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Da capolinea (quasi) a capolinea. Il tram, fantasioso palcoscenico di vita

Diario minimo urbano…Vedere e ascoltare per credere

Gianni Milani

Qualche volta mi capita. Qualcuno sorriderà di questo vecchio rincitrullito che gira antiche strade e quartieri di periferia per rivivere il suo passato. La sua adolescenza. La sua giovinezza. Ridete pure. Ma a me capita e non smetterò di farlo. Mi capita, soprattutto, nei momenti di malinconica nostalgia. E ne capitano, credetemi! Nostalgia di strade, di palazzi, di volti, di storie. Di un passato capace per un’oretta di ripulire, almeno in superficie, il presente. E allora vado nei luoghi della città che mi hanno visto bambino, nella rincorsa a spezzoni di vita mai rimossi, nella ricerca (quasi impossibile) di nomi sui citofoni che erano nomi di vecchi compagni di classe finiti oggi chissà dove, di cortili dove si correva e si giocava a pallone con quel che restava di scolorite maglie bianconere o di color granata, di quell’Oratorio che era casa sicura dominata dalla benevola figura dell’indimenticabile don Costantino da Bra, della scuola dei grandi Padri Rosminiani, per arrivare fino alla via Spano, con affaccio di fronte al vecchio “Fialadelfia”, quando già frequentavo l’Università. Giro, osservo, scruto i particolari (le facciate dei palazzi, le scale e gli interni se possibile, le finestre, i balconi un tempo miei) che fanno memoria e sorrido. O m’intritisco ancor di più . Ma tant’é. Così, pochi giorni fa, ci sono ricascato. Eh sì, mi è saltato lo sghiribizzo di ritornare alle Vallette. Via delle Magnolie. Lì son tutti nomi di fiori. Manco se … Volevo rivedere la vecchia scuola dove avevo insegnato da fine anni ’70 fino all’ ’89, e dove sono passato di ruolo come docente di Materie Letterarie. La “Carlo Levi”, allora, oggi scuola secondaria di primo grado “David Maria Turoldo”. Ebbene, biglietto da una corsa (100 minuti sono più che sufficienti) salgo in corso Tassoni sul “vecchio” tram numero 9. Mi siedo (con tanto di mascherina che sui mezzi pubblici è sempre prudente indossare) e dal finestrino osservo sfilare il paesaggio. Un bel guardare! La città perde sempre più i suoi contorni di quasi-centro per arrancare in scenari di “problematica”, raccogliticcia periferia. Palazzi e palazzoni senz’anima. Freddi Centri commerciali. Parco Dora. Corso Potenza, Grosseto, Toscana, Largo Toscana… sempre dritto, incroci trafficati, “rotonde” ancor di più… Ma dove stiamo andando? Mi pare tutto cambiato. Avrò sbagliato tram? O il 9 avrà sbagliato percorso? Difficile. Più probabile, ahimé, la prima ipotesi. E infatti… Un quarto d’ora dopo, ecco piazza Stampalia. Piazza Stampalia? Ecchè ci azzecca? Tutti scendono. Capolinea, signori! E adesso? Ohibò, ma saranno trent’anni e passa che il 9 non arriva più alle Vallette”, mi sogghigna il tranviere. Per andare alle Vallette, doveva scendere in Largo Toscana e prendere il 3, sentenzia. E’ vero!!! Mannaggia, adesso ricordo. Quella benedetta ( a seconda dei punti di vista) Linea 3, inaugurata, non senza accese polemiche e dibattiti con i residenti, nell’ ’87, su percorso protetto lungo tutto il rettilineo di corso Toscana e successivamente di viale dei Mughetti, scavalcato da tre ponti pedonali e capolinea nel piazzale Vallette. E adesso? Il tour della memoria salta. E sai che c’è? Per oggi niente Vallette, resto sul 9 e ritorno in corso Tassoni! Da capolinea a (quasi) capolinea. Una mezz’oretta di pace, che pian piano scopro essere di grande suggestione. A tram vuoto e ancora fermo in piazza Stampalia, via via lungo il “viaggio” di ritorno, quello spazio lungo su binari mi pare gradualmente trasformarsi in un vitale palcoscenico di umane realtà su cui fantasticare. Grama curiosità? No semplicemente desiderio di immaginare, immaginare – e un po’ condividere e “compatire” – storie di vita, di volti, gioie, sofferenze, nevrosi, delusioni. Aveva ragione il mio grande amico Pippo Leocata, pittore di meritata fama, quando sul tram che da Mirafiori, anni ’60, lo portava ad Architettura, schizzava rapido a matita, su fogli qualsiasi,  volti, corpi, espressioni, posture dei suoi “compagni di viaggio”. Quelle facce, quei corpi, quelle figure sono diventati i personaggi delle mie tele! Mi racconta ancora oggi. Io osservo. Non schizzo, non disegno. Fantastico. Mi soffermo su una giovane, grande signora-mamma. Sale con il figlio appena uscito da scuola. In mano, lei, borsone della spesa, disumano zaino trolley del fanciullo, mascherina da mettere a naso e bocca del pargolo che tossisce a go-go e telefonino in quel che resta della mano destra. Amore mio siediti, che brutta tosse! Al telefonino che squilla Ciao, siamo sul 9, ci vediamo al capolinea, cia-cia-cia-ciao. Ancora: Grazie, Roby…sì sì è la sciarpa di Micky, l’ha persa, grazie, lasciamela domani a scuola! Al figlio:Amore mio, non ti addormentare! A Porta Nuova ti compro quel regalino: 10 Euro, non di più! Grande, piccola mamma. Ma come fa a far tutto? Viva le donne. Altra scena. Sale un’anziana signora, parlotta da sola. Cerca disperatamente un posto. Dei quattro o cinque ragazzotti che, cellulare perennemente in mano, ridacchiano sguaiati fra loro, nessuno si alza. Altre generazioni! Le cede il posto un “giovin” signore sulla cinquantina. La vecchina lo vorrebbe “santo subito”. Giù giù, in fondo alla carrozza, una bella ragazzina, telefona triste a bassa voce. Poi chiude e mi pare fatichi a trattenere un “conato” di tristezza. Provvidenziale, la carezza dell’amica a lei di fronte. Pochi posti più avanti, una giovane di colore, cellulare alla bocca, urla al tram una storia infinita. Bisognerebbe conoscerne la lingua! In Largo Toscana, sale una sagoma indefinita. Barba bianca e incolta, età indecifrabile (potrebbe essere tutto, dai 40 ai 90), un carrello della spesa, in mano una miriade di sacchetti, maglie, giubbotti, coperte. Qualche panino. Una birra. La sua casa. La sua vita, che addosso gli ha sgomitato da anni senza pietà. Borbotta. Chissà dove andrà? Un posto vale l’altro, purché “lassù qualcuno lo ami”. Sto per scendere. Quanto ancora ci sarebbe da osservare e fantasticare. Un biglietto per assistere a “didattici” spezzoni di vita! Da consigliare.

