Più di 3600 startup incubate, circa 1700 dipendenti e un fatturato di oltre 550M€. Oltre il 50% degli incubatori supporta startup a significativo impatto sociale o ambientale.
Il team di ricerca Social Innovation Monitor (SIM)con base al Politecnico di Torino ha presentato i risultati delle analisi relative all’ecosistema degli incubatori e acceleratori in Italia.
Dal Report emerge che gli acceleratori e gli incubatori nel nostro Paese sono 237 e occupano un totale di circa 1700 dipendenti; la maggior parte opera nel Nord-Ovest della nostra penisola, con prevalenza in Lombardia, dove ne sono presenti 57. Nel resto del Paese si distinguono per il loro impegno Emilia-Romagna, Lazio, Toscana e Campania, rispettivamente con 29, 22, 18, 16 incubatori.
Gli incubatori e acceleratori sono un importante elemento del sistema imprenditoriale evidenzia Davide Moro, vicedirettore della ricerca. Secondo il report SIM, infatti, gli incubatori e acceleratori sul territorio hanno incubato circa 3600 startup e hanno fatturato circa 550 M€.
In Italia, più della metà degli incubatori (57%) sono costituiti come società a responsabilità limitata. Il 17% sono invece società per azioni. Tra le altre forme giuridiche più comuni troviamo SCARL, SCPA, fondazioni, consorzi e SocCoop.

Per quanto riguarda i principali servizi offerti dagli incubatori il primo risulta l’“accompagnamento manageriale”, seguito da “supporto allo sviluppodi
relazioni” e dal “supporto alla ricerca di finanziamenti”. Altri servizi rilevanti sono la fruizione di spazi fisici e la formazione imprenditoriale e manageriale.
Il valore aggiunto apportato da incubatori e acceleratori nel nostro ecosistema non si limita al supporto alla nascita di nuove organizzazioni. L’86% degli incubatori e acceleratori hanno infatti dichiarato di svolgere anche attività non direttamente riconducibili alle attività di incubazione e accelerazione. Tra le attività più frequenti troviamo partecipazione a progetti e bandi, gestione e promozione di eventi, attività a titolo oneroso di scouting e open innovation per aziende corporate e/o altri soggetti, servizi di coworking.
Come per gli anni precedenti, anche questo Report ha posto un focus speciale sull’impatto sociale e ambientale degli incubatori e delle startup incubate.
Circa la metà degli incubatori e acceleratori in Italia rientra nella categoria “Business Incubator”, mentre l’altra metà rientra nella categoria “Mixed” o “Social Incubator”. Dalle analisi del report risulta che un incubatore su due supporta organizzazioni a significativo impatto sociale o ambientale.
I settori più rappresentati, per le organizzazioni incubate a significativo impatto sociale o ambientale, sono quelli relativi alla salute e benessere (incluso sport) e sviluppo della comunità.
Nel corso del 2021 sono stati creati 16 nuovi incubatori (e diversi incubatori nati negli anni precedenti hanno cessato le loro attività). Il numero degli incubatori nati nel 2021 risulta in crescita rispetto all’anno 2020, probabilmente in parte per la generale ripresa di tutti i settori dalla situazione pandemica.

Quest’anno la ricerca ha analizzato anche gli acceleratori creati a partire dal 2021 da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) nella «Rete Nazionale Acceleratori CDP – Venture Capital». Alla fine del 2021 risultavano avviati i primi 8 dei 16 acceleratori della rete. Tali acceleratori, realizzati in partnership con altri soggetti, sono distribuiti uniformemente nel territorio italiano: sono stati avviati 5 acceleratori nel Nord-Ovest della penisola, 4 nel Nord-Est, 4 nelle regioni del Centro e 3 in Sud e Isole.
Come dichiarato dal Direttore della ricerca, Prof. Paolo Landoni “oltre ad essere ripresa, la crescita degli incubatori e acceleratori si sta anche specializzando. Non solo gli Acceleratori CDP hanno dei focus verticali, altri soggetti si stanno concentrando su diversi settori o diversi approcci, come quelli già visti l’anno scorso del venture builder e degli startup studio. Per questo motivo quest’anno oltre all’approfondimento sugli acceleratori CdP abbiamo anche iniziato a differenziare tra incubatori e acceleratori”.
L’attenzione all’ecosistema degli incubatori arriva anche dal governo e dalle istituzioni. All’evento di presentazione del report hanno infatti partecipato Stefano Soliano, Vice Presidente di Innovup, Giorgio Ciron Direttore di Innovup, Federica Garbolino, Responsabile mercato e servizi di Invitalia, Stefano Molino, responsabile Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital SGR e Maurizio Montemagno, Direttore Generale per la politica industriale, l’innovazione e le piccole e medie imprese.
“I risultati della ricerca ci restituiscono la realtà di una filiera dell’innovazione in salute, ma con ancora un grande potenziale inespresso. Per creare un meccanismo di crescita virtuoso per le startup e i centri di innovazione coinvolti oggi, una revisione del contesto normativo attuale è più che mai necessaria, sia per quanto riguarda le definizioni e per le agevolazioni previste per i soggetti che già vi partecipano, sia e per tutti coloro che vorrebbero farne parte” conclude Stefano Soliano, Vice Presidente di Innovup.

Case che dovevano ospitare l’imponente marea di immigrati dal Sud (ma non solo; molti a Vallette anche i profughi istriani e giuliano-dalmati), attratti in questa estrema periferia nord-ovest della città, dalla speranza di un lavoro che, sotto la Mole, era soprattutto garantito in quegli anni da mamma Fiàt…Quartiere operaio, quartiere dormitorio, via via Le Vallette hanno poi negli anni conquistato terreno (con buona pace dell’ingegner Gino Levi – Montalcini che nel 1957 ne firmò il piano urbanistico, curando anche la progettazione dei vari edifici) fino a spingersi oggi alla parte nord del verde Parco Carrara, noto più comunemente come Parco della Pellerina e fino a fregiarsi, in un’area di stretto confine, di un’autentica magia urbanistico-sportiva come il complesso dello Juventus Stadium e della Cittadella bianconera, così come di un’imponente centrale per il teleriscaldamento entrata in funzione nell’inverno 2012 e che sembrerebbe fare di Torino la città oggi più teleriscaldata d’Europa. A vent’anni dalla sua progettazione, le Vallette in cui mi trovai a lavorare e che mi trovai a vivere dagli Anni Settanta alla fine degli Ottanta, incutevano, per i “forestieri”, un certo senso di reverenziale rispetto. E anche appena appena – a voler giocare di ottimismo – un po’ di panico. Del resto erano quelli, anche per Torino, gli anni bui del terrorismo, delle Brigate Rosse e di Prima Linea: 19 morti e 130 feriti si contarono in città fra il 1977 e il 1982. Erano quelli anche gli anni di un’accesa contestazione studentesca, figlia o figliastra del ’68. Quella che molti di noi giovani (allora) insegnanti avevano fatto propria o comunque vissuta – direttamente o indirettamente- sulla propria pelle e che ora si trovavano a confrontare con le nuove proteste di ragazzi che non avevano molti anni meno di loro, che okkupavano scuole e organizzavano cortei e manifestazioni anche di forte impatto sulla vita della città, ma poco recepite, se non per farne spesso uso strumentale, dalle istituzioni e da quelle forze politiche cui si chiedeva maggiore attenzione e maggiori risorse per la scuola italiana nel suo complesso. Eventi però che, per valenza politica, sembravano interessare solo marginalmente le Vallette, dove il “buco nero” era fatto principalmente di ribellione e rabbia sociale. Ebbene, in quelle Vallette, a cavallo degli Anni ’70-’80, dove anche la Scuola, così come le Comunità Parrocchiali non meno che la presenza di Enti socio-assistenziali, assumevano un ruolo determinante nell’accompagnamento dei ragazzi e delle loro famiglie, io arrivavo tutte le mattine con un’“affannata” Fiat 127 bordeaux, che avevo battezzato, non so perché ma mi sembrava un nome simpatico, Carolina . Partivo (ero quasi sempre in ritardo) da via Spano, Mirafiori Sud (all’altro capo della città); attraverso corso Sebastopoli, arrivavo a tutta birra in via De Sanctis – via Pietro Cossa per poi imboccare via Sansovino e corso Toscana e ritrovarmi in quel dedalo di strade impreziosito – come detto – dalla soavità di graziosi nomi floreali: via dei Gladioli, via dei Glicini, viale dei Mughetti, via via fino a via delle Magnolie. Qui al civico 9, mi trovavo ogni mattina di fronte a quella media statale, titolata allora al grande “Carlo Levi” (oggi a David Maria Turoldo), che, nel corso degli anni, sarebbe un po’ diventata la mia “seconda casa”. Avevo fatto pochi chilometri e mi sembrava, ogni giorno, d’essere atterrato, con la Carolina fumante, su un altro pianeta. Ero al mio primo incarico diurno. Dall’atrio, volavo ogni giorno due rampe di scale, strappavo al volo dal cassetto personale della sala insegnanti il registro e m’infilavo, con l’irruenza di un vigoroso centometrista ma insieme con la silenziosa leggerezza di una libellula – per non offrire al pubblico ludibrio il mio vituperabile e sempre più proverbiale ritardo – nell’aula di mia competenza. Chiudevo alle spalle la porta, mi dirigevo alla cattedra e mi buttavo, pancia a terra, nella mischia. Calmavo con non poca fatica gli animi e iniziavo ‘a mattinata…