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Carolina “la rossa – bordeaux”, più bordeaux che rossa… indimenticabile!

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ 

“La trappola dei ricordi”

Gianni Milani

In tutta la mia vita, ne ho avute solo cinque! Ehi, ehi… cosa sono questi risolini? E poi chissà, quanti di voi ne avranno avute anche meno! Io sono arrivato a cinque…e tutte conquistate con gran sudore e una fatica che non vi dico. Del resto, sono sempre stato un po’… come dire …un po’ “lentino”. In tutti i casi quattro erano italiane e una francese. Ma la prima, la “Carolina” è davvero, ancor oggi, in assoluto, quella che mi ha dato più soddisfazioni. Indimenticabile! Sarà, come si dice, perché il primo amore non si scorda mai. Bella! Per me era davvero il massimo. Rossa, tendente al bordeaux. Più bordeaux che rossa. Pensate, sono passati più di quarant’anni (alla faccia!) e mi ricordo ancora il numero di … targa. Di targa, sì! Ma che sono quelle facce? Cosa avevate capito? Tutte le macchine hanno, e hanno sempre avuto, una targa. Anche se cambiate per formulazione nel corso degli anni. E io di quelle parlavo. Di macchine! Chissà cos’avevate capito! Che? Fidanzate? Ma no! E di quelle, poi, ne ho avute ben più di cinque. Non faccio per vantarmi … ma almeno almeno (aspetta un po’) … almeno sei! Sorvoliamo. Bene, la targa dicevo. Eccola: TO M56851. Stampata a fuoco nella mente e nel cuore. Ancora targa nera con sigla della provincia ben in vista. Quale macchina? Embé! Una “brillante” FIAT 127 prima serie, mantenuta in listino dall’allora gloriosa casa torinese dal 1971, come erede dell’ormai obsoleta 850, fino al 1987. Due porte, ampio bagagliaio e adeguata spaziosità, “Auto dell’Anno 1972”, opera di Rodolfo Bonetto (nipote del pilota Felice) e di Pio Manzù (figlio dello scultore Giacomo) che morì trentenne nel ’69 in un incidente automobilistico, proprio mentre si recava a Torino per la presentazione ufficiale della “maquette”. Correva l’anno 1974. La “Carolina” (non so perché, mi venne subito da personalizzarla e chiamarla affettuosamente così) era il mio grande regalo di laurea: 110/110 con lode alla torinese Facoltà di Lettere. Rossa – bordeaux, più bordeaux che rossa. A consegnarmela, senza pacco regalo né fiocco, fu papà Renzo. Era di luglio, se non erro. Appuntamento in corso Settembrini, allora ancora Mirafiori Nord, settore Carrozzerie/Verniciatura. Entro di buon mattino in un grande mare, Parking – auto. Tutte pronte alla consegna o alla vendita. Pensate che solo di 127, nel ’74 la Fiat ne aveva sfornate un bel milione tondo tondo! A venirmi incontro, lungo lungo magro magro, tuta blu (da “Baracchino Fiat”, che col vestito della domenica sembrava quasi lui il padrone della “fabbrichetta”, tant’era uomo raffinato e di classe), sorriso con malcelata ansia incorporata, il parin, come i più giovani colleghi della “Verniciatura” chiamavano il babbo, ormai quasi alle soglie della pensione. In mano un mazzo di chiavi. Eccole, la macchina ti aspetta lì. Si realizzava un sogno. Ma è proprio mia? Mi veniva da chiedergli. Non lo feci. Quel sorriso sul volto di mio padre, che non era facile al sorriso, l’avevo già visto una volta. Al ritorno a casa (abitavamo allora in via Bidone) dopo il primo esame universitario: Estetica, superata con un bel 30/30 sul libretto. Era un sorriso di orgoglio, benevolenza, piena soddisfazione. Totale amore. Non c’era l’ansia che un po’ appannava il sorriso al passaggio di mano della “Carolina”. Ora tocca a te, sembrava volermi ricordare. Già, tocca a te. La patente l’avevo presa qualche anno prima. Mi sarei ricordato ancora tutto? Avviamento, partenza, precedenze e ammennicoli vari. Forza Gianni! E forza “Carolina”. Prima tappa, il ritorno a casa. Corso Unione Sovietica, via Filadelfia, via Spano al 14 interno 10. Una mezz’oretta, per pochi imbarazzanti chilometri. Parcheggio. Fatto anche quello. Prima prova superata. Salita di corsa e di gioia per le scale. Idea: la riprendo questa sera. Meno traffico, farò due orette di pratica. E qui viene il bello! Certo che la “Carolina” ne ha provate tante con un principiante imbranato come me. Scena fantozziana. Al calar del sole, mi riapproprio della “Carolina”. Immaginavo moltitudini di vicini al balcone. Pronti alla partenza! Papà e mamma, certamente sì. Al balcone del quarto piano. Ansanti e tremanti. Al mio pari. Troppa l’ansia! Infilo le chiavi. Piede sinistro sulla frizione. Innesco la prima e giro la chiave. Il motore gira. Eccome se gira, ma la macchina non parte. Che ti succede “Carolina”? Riprovo. Niente. Riprovo e riprovo. Niente da fare. La “Carolina” non fa una piega e il motore si diverte a “vociare” al quartiere. Io, un Fantozzi calzato e vestito. Immaginavo la scena in cui il mitico ragioniere creato dall’altrettanto mitico Villaggio tentava di acchiappare il pullman al volo con tutti i vicini pronti all’applauso. Che vergogna! Finché, al finestrino mi s’affaccia un vecchietto mandato dal cielo (forse San Cristoforo, protettore degli automobilisti?): giovanotto, per partire, basta che tolga il freno a mano! Caz…una vergogna da farmi sprofondare. Saluto il vecchietto – San Cristoforo e tutta via Spano, braccio orgogliosamente fuori dal finestrino sinistro. Niente applausi. Erano le 20 o poco più. Ritorno alle 22. Sudato fradicio. Carico di insulti “automobilistici”, dai classici e più garbati “ma chi t’ha dato la patente?” ai più impietosi “vaffa…” regalatimi a piene sporte. Comunque. Un bel giro in centro. Velocità massima 30/40 Km orari. A pieno regime. Ma era andata! Con buona pace dei miei, che, se avessi ritardato di cinque minuti, avrebbero chiamato tutti i “Pronto Soccorso”, pompieri, carabinieri, polizia, esercito (anche quello della Salvezza) e tutto il parentado in Italia e all’estero. Ma il ghiaccio era rotto. A fine carriera, sei anni dopo, la “Carolina” portò me e Patrizia (prima vacanza da maritato) fino in Calabria. Una meraviglia. Dopo di lei altre quattro. Ma nessuna come lei. Sarà, come dicevo, che il primo amore non si scorda mai. Sarà il suo ricordo legato all’alta (in tutti i sensi) figura del mi’ babbo. Tant’é. Come “Carolina” la rossa – bordeaux più bordeaux che rossa, nessuna mai!

Gianni Milani

Elogio della prostituzione

La prostituzione è, spesso, definita come il mestiere più antico del mondo; non so quanto sia vero perché anche i ministri di culto affondano le loro origini in tempi remoti, come i contadini, i guerrieri, i pastori, i pescatori.

Di sicuro è sopravvissuta a rivoluzioni sociali, leggi severe, punizioni dovute al dittatore di turno e è trasversale a tutte le culture e tutte le latitudini.

I Paesi più evoluti si sono dati una regolamentazione di tale attività, prevalentemente per tre ordini di fattori: fiscale, sanitario e di ordine pubblico; l’Italia, proprio per questo, ancora non si è dotata di una valida regolamentazione che metta d’accordo l’anima cattolica e conservatrice con quella progressista preferendo, come spesso accade, un comportamento pilatesco. Da noi, infatti, la prostituzione non è vietata a condizione di esercitarla singolarmente (la prostituta, i clienti possono anche essere più di uno contemporaneamente) pena la violazione della legge 20 febbraio 1958, n. 75 (la c.d. legge Merlin dal nome della non compianta senatrice socialista che per prima firmò il disegno di legge).

Qualunque persona che scelga di erogare prestazioni sessuali in cambio di denaro non può essere fermata dalle Forze dell’Ordine e non rischia alcun procedimento di tipo penale, salvo per altri reati quali immigrazione clandestina o atti osceni in luogo pubblico. Allo stesso modo anche chi si rivolge alla professionista del sesso non può essere fermato da Polizia o Carabinieri.

Dal punto di vista civilistico, il contratto verbale che si stipula con una prostituta non è valido: ne consegue che, nel caso in cui una delle due parti non dovesse adempiere agli accordi presi, esiste la possibilità di risolvere la questione in Tribunale solamente se vi sia rilevanza penale.

Le prostitute chiedono sempre il pagamento anticipato, ma qualora il rapporto avvenisse senza che vi sia stata dazione di denaro e il cliente, al termine, si rifiutasse di corrispondere quanto pattuito, questi potrebbe essere denunciato per violenza sessuale; alla stessa sorte sarebbe soggetto un cliente che si sfilasse il preservativo all’insaputa della prostituta (ma se sapesse di essere positivo a HIV o epatite, scatterebbe la denuncia per lesioni personali gravissime).

Se, invece, la prostituta, una volta incassato quanto pattuito si rifiutasse di onorare il contratto potrebbe essere accusata di truffa o rapina, a seconda della tecnica utilizzata.

Va da sé che, non essendovi regolamentazione tutte le prostitute sfuggano ai controlli sanitari e di Polizia ed ecco che si assiste, dopo anni relativamente tranquilli, ad un nuovo aumento dei casi di malattie a trasmissione sessuale, si è impotenti di fronte alla tratta delle schiave perché molte di loro non testimonierebbero mai contro i loro aguzzini e, non da meno, vengono evasi miliardi di euro di gettito fiscale.

Ho intervistato, davanti ad un caffè, alcune operatrici del sesso in Torino e Milano riportando i dati di quelle che sembravano più aderenti alla realtà.

Ogni prostituta, lavorando 7 giorni su 7 incontra mediamente 15 clienti al giorno; ad una media di 50-100 euro ciascuno (a seconda della prestazione erogata) fanno da 750 a 1500 euro al giorno, pari a 22500 -45000 al mese per ogni prostituta.

D’accordo c’è il costo di affitto, luce, preservativi, lubrificanti, calze,… ma sono poca cosa rispetto alla somma di cui sopra.

Hanno calcolato che in Italia vi siano tra le 100 mila e le 120 mila prostitute inserendo nel conteggio anche trans, transgender,…; arrotondando molto per difetto, ed escludendo le top escort (che percepiscono anche 3-4 mila euro per un week end) arriviamo ad un importo di 1,5 miliardi di euro l’anno.

Senza ridurre le prestazioni a chi paga regolarmente le tasse o aumentare la tassazione a carico di operai, insegnanti e dipendenti vari, si otterrebbe soprattutto di far versare loro i contributi INPS per la pensione.

Visto l’importo ed una soluzione mai trovata dal 1958 siamo sicuri che lo Stato voglia davvero risolvere il problema?

Una statistica ha portato alla luce l’entità del fenomeno prostituzione in Italia; almeno 9 milioni di maschi si rivolgerebbero, con frequenza molto variabile, al sesso mercenario.

Nel suo libro “La prostituzione in Egitto e nel mondo antico”, l’egittologo Alfredo Luvino descrive questa arte e il valore che aveva allora in quei luoghi. Dalla dottrina veterotestamentaria in poi, si è cominciato ad osteggiare questa professione con le motivazioni che tutti conosciamo e con i risultati, negativi, che sono sotto gli occhi di tutti.

Conosciamo tutti la figura della geisha in Giappone; non tutti sanno, però, che non è una semplice figura dedita al conseguimento maschile del piacere ma che si tratta di una persona colta, in grado di intrattenere il “cliente” non soltanto sessualmente ma anche e soprattutto emotivamente.

Non sottovalutiamo, inoltre, l’aspetto sociale del sesso a pagamento: il sesso è considerato, finalmente, un bisogno al pari del cibo e del sonno; anche in Italia è nata la figura del sex giver, il donatore di sesso, per entrambi i generi, che procura il piacere a chi non possa ottenerlo diversamente (ad esempio disabili gravi); si tratta, di fatto, di una forma di prostituzione anche se determinata da intenti nobili.

Considerando che non fanno del male a nessuno (escluso lo Stato, al quale non pagano le tasse), anzi, semmai svolgono una funzione sociale importante, perché continuare ad osteggiarle o, peggio, ignorarle fingendo che non esistano?

Sergio Motta

Il neuromarketing

Tecniche di mercato e scienze comportamentali ci spiegano i processi decisionali d’acquisto

In ogni acquisto che effettuiamo o nella relazione con un brand che ci appassiona in particolar modo c’è un processo mentale e psicologico inconsapevole che spiega le nostre azioni come consumatori.
Il neuromarketing, una disciplina che applica le conoscenze delle neuroscienze al mercato e alle sue strategie, è in grado di analizzare i percorsi irrazionali che hanno luogo nella mente del fruitore di beni e servizi influenzandone le decisioni di acquisto.

Ale Smits, professore olandese di tecniche di ricerche di mercato ha inventato il termine “neuromarketing” definendolo come “l’insieme delle tecniche di identificazione dei meccanismi cerebrali orientate ad una maggiore comprensione del comportamento del consumatore per l’elaborazione di più efficaci strategie di marketing”. Una partnership scientifica, dunque, tra studi sul sistema nervoso e marketing per comprendere cosa accade al nostro cervello in presenza di precisi stimoli esterni e creare, conseguentemente, strategie di comunicazione appropriate ed efficaci per indirizzare il consumatore all’acquisto.
In realtà i primi esperimenti di “brain imaging”, una tecnica diagnostica per conoscere come reagisce il cervello in presenza di uno stimolo, le immagini pubblicitarie per esempio, furono intrapresi da grandi imprese americane come Coca Cola o Ford già dai primi anni ‘90, ma fu Smids ad approfondire gli studi sugli stati d’animo, le emozioni o le reazioni cognitive che indirizzano gli individui ad una azione di consumo.
Questi studi, infatti, sono in grado di rispondere a quesiti del tipo cosa porta le persone a scegliere una marca piuttosto che un’altra o, ancora meglio, fare previsioni relative al comportamento dei consumatori dopo aver visto pubblicità create in base a precise strategie di mercato. Oltre ad utilizzare informazioni proprie delle neuroscienze, questa disciplina si avvale di importanti teorie della psicologia, dell’economia comportamentale, e della psicologia cognitiva e sociale usufruendo così di una miscela di conoscenze che permettono la comprensione dei meccanismi che avvengono nella testa del consumatore e che lo dirigono, spesso irrazionalmente, verso una spesa.
Il nostro cervello, infatti, esposto a molteplici stimoli come spot pubblicitari, immagini ed altre sollecitazioni di diversa tipologia crea un collegamento tra tali impulsi e un proprio bagaglio di sensazioni ed esperienze che produce, a sua volta, una risposta emotiva. Tale reazione emozionale è oggetto, da parte di esperti di marketing e vendite, di una profonda e accurata analisi che porta a comprendere i bisogni e i desideri che creano processi decisionali di acquisto. Questo strumento scientifico multidisciplinare è in continuo aggiornamento grazie al progresso delle ricerche ma, allo stesso tempo, si avvale anche di tecniche tradizionali, come i focus group e le interviste dirette, che consentono di fare un quadro completo del vissuto e delle necessità delle varie categorie di consumatori.
Certamente, a monte di tutto, si pone un quesito molto importante che è quello della questione etica, ovvero quanto questo strumento sia rispettoso dei valori e delle condizioni che garantiscano il bene delle persone. Alcune associazioni americane hanno ritenuto di organizzare petizioni per frenare o fermare l’utilizzo delle conoscenze che derivano dalle ricerche di neuromarketing perché si crede che, talvolta, possano essere usate impropriamente per promuovere prodotti dannosi per la salute come il cibo spazzatura o il tabacco. In sostanza la troppa efficacia di alcune campagne pubblicitarie potrebbe portare i consumatori a scegliere prodotti senza pensare sufficientemente alle controindicazioni e ai rischi che derivano dal loro uso; è necessario, quindi, un utilizzo coscienzioso di tutto ciò che questa moderna tecnica svela sui bisogni delle persone. In generale, comunque, è estremamente importante che la conoscenza proveniente da progressi scientifici e da nuove scoperte sia riguardosa nei confronti diritti primari delle persone, come la salute, attraverso una condotta morale corretta ed eticamente irreprensibile.

Maria La Barbera

 

Il segreto della fabbrica

Una storia per ragazzi alla scoperta dell’Olivetti di Ivrea

“Il segreto della fabbrica” è un bel libro scritto da Angela Ricci, illustrato da Michela Torbidoni e pubblicato dalle Edizioni di Comunità, la casa editrice fondata nel 1946 da Adriano Olivetti.

In un certo senso mancava un libro pensato e scritto per i più giovani (a partire dagli 8 anni) in grado di incuriosire e stimolare la lettura su una delle più straordinarie storie industriali del nostro paese, quella dell’Olivetti e di Ivrea, la città dov’è nata nel 1908 la prima fabbrica italiana di macchine per scrivere. Tre ragazzini torinesi della prima media, in gita con i coetanei a Ivrea,la città ideale della rivoluzione industriale del Novecento secondo l’Unesco, si trovano a vivere un avventurosa “caccia al tesoro” tra gli edifici e le vie che “parlano” e raccontano la fabbrica-città. Max, Pietro e Livia affrontano un percorso che si snoda tra la “fabbrica di mattoni rossi”, la vecchia ICO ( acronimo di Ingegner Camillo Olivetti) con il suo salone dei Duemila dove gli operai ascoltavano i discorsi del fondatore e di Adriano, il Centro Studi ed Esperienze e la chiesa di San Bernardino con il celebre affresco di Giacomo Spanzotti. Alcuni oggetti ( un wattmetro, uno stranissimo montacarichi, una MP1 rossa fiammante – la prima macchina da scrivere portatile della Olivetti -, un cronometro) e tre lettere di Camillo Olivetti ( risalenti rispettivamente al 1912, al ‘28 e alla metà di ottobre del ’43, a meno di due mesi dalla morte che lo colse a Biella dov’era stato costretto a riparare per sfuggire alle leggi razziali) li conducono a scoprire un segreto importante.

Ben congeniato, ricco di particolari e aneddoti basati su verità storiche, “Il segreto della fabbrica” porta i ragazzini – dotati di smartphone con tanto di innovative applicazioni – sulle tracce di un incredibile e avveniristico “Progetto 100” ideato dal fondatore dell’Olivetti. Qualcosa di molto simile a ciò che effettivamente accadde nel 1964 quando Pier Giorgio Perotto e i suoi collaboratori progettarono e realizzarono la Programma 101, il pri­mo personal computer al mondo. Un computer semplice, “che non avesse biso­gno dell’interprete in camice bianco. Una macchina picco­la, economica e per tutti ”. Una macchina prodotta a Ivrea e usata dalla NASA per la missione Apollo 11, dimostrando nei fatti che proget­tare a misura d’uomo “è ciò che permette all’umanità di giungere a mete prima ritenute inarrivabili”. In questo piccolo ma prezioso libro per ragazzi (direi di tutte le età, per non far torti) viene proposta in modo intelligente un’idea per iniziare a conoscere la storia di una delle più grandi eccellenze industriali del nostro paese, di un luogo simbolico lungo la via Jervis e di un modello di impresa costruito attorno al capitale umano di chi ci ha lavorato e legato al nome di Adriano Olivetti. In fondo si tratta del rac­conto di un successo italiano, della storia di un gruppo di uomini che inseguirono il futuro e, per un certo periodo, l’agguantarono e lo misero al servizio di tutti.

Marco Travaglini

Disabilità, Fondazione Crt: al via 135 progetti per l’inclusione

DALLA TANGOTERAPIA AL CIRCO SOCIALE
Contributi per 1 milione e 460 mila euro alle associazioni non profit vincitrici del bando “Vivomeglio”

 

Torino, 2 gennaio 2023 – Al via 135 progetti per l’inclusione e l’autonomia delle persone con disabilità in Piemonte e Valle d’Aosta, dove la Fondazione CRT ha assegnato alle associazioni non profit 1 milione e 460 mila euro di contributi con il bando “Vivomeglio”.

 

Le iniziative si focalizzano su sei ambiti di intervento: abitare sociale, sostegno alle famiglie, lavorare, imparare dentro e fuori la scuola, curare e curarsi, vivere il territorio. Traiettorie in linea con gli obiettivi 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile e con quelli della prima Agenda italiana della Disabilità, promossa dalla Fondazione CRT con la Consulta per le Persone in Difficoltà e il coinvolgimento del Terzo Settore: questo “patto per l’inclusione” conta su un numero crescente di “ambasciatori”, visto che hanno aderito all’Agenda anche 121 enti sui 165 partecipanti al bando “Vivomeglio”.

 

I progetti targati “Vivomeglio” – presentati nella forma del partenariato strutturato – vanno dalla tangoterapia alla coltivazione di fiori in serra, dai laboratori tattili alla montagnaterapia, dalle attività sportive “for all” al circo sociale, da “avventure artistiche e sociali” alla ristorazione inclusiva. E ancora: pet e make-up therapy, esperienze di volo, centri antiviolenza e attività di preparazione alla vita indipendente orientate al “dopo di noi”, ovvero al sostegno e all’assistenza delle persone con disabilità dopo la morte dei parenti che li accudiscono.

 

Gli enti non profit che hanno vinto il bando ‘Vivomeglio’ rendono concreto ogni giorno il diritto all’inclusione: insieme a loro, alle istituzioni e al mondo produttivo lavoriamo a un rinnovato patto sociale per uno sviluppo fondato sulla cura delle persone più fragili nel segno del bene comune”, afferma il Presidente della Fondazione CRT Giovanni Quaglia.

 

Accanto ai parametri economici e ambientali, un ulteriore indicatore della qualità della vita potrebbe essere l’inclusivity index, ovvero la capacità di inclusione di una società: il bando ‘Vivomeglio’ di Fondazione CRT rafforza questo valore, in linea con l’Agenda 2030 dell’ONU”, dichiara il Segretario Generale della Fondazione CRT Massimo Lapucci.

 

Salgono così a 28,5 milioni di euro i contributi assegnati dal 2005 ad oggi con il bando “Vivomeglio” della Fondazione CRT, che ha reso possibili 2.651 iniziative per l’inclusione.

 

Tra i 135 sostenuti dalla Fondazione CRT nell’ultimo anno si segnalano:

 

Ristorazione inclusiva” di Panacea Social Farm di Torino offre un percorso di accompagnamento, team building e formazione di ragazzi con disabilità sulla panificazione, il confezionamento e la vendita diretta di prodotti da forno per le scuole dell’area metropolitana di Torino.

 

“InconTrame: percorsi di creazione artistica di comunità” dell’Associazione Tiglio Onlus di Torino si fonda su tre pilastri: esperienze di inclusione artistica per persone con disabilità (Festival Fringe, Lunathica, Street Art Riva), soggiorni d’arte in presidi culturali del territorio (tra cui le OGR Torino) e workshop teatrali.

 

I ragazzi del Bistrot” dell’Associazione torinese Rubens: il progetto prevede un percorso formativo di cucina, caffetteria, servizio al tavolo e pulizia con l’avvio di un piccolo bar-bistrot nel Borgo Rubens gestito da ragazzi/e con disturbi dello spettro autistico, accompagnati e coordinati dagli operatori dell’Associazione.

 

Flower power per l’inclusione sociale” dell’Associazione Missione Autismo di Asti, accompagna adolescenti e giovani con disabilità intellettiva in un processo di autodeterminazione e partecipazione alla vita della comunità attraverso la coltura di fiori in serra, la distribuzione sul territorio e la cura di spazi floreali pubblici.

 

Il progetto “Centro Incontro all’esterno” di Ashas – Associazione Solidarietà Handicappati Savigliano (Cuneo) promuove le relazioni interpersonali dopo il periodo di pandemia con attività laboratoriali all’interno del Centro Incontro.

 

Il progetto “RiciclOfficina” della Fondazione Apri le Braccia di Galliate (Novara) favorisce l’inserimento socio-lavorativo di persone con disabilità attraverso una Ciclo Officina per il recupero di vecchie biciclette abbandonate (raccolta, riparazione e verniciatura) per donarle a chi è in difficoltà e per incentivarne l’uso come mezzo di mobilità sostenibile.

UNITO sempre più internazionale

L’Università di Torino è sempre più internazionale. Infatti, vanta diversi bandi e progetti per la mobilità estera, ma anche la possibilità di seguire un double degree e quindi conseguire un doppio titolo o titolo congiunto.

Attraverso una formazione integrata e una frequenza alternata all’Università di Torino e in un’Università internazionale. Oltre a diversi progetti promossi dal Dipartimento di Culture, Politica e Società, tra cui il progetto, Región Latinoamericana, Region Europe. Il primo nasce grazie all’accordo specifico di cooperazione tra il Dipartimento di Culture, Politica e Società e l’Universidad Nacional de Tres de Febrero (UNTREF) di Buenos Aires, in Argentina.

Permettendo agli studenti di frequentare un programma di studi di 6 settimane in Argentina. Mentre il Region Europe è un programma internazionale multidisciplinare di formazione avanzata finalizzato ad offrire una comprensione del modello europeo di integrazione regionale, della sua evoluzione nel quadro dei processi politici, economici, sociali e culturali nella regione, e delle caratteristiche dell’UE quale attore globale.

Attraverso dei seminari tenuti al Campus da diplomatici, professori di Università internazionali e personalità di rilievo internazionale.

Sofia Scodino

Un 2023 in vespa e “a tutta lettura” per la torinese “Miraggi Edizioni”

Jan Balabàn e Luis Quintais le prime uscite del nuovo anno, mentre Fabio Mendolicchio riprenderà, in primavera, il suo giro d’Italia con la Vespa-libreria

Nata nel 2010 al “Salone Internazionale del Libro” e stabilita la propria sede al numero 46 di via Mazzini a Torino, da ormai dodici anni l’Editrice “Miraggi” – soci fondatori Alessandro De Vito, Fabio Mendolicchio e Davide Reina – ha, come primissimo “giurato” obiettivo, quello di “fare” i libri che altri non fanno, “quelli che ci piacerebbe – dicono i tre responsabili – trovare in libreria e spesso non si trovano”. Il catalogo di “Miraggi” per questo, proseguono i tre impavidi editori, “si è sempre contraddistinto tanto per lo stile, curato e riconoscibilissimo fin dalle copertine, quanto per la scelta di pubblicare libri perseguendo anche le strade meno battute”. Un lavoro non da poco, guidato dall’enorme passione per la parola scritta e dalla volontà decisa di emergere in modo assolutamente singolare, seguendo filosofie di approccio e offerta di letture a volte perfino un po’ bizzarre, non meno che curiose.  Così nella sede di via Mazzini già si lavora guardando in lungo all’anno nuovo. Il 2023, infatti, per “Miraggi Edizioni” si aprirà con due importanti pubblicazioni: Jan Balabán (1961 – 2010), considerato una delle voci più potenti, originali e importanti della “letteratura esistenzialista” ceca contemporanea, e il poeta portoghese (nato in Angola nel 1968) Luís Quintais, indicato fin dal suo esordio come una delle voci più originali della sua generazione.

In “Dov’è andato l’angelo?”, in uscita a gennaio, Balabán, esistenzialista e cristiano, segue le vicende di Martin da quando è uno studente capellone che vive i suoi primi amori sotto il duro regime cecoslovacco post 68, fino alla disillusione che segue il tanto desiderato cambiamento politico dell’89. Sullo sfondo, la polverosa città mineraria di Ostrava, Repubblica Ceca.

In “Angolo morto”, pietra miliare dell’opera di Quintais, troviamo invece versi liberi, prose e sonetti che testimoniano la sua abilità nel pensare “in retrospettiva” e nel riflettere sull’importanza della parola. Nei suoi testi, “la poesia è vista come un’arte della memoria, essenziale per non dimenticare gli errori della Storia”. La raccolta uscirà a febbraio.

Altro appuntamento, già in agenda per la prossima primavera, la riconferma dell’ormai consolidato appuntamento con il “giro d’Italia” in sella alla “Vespa-libreria” viaggiante dell’editore Fabio Mendolicchio, con un tour a base di incontri con scrittori e librai, fatto di presentazioni e molto altro.

In previsione anche la riedizione di “Primo amore”, il racconto lungo del 1860 dell’autore russo Ivan Sergeevič Turgenev, in cui “l’amore è dipinto come un inutile gioco di società, un capriccio non senza cattiveria”. Tutte le altre novità e uscite verranno annunciate nel corso dei prossimi mesi. E la “Miraggi” non si dimentica intanto di tracciare anche un bilancio di quello che è stato il 2022, ormai alle spalle. Un “bilancio – confermano i responsabili – ricco di uscite e di soddisfazioni per la casa editrice, a partire dall’invito lo scorso giugno a partecipare come ospite internazionale al ‘Book World Prague’, il più importante evento letterario della Repubblica Ceca”. “In questa occasione – proseguono – ‘Miraggi’ ha presentato ‘NováVlna’, nata nel 2018 come l’unica collana in Italia dedicata interamente alla letteratura ceca, al cui interno , nel corso del 2022, sono stati pubblicati importanti testi, primo tra tutti Compiti per casa’, resoconti di viaggio, elogi delle birrerie e dell’umorismo, riflessioni sulla propria opera e sul mestiere di scrivere realizzati dal ‘ragazzaccio’ della rivoluzione letteraria ceca Bohumil Hrabal, presentando per la prima volta al pubblico italiano tutti i testi originari senza tagli, con l’aggiunta di 11 testi inediti”.  Ancora da segnalare, fra le “chicche” datate 2022, all’interno della collana “Scafiblù”, dedicata agli autori e alle autrici italiane, “Stracci e ossa”, il romanzo sul “confine” dello scrittore, storico dei linguaggi mediali Giorgio Olmoti, classe ’65, attualmente residente a Torino e in un bosco sopra Attimis, in provincia di Udine“Isometria della memoria”, il fumetto del brianzolo Davide Passoni in cui  i temi della guerra, della storia e della memoria si intrecciano, e “Wanderwoman”, la raccolta dei racconti, dialoghi e monologhi scritti dalla romana, “vera” Arianna Dell’Arti della serie “Boris” interpretata da Caterina Guzzanti, di cui si è recentemente concluso il fortunato tour di presentazioni.

g.m.

Nelle foto: Fabio Mendolicchio in partenza con la “Vespa-libreria”

Morti sul lavoro, una strage senza fine. Il Piemonte in zona arancione

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DA GENNAIO A NOVEMBRE 2022: SONO 1.006 LE VITTIME. OLTRE 91 DECESSI AL MESE.

 

SUL PODIO DELL’INSICUREZZA IN ZONA ROSSA CI SONO VALLE D’AOSTA, TRENTINO-ALTO ADIGE, BASILICATA, CAMPANIA E CALABRIA.

 

E ANCORA UNA VOLTA LA MAPPATURA DELL’EMERGENZA DELL’OSSERVATORIO VEGA ENGINEERING AIUTA A CAPIRE DOVE I LAVORATORI HANNO RISCHIATO MAGGIORMENTE LA PROPRIA VITA DA GENNAIO A NOVEMBRE 2022.

“Superati i mille morti nel 2022 e manca ancora un mese al bilancio annuale. Sono 1.006 i lavoratori che da gennaio a novembre 2022 hanno perso la vita da Nord a Sud del Paese con una media di oltre 91 vittime al mese. Stiamo parlando di oltre 22 decessi alla settimana e di almeno 3 infortuni mortali al giorno. Sono 722 gli infortuni mortali verificatisi in occasione di lavoro e 284 in itinere (cresciuti del 21,4% rispetto allo scorso anno quando era ancora assai diffuso lo smart working). Nel periodo gennaio-novembre 2021 invece i decessi totali sono stati 1.116 e, come nei mesi scorsi, stiamo osservando un decremento della mortalità, purtroppo solo apparente. Infatti, ricordiamo come quest’anno siano quasi sparite le vittime sul lavoro correlate al Covid (10 su 909 secondo le stime degli ultimi dati disponibili di fine ottobre 2022). Lo scorso anno, invece, costituivano tragicamente oltre un quarto dei decessi sul lavoro (282 su 1017). Ciò significa che gli infortuni mortali “non Covid” sono cresciuti del 22% passando dai 735 di fine novembre 2021 agli 899 del 2022. Quest’ultimo dato è del tutto analogo a quello del 2019, epoca pre-covid, a dimostrazione che il tragico fenomeno delle morti sul lavoro sostanzialmente non subisce diminuzioni da anni. Questo a conferma del fatto che passata l’emergenza Covid, rimane quindi ancora tragicamente purtroppo quella dell’insicurezza sul lavoro. E l’unica arma per contrastarla è la prevenzione attraverso la formazione e l’aggiornamento di tutte le figure coinvolte nell’organizzazione aziendale: dal datore di lavoro ai dirigenti, fino ai preposti e ovviamente ai lavoratori”.

Mauro Rossato, Presidente dell’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre, non ha dubbi: la più recente e dettagliata indagine realizzata dagli esperti del proprio team continua a descrivere una situazione più che allarmante.

“Auspichiamo che i nostri studi e approfondimenti possano rappresentare uno strumento efficace sul fronte della prevenzione degli infortuni sul lavoro – prosegue Mauro Rossato – L’obiettivo della diffusione di questi dati, infatti, è quello di spingere tutti coloro che si occupano di tutelare la salute dei lavoratori a riflettere e a rispondere quanto prima in modo efficace a questa strage”.

I numeri degli incidenti sul lavoro, del resto, non possono far altro che portare ad una triste riflessione. Le denunce totali di infortuni sono cresciute del 29,8% rispetto al 2021, arrivando a quota 652.002; con il settore della Sanità sempre in testa alla graduatoria degli infortuni in occasione di lavoro (80.256 denunce); seguono: Attività Manifatturiere (70.483) e Trasporti (51.583). Importante in questi dati anche la lettura sull’evoluzione delle denunce totali di infortunio per Covid: a fine ottobre 2021 erano 36.821, mentre a fine ottobre 2022 sono diventate 107.602. Praticamente sono triplicate, dimostrando che il virus è divenuto molto meno mortale ma è ancora largamente presente nei luoghi di lavoro.

Oltre i numeri però ciò che conta per l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro Vega Engineering di Mestre è il rischio reale di morte dei lavoratori, regione per regione e provincia per provincia. Si tratta dell’indice di incidenza della mortalità, cioè il rapporto degli infortuni mortali rispetto alla popolazione lavorativa regionale e provinciale, la cui media in Italia nei primi undici mesi dell’anno è di 32 decessi ogni milione di occupati. Questo indice, un vero e proprio “indicatore di rischio di morte sul lavoro”, consente di confrontare il fenomeno infortunistico anche tra regioni con un numero di lavoratori diverso.

Sulla base dell’incidenza degli infortuni mortali, l’Osservatorio Vega definisce mensilmente la zonizzazione del rischio di morte per i lavoratori del nostro Paese che viene così descritto – alla stregua della pandemia – dividendo l’Italia a colori.

A finire in zona rossa alla fine dei primi undici mesi del 2022, con un’incidenza superiore a +25% rispetto alla media nazionale (Im=Indice incidenza medio, pari a 32 morti sul lavoro ogni milione di lavoratori) sono: Valle D’Aosta, Trentino-Alto Adige, Basilicata, Campania e Calabria. In zona arancione: Puglia, Umbria, Marche, Sicilia, Piemonte, Toscana e Veneto. In zona gialla, cioè sotto la media nazionale: Abruzzo, Molise, Lazio, Liguria, Emilia Romagna, Sardegna e Lombardia. In zona bianca, ossia la zona in cui l’incidenza delle morti sul lavoro è la più bassa: Friuli-Venezia Giulia.

(sul sito www.vegaengineering.com/osservatorio sono disponibili i grafici e i dati).

INFORTUNI MORTALI E STRANIERI

Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 132, cioè oltre il 18,3% del totale. Anche qui l’analisi sull’incidenza infortunistica svela chiaramente come gli stranieri abbiano un rischio di morte sul lavoro più che doppio rispetto agli italiani. Gli stranieri infatti registrano 58,5 morti ogni milione di occupati, contro 29,1 italiani che perdono la vita durante il lavoro ogni milione di occupati.

I NUMERI ASSOLUTI DELLE MORTI SUL LAVORO IN ITALIA DA GENNAIO A NOVEMBRE 2022

Sempre in cima alla graduatoria con il maggior numero di vittime in occasione di lavoro è -inevitabilmente a livello statistico – la regione con la più alta popolazione lavorativa d’Italia, cioè la Lombardia (115) che, per contro, come abbiamo visto in precedenza, presenta un’incidenza di infortuni mortali al di sotto della media nazionale, collocandosi così in “zona gialla”.

Seguono: Veneto (68), Campania (65), Lazio (62), Piemonte (59), Emilia Romagna (53), Toscana (51), Puglia (48), Sicilia (47), Trentino-Alto Adige (29), Marche (23), Calabria (21), Liguria (16), Sardegna e Abruzzo (15), Umbria (14), Basilicata (10), Valle D’Aosta (6), Molise (3) e Friuli-Venezia Giulia (2).

Nel report allegato il numero delle morti in occasione di lavoro provincia per provincia.

Nei primi undici mesi del 2022 il settore Costruzioni fa registrare nuovamente il maggior numero di decessi in occasione di lavoro: sono 124. Seguono: Trasporti e Magazzinaggio (104) e Attività manifatturiere (91).

La fascia d’età più colpita dagli infortuni mortali sul lavoro è sempre quella tra i 55 e i 64 anni (273 su un totale di 722). Ma l’indice di incidenza più alto di mortalità rispetto agli occupati viene rilevato ancora tra i lavoratori più anziani, gli ultrasessantacinquenni, che registrano 92,2 infortuni mortali ogni milione di occupati.

L’incidenza di mortalità minima rimane, invece, ancora nella fascia di età tra 25 e 34 anni, (pari a 16,1), mentre nella fascia dei più giovani, ossia tra 15 e 24 anni, l’incidenza risale a 23,7 infortuni mortali ogni milione di occupati. Questi dati confermano anche alla fine dei primi undici mesi del 2022 che la maggior frequenza di infortuni mortali si riscontra tra i lavoratori più vecchi.

Le donne che hanno perso la vita in occasione di lavoro da gennaio a novembre del 2022 sono 54 su 722. In 59, invece, hanno perso la vita in itinere, cioè nel percorso casa-lavoro.

Gli stranieri deceduti in occasione di lavoro sono 132, 57 quelli che sono deceduti a causa di un infortunio in itinere.

Anche alla fine dei primi undici mesi del 2022 sono il lunedì e martedì i giorni della settimana in cui si è verificato il maggior numero di infortuni mortali (più precisamente il 17,9% del totale degli infortuni mortali in occasione di lavoro), seguito dal venerdì (17,6%).

Le denunce di infortunio sono in aumento (+ 29,8% rispetto a novembre 2021). A fine novembre 2021 erano infatti 502.458 mentre a fine novembre del 2022 sono 652.002. E ad essere triplicate (ultimi dati ottobre 2022) sono le denunce di infortunio per Covid: passate dalle 36.821 di fine ottobre 2021 alle 107.602 di fine ottobre 2022. Anche decurtando gli infortuni per Covid dai dati appena visti risulta un aumento delle denunce di infortuni del +19% nel 2022 rispetto al 2021.

Sono più di 80 mila gli infortuni occorsi in occasione di lavoro nel settore Sanità e Assistenza Sociale. Oltre 70 mila quelli nelle Attività manifatturiere e superano i 51 mila nei Trasporti.

Le denunce di infortunio delle lavoratrici italiane nei primi undici mesi del 2022 sono state 268.565, quelle dei colleghi uomini 383.437.

LA ZONIZZAZIONE A COLORI È LA NUOVA RAPPRESENTAZIONE GRAFICA ELABORATA DALL’OSSERVATORIO SICUREZZA SUL LAVORO VEGA ENGINEERING DI MESTRE, PER FOTOGRAFARE, IL LIVELLO DI SICUREZZA DEI LAVORATORI.

L’incidenza degli infortuni mortali indica il numero di lavoratori deceduti durante l’attività lavorativa in una data area (regione o provincia) ogni milione di occupati presenti nella stessa. Questo indice consente di confrontare il fenomeno infortunistico tra le diverse regioni, pur caratterizzate da una popolazione lavorativa differente.

La zonizzazione utilizzata dall’Osservatorio Sicurezza Vega dipinge il rischio infortunistico nelle regioni italiane secondo la seguente scala di colori:

Bianco: regioni con un’incidenza infortunistica inferiore al 75% dell’incidenza media nazionale

Giallo: regioni con un’incidenza infortunistica compresa tra il 75% dell’incidenza media nazionale ed il valore medio nazionale

Arancione: regioni con un’incidenza infortunistica compresa tra il valore medio nazionale ed il 125% dell’incidenza media nazionale

Rosso: regioni con un’incidenza infortunistica superiore al 125% dell’incidenza media nazionale

Stress o maleducazione?

Stamane ero in coda in un poliambulatorio in attesa del mio turno e mi sono soffermato ad osservare il comportamento delle altre persone presenti.

A parte che, avendo l’occhio allenato, posso dire con la massima precisione quale comportamento assumerà ognuno dei presenti, contrariamente a quanto qualcuno potrebbe pensare non sempre sono le persone più agiate, di un ceto più elevato a comportarsi nel modo migliore.

Sia tra alcune persone sedute in attesa del proprio turno, sia tra alcune di quelle allo sportello dell’accettazione, serpeggiava il malumore per motivi che sfuggono all’umana comprensione.

Va precisato che, essendo un periodo di festività, il numero di pazienti era notevolmente ridotto rispetto ad altri periodi dell’anno: qualcuno può permettersi una vacanza lunga, qualcuno capisce che fare gli esami del sangue se divori capponi ripieni e svuoti damigiane di vino non ha molto senso, fatto sta che stamane i tempi di attesa erano, al massimo di 2-3 minuti.

Ciò nonostante, il cafone di turno c’è sempre, che arriva allo sportello trattando l’impiegata come fosse una schiava, o che pretende di avere ragione anche se è il medico ad aver sbagliato omettendo un esame nell’impegnativa.

Il colpo di genio l’ha manifestato una signora, distinta, età approssimativa 50 anni, che stava raccontando ad una vicina come tempo addietro il medico avesse sbagliato una prescrizione e questi cattivoni del poliambulatorio l’avevano fatta tornare dal medico anziché aggiungere loro l’esame mancante.

Ora, a parte che è un reato modificare una ricetta, come può pensare la distinta signora che un poliambulatorio possa decidere quali esami occorrano ad un paziente?

Tempo addietro in alcuni Pronto Soccorso in varie parti del Paese si sono manifestati episodi di violenza a carico di infermieri, impiegati e medici da parte di persone che non possedendo un cervello ragionano con le mani e talvolta con armi anche improprie; probabilmente è servito affiggere negli ospedali un cartello che ricorda che il personale delle strutture mediche è “pubblico ufficiale” e che ogni aggressione, verbale o fisica, nei suo confronti è prevista come reato: “Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio[..] è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni>”per vedere ridotti di numero gli episodi.

Non serve molto scriverlo in un articolo perché gli ignoranti non leggono ma… non si sa mai.

La vera causa di tutto ciò è comunque l’ignoranza di cui è pervasa la maggior parte delle persone che non conoscono il funzionamento della macchina pubblica, che non sanno parlare in modo costruttivo col proprio medico e, peggio ancora, non capiscono ciò che il medico dice loro.

Se dici all’impiegata “Devo fare il Cardioencefalogramma”, a parte chiedere una prestazione inesistente, probabilmente dovrai mostrare l’impegnativa o la prenotazione; se ti rifiuti di mostrarla perché non vuoi che l’impiegata violi la tua privacy sei un cretino a prescindere perché come possono svolgere la prestazione che chiedi? A parte che, per educazione, dovresti chiedere, “per favore, dove devo andare per effettuare questo esame?” mostrando l’impegnativa.

Poi, capisco che la mascherina dia fastidio, ma se l’hai tenuta fuori, dove non è obbligatoria, fino all’ingresso in struttura, perché la togli quando entri e, ancor peggio, quando un’addetta della struttura ti invita a indossarla, fingi di accettare per poi sfilartela nuovamente?

Come ho scritto in un articolo su queste colonne il 19 maggio u.s., lo stress è sicuramente presente in molti di noi, per le ragioni più varie. Qualcuno lo gestisce meglio, qualcuno non lo sopporta affatto, qualcuno ha imparato a conviverci attutendone gli effetti più deteriori.

Qualcuno, addirittura, ha trasformato uno stress dannoso, o distress, in qualcosa di positivo, di utile, o eustress, così da trarne beneficio.

Un mio collega di oltre 30 anni fa, costretto a fare code di 1 ora in auto per recarsi al lavoro, aveva cominciato ad utilizzare quel tempo per apprendere una lingua straniera, ascoltando le cassette così da non accorgersi del tempo trascorso inutilmente ottenendo, in cambio, un vantaggio.

Questo periodo, gli ultimi 3 anni in particolare, hanno sottoposto tutti noi ad uno stress non indifferente, tra mutamento di abitudini, aumento dei prezzi, rischi sanitari, politiche finto buoniste e finto ambientaliste che ti impediscono di usare un’auto nuova per fartene acquistare una che inquina uguale ma nuova (vedi zona B di Milano).

Ciò non toglie, tuttavia, che vivendo in una società civile dobbiamo imparare a rispettare chi ci circonda, a partire da chi sta lavorando per noi (cassiera, addetta alle vendite, impiegata all’accettazione, impiegata comunale) proseguendo con chiunque incroci il nostro cammino.

Molti sono convinti di essere il Marchese del Grillo, che apostrofava il popolo dicendo “Io sono io e voi non siete un c…”ma era un film, erano altri tempi e lui, anche nella vita reale, avrebbe forse potuto permetterselo essendo Sordi; perciò il mancato diritto di precedenza, non rispettare il senso di entrata/uscita da un negozio, o la spinta non volontaria per strada vengono vissuti da alcuni ignoranti come una questione di lesa maestà.

Quando succede a me, ricordo al Marchese di turno che sottoterra avrà ancora meno spazio.

Riassumendo: stress, vicende personali, fretta, dispiaceri non giustificano mai il comportamento maleducato; l’educazione viene prima di ogni altra rivalsa, anche per pretendere i propri diritti, purché siano tali, se non riconosciuti.

Soprattutto riflettiamo prima di parlare, inserendo il cervello prima di far agire il corpo: siamo proprio sicuri di aver ragione?

Sergio Motta

Gioia e nostalgia in quei capodanni torinesi tutti diversi… quante emozioni dagli Anni ‘70 ad oggi

COSA SUCCEDEVA IN CITTÀ

In fondo ogni anno è diverso dall’altro. Come i capodanni, del resto.

Hanno comunque punti in comune. Costanti che si ripetono come i paragoni tra un anno e l’altro ed un capodanno e l’altro. Valutando e riflettendo su ciò che è stato e quello che vorremmo che fosse. Oscillando su occasioni mancate e riflettendo. Sapendo che è meglio avere rimpianti e non rimorsi.
Sapendo che il ricordo ti aiuta nel vivere e nel superare le difficoltà. Sapendo che l’allegria delle feste si abbina a quella nostalgia che abbiamo per il tempo che passa.
Nel 1975 un capodanno passato a giocare a tombola in quel di Napoli. Per l’esattezza a Frattamaggiore, vicino a Napoli.  Con Patrizia Alfano e Franco Cardinali. Viaggio avventuroso con una 850 sport.
Era la spider dei poveri imprestata dal padre di Franco. Raggiungevamo  gli amici napoletani conosciuti l’estate prima in un campeggio in Calabria. Pensate, fino ad allora non conoscevo la pasta aglio olio e peperoncino e manco la mozzarella in carrozza. Ospiti della famiglia Foscini. Tre fratelli. Due maschi e la femmina, cancelliera alla procura di Torino. In quegli anni era in pieno centro in via Milano angolo via Tasso. A 100 metri dal municipio. 1975, anni radiosi e di assoluta fiducia. Anni di comunità. La tombolata come naturale epilogo e premessa per un futuro sicuramente più bello dell’allora presente. Realmente non fu così, ma tentare era già qualcosa. Nel 1983 c’era già il riflusso ma a me poco importava.
1983,  partimmo Antonella ed io per Genova.
Capodanno da coppietta. Sposi dal 1978 era ora di fare una figlia. Chissà perché non ho mai voluto un figlio? Ed il “destino” me ne ha regalate due. Alice e Sara. Mi è andata decisamente bene. Il 31 dicembre il ristorante era quasi vuoto. Sul mare, scelto grazie alla guida dei ristoranti di Veronelli. Che ricordi.
Poi Santa Margherita ligure. Con quel mare così bello e così triste in inverno. Fummo accontentati ed il 19 gennaio , ero ad un seminario di formazione, grazie telefonata alla moglie: che mi dici? Sono incinta. Il 27 luglio nacque Alice Tosetto. Forse stavo maturando,  entrando nel mondo degli adulti.
Ma non finisce qui. 2005, capodanno al Sermig. Capodanno del digiuno. Ed offerta per i poveri. Andammo in quattro: Sara Paola la mamma ed io. Era la prima volta. Un Capodanno profetico, incentrato sulla pace e convivenza tra i popoli. Tante sale piene. Piene di giovani. Veramente molto bello.
Con questa mia personale stima in chi crede.
Per allora e per oggi una isola serena e felice. Fuori un mondo che, sinceramente e francamente, a volte non capisco. Erano  17 anni fa e le cose sono decisamente cambiate in peggio. Poi fiaccolata fino al Duomo.
I bambini reggevano lo striscione inneggiante alla pace. Che emozione vedere Sara trionfante e raggiante tenere quello striscione.
Tutto è negli occhi e diciamo anche nel mio cuore , nella mente con ricordo nitido.
Nel 2023 faccio il giro di boa del decennio virando verso la meta dei 70. Tempo di riflessione e valutazioni. Dalla Tombola del 75 a Napoli ad oggi passando da Genova e tornando nella mia Torino, cercando pace per noi e per loro. Per tutti. Utopia sicuramente ma è bello sempre accarezzare l’Utopia.
Credere in altro. Credere di voler andare oltre.
Affinché la speranza non muoia mai. Si è affievolita  indubbiamente. Ma non sono perse tutte le speranze. Buon anno a Tutti. Stavolta veramente a Tutti. Magari nel 2023 qualche passo in avanti lo faremo.

PATRIZIO TOSETTO