Gianni Milani

Giovani di spirito

Lo spirito a cui mi riferisco non è, purtroppo, quello goliardico né lo humour britannico o, più semplicemente, la verve toscana: è quello comunemente chiamato alcool.

Il nostro Paese, come molti altri nel mondo, vanta una tradizione importante nella produzione di vini, liquori e distillati (la grappa può essere solo italiana, le altre sono acqueviti) e questo fa sì che quasi tutti noi, per tradizione, beviamo vino o birra pasteggiando, in determinate occasioni ci si rivolge allo champagne francese e in compagnia ordiniamo volentieri uno spritz, un vermouth o un cocktail.

Sappiamo da sempre che, se bevuto in quantità improprie, l’alcool provoca danni anche seri all’organismo per cui ci insegnano a non bere a digiuno o durante la gravidanza ed a non esagerare quando si “fa serata”.

La legge italiana, come quella di altri Paesi, impedisce la vendita di alcolici ai minori di 18 anni sempre ed ai maggiorenni dopo le ore 24, e la somministrazione oltre le ore 03 per tutelarli mentre il loro organismo è ancora in fase di sviluppo, prova ne sia che la somministrazione a minori di anni 16 è considerata reato mentre tra i 16 ed i 18 illecito amministrativo.

Da alcuni anni, tuttavia, soprattutto nei giovani (e particolarmente nelle donne) si assiste ad un consumo esagerato di alcolici, quasi sempre lontano dai pasti, con effetti drastici: ubriacatura, ricoveri in coma, risse e, alla lunga, steatosi, cirrosi e tumori all’apparato digerente.

Come non bastasse, spesso all’assunzione di alcolici viene associata quella di sostanze stupefacenti che ne potenziano l’effetto; un tempo, quando a tutti noi capitava di aver alzato un po’ il gomito, dovendo guidare andavamo piano per evitare incidenti, per evitare di essere fermati dalle forze dell’ordine e perché, causa diplopìa alcolica, dovevamo guidare con un occhio e non possedevamo, quindi, la vista stereoscopica.

Ora, complice l’assunzione contemporanea di sostanze stupefacenti (dalle piste di coca al crack all’ecstasy e altro) il comportamento è totalmente alterato e spinge chi sia sotto l’effetto di tali sostanze a guidare pericolosamente, a tentare imprese al limite del suicidio (e, a volte, oltre il limite), a compiere reati efferati (omicidi, lesioni gravissime, rapine).

Complice uno Stato che spende molto più in aerei da guerra che in educazione, prevenzione e repressione dei reati assistiamo a condannati cui vengono concessi i domiciliari che faranno prestoperdere le tracce, famiglie distrutte dalla perdita di un congiunto, costi enormi per la Giustizia che nessuno riuscirà mai ad esigere.

Anche tralasciando i reati, stradali e non, il problema dell’etilismo è comunque preoccupante ed in costante aumento, per risolvere il quale occorre rivedere l’educazione scolastica e familiare, la repressione delle violazioni e, nell’insieme, educare ad uno stile di vita diverso.

Non sto a dilungarmi su come l’alcool venga metabolizzato dall’organismo umano; dico soltanto che solo una piccola parte dell’alcool ingerito viene eliminato attraverso il respiro e le urine; la parte preponderante viene assorbita dal fegato.

Occorre intanto considerare che l’alcool non è un nutriente perché l’organismo umano non può utilizzare direttamente il suo apporto calorico, e che la sua assunzione costante provoca danni irreparabili all’organismo (ulcera, steatosi, cirrosi, cardiopatie, danni al sistema nervoso).

Considerando anche che gli assuntori abituali di alcool hanno solitamente vita sedentaria si può dire che il contenuto del bicchiere, giunto nel nostro organismo, si trasforma in grasso; aggiungiamo che spesso gli adolescenti, anche per colpa degli orari scolastici, si alimentano con cibi ricchi di grassi saturi (fritti, grassi idrogenati, salse) e possiamo capire come il loro fegato sia destinato ad ammalarsi irrimediabilmente.

L’aspetto peggiore di tutto ciò è che, pur vigendo leggi severe a tutela dei minori, la somministrazione e la vendita a minori, il divieto di portare in strada bottiglie di vetro nelle zone della movida di ogni grande città è un corteo continuo di giovani, alcuni dei quali hanno sì e no 16 anni, che viaggiano con bottiglie di birra e bicchieri contenenti alcolici mentre le forze dell’ordine, purtroppo, non riescono a fronteggiare tale emergenza.

Trattandosi di una vera e propria emergenza sociale, è opportuno e urgente che lo Stato e le Regioni si attivino su questo fronte con l’educazione a cominciare dalla scuola secondaria di 1° grado, con l’implementazione di servizi di prevenzione e cura e con la repressione dei reati connessi all’abuso.

E’ davvero grave vedere ragazzi di 18-20 anni che si recano dal medico di base chiedendo la pillola azzurra perché hanno difficoltà a completare un amplesso.

Sergio Motta

Antifragili. Fai della fragilità il tuo punto di forza e dell’incertezza un cavallo di battaglia


Incontro con Gabriella d’Albertas, domenica 19 febbraio alle 17 al Centro Avanì di Villarbasse

Domenica 19 febbraio alle 17, al Centro Avanì di Villarbasse (via Croce Sant’Amato 31bis) si svolge l’incontro con Gabriella d’Albertas, autrice insieme a Giuseppe Vercelli del libro «Antifragili. Fai della fragilità il tuo punto di forza e dell’incertezza un cavallo di battaglia» (Feltrinelli, 2021). Al termine, aperitivo con l’autrice, ingresso 10 euro, posti limitati, necessaria la prenotazione al numero 347.4718820.

Spiega la presentazione: «Incertezza, instabilità, imprevisti, disagi, cambiamenti indesiderati, sono tutti elementi di cui faremmo volentieri a meno. Ma questo perché non ne scorgiamo il potenziale. Rovesciando il nostro punto di vista possiamo leggere gli eventi in modo completamente nuovo, riconoscendo le opportunità che si nascondono dietro le difficoltà, e le risorse che si celano dietro i limiti. La forza, quella vera, nasce proprio dal cuore della fragilità. Altrimenti è una forza solo apparente, destinata prima o poi a far cadere la maschera e a mostrare il suo vero volto, quello della debolezza. Che nulla ha a che fare con la fragilità».

Gabriella d’Albertas è life coach counsellor con approccio ipnotico-costruttivista. La sua professione e, prima ancora, la sua passione, è accompagnare le persone a viaggiare dentro se stesse, per esplorare la propria ricchezza interiore, ma anche le zone d’ombra, dove si nascondono le risorse più preziose. Questo viaggio interiore porta a una profonda trasformazione: quella delle ferite più profonde in solchi fertili, dentro ai quali fiorisce la consapevolezza, quella vera. Quella che sa rileggere la propria storia in chiave evolutiva e riconoscere la perfezione di ogni cosa. È autrice di alcuni libri, tra cui Il potere nascosto dell’ombra, Cambia vita cambiando convinzioni, Antifragili.

Giuseppe Vercelli è psicologo psicoterapeuta, docente di Psicologia dello Sport e della Prestazione Umana presso l’Università degli Studi di Torino. Responsabile dell’Area Psicologica di Juventus F.C. dal 2011 e membro della commissione medica e responsabile dell’area psicologica della FISI (Federazione Italiana Sport Invernali). È membro del team autoriale che, in collaborazione con Giunti O.S., ha sviluppato e pubblicato nel 2020 l’Anti-fragile Questionnaire, primo test in grado di misurare il livello potenziale di Anti-fragilità negli individui.

BitGeneration: il mondo di Bitcoin raccontato a universitari e liceali

Il Bitcoin Wallet Conio ha il piacere di annunciare un’importante partnership con BitPoliTO, il gruppo studentesco del Politecnico di Torino che mira a promuovere la conoscenza e l’adozione di Bitcoin a livello universitario e fra i liceali. Conio fornirà finanziamenti per i progetti del gruppo studentesco del Politecnico di Torino e assicurerà il suo costante supporto a tutto il progetto.

Una delle attività principali della partnership è “BitGeneration”, il primo corso sperimentale in Italia in cui universitari e speaker di settore di livello internazionale introdurranno agli studenti delle superiori conoscenze fondamentali su Bitcoin. Durante questi seminari, i docenti parleranno della tecnologia e della storia del protocollo, oltre che di economia, matematica e informatica. Le lezioni, già partite il 31 gennaio, si terranno negli spazi del Politecnico di Torino e verranno registrate in video e pubblicate su YouTube per una maggiore accessibilità.

Nel primo incontro è stato proprio Giacomo Zucco, importante divulgatore italiano di Bitcoin oggi famoso a livello internazionale, a spiegare agli studenti le motivazioni che hanno portato alla nascita di Bitcoin: partendo dal concetto di moneta ed evidenziando le caratteristiche che contraddistinguono una buona forma di denaro. Nelle prossime lezioni, poi, proseguirà l’approfondimento dei fattori sociali ed economici dietro allo sviluppo di Bitcoin per dedicarsi, successivamente, alle parti più tecniche: dal funzionamento del Network fino all’architettura di un Wallet.

Con questa partnership, Conio dimostra di credere nello sviluppo del settore Bitcoin, investendo nella formazione di progetti e talenti, e collaborando con gli studenti che rappresentano i professionisti del futuro di questo settore. Secondo la scale-up fondata da Christian Miccoli, è importante sviluppare talenti in Italia per mantenere e accrescere il know-how in un settore strategico come quello della custodia dei digital asset.

Conio non è nuova a questi investimenti in attività di divulgazione e formazione. Di qualche mese fa è infatti la nascita del progetto EduFin 3.0, lanciato in collaborazione con Banca Generali, per andare a colmare il gap di alfabetizzazione in ambito finanziario che ancora esiste tra l’Italia e il resto d’Europa. Un’iniziativa realizzata con lo youtuber e imprenditore digitale Marco Montemagno, grazie anche al supporto di altri partner strategici del settore.

Questa partnership rappresenta un passo importante nell’adozione di Bitcoin in Italia, e siamo orgogliosi di lavorare con il Politecnico di Torino per promuovere la formazione e la conoscenza del settore in un ambiente accademico. Siamo convinti che questo genererà nuovi talenti e progetti innovativi che contribuiranno a far crescere il settore degli asset digitali in Italia, aumentando il know-how del paese in un settore strategico e promuovendo l’innovazione”, ha commentato Christian Miccoli CEO di Conio.

Conio

Fondata nel 2015 a San Francisco dall’idea di imprenditori italiani, Conio ha lanciato il primo wallet Bitcoin per smartphone in Italia. La sua missione è rendere le cripto e le valute digitali alla portata di tutti. Per questo ha deciso di brevettare un sistema di custodia multisignature che rende facile e sicuro custodire digital asset. Conio ha conquistato, fin dall’inizio, la fiducia di investitori istituzionali, fra cui importanti banche italiane, che hanno finanziato il progetto e creato partnership. Oggi, oltre ad aver raggiungo oltre 380.000 clienti privati, offre a banche ed istituzioni finanziarie soluzioni integrate per la gestione di criptovalute e Digital Asset.

Ufficio Stampa Conio

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Le donne sfruttate sul lavoro. Presentato un rapporto in Regione

2023

IL PRIMO RAPPORTO SULLO SFRUTTAMENTO DELLE DONNE NEL LAVORO

DI SLAVE NO MORE E ACLI

Il presidente Cirio: “L’impegno delle reti diffuse sul territorio è fondamentale,

ma purtroppo non ancora sufficiente per arginare totalmente un fenomeno tristemente attuale che dobbiamo contrastare con maggiore forza e con maggiori mezzi”

L’assessore Marrone: “Scelta Sociale permetterà nuove opportunità e contratti di lavoro regolari alle operatrici e agli operatori dell’assistenza domiciliare”

Ringrazio di aver scelto il Palazzo della Regione per presentare un’indagine che contiene informazioni fondamentali per contrastare la violenza di genere. I dati dimostrano che l’impegno delle reti diffuse sul territorio è fondamentale, ma purtroppo non ancora sufficiente per arginare totalmente un fenomeno tristemente attuale che dobbiamo contrastare con maggiore forza e con maggiori mezzi”: è quanto ha dichiarato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio aprendo, in videocollegamento da Bruxelles, la presentazione del primo Rapporto sullo sfruttamento delle donne, nel lavoro domestico e di cura, nell’agricoltura e nell’ambito del fenomeno migratorio, promosso dall’Associazione Slaves No More e dalle ACLI e relativo al 2022.

La Regione Piemonte – ha poi ricordato il presidente Cirio – ha compiuto passi importanti: l’allora presidente Chiamparino diede il via ad un programma triennale che noi abbiamo rilanciato per il 2022-24 sostenendolo economicamente, perché è un’iniziativa positiva e siamo consapevoli che è un tema sui cui occorre lavorare uniti per cambiare realmente le cose, partendo da studi come quello presentato oggi. Prendiamo il lavoro dell’Associazione Slaves No More e delle Acli, che sono una realtà preziosamente radicata sul territorio, come uno stimolo a fare di più e meglio”.

L’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone ha aggiunto che “è necessario contrastare il lavoro nero e la piaga dello sfruttamento che purtroppo affligge ancora troppe donne. Come Regione Piemonte stiamo lavorando in questa direzione, basti pensare al voucher Scelta Sociale, che rivoluzionando il sistema dell’assistenza domiciliare permetterà nuove opportunità e contratti di lavoro regolari alle operatrici e agli operatori del settore. Ma non solo, la cooperazione internazionale decentrata della Regione è anche in prima fila nei Paesi di forte immigrazione per contrastare lo sfruttamento delle donne vittime di tratta e costruire opportunità di crescita, dignità e sviluppo in loco”.

Nel ringraziare il Presidente della Regione Piemonte per l’attenzione dimostrata verso questa problematica e per aver concesso il patrocinio della Regione e l’utilizzo della Sala istituzionale per questa evento – ha dichiarato Pino Gulia, presidente di Slaves No More – l’associazione ha voluto confermare, con questa iniziativa promossa insieme alle ACLI di Torino, il metodo del dialogo aperto tra riferimenti ideologici differenti, per fare emergere la drammatica situazione di sfruttamento in cui vivono molte donne, di cui una gran parte di origine straniera. Il Rapporto dà conto di una carenza giuridica e di una disattenzione sociologica su un fenomeno che evidenzia da un lato un persistente maschilismo, e dall’altro un’elevata discriminazione di genere”.

L’iniziativa – ha aggiunto Raffaella Dispenza. presidente ACLI Torino – si inserisce nell’ambito di un filone di lavoro che le ACLI portano avanti sul tema delle disuguaglianze e delle fragilità, questa volta attraverso la lente femminile, una prospettiva interessante anche per contestualizzare e rilanciare l’azione quotidiana di tutela, di accompagnamento e di contrasto alle discriminazioni che svolgiamo come ACLI sul territorio sia attraverso i servizi sia attraverso le progettualità dell’associazione e della sua rete di circoli. È importante continuare a tenere alta l’attenzione su questi temi e, nel contempo, fare quel lavoro quotidiano di tessitura e ricomposizione delle conflittualità spesso correlate a situazioni di sfruttamento, emarginazione e illegalità”.

Sono intervenuti anche Valentina Cera, consigliera della Città Metropolitana con delega a Politiche sociali e di parità, Jacopo Rosatelli, assessore alle Politiche sociali della Città di Torino, Francesco Carchedi, sociologo dell’Università La Sapienza di Roma e membro del direttivo di associazione Slaves no more.

Il focus dedicato alle dinamiche e alle azioni messe in campo nel territorio torinese ha visto la partecipazione di Osvaldo Milanesio, dirigente del Settore Politiche per le pari opportunità, diritti ed inclusione, progettazione ed innovazione sociale della Regione, Donatella Demo, responsabile del Coordinamento madre-bambino del Gruppo Volontariato Vincenziano Torino, Michela Quagliano, consigliera di parità della Città Metropolitana di Torino, Cristina Maccari, segretaria della Cisl Torino-Canavese, Roberto Santoro, presidente di Enaip Piemonte.

Il Rapporto in sintesi

I lavori delle donne, e in particolare quelli delle donne migranti, sono caratterizzati da un alto tasso di precarietà, informalità e irregolarità. Quello delle donne è un bacino enorme di “sfruttamento strutturale” che, almeno tendenzialmente, coincide con l’intera area del lavoro femminile.

All’interno di questo grande bacino, il Rapporto si sofferma sulle forme di sfruttamento più gravi, lesive di diritti fondamentali, con potenziali conseguenze sulla vita, la salute, la genitorialità, le relazioni, l’inclusione sociale di tante donne.

I dati sull’economia informale nel nostro Paese sono insufficienti e non consentono neanche di produrre stime metodologicamente significative. Ma il numero delle donne gravemente sfruttate è certamente considerevole, se pensiamo che solo in agricoltura, secondo l’ipotesi più accreditata, si tratta di non meno di 50.000 lavoratrici.

Per quanto riguarda il lavoro domestico e di cura, il 70% di coloro che lo svolgono sono migranti. Il settore presenta secondo l’ISTAT un tasso di irregolarità del 57%, a fronte di una media nazionale del 12,6%. A causa delle difficoltà di essere in regola con il permesso di soggiorno, a fronte di un numero di colf e badanti registrate all’INPS di 920.000, si stima che il totale delle impiegate e impiegati nel settore si aggiri sui 2,1 milioni secondo l’Osservatorio Domina. In quest’area di irregolarità possono celarsi le forme più gravi di sfruttamento.

Elementi caratterizzanti dello sfruttamento lavorativo delle donne sono la sottoposizione sistematica a molestie, ricatti e violenze sessuali, la dipendenza dal datore di lavoro, specie nel caso in cui la lavoratrice domestica abiti nella stessa casa, o in cui la lavoratrice agricola viva in un’abitazione messa a disposizione dal datore o dal caporale. Inoltre quando le donne riescono ad avere con sé i figli, le responsabilità di cura sono spesso un ulteriore fattore di vulnerabilità, e una delle ragioni per cui talvolta le donne sono costrette a sottostare ai ricatti sessuali di caporali e datori di lavoro. Altro elemento caratterizzante il grave sfruttamento delle donne è la scarsa o inesistente soggettività contrattuale, dovuta in parte alla dipendenza dai caporali, e in parte ai condizionamenti familiari. In alcuni settori esiste inoltre un consistente gap salariale tra donne e uomini, pur nella comune condizione di sfruttamento. In agricoltura, ad esempio, in alcune zone una donna percepisce 25-28 euro al giorno, mentre un uomo può arrivare a 40.

Il grave sfruttamento femminile, infine, comporta talvolta il transito da una forma di sfruttamento all’altra, tipicamente dallo sfruttamento sessuale allo sfruttamento lavorativo e viceversa. Alcune donne svolgono entrambi per guadagnare di più e ripagare più velocemente il debito contratto con i trafficanti. Si verificano

anche casi di sfruttamento lavorativo emersi