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MamaClean, a Torino il bucato si fa con un’App

In Italia 1 famiglia su 3 abbandona i propri capi preferiti nel cesto della biancheria o nell’armadio per paura di rovinarli. MamaClean è la lavanderia che ritira e consegna i capi a domicilio e se ne prende cura in modo artigianale.

 Dal lancio ufficiale avvenuto lo scorso maggio, con oltre 8.000 capi trattati in meno di 8 mesi, sono migliaia i torinesi che si affidano alla lavanderia a domicilio numero uno in Italia. Niente lavatrici da fare, pile di vestiti da stirare o code in lavanderia. A Torino e provincia il bucato si fa con un’App.

Con MamaClean prendersi cura del bucato è semplice e veloce: basta scegliere da sito o app il servizio più adatto alle proprie esigenze, selezionare luogo, giorno e ora di ritiro e consegna e un incaricato si occuperà della presa e riconsegna dei capi a casa, in ufficio o in portineria.

I servizi offerti sono molteplici e incontrano le esigenze di tutti: lavaggio e stiratura dei capi formali, lavaggio a secco per i capi più delicati e ancora cura dei tessuti di casa, come divani, tendaggi o tappeti. Tutto questo comodamente a domicilio e a prezzi competitivi.

Mancava un brand che si prendesse cura dei brand che indossiamo ogni giorno” spiega Francesco Malmusi, modenese di nascita ma milanese d’adozione, che dopo 7 anni di esperienza nel mondo del lusso e 10 alla guida di MamaClean in qualità di Founder e CEO, ha scommesso sull’idea di espandere il servizio nelle principali città italiane. “Con MamaClean abbiamo voluto coniugare il servizio artigianale delle lavanderie di una volta con le esigenze e la velocità del mondo di oggi. Questo è prima di tutto una rassicurazione per il cliente – che sa esattamente a chi affida i suoi capi – e permette inoltre a noi di avere il controllo sulla qualità del servizio, dall’inizio alla fine”.

A prendersi cura dei capi sono esperti artigiani locali altamente qualificati. Infatti, tra gli obiettivi ambiziosi di MamaClean, vi è quello di salvare la lavanderia Made in Italy. La scelta di chiudere accordi commerciali con una lavanderia storica della città di Torino va proprio in questa direzione: mettere tecnologia all’avanguardia a servizio degli artigiani, soprattutto post pandemia. Se poi a questo si aggiungono i benefici ambientali ed economici in termini di risparmio di acqua ed energia, e di filtraggio delle microplastiche rilasciate dai tessuti durante il lavaggio, il vantaggio di utilizzare una lavanderia professionale è indubbio.

Brand, aziende e realtà locali hanno creduto nel nostro progetto e siamo felici di semplificare la vita di migliaia di torinesi. – aggiunge Malmusi – Il nostro obiettivo su Torino è di raddoppiare gli utenti entro la fine dell’anno e di raggiungere un fatturato a 6 cifre. Ma a noi non piace stare fermi. Molto presto la rivoluzione della lavanderia Made in Italy raggiungerà le principali città italiane.

Per ulteriori informazioni e per prenotare i servizi MamaClean non vi resta che visitare il sito web all’indirizzo mamaclean.it. E per i nuovi clienti 10% di sconto sul primo ordine.

Può far male il “Bombardamento d’Amore” Ultimi giorni

Negli spazi del “Centro Videoinsight” di Torino

Dal 4 novembre al 2 febbraio 2023


Il titolo in lingua inglese recita“Love Bombing. Gaslighting”. In italiano: “Bombardamento d’amore”. Espressione che potrebbe essere intesa positivamente come “cosa bella”. Come una sorta di (permettetemi l’espressione attempata) “mettete dei fiori nei vostri cannoni”. Ma, a seguire, nel titolo leggiamo anche: “Gaslighting”. Ovvero “Manipolazione Psicologica” o, come dice Rebecca Russo, “Narcisismo Patologico – Abuso Narcisistico”. Rebecca Russo è un’importante Collezionista d’Arte Contemporanea, ma è anche Psicoterapeuta e Ricercatrice Scientifica. Della mostra in oggetto è la curatrice e promotrice. Nella sua duplice veste di Collezionista e di Psicoterapeuta, scientificamente convinta com’è che l’Arte Comporanea “possa rivelarsi molto efficace per conoscere la Personalità di chi la guarda, oltre che di chi la crea, perché attiva proiezioni, pensieri e risonanze emotive soggettive”. “Le immagini dell’Arte – dice ancora – possono curare perché promuovono il cambiamento in modo profondo, provocano, toccano le parti più nascoste della personalità”. Nasce di qui l’idea di “Love Bombing. Gaslighting”, prodotta dalla “Fondazione Videoinsight” (nata nel 2013 per volontà della stessa Rebecca Russo) e ospitata, in occasione dell’ormai prossima 29° edizione di “Artissima”, fino al 2 febbraio 2023, presso il “Centro Videoinsight – Spazio per l’Arte Contemporanea” fondato a Torino nel 2010, con sede in via Bonsignore 7 e l’obiettivo di creare “interazione psicologica con l’opera d’arte contemporanea, finalizzata all’attivazione dell’‘insight’, ovvero alla presa di coscienza trasformativa ed evolutiva provocata nella personalità dalla visione del prodotto artistico”. La mostra è il risultato di una “Open Call”, lanciata nel gennaio di quest’anno, a cui hanno risposto ben 80 artisti europei. 44 le opere selezionate, fra loro in competizione per aggiudicarsi il “Videoinsight Prize 2022”. Nelle sale del Centro di via Bonsignore, troveremo quindi una ricca Collettiva all’insegna del Contemporaneo, nelle sue più varie espressioni stilistiche, concettuali e tecniche: dalla Pittura alla Scultura, all’Installazione fino alla Multimedia Art, alla VideoArte, alla Fotografia, al Disegno, al Collage e all’Arte Digitale. L’opera vincitrice sarà acquisita dalla “Collezione Videoinsight”, una raccolta di Arte Contemporanea che “segue il filo della Cura attraverso l’Arte”.

 

Nello specifico, la rassegna che andrà ad inaugurarsi   il prossimo venerdì 4 novembre (opening dalle 19 alle 22), “è finalizzata – sottolinea la curatrice – alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica sul tema del ‘Narcisismo Patologico’ e sulla necessità di sostegno alle sue vittime”. “Le vittime di relazioni tossiche con i Narcisisti Patologici – ancora Rebecca Russo – presentano una condizione psicofisica traumatica caratterizzata da impotenza psicologica, crollo dell’autostima, ansia, depressione, sintomi psicosomatici, dipendenza affettiva. La mostra vuole focalizzare l’attenzione sul problema, risvegliare le coscienze, sollevare interrogativi, suggerire salvataggi. E questo perché l’Arte provoca, scatena un’esperienza intellettuale ed emozionale: fa pensare, fa sentire, fa cambiare”. E conclude: “Questa convinzione motiva il perché dell’elevata quantità delle opere finaliste esposte in mostra: più immagini si guardano, si introiettano, si elaborano, più si attivano pensieri, emozioni, ‘insight’, fondamentali per il cambiamento, per la cura”.

Per ulteriori info: www.rebecca.russo@fasv.it o ginevraelaluna@gmail.com

Gianni Milani

Nelle foto:

–       Rebecca Russo

–       Immagine-guida della mostra

–       Gianluca Capozzi: “Untitled”, acrilici su lino, 2021 e opera fra le finaliste di “Videoinsight Prize 2022”

Damigiane di vino e tortellini alla panna Com’era bella quella vecchia Torino

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ

Non  tutti i mali vengono per nuocere. Sono in convalescenza perché operato al menisco.

Ovviamente grazie alla dottoressa Giulia Pesce per l’operazione. E grazie anche all’efficienza dimostrata. Alle 12 tampone per il covid e alle 17,30 prendevo la via del ritorno a casa.  Grazie alle mie figlie e alla moglie Paola che mi hanno amorevolmente soccorso esistenzialmente rendendo tutto più accettabile. Dolori attenuati e grande riposo del caso. A casa la noia è quasi d’obbligo.  Qualche telefonata per il lavoro.
Brevi incursioni di 10 minuti con stampella. Poi non ci rimane che organizzarci, mentalmente, s’intende. Ed il modo migliore di organizzarci sono i libri che dove abito non mancano. Anzi sono decisamente orgoglioso della qualità e quantità. Ovviamente non li ho letti tutti. Tutta la famiglia ha questo “vizio”.  Sembra non molto condiviso dal popolo italiano. Televisione? Sicuramente, ma ogni volta che la accendi sei pervaso di struggente angoscia. Prima di tutto notizie sulla guerra.
Notizie sulla crisi, notizie sul Covid.  Insomma non c’è da starne allegri. Altra cosa che mi aiuta è scrivere.  Intanto Virgilio e Libero da più di una settimana non funzionano.  E bravi loro che sostengono che non è stato un attacco hacker. Bene, ed allora che ripristinino il tutto. Confesso che in gioventù non sono stato un grande lettore. Sentivo che la vita doveva essere vissuta in strada e poi avevo una grande insofferenza per i posti chiusi come gli uffici.
Fortunatamente è arrivata l’Università e la necessità di approfondire. Mi mancano le lunghe passeggiate con il cane ed ascoltare le varie lezioni via internet. Geopolitica e poi tanta ma tanta storia.  Innaffiata da trasmissioni di costume e dunque di cultura direi sociale. Sicuramente ci tornerò perché camminare vuol dire soprattutto pensare e ricordare. Ho anche capito che anche una poltrona può essere luogo di pensiero, di ricordo, e di eventuali viaggi fantastici.
Il tutto viene stimolato nel “tuffarti” in queste belle librerie. Ed ogni libro diventa un’occasione di ricordo. Fino a 10 anni non ho avuto una mia stanza dove rifugiarmi.
Addirittura mi vergognavo nel dirlo a scuola.
Poi mio padre ne ricavo’ una all’interno della più ampia  loro camera da letto. Era piccolissima ma per me fu un sogno realizzato. In ogni spazio del muro possibile un poster.  Di due  in particolare mi ricordo.
L’intera poesia di Salvatore Quasimodo Lamento  del Sud. Il secondo del bambino che metteva un garofano rosso nella canna di un fucile.  Rivoluzione portoghese del 1974, per la democrazia. In via Cherubini l’alloggio era piccolo. Ma interamente foderato di libri.
Addirittura fu mio padre il costruttore delle librerie. Proprio così. Era un provetto tornitore e fresatore ma le imparava tutte.
Persona estremamente metodica, prima ipotizzava con un progetto di base. Poi andava dagli amici e compagni falegnami per ricevere  consigli. Per me fu uno dei momenti più felici. Mi “godevo” mio padre. Duro’ poco. In particolare ero affascinato dalle cerniere. Non mi ricordo di nulla di elettrico. Anzi mi ricordo bene il trapano a manovella. Come le lamentele di mia madre perché doveva pulire.
Orari e stagioni, con la luce a disposizione la facevano da padrone. Fine ottobre inizio novembre arrivavano i camion di damigiane piene di vino.  Principalmente arrivavano dall’astigiano. Generalmente barbera e dolcetto.  E si faceva il cambio di damigiane. Attrezzature necessarie. Bottiglie spesse un centimetro  molto scure.
Per allora manco sapevo l’esistenza del vino bianco. Le damigiane erano  da 48 o 54 litri.
Per tutto l’anno dovevano bastare 2 damigiane: una di barbera e una di dolcetto.
Mal contate un bicchiere al giorno. Solo mio padre beveva un bicchiere di vino a pasto.
Se poi non bastava c’erano sempre i pintoni da 2 litri e la cantina di via Cherubini. Le bottiglie vuote accuratamente lavate senza detersivo e con una apposita spazzola e coperta da un beccuccio fatto da listelle di giornale.
I tappi comprati in via Montanaro angolo via Cherubini. Si scendeva in un sottoscala e si compravano i tappi sciolti.  Mio padre preferiva quelli oliati. Non si rompono.
Che rito. Che magia. Imbuto e tubo con miscelatore.  All inizio si doveva fare attenzione a non sbloccare e non raccogliere il fondo delle damigiane. Poi Arrivarono i rasatori. Precisi si autoregolamentavano.  E con l’apposita macchina si faceva la tappaturra.
Una vita che duro’ tre anni.  Poi crescendo il ruolo pubblico di mio padre riprese rigorosamente.  Sposato tornai ad imbottigliare. Una collega di mia moglie ci faceva portare il dolcetto di Priocca. Un solo anno. Era più semplice comprare i bottiglioni.
E c’era un’altra bellezza : la totale assenza di plastica. Anche il latte lo compravi in bottiglia.
Tappo  rosso, intero. Tappo blu parzialmente scremato.  Solo a 18 anni conobbi i tortellini alla panna.  C’era una brasseria (diciamo così alla francese) dove si mangiava nel bancone così non si pagava il coperto. Pensandoci bene anche al fondo di corso Palermo quasi angolo corso Giulio Cesare. Sul lato sinistro. Tradizione il sabato sera. Ci si trovava in via Baltea  alla 35a sezione del pci.  Nel mentre chiudevano i banchi del mercato che erano lì dalle cinque del mattino. Arrivavano i camion  ed i netturbini per pulire. Ramazze e pale. Facevano dei mucchi successivamente portati via da piccole gru situate sui camion.
E tutto sembrava più semplice. Dal vino di mio padre agli aperitivi che consistevano in un bicchiere di vino e uova sode sul bancone con sale e pepe a disposizione. Persino la notte sembrava meno nera di oggi.
Con quelle serate di marzo dove il vento aveva spazzato via tutto e potevi vedere al fondo della via. Altro che movida. Poca gente per strada e le luci degli alloggi spente.
Il primo turno alla Feroce  ( Fiat) cominciava alle 6 e chi doveva arrivare a Mirafiori era sul tram già alle 5 del mattino. Proprio ma proprio  altri tempi in un’altra città.
Forse decisamente grigia ma che da un grande passato contava di avere un grande futuro. E sia ben chiaro non finisce qui. Alla prossima.

PATRIZIO TOSETTO

Formidabili quegli Anni ‘70 in Barriera tra felicità e angoscia

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ

Era proprio brutta la moda negli anni 70.

Camicie con il collo a punte lunghe e poi quegli orribili pantaloni a zampa d’elefante. Anni ruggenti della prima crisi energetica. Delle domeniche a piedi. Dove si riscoprivano  le biciclette. Sia ben chiaro, non c’era nessuno che sgarrava. E poi girare in pullman o tram non era una novità. Si andava a piedi, quando si giocava in casa o in tram fuori casa. C’era sempre quell’odore acre di benzina bruciata e in inverno passavi le dita per togliere la fuliggine dai muri. In Barriera c’era anche chi viveva in negozi adibiti ad alloggi. Di giorno la saracinesca  alzata per ottenere un po’ di luce. Sentivi odori di cucina da improvvisati e pericolosissimi fornelli.
Giusto per una questione anagrafica siamo figli degli anni 70. Dove siamo passati dalla adolescenza alla maturità. Dalla  fine delle medie all’università. Anni in cui abbiamo perso la verginità in tutti i sensi. Anni di primi amori o di amori che sono durati anche trent’anni. E poi sport a gogò. Mi “diagnosticarono” instabilità psico-motoria. Insomma non ero capace a stare fermo. Così ginnastica artistica, atletica leggera , un po’ di calcio e pallavolo e poi, giusto per non farmi mancare nulla, ciclista per la squadra di Pezzani che aveva il laboratorio in via Feletto, quasi angolo corso Vercelli. E  la grande vittoria del liceo scientifico Albert Einstein in Barriera.
Anche i figli del proletariato volevano  laurearsi.
In Barriera arrivava tutta la zona nord. San Mauro o Settimo fino ad un bel pezzo del Canavese. Dopo il primo anno ci siamo inventati le ore di lezione di 50 minuti.
All’una del pomeriggio era tutto finito. Laboratori? Sulla carta c’erano. In pratica poca cosa. Alcuni “ritocchi” di fisica e qualcuno come Nando Cabrini che si sforzata di insegnarci la teoria della relatività.
Per allora , forse, la scuola più moderna. Ampi spazi, addirittura 2 palestre con canestri annessi. E due primi posti ai giochi studenteschi. Mica sono noccioline.
Il territorio era nostro e crescevamo. Furono dieci anni di felicità ed angoscia. Uno strano misto tra totale libertà e paura di quello che avveniva. Gli anni 60 furono appannaggio del terrorismo stragista nero. E proprio agli inizi anni 70 la fondazione delle  Br e il terrorismo rosso non si fermò più. Da un lato il 1975, quando tutte le grandi città d’Italia erano governate dalla sinistra. Dall’altra il 1976 con il recupero della Dc che sembrava immortale. Da un lato il colpo di stato fascista in Cile e dall’altro la libera generazione  del Vietnam del sud: il primo maggio a Saigon stanno sfilando i vietcong.
Pure l’Africa era in subbuglio. Mpla in Angola vincerà. Ed anche il Portogallo, Spagna e Grecia diventavano democratici  e Berlinguer si inventava l’euro comunismo. Speranze e delusioni si alternavano velocemente.
Bocciato a scuola e mio padre morto troppo presto. Sposo solo a 21 anni Antonella. Vero che non durerà tutta la vita ma che meravigliosa figlia come Alice oggi Avvocato che, fortunatamente, ha preso dalla madre.
E non siamo solo al ricordo. Quando si gira la boa,  navigando verso i 70 anni, c’è anche voglia di valutazioni esistenziali e morali.
Del resto l’etica è parte di noi. Gli anni 70 furono anche, se non soprattutto, questo:  anni formativi. Furono anche anni violenti, troppo violenti , ma pure anni di speranza. Indubbiamente contradditori.
Un po’ come  è stata la nostra vita.
Anni in cui è valsa la pena averla vissuta.

PATRIZIO TOSETTO

Via Padova 5, l’inizio di tutto in Barriera di Milano tra fuliggine e profumo di biscotti

Sono nato in via Padova 5, alloggio in affitto.

Correva l’ anno 1957. Mia madre raccontava che era talmente piccola che incinta all’ottavo mese non riuscì più a rialzarsi perché incastrata tra il letto e l‘armadio. Stava facendo le pulizie. Non si perse d’animo e piano piano si rialzò. Abituata nel cavarsela da sola. A 10 anni andò a lavorare alla Marus che sarebbe diventata Facis in corso Emilia a due passi da Porta Palazzo.  Orfana. Mio nonno per soli tre mesi non aveva compiuto 40 anni. Non arrivo’ mai al fronte perché morì prima di pleurite. Faceva il decoratore. Raccontatomi da tutti come uomo mite. Vivevano in via Bra ed erano nati in via Cuneo.

Precisamente non  in piena barriera di Milano. Ma tant’è che , almeno in quegli anni  faceva un tutt’uno oltre piazza Crispi ed il Dazio.  Metà case e metà officine meccaniche ed artigianali.  Grandi Motori da un lato e Ceat gomme dall’ altra parte. La Wamar il corso Mortara. Sicuramente il ricordo è anche il misto d’odore tra fuliggine , colate di gomma ed il profumo dolciastro dei biscotti. Il mio primo ricordo in assoluto è all’eta di tre anni. Ci eravamo trasferiti in via Cherubini 64. Avevo un febbrone da cavallo e chiedevo ai miei di comprare il televisore. Lo fecero gli zii paterni. Ero unico erede della famiglia. Scuola materna in via Monterosa e elementari alla Gabelli. Li’ organizzai un esercizio. Proprio così. Facevo la colletta per contrattare tutta la farinata di Giacu che si presentava sempre alle 12, 30. In questo modo anche chi non aveva soldi poteva mangiare. Egualitarismo  ante-litteram. Poi qualcuno fece la spia e cazziatone prima della maestra e poi dei genitori.  Un mese senza televisione. Poi le medie alla Baretti. Tre anni di puro divertimento e di pochissimo studio. Nonostante ciò uscii con ottimo. Erano  ancora i tempi in cui bastava stare attento alle lezioni. In quegli anni il mio incontro con lo sport.

Ginnastica artistica alla Palestra Sempione e pallacanestro all’oratorio Michele Rua. Poi un po’ di atletica, che non guasta mai. Dove  trovassi le risorse è ancora un mistero. Mi sono sempre piaciuti gli inizi.  Debbo confessare : deboluccio sulla lunga distanza.  Del resto non si puo’ avere tutto dalla vita. Sono gli anni in cui la frase più ricorrente era: non abbiamo dubbi sull’intelligenza di suo figlio, ma non si applica.

Destino cinico e baro. Addirittura mia madre mi portò all’Onmi.  Istituita dal fascismo e non abrogata dalla Repubblica. Una specie di consultorio famigliare vecchia maniera. Tecnicamente ragazzino difficile. Test attitudinali con relativa diagnosi: instabile psicomotorio con evoluzione intellettiva di un anno avanti rispetto alla media. In altre parole birichino ma intelligente. Tutto ma proprio tutto in Barriera. Ero decisamente sbordante anche perché decisamente grosso. Alle medie ebbi la prima cotta.  Ricordo ancora il nome: Lucia.  Fatale la festicciola di fine anno. Il classico scantinato con il classico mangia dischi e patatine e popcorn e Coca- Cola.

Non l’avrei più rivista ma quelle ore restano  indelebili nella memoria. Gli ardori sessuali rinviati al Liceo scientifico Albert Einstein.  Via Pacini, ovviamente in Barriera.  Forse tra i primi licei in Barriera e due diverse compagnie di amici.

I  giardini di via Mercadante e il basket dell’oratorio Michele Rua alias Auxilium Basket Monterosa. Devo al gioco della Pallacanestro le prime incursioni fuori Barriera.  Domenica si giocava. Una partita in casa ed una partita fuori casa . Oratorio San Luigi in via Ormea o al Martinetto al fondo di via San Donato. Fino all’altra parte della città, all’Oratorio Giovanni Agnelli,  il tempio del Basket.  Impossibile non ricordare la Crocetta in via Piazzi.  All’Agnelli ci giocai per tre anni. Praticamente tutti i giorni sul tram 10 tra allenamenti e partite.

Anche qui mi vennero d‘aiuto gli zii regalandomi il vespino 5o. Brigavo in giro cercando di rimorchiare.  Faceva la differenza. Poi si bighellonava nelle panchine dei giardini o sulla scalinata della chiesa. Giusto per turar tardi per la cena. Si studiava anche, vi assicuro.  Chi più chi meno. Qualcosa però si studiava. Magari non eravamo secchioni ma sì, qualcosa si studiava. La summa erano i campionati studenteschi. Addirittura andai a Roma per le finali dei giochi della Gioventù. Potremmo dire : dalla Barriera con furore, sfiorando la felicità e la spensieratezza.  Quel profumo di libertà che oggi non sento più. Libertà di conquistare quello a cui si ambiva. Sicuramente non era tutto facile. Ma era tutto possibile. Possibile ciò che era lecito. Piccoli valori e piccole morali che si trasmettevano nei reciproci comportamenti.

Piccole felicità nel fare quel canestro vincendo la partita  e piccole felicità  con quella ragazzina che  al cinema appoggiava la resta sulla tua spalla facendoti sembrare adulto. Tutto questo crescendo, tutto questo in Barriera di Milano.

Patrizio Tosetto

Festival di Sanremo, brutta copia del festival di Santremo

Da qualche settimana si fa un gran parlare del prossimo Festival di San Remo come se fosse un evento storico, originale, unico; invece no, si tratta di un patetico falso, una “patacca” che ha copiato altri, più nobili, Festival organizzati molto, molto prima.

Eccovene un elenco per capire quanto San Remo abbia usurpato la gloria altrui…

Festival di SanTremo

Si svolge da oltre 1.000 anni alle Isole Tremiti. Partecipano tutti gli anziani che non hanno più il controllo degli arti e li muovono vistosamente a causa del Parkinson. I primi tre classificati sono premiati con preziose tremoliti (1), il vincitore riceve una corona fatta con tremolina (2).

Festival di SanCremo

Vanta 8 secoli di storia, si svolge a Cremona. I partecipanti sono tutti indiani, cantano su enormi pire cui viene dato fuoco. Vince chi riesce ad uscirne vivo, ed ha il diritto di esibirsi cantando l’aria “Di quella pira l’orrendo foco…”

Festival di SanRamo

Data fin dai primi anni del 1300. Si svolge in fitte foreste della Ramonia (una regione boscosa della Romania) ed il vincitore ha diritto a passare un anno di vacanze sul Lago di Como, sul “ramo che volge a mezzogiorno”.

Festival di SanMemo

Ideato da Pico della Mirandola (la memoria più prestigiosa della storia) consiste nel fare moltiplicazioni e divisioni mostruose con numeri di almeno 150 cifre l’uno; il risultato va cantato su musiche suonate da clavicembali e liuti.

Festival di SanNemo

Al festival (che si svolge fin dal lontano 1400 sul Lago di Nemi), partecipano solo cantanti stranieri. Il motto della manifestazione è infatti “Nemo propheta in patria”.Vince chi riesce a non far capire in che lingua sta cantando. Il vincitore viene cinto con una corona di nemorale (3) e riceve una boccia piena d’acqua in cui nuota il pesciolino Nemo…

Festival di SanReno

E’ il fiore all’occhiello dei tedeschi, che lo hanno istituito intorno al 1500, sulle rive del Reno, ovviamente. L’idea era venuta ad un certo Ludwig Renis, antenato del più famoso Toni Renis italiano. Il vincitore viene incoronato con un serto di renaiola (4)

Festival di SanRimo

Manifestazione che si svolge, a partire dal 1615 (era il due maggio, per l’esattezza) (5). Partecipano solo poeti che sanno fare rime baciate: la cosa un po’ schifosa è che devono baciarsi fra loro recitando le loro litanie. Il vincitore è cinto con una corona di rosma rimo (6).

E qualcuno di voi h ancora il coraggio di considerare San Remo l’antesignano dei Festival?

Ma dai….

 

NOTE DI CULTURA AL TESTO

1. Minerale formato da magnesio e calcio, ignoranti non lo sapevate?
2. Pianta delle graminacee, ignoranti non lo sapevate?
3. Pianta che cresce nei boschi, ignoranti non lo sapevate?
4. Pianta delle cariofillacee, ignoranti non lo sapevate?
5. Guarda caso è il giorno del mio compleanno, marcatevelo e fatemi gli auguri!
6. Questa pianta la conoscono tutti, ma nessuno sa che è una pianta perenne delle labiate, ignoranti non lo sapevate?

NOTA FINALE: se volete avere altre notizie su stupidate simili, leggetevi LA MORMORA SUSSURRA, L’ORNITORINCO…GLIONISCE; chiedetelo a demarketing2008@libero.it, oppure telefonate al 3356912075.

Gianluigi De Marchi

Agnelli, torinese e cosmopolita fuori ordinanza

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni 


Vent’anni ci separano dalla morte di Giovanni Agnelli e difficilmente dimenticherò il clima straordinario che si creò nel
Duomo di Torino per i suoi funerali in cui si mescolavano autorità importanti e semplici cittadini. Fuori dal tempio migliaia di operai Fiat  che accolsero con un applauso il feretro di Agnelli e con i fischi il presidente del consiglio Berlusconi.

Cosa resta dell’avvocato dopo vent’anni?

Già nel centenario della nascita non ci fu a Torino nessuna iniziativa degna per ricordare un torinese cosmopolita fuori ordinanza, davvero unico nella storia della città.

Finora forse quasi nessuno ha colto la necessità di storicizzarlo, andando oltre i miti e oltre le facilidemonizzazioni.

Ad esempio, al Liceo d’Azeglio, dove lo commemorai vent’anni fa, il giovane Agnelli venne rimandato in tutte le materie per un 7 in condotta, ma, appena ottenuta la Maturità, Agnelli, ufficiale di Cavalleria, partecipò alla campagna di Russia e a quella in Africa settentrionale durante la seconda guerra mondiale.

Due aspetti contrastanti che rivelano una personalità poliedrica.

L’avvocato nel 1966 subentrò a Valletta nella presidenza della Fiat. Sentì la necessità di fare della Fiat un’impresa davvero internazionale, ma con la mente e il cuore saldamente a Torino. Oggi non è più così.

Va ricordato che Agnelli trovò un sindacato troppo ideologico che non ebbe solo l’intenzione di difendere i dipendenti, ma di mettere in crisi l’azienda. Gli anni terribili successivi all’autunno caldo videro in fabbrica  anche dei fiancheggiatori  del terrorismo e un clima di scontro frontale che solo la marcia dei Quarantamila riuscì ad arginare. La politica non seppe fare la sua parte ed Agnelli cedette alla seduzione dell’assistenzialismo statale indotto dalla politica dell’ad Romiti.

La Fiat non seppe prevedere neppure la concorrenza straniera che stava minacciando il mercato italiano fino ad allora egemonizzato daisuoi marchiEssa incominciò a perdere capacità produttiva e competitività. Il prestigio internazionale del suo Presidente servì a portare i giochi olimpici invernali a Torino, ma non fu sufficiente a preservare un marchio in crisi.

Credo si possa parlare di un autunno della Fiat che divenne un gelido inverno con la morte del suo presidente.

Piero Bairati fu lo storico rigoroso e imparziale di Valletta, Agnelli meriterebbe un lavoro simile a quello che pubblicò la Utet in una collana ormai estinta.

Ebbi modo di conoscerlo, di parlare e di cenare anche con lui e con donna Marella. L’amicizia con Mario Soldati, con Jas Gawronski e con Giorgio Forattini mi ha consentito di conoscere bene l’avvocato.

Era uno uomo sofisticato, ma anche semplice. Jas Gawronski ha da poco pubblicato da Aragno un libro in cui c’è anche un ritratto dell’amico che merita grande attenzione.

 

Cavour e la cucina diplomatica

Il conte Camillo Benso di Cavour, nato a Torino nel 1810, primo presidente del Consiglio dei Ministri del Regno d’Italia, lo possiamo definire come uno dei creatori, ma principalmente promotore della diplomazia culturale.

La quale esiste in diversi contesti delle relazioni internazionali e da sempre ha avuto un ruolo molto importante per la nostra nazione. La diplomazia culturale è stata un elemento importante sia nel passato sia ai giorni d’oggi, in quanto rappresenta un vero e proprio strumento di soft power per rafforzare le relazioni tra i diversi Stati, ma anche un modo per promuovere il nostro Paese, riconosciuto a livello mondiale come “una potenza della bellezza e cultura”. Strategia che Cavour seppe applicare molto bene durante i suoi incontri diplomatici, tra un pranzo e una buona bottiglia di vino, infatti, affermava molto spesso Plures amicos mensa quam mens concipit, ovvero, cattura più amici la mensa che la mente. Tanto da affidare sempre qualche bottiglia di Barolo ai suoi diplomatici quando partivano in missione per qualche città straniera. Come possiamo pensare, un’altra delle sue passioni era nel campo dell’enologia. Contribuì a migliorare il Barolo nel 1840, con l’aiuto e la consulenza di un enologo francese il Conte Louis Oudart, creando un vino con una tecnica di fermentazione migliore, rendendolo più secco e di lungo affinamento.

Sofia Scodino

 

 

Genitori, non amici

I genitori hanno il compito, quando ancora non sono tali, di concepire e procreare, garantendo la prosecuzione della specie, nutrendo i figli fino a che non siano in grado di farlo da soli e impartendo le prime regole di vita, evitando il verificarsi di infortuni, vigilando sulla loro incolumità e insegnando a vivere nel contesto nel quale si trovano.

Fin qui nulla di nuovo.

Da alcuni decenni, però, molti genitori hanno smesso quel ruolo per assumere quello di amici, considerandosi alla pari con i figli, scambiando con questi dialoghi ed esperienze che poco hanno con il rapporto genitoriale ma hanno quasi tutto del rapporto di amicizia.

Mi spiego meglio: la sostanziale differenza tra genitori e figli è l’età e, con essa, la maggior esperienza di chi sia più anziano; questa esperienza consiste in un bagaglio di esperienze, di vita vissuta che è dovere dei genitori portare all’attenzione dei figli.

Insegnare loro ad attraversare la strada, a masticare bene, a lavarsi i denti, a rispettare gli anziani, a chiedere “per favore”, dire “grazie” e “scusa” e molto altro.

Ma, proprio perché educatori, i genitori hanno anche il dovere di punire (in senso buono) i figli quando sbagliano: se rompono un oggetto dovranno spiegare al Gianburrasca domestico che occorre fare attenzione, che l’oggetto costa o era indispensabile in casa, ecc. Occorrerà insegnare il significato del denaro, dei sacrifici, della giusta ricompensa quando si lavora, ad esempio erogando una paghetta settimanale o un piccolo premio se a scuola ottengono risultati ottimi, e non soltanto buoni.

Se i genitori, però, smettono di essere tali e si calano nel ruolo paritetico di amico viene a mancare una parte determinante dell’educazione filiale. Ricordo, ai tempi del liceo, genitori di miei compagni che si facevano le canne in camera col figlio o che, ancora peggio, accettavano quasi complimentandosi che il figlio marinasse la scuola, magari organizzando un mini rave in salotto, o che venisse portato in Questura perché trovato in possesso di stupefacenti.

In quegli anni perdemmo le notizie di un nostro compagno che si era recato in Marocco in viaggio di fine maturità (noi sapevamo che era andato a comprare erba all’ingrosso); quando dopo un mese in cui non si avevano notizie la sorella mi contattò mi stupii che i genitori non avessero presentato denuncia o allertato il Consolato. Ovviamente toccò a me occuparmene, investendo del problema la Croce Rosa che a sua volta contattò la Mezzaluna Rossa (equivalente alla Croce Rossa nei Paesi islamici) e si scoprì che il pargolo era detenuto in un carcere; non so come fu fatto rientrare in Italia ma, evidentemente per lo shock o per particolari esperienze in cella, non fu mai più quello di prima.

Mi domando: possibile che non vi sia, da parte dei genitori, alcun controllo su un ragazzo di 18 anni che va in Marocco (e all’epoca non esistevano cellulari, internet, social, ecc). Non sai con quanti soldi è partito o non ti domandi a cosa gli servano?

Purtroppo, a convalidare la mia tesi c’è l’esperienza vissuta da molti miei coetanei, i cui genitori hanno rivestito il ruolo di amici anziché di educatori, che hanno creato dei perfetti incapaci di affrontare la vita e di costruirsi un futuro solido, cresciuti nella convinzione che tutto sia corretto, tutto sia concesso, tutto sia possibile.

Il sociologo Gianfranco Giuni sostiene (ed io condivido in toto il suo pensiero) che assecondare alcune tendenze di un figlio non aiuti la sua crescita armonica, il suo sviluppo sano ma, al contrario, ne legittimi il comportamento errato. Se un figlio è etilista (o sulla strada per diventarlo) o assume stupefacenti, un genitore non deve procurarglieli per solidarietà o pietà, perché il figlio penserebbe che il suo stile di vita sia corretto, visto che i genitori lo assecondano.

Quei genitori dovranno, invece, intervenire perché il figlio capisca la gravità del suo comportamento e si possa modificare quello stile di vita, portandolo ad un Ser.T. o intervenendo comunque in modo corretto.

A questo proposito mi torna alla mente un brano da La Repubblicadi Platone:

“Quando un popolo, divorato dalla sete di libertà, si trova ad avere a capo dei coppieri che gliene versano a sazietà, fino ad ubriacarlo, accade allora che, se i governanti resistono alle richieste dei sempre più esigenti sudditi, sono dichiarati despoti.

E avviene pure che chi si dimostra disciplinato nei confronti dei superiori è definito un uomo senza carattere, servo; che il padre impaurito finisce per trattare il figlio come suo pari, e non è più rispettato, che il maestro non osa rimproverare gli scolari e costoro si fanno beffe di lui, che i giovani pretendano gli stessi diritti, le stesse considerazioni dei vecchi, e questi, per non parer troppo severi, danno ragione ai giovani.

In questo clima di libertà, nel nome della libertà, non vi è più riguardo per nessuno. In mezzo a tale licenza nasce e si sviluppa una mala pianta: la tirannia.”

Sergio Motta

“Fraternità in economia: una via per la pace” Decennale Aipec al Sermig

EVENTO PER IL DECENNALE AIPEC

TORINO 28 GENNAIO 2023

Si terrà presso l’Arsenale della Pace del Sermig un importante evento organizzato dall’Associazione Imprenditori per un’Economia di Comunione, con la partecipazione degli economisti Stefano Zamagni, Luigino Bruni, Leonardo Becchetti e con il fondatore di Slow Food Carlo Petrini

Per celebrare il proprio decennale di vita, AIPEC – Associazione Italiana Imprenditori per un’Economia di Comunione, organizza un importante evento per la giornata di sabato 28 gennaio a Torino presso il SERMIG, dal titolo “Fraternità in economia: una via per la pace”.

«Questo evento cade in un periodo storico delicato e particolare – sottolinea il presidente AIPEC Livio Bertola –. La pandemia, per quanto in una fase più gestibile, non è ancora risolta e ci lascia una sofferenza economica e sociale importante; la crisi energetica che pesa su lavoro e impresa; il conflitto bellico che, avviato con l’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa, non ci fa purtroppo ancora intravedere la prospettiva imminente di un cessate il fuoco e, tanto meno, l’apertura di trattative per la pace, tanto invocate da Papa Francesco e da noi tutti. Come AIPEC, sentiamo una doppia responsabilità: da una parte sostenere chi fa più fatica e, dall’altra, offrire speranza di futuro attraverso semi di Economia Civile e di Comunione.  Stiamo preparando al meglio l’evento confrontandoci anche con personalità e realtà che con noi agiscono e lavorano. Vorremmo che il convegno fosse una giornata di festa, ma anche un’occasione per fare il punto sulla nostra esperienza e rilanciare la nostra azione».

L’evento ha l’obiettivo di essere dinamico e coinvolgente, con interviste ad imprenditori e changemakers organizzate in panel talks tematici. Parteciperanno in presenza i soci onorari di AIPEC Stefano Zamagni, presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali; Luigino Bruni, economista e storico del pensiero economico, Ordinario di Economia Politica alla Lumsa; Leonardo Becchetti, professore Ordinario di Economia Politica Università Tor Vergata di Roma; Carlo Petrini, fondatore di Slow Food. A moderare la giornata sarà Eugenia Scotti, giornalista, conduttrice ed autrice di TV2000.

La scelta del Sermig Arsenale della Pace di Torino, quale location dell’evento, rafforza l’idea che un’economia di pace è possibile, a partire da oggi. Una nuova economia improntata allo sviluppo della sostenibilità sociale e ambientale ancora più nel profondo, che mette al centro la persona attraverso l’Economia Civile e di Comunione.

La partecipazione all’evento è libera e gratuita, previa iscrizione tramite il sito aipec.it. Per ulteriori informazioni contattare la segreteria organizzativa all’indirizzo segreteria@aipec.it