A Torino il 18 e il 19 novembre, al Teatro Cardinal Massaia
Tutto sommato faccio l’insegnante da poco tempo, ogni settembre finora è stato per me – come per tantissimi altri precari- un terno al Lotto, una pesca miracolosa per scoprire tra curiosità ed angoscia dove il novello dio Algoritmo vorrà inserirmi, con tutto ciò che ne consegue:
nuovi colleghi, nuovi “modus operandi” tipici di ogni sede, nuove metodologie, nuove moli burocratiche di documenti da compilare la cui scadenza viene puntualmente resa nota la notte precedente rispetto all’ultima possibilità di invio, e, soprattutto, nuovi ragazzi con cui imparare a entrare in relazione, a cui proporre un personale approccio didattico sicuramente molto diverso rispetto a quello utilizzato dal collega che mi ha preceduto, classi che mi guardano come si guarda una meteora, come qualcuno che è lì per un po’ ma poi scomparirà negli abissi della notte e delle loro memorie.
Situazioni che noi precari accettiamo con ironica rassegnazione, scambiandoci sguardi e sorrisi di comprensione mentre i primi di settembre ci si ritrova in coda per firmare i contratti, e poi le prime chiacchiere, i primi caffè con quei colleghi “porzione singola” – per chi sa cogliere la citazione – che hanno il sapore dolceamaro dell’ennesimo PTOF da leggere per avere un’idea di dove si è finiti.
Un mondo a sé, quello della scuola, un universo parallelo che puòcapire solo chi lo vive nel quotidiano, chi effettivamente passeggia tra i banchi, requisendo righelli utilizzati come armi improprie, “beccando” chi copia i compiti celato dietro barricate di portapenne e diari, ridacchiando con le studentesse dei primi amori mentre i maschietti giocano a rincorrere palloni posticci di carta di recupero e nastro adesivo.
L’insegnante, quel mestiere che “si vede che quello è un professore”: occhiali, zaino o cartella, sacche di stoffa strabordanti di libri e fogli d’appunti, sguardo stralunato di chi combatte ogni giorno contro l’ignoranza a suon di Dante, Michelangelo, Pitagora, accenti a “chapeau”, “word lists” e chi più ne ha più ne metta.
E poi ci sono le aule, anfratti angusti, sovraffollati di banchi incisi dalla noia, odorosi di adolescenza, con pavimenti ricoperti di bigliettini, ritagli, frammenti di litigate e ridarole e le ormai due lavagne, una antica perennemente sporca di gesso, l’altra ipermoderna, scarabocchiata anch’essa, solo che in digitale.
Quanto ci sarebbe da dire di e su questa “benedetta” scuola italiana! Che tanto non va mai bene, una volta troppo nuova, una volta troppo vecchia, un po’ “senza zaino”, un po’ con i libri digitali, un po’ con i programmi da tagliare, con i progetti da portare a termine, e poi le competenze chiave, e poi, e poi, e poi…
La verità è che chi spesso parla di scuola, a scuola pare non averci mai messo piede.
Ma non è questa la sede per puntare il dito verso i grandi critici, i “dottoroni” della didattica, della pedagogia, verso chi fa tutt’altro e si permette di giudicare il mestiere altrui, verso i teorici dei CFU.
La verità è che di scuola dovrebbe poter parlare solo chi tutti i giorni calca i corridoi e le classi di questi edifici vetusti e tutti i giorni affronta, dopo un’ora di sudatissima lezione, l’inevitabile domanda esistenziale: “Prof, posso andare in bagno?”
Credo sia anche per questo che Filippo Caccamo, attore teatrale e cinematografico, comico e anche autore nel 2019 di un romanzo “Vai tranquillo”, edito Mondadori, ha riscosso tutto questo – meritatissimo- successo. Perché lui il professore lo ha fatto davvero, e con delicata e intelligente ironia ha dato voce sincera a una realtà che è davvero difficile da raccontare senza banalizzarla o criticarla a vuoto. Con l’atteggiamento di chi è abituato a spiegare, attraverso la semplicità di una maglietta in testa o una borsetta a bauletto sotto braccio, Filippo restituisce attraverso i suoi brillanti personaggi “la vita del professore comune”, e tra PDP, segreterie didattiche mai a disposizione, Collegi docenti on line o in presenza e cambi d’ora scoppiettanti è davvero difficile non ritrovarsi.
Ebbene sì, sono anche io una delle tante fans torinesi di Filippo Caccamo e in più, in qualità di insegnante, non posso che ammettere di rivedermi in molte delle situazioni che il comico di Lodi propone nei brevi e numerosi schetc visionabili su instagram. È stato proprio questo particolare senso dell’umorismo, pungente e preciso, mai esagerato o volgare, così vicino alla realtà e capace nel contempo di trasformare singoli individui in tipi stereotipati a convincermi a contattarlo per chiedergli qualcosa di più riguardo a tale arguta trovata.
È nato tutto da un banale messaggio su instagram, per una volta i social hanno risposto alla loro utilità.
Ci diamo un appuntamento telefonico, lo disturbo durante l’ora di colazione, tra un cappuccio e brioche Filippo risponde alle mie numerose domande, alterniamo questioni leggere a riflessioni per cui servirebbero giorni di discussione, parliamo di scuola, delle sue scelte di carriera e di vita. Mi dà l’idea di una persona genuina, percepisco la sua voglia di fare e di mettersi in gioco, noto che conosce a fondo gli argomenti che poi mette in scena.
Infatti il nostro comico, la voce di noi precari e di noi insegnanti spiantati, ha tutte le carte in regola per brillare sotto i riflettori e farci ridere di quelle cose che forse affrontiamo con eccessiva drammaticità.
Si laurea prima in Scienze dei Beni Culturali presso l’Università di Milano, in seguito ottiene la laurea magistrale in Storia e Critica dell’arte, sempre a Milano, intanto persegue la passione per il teatro, la comicità ed il cinema: a partire dal 2014 partecipa ad alcune pellicole cinematografiche (“Senza lasciare traccia”, di G. Cappai; “Rido perchéti amo”, di P.Ruffini) e si esibisce a teatro con spettacoli da lui ideati e recitati quali “Mai una laurea” (2017), “Le mille e una laurea” (2018), “Apprendista con esperienza” (2019) fino all’odierno “Tel chi Filippo”(2022).
Sono principalmente tre i filoni discorsivi a cui Filippo si ispira, i genitori, la vita dopo i trent’anni e il mondo della scuola. Dalla prima tematica nascono ad esempio i personaggi tipo della mamma e del papà, la prima perennemente arrabbiata, il secondo che tenta goffamente di “fare il giovane”; dalla seconda invece viene fuori il tempo che passa inesorabile, si ride e si scherza su questo effettivo momento di passaggio, i trent’anni, in bilico tra la giovinezza piena e l’inizio di una nuova fase di vita, fatta di impegni, stanchezza, lavoro e dormite alle dieci sera che soppiantano malinconicamente le serate in discoteca. Infine, la scuola: qui incontriamo La Carla, la professoressa dalla lamentela perenne, non le va mai bene niente, ma alla fine èquella che aiuta sempre tutti, poi c’è “La vecchia”, quella che agogna la pensione e risolve sempre con un fatidico “ai miei tempi era tutto diverso”, e poi La Preside, che con voce squillante dirige allegra il Collegio docenti, e infine Mimmo, il tecnico tutto fare che tra uno sbuffo e l’altro è un pilastro dell’istituzione scolastica, “dulcis in fundo” la MAD, la personificazione della speranza appesa a un filo, in eterna attesa di una malattia o di qualcuno “incinto”.
Cari lettori, se non lo conoscete, andate a sbirciare sul web, cercate i suoi canali social e concedetevi qualche pausa di sacrosante risate, perché Filippo si merita la vostra attenzione e noi tutti ci meritiamo di prenderci un po’ meno sul serio.
Ecco la gradevole chiacchierata che ho avuto il piacere di portare avanti.
Alessia: come ti è venuta questa brillante idea di parlare del mondo della scuola?
Filippo: Questa è una bella domanda! Io non sono un grande battutista, più che altro faccio situazioni, quando ero in universitàprendevo in giro gli universitari, poi sono diventato grande per l’università e ho iniziato a parlare della scuola. Poi la scuola un po’ si presta da sola, tu entri in una sala insegnanti e dici: “bene un comico non deve neanche lavorare perché è già a posto così”. Quando mi sono trovato ad insegnare mi sono detto: ci sono alcune situazioni, alcuni personaggi alcune cose che devo per forza ricreare. E credo, dalla risposta che ho avuto, che gli insegnanti avessero proprio bisogno di una loro pagina web, di un punto di riferimento, di un loro comico. Ed effettivamente poi è andata bene, ma è stata cosa davvero molto naturale.
Alessia: Come ti è capitato? E’ successo qualcosa che ti ha fatto scatenare la comicità in questo ambito?
Filippo: Sì, la conoscenza di alcuni colleghi e l’osservazione di atteggiamenti e di parole.
La scintilla è stata conoscere la vera Carla, sentire parlare due colleghi e dire “no va beh, non ci credo”. È l’osservazione, l’osservazione della realtà. Il punto di forza è proprio questo: si tratta di personaggi reali.
Alessia: Anch’io – che sono una docente -mi ritrovo molto in quello che dici, mi ci rivedo, e mi piace il taglio che hai deciso di dare alla tua comicità, è questo che fa parte della tua “vis comica” ed è la tua specifica particolarità, sei sottile, ironico, i tuoi personaggi partono da modelli e situazioni reali che tu sai rimodellare, senza offendere nessuno, con estrema raffinatezza.
Alessia: C’è qualcuno che ti ha sostenuto in questo tuo percorso?
Filippo: No nessuno – ride- I miei followers e fine! Io abito a Lodi, ho sempre continuato ad abitare a Lodi, ho casa qui, gli amici qui, tutto qui. È vero i numeri sono alti, i teatri sono pieni in pochi minuti, certo, ed è molto facile partire per la tangente. Io volutamente rimango in una realtà che non mi sostiene. Certo, c’è il conforto che arriva dalla parte web, ma è importante anche per me avere una normalità. Ad esempio quando mi esibivo in teatro ed ero giàconosciuto non mi è mai venuto in mente di lasciare l’università o di non insegnare.
Alessia: Tu insegni ancora?
Filippo: Purtroppo non posso più. Per un anno ho insegnato e basta, perché non avevo ancora una grande attività web, poi l’anno successivo ho seguito entrambi i percorsi e poi non sono più riuscito a reggere un ritmo così intenso, andando continuamente in tour non posso farcela, e i ragazzi come fanno? Avrebbero bisogno del supplente del supplente, ma per loro è necessario avere stabilità. Io d’altro canto ho bisogno di un progetto da portare avanti, in cui credere fino in fondo mentre i ragazzi devono avere un docente presente. Mi sono detto, io quest’anno me la gioco così, sono giovane, vediamo come va… tanto a scuola purtroppo o per fortuna c’è sempre posto!
Alessia: La scuola ti manca come realtà?
Filippo: Sì mi manca e mi mancano i ragazzi. Infatti per avere a che fare con i ragazzi ora tengo un corso di comicità in una scuola qui a Lodi, nella scuola dove insegnavo prima invece faccio un corso di cinematografia. Certo mi manca e faccio di tutto per tenermi in contatto con queste realtà, semplicemente non tutti i giorni alle otto del mattino.
Alessia: Tu insegnavi alla scuola media? I ragazzi si ricordano di te? Ti contattano?
Filippo: Sì certo! Devo essere sincero, i miei alunni sono sempre venuti ai miei spettacoli, alle serate, mi commentano i video, sono molto affettuosi, anche quando ho detto che avrei tenuto questi corsi di comicità, me li sono ritrovati lì a scuola. Davvero meravigliosi.
Alessia: Tra i tuoi personaggi ce n’è qualcuno a cui sei piùaffezionato?
Filippo: Sì certo “la Carla”, che è anche un po’ il personaggio tra virgolette più comune, perché il puntiglioso c’è una volta, quella che vuole andare in pensione anche, ma “la Carla” siamo proprio un po’tutti. È quella che quando c’è il collegio docenti è di là che fa la torta salata, quando arriva una circolare non ha voglia di leggerla, ma ovviamente poi la legge, tentenna, ma lei c’è sempre. Si lamenterà dal mattino alla sera ma è quella che arriva prima, è quella che poi la torta salata la condivide con i colleghi. “La Carla” è il simbolo degli insegnanti, a metà tra l’analogico e il digitale, con quell’interesse romantico che deve poi avere a che fare con la LIM che non funziona e tutto il resto, ma “la Carla” è la vera combattente.
Alessia: Anch’io condivido, la burocrazia è tremenda. Parlando di altre questioni che in effetti rubano diverso tempo parliamo dei social. Che cosa ne pensi?
Filippo: Io li detesto, li uso perché sono obbligato, fine. I social sono da fuori di testa, è un mondo di matti. È un mondo nel quale ogni persona può dire la sua, anche se non ha nulla a che fare con l’argomento trattato. Ad esempio, ho realizzato un video sui PDP, che sono cosa serissima e importantissima io lo so bene, ma l’insegnante ci impiega davvero tantissimo tempo a compilarli, ricontrollarli ecc. Faccio quindi un video prendendo in giro questa burocrazia assurda e diverse persone mi hanno redarguito sulla serietà della questione. Ho dovuto poi mettere un commento per gente che non sa, sottolineando che io prendo in giro la burocrazia, non l’importanza o la finalità del PDP. Quando ero all’università giocavo a prendere in giro alcune materie, ma mai l’utilità della laurea. E poi è anche attraverso la comicità, il prendersi in giro che diamo valore al nostro lavoro e alle nostre cose. I social sono quella cosa in cui devi centellinare determinate parole, non per chissà chi, ma per gente normalissima che semplicemente non sa. E in più ci vuole attenzione perché la comicitàè fortemente in difficoltà in questo periodo, quello che dicevano alcuni comici un po’ di tempo fa non lo possiamo più dire noi oggi, ci chiuderebbero tutti i profili. Non saprei definire il mio rapporto con i social. Cioè ogni giorno apro il profilo e mi chiedo: “Cosa posso fare? Cos’è che non dà fastidio?” Detto questo, la mia è una linea molto pulita, è ironia pulita, non offendo mai nessuno. Io farei tutta la vita teatro e basta, però dall’altra parte questi “sold out” in sette minuti vengono proprio dai social, quindi devi farlo.
Alessia: Condivido, anche per i ragazzi è deleterio usare in modo indiscriminato i social.
Filippo: Io ho fatto delle lezioni sull’uso consapevole dei social, e sono piaciute moltissimo.
Penso che sia un argomento da sostenere e da affrontare proprio con i ragazzi, insegnare loro la differenza tra un utilizzo passivo e uno attivo, attraverso il quale magari si può proporre qualcosa, e via discorrendo. Bisogna insegnare loro a servirsene in modo critico.
Alessia: Condivido, anch’io insegno, la mia materia è arte, ho frequentato l’ Accademia di Belle Arti, e mi sono laureata in Decorazione, arte contemporanea, e ritengo che l’uso indiscriminato dei social sia deleterio. E anche io nel mio piccolo provo a riflettere con i miei studenti su quanto influiscano i social network sulla vita di tutti i giorni, quali siano gli aspetti positivi e quali quelli negativi.
Ti rivolgo ancora alcune domande, magari un po’ impegnative. Ad esempio che cosa pensi della scuola italiana? Dimmi pregi e difetti.
Filippo: Certo. Guarda io ti rispondo con la mia frase storica: “tolta la LIM, siamo nel 1970”.
Davvero, se togliamo la LIM, rimangono i quaderni, le penne, i fogli protocollo, i voti, la paura per l’interrogazione. La domanda dopo è“qual è la soluzione?”, beh purtroppo quella non la so! Non ho le competenze, non ho lo studio specifico, non ho la debita conoscenza culturale per dare una risposta. A mio parere un problema grosso riguarda la lentezza, la scuola italiana è troppo lenta, è stantia e poi oggi c’è la demotivazione da parte dei docenti, dovuta all’impossibilità del docente di fare qualsiasi cosa: non può mettere la nota, non può mettere un 4 ecc. Cioè prima di mettere un 4 devi rifletterci mille volte, ah quell’alunno ha il pdp, quindi non si può fare niente, anzi ormai bisogna far passare ogni studente per forza. Perchése poi vuoi fermare qualcuno arriva la preside, arriva la circolare, la famiglia e comunque non si risolve nulla. E poi ci sono i docenti piùanziani che non vedono l’ora di andare in pensione, i docenti piùgiovani che non sanno che fare. Per fortuna ci sono anche i docenti appassionati, e non è vero che sono pochi, perché poi si dice sempre anche questa cosa, che c’è sempre un solo paladino della giustizia che sguaina la spada, non è vero, gli insegnanti appassionati sono tantissimi, io nel mio piccolo l’ho visto, nella mia scuola ne ho incontrati molti, che magari ti inseguono nei corridoi per un’idea, un progetto, che magari alla domenica pensano ai propri allievi e ai loro problemi, e si preoccupano per cercare soluzioni didattiche adeguate.
Alessia: Si ecco, la scuola è proprio un mondo a se stante, se uno non la vive non riesce a comprenderla a pieno. È un mondo complesso e bellissimo allo stesso tempo. E tu sei riuscito a raccontare quello che succede all’interno della scuola a chi della scuola in realtà non sa nulla. Per concludere: altre hit dopo “Giovani supplenti”?
Filippo: Una bella domanda. In realtà io adoro fare le canzoni, quindi altre canzoni sì, arriveranno. Però ecco serve una hit, non voglio fare una canzone da zero perché io insomma faccio ridere, canto, faccio la parodia ma non ho la presunzione di scrivere un testo su una musica nuova, quella roba lì la lascio fare a chi è capace.
Alessia: Allora aspetto un video sul docente di arte.
Filippo: Sì, sì arriverà anche quello. Sto lavorando su una serie di video su “tutti i docenti di…” poi ho in mente una serie che sto scrivendo che credo potrà essere molto carina, vediamo insomma cosa succede, piano piano.
“Tempus fugit”, per lui e per me, che devo entrare in classe.
Ancora un personale grazie e un personale complimento a chi èriuscito a dare voce a questo universo sgangherato che è quello della scuola, nello specifico della scuola media, quell’anfratto di vita “di serie B”, sdegnato e allontanato da tutti, quel qualcosa che passa inosservato e volutamente non visto. Ma, cari lettori, ricordate: “l’essenziale è invisibile agli occhi” (“Le Petit Prince” Antoine De Saint-Exupery).
ALESSI CAGNOTTO