una ricchezza di intenti e di risultati che Sonia Bergamasco porta avanti con padronanza: anche se alla fine ti rimane il dubbio che abbia recitato in una sottrazione non sempre necessaria (una richiesta del solo regista?), sia scivolata in lacrime di cui si potrebbe fare a meno, che si sia malamente afflosciata lungo quella parete, che nella sbandierata rivoluzione del personaggio finisca limitatamente libera, chiedendoci noi della sua vittoria di fronte a un Fabrizio che è pur sempre un obbligo e verso il quale l’innamoramento non esiste, con il quale chiedendoci noi quale sarà il domani?; e di fronte a un Ripafratta, dissoltosi tra i canali di Venezia, con cui esistono tutti i presupposti per costruire una lunga, amorosissima relazione? È vero, negli attimi finali, Mirandolina è lì, in proscenio, spalle al pubblico, su un piccolo sgabello, come se la regia della vita e dello spettacolo fossero passate a lei e a lei spettasse un finale convincente: teme “per la mia onestà”, e Fabrizio (Annibale Pavone) è lì, diremmo a portata di mano. Secondo le volontà del padre. Se tutto è stato un gioco, il gioco è finito male, non come era nei desideri, qualcuno in sostituzione ha disseminato sul tavolo i bastoncini dello shanghai. Anche il gioco, o la recita, dei nobilastri è finito, a chiusura si stampano un bacio sulla bocca. Quante domande o quante riletture ti nascono ancora quando il sipario si chiude. Anche questo è teatro, quello autentico.

Elio Rabbione

“Volti da scoprire, ritratti di cinema”. Un percorso curato dal critico cinematografico Paolo Mereghetti

UniVerso, il programma di eventi culturali dell’Università di Torino, presenta sino a mercoledì 18 dicembre, la mostra fotografica “Volti da scoprire, ritratti di cinema”. Un percorso curato dal critico cinematografico Paolo Mereghetti, assurto da anni a grande notorietà per l’omonimo dizionario dei film, il più venduto in Italia, che iniziato a scrivere a partire dal 1990, esce per la prima volta nel ’93, ha festeggiato lo scorso anno il suo trentennale.

La mostra propone una serie di ritratti realizzati negli anni Ottanta e Novanta da Pino Guidolotti esposti su scenografici ingrandimenti inseriti nella splendida cornice del Cortile del Palazzo del Rettorato dell’Università di Torino, in via Verdi, 8 ed in via Po,17. Scatti in bianco e nero che raccontano donne e uomini di cinema, attori, registi e sceneggiatori messi in scena dal fotografo, anche se ultimamente Guidolotti sembra preferire il disegno, grazie alla sua capacità di entrare con loro in una profonda relazione umana.

Spirito libero, curioso ed insofferente alle etichette, Pino Guidolotti ha sempre avuto la bellezza come sua personalissima bussola sia che dovesse documentare opere artistiche o architettoniche sia che dovesse ritrarre personaggi dello spettacolo o della cultura.

La sua attività di ritrattista ci ha lasciato una serie di straordinari ritratti, capaci di cogliere sempre il segreto che si nasconde dietro i volti e i corpi di Wim Wenders o di Jeanne Moreau, di Mario Soldati o di una giovanissima Juliette Binoche, che per la prima volta sono esposti, insieme a quelli di Michel Piccoli, di Marco Ferreri e tanti altri ancora, e tutti da scoprire, qui a Torino al Rettorato.

 

Igino Macagno

La XXV Edizione del Sottodiciotto Film Festival & Campus fa ritorno al Cinema Massimo

Il Sottodiciotto Film Festival & Campus fa ritorno al Cinema Massimo con un’anteprima mercoledì 11 dicembre, alle ore 20, con una serata speciale di sfida tra Università di Torino e Politecnico, con quattro cortometraggi in parte realizzati dagli studenti che verranno valutati dalla giuria. Il Festival rappresenta un luogo di dialogo e di crescita intergenerazionale che vuole dare visibilità ai prodotti audiovisivi realizzati dagli under 18, e al Cinema, legato ai temi dell’adolescenza e della gioventù. Tema dell’edizione 2024 è “Shaping Tomorrow”, che ribadisce la specificità del festival come mezzo per influenzare il cambiamento, definire il nostro futuro e plasmare il mondo in cui viviamo. Sono presenti tre sezioni: concorso nazionale scuole – al 9 al 13 dicembre 2024 – si terrà il concorso nazionale dei prodotti audiovisivi di scuole di ogni ordine e grado; concorso nazionale Sotto18 Off – 14 e 15 dicembre – si terrà il concorso nazionale dei prodotti audiovisivi Sotto18 Off per film realizzati autonomamente da giovani under 18; That’s Animato! Concorso di cortometraggi d’animazione realizzati da scuole di animazione di tutto il mondo.

È possibile contattare l’attività attraverso l’Ufficio Scuole del Festival ai seguenti recapiti:

sottodiciotto@gmail.com

Telefono: 3517003486

Mara Martellotta

Ugo Nespolo presenta il vinile “Il Gran Ballo della Croce Rossa Italiana” 

 

 

Il 10 dicembre prossimo, alle ore 21, Ugo Nespolo presenterà al Circolo dei Lettori il vinile dal titolo “Il gran ballo della Croce Rossa Italiana”.

Il 22 giugno scorso usciva in tutti i negozi di musica e sul CRI shop il vinile “Il gran ballo della Croce Rossa Italiana”. Realizzando questo progetto nell’ambito del 160esimo anniversario della nascita dell’associazione, la Croce Rossa Italiana ha deciso di ridare vita a uno storico vinile del 1961, custodito al Museo Internazionale della Croce Rossa a Castiglione delle Stiviere. Il disco conteneva quattro brani interpretati dagli allora esordienti Gino Paoli ( Un uomo vivo), Giorgio Gaber ( Benzina e Cerini), Umberto Bindi (Non mi dire chi sei) e uno interpretato da Joe Sentieri dal titolo “Lei”. Oggi viene rilanciato con i brani originali rimasterizzati e le versioni di Beppe Servillo, Eugenio Finardi, Giuseppe con Gnu Quartet e Armanso Corsi e The Sweet Life Society.

Le copie del vinile sono state numerate per un totale di 1864, numero pari all’anno di nascita della Croce Rossa Italiana, e la copertina è stata realizzata dal grande Ugo Nespolo. Il prezzo di vendita è di 30 euro e i proventi verranno devoluti alla Croce Rossa Italiana.

“E’ il 1961- si legge sulla copertina del vinile- undicesima edizione del festival di Sanremo, per la prima volta condotta da due donne, Lilli Lembo e Giuliana Calandra, ed è proprio durante quei giorni sanremesi che a Milano il primo febbraio va in scena il Gran Galà della Croce Rossa, un evento solidale che richiama l’alta società meneghina a un momento di partecipazione e benevolenza verso la più importante e grande associazione di volontariato in Italia. All’occasione viene dedicato un disco, con una tiratura limitata di 300 copie, di RCA, che contiene quattro dei brani presentati quell’anno al Festival della Canzone Italiana. Del disco non si ha traccia per anni fino al 2000 quando, durante un sopralluogo al Museo Internazionale della Croce Rossa di Castiglione dello Stiviere, viene rinvenuto, magicamente, in uno scatolone, un vinile master originale Ricordi.

Circolo dei Lettori via Bogino 9 martedì 10 dicembre ore 21

MARA MARTELLOTTA

Terminato con  successo il 42mo TFF. I dati premiano il primo festival di Giulio Base

Quel segno più deve aver disturbato i sonni del direttore Giulio Base non poco, nella preparazione del suo TFF e durante, la prima volta non è una scommessa da poco. Le vene e i polsi, ne risentono parecchio (confessava di essersi sentito, tanto per cominciare, perso sin dalla prima serata, quando s’è visto mancare accanto a lui la madrina Capotondi tenuta a casa da un’influenza che non perdonava). Discorsi che qua e là abbiamo già seminato la settimana scorsa, uscendo ed entrando nelle sale per la visione dei tanti film che hanno convinto come di quelli che hanno lasciato poco o tanto amaro in bocca (vedi questi ultimi alla voce Italia). Sappiamo che Base non è che sia sbarcato in città con l’approvazione e con il sorriso sostenitore di tutti, addetti ai lavori come lo stuolo non indifferente di appassionati duri e puri della vecchia guardia non vedevano certo di buon occhio le innovazioni e il nuovo corso che il regista aveva in mille dichiarazioni detto di voler intraprendere.

In una Torino in cui – altre certezze per altri tempi? vetero DNA sabaudo? l’esageruma nèn che incontri a ogni angolo di strada? malcostume addirittura verso le proprie risorse? – si è sempre andati alla ricerca, sotto i tanti direttori che si sono avvicendati (le origini di Rondolino, Alberto Barbera, Turigliatto e D’Agnolo Vallan, Moretti, Amelio e la comparsa veloce veloce di Paolo Virzì, Emanuela Martini e Steve della Casa), dell’hic manebimus optime, della cittadella rassicurante e appartata costruita anno dopo anno, della nicchia che poneva in una certa luce più che signorile e saggiamente chiusa nell’unicità, un arrivo che intendesse sconvolgere del tutto quello che già aveva basi solide lo si vedeva con uno storcere di labbra, con qualche mugugno, con non pochi pollici versi. Se Base ti capitava di incontrarlo ancora nell’ultimissimo giorno di festival, quello che racchiudeva tutti i film vincitori nella sala del Massimo, lui, ostentando fraternamente la felpa dei volontari del festival, giusto omaggio alle ragazze e ai ragazzi che con molta gentilezza quanto grande disponibilità avevano informato, spiegato, accompagnato, sorriso per la settimana intera, ti guardava quasi stupito – ineccepibile commediante! – con poche parole che spremevano tutto il suo politicamente corretto: “Dubbi tutti nei miei confronti? Ma direi meglio, più che accettati, guai se avessimo tutti la volontà di seguire le stesse strade, pareri diversi certo altrimenti sai che noia!”.

Quel che più aveva disturbato i benpensanti era quell’aria di glamour promessa o minacciata che stava per soffiare sulla città, quei nomi che sui marciapiedi (anche sconnessi) di Torino non ci avevano mai messo piede, quel Ron Howard che accompagnava il suo inaugurale “Eden” e che forse prima non sapeva neppur bene dove noi fossimo posizionati nella cartina del mondo, quella Sharon Stone che ha fatto accendere milioni di flash e ha spadroneggiato con il suo lungo abito rosso e il giorno dopo se ne girava per gallerie d’arte promettendo una sua personale qui la primavera prossima, Angiolina Jolie, giunta quasi all’improvviso, sempre inattesa, con il capo affettuosamente poggiato sulla spalla di Alessandro Baricco, grazie al quale ha dato alla luce il suo ultimo “Without blood”, Jessica Parker che con il marito rifiutava una visita al Cambio per godersi una più intima cenetta nella trattoria sotto casa. Ogni tassello, occorre dirlo, sotto l’occhio vigile, e prima ancora gran preparatore, di Tiziana Rocca, alias signore Base, impercettibile magari al pubblico ma sempre presente, osservatrice, fil rouge tra l’operato del consorte e i più che validi risultati. Dio non voglia, ma potremmo anche pensare che quelle Stelle della Mole che i suddetti, con qualche altro ospite, si sono portati a casa finiscano – come ci insegna il Brando di Billy Zane – a svolgere il compito di ferma porta nelle ville hollywoodiane: ma loro qui ci sono stati, con gli abiti e i sorrisi e le dichiarazioni e i milioni di flash, hanno riempito serate, hanno smessi di far sembrare quei red carpet con cui i torinesi hanno poca o nessuna dimestichezza una cosa lontana anni luce e non proprio irraggiungibili. Anche grazie a loro, ma soprattutto grazie alla macchina organizzativa messa in piedi, slancio, con quel buon tasso d’euforia forse fin qui defilato, la presenza del festival s’è vista nelle strade, nei ristoranti, nel largo passaparola, nel turismo che si toccava con mano e che riempiva e rallegrava, nella gente che ritrovava una città vivace, accattivante e smagliante come non mai.

Salvaguardato, protetto, assicurato, vivificato il nucleo primo del festival, i film in concorso, i temi trattati rispecchianti da vicino paesi e mentalità e problematiche, l’apprezzamento dei contenuti. E di conseguenza, le code agli ingressi dei cinema che si portano dietro la scomodità ma anche la felicità per le sale piene, forse il rammarico di dover rinunciare a certe proiezioni, già oggi con l’idea fissa che per il 2025 – già segnatevi le date: dal 21 al 29 novembre – la “voce sale” debba essere rivista o il maggior numero di proiezioni per alcune pellicole. I dati ci dicono che, rispetto al 2023, il numero totale delle presenze è passato da 35.000 a 36.700 con un programma che prevedeva 202 titoli l’anno scorso e 121 in questo, evitando masterclass o eventi fuori biglietteria. Non è di poco conto che il riempimento medio delle sale cresca dal 53% al 70%, che in campo social si siano avuti 2,3 milioni di visualizzazioni, che i tanti canali pubblici e privati abbiano raccolto segnali e numeri impensabili, che la stampa abbia prodotto un “entusiasmante” +66% di articoli rispetto alla passata edizione, TV, carta stampata, radio e web in un unico lavoro (svolto “con rispetto, curiosità e interesse”, definiva Base, mentre Cristiana Capotondi aggiungeva il “respiro internazionale” che attraverso quel lavoro il TFF aveva raggiunto, dando alla stampa il privilegio di aver “messo a soqquadro una città” per l’intera durata del festival).

Base tocchi ferro. Si usa dire nel mondo del cinema, e s’è a volte toccato con mano, che le opere seconde non vengano fuori con quello sfavillio e quel successo che hanno accompagnato i debutti. Che il dolce non venga fuori dal forno come dovrebbe. Base è già tornato a Roma, per rimettersi da buon soldatino al montaggio del suo prossimo film: ma il cordone ombelicale con Torino continua, fin da adesso, “sto già pensando alla prossima edizione, anzi per far spazio a una retrospettiva che si porti dietro il successo che ha visto quella di Brando, due o tre idee ce le ho già in mente.” A fargliele scucire, manco se ne parla. Quindi, per ora, soltanto auguri.

Elio Rabbione

Nelle immagini, al centro il direttore del Torino Film Festival Giulio Base con ai lati Carlo Chatrian e Enzo Ghigo, direttore e presidente del Museo del Cinema; Sharon Stone che ha illuminato le giornate del suo soggiorno torinese (foto di Alessandra Tartarini); ancora Giulio Base durante la serata d’inaugurazione.

Tff, un successo nelle sale e sui social

Cala il sipario sul 42° Torino Film Festival ed è tempo per i primi bilanci di questa edizione.

Il numero totale delle presenze, rispetto al 2023, passa da 35.000 a 36.700, con un programma che prevedeva 202 titoli nel 2023 (181 in programma e 21 fuori programma) e 121 nel 2024 (non ci sono state masterclass o eventi fuori biglietteria).

Il dato porta a un riempimento medio delle sale che cresce dal 53% al 70% con una percentuale dei biglietti venduti per singola proiezione che da 73 arriva ai 100 di quest’anno.

Gli accrediti rilasciati sono 2.039 contro i 1998 della scorsa edizione.

Brillanti sono stati anche i risultati che il Torino Film Festival ha avuto sui social con oltre 1 milione di persone raggiunte (+57,4% rispetto al 2023), 2,3 milioni di visualizzazioni e 76.900 interazioni. Il successo è trainato da Instagram, dove l’engagement è cresciuto del 29%, le condivisioni dell’83%, e le Stories hanno avuto 906.000 impressions grazie a una daily narrative consistente.

Da un punto di vista della copertura del 42TFF sui mezzi di informazione, (TV, carta stampata, radio e web), benché la rassegna stampa sia ancora un “work in progress”, può contare già di un entusiasmante +60% di articoli rispetto alla passata edizione.

Il Torino Film Festival è realizzato dal Museo Nazionale del Cinema di Torino e si svolge con il contributo del Ministero della Cultura Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, Regione Piemonte, Città di Torino, Fondazione Compagnia di San Paolo, Fondazione CRT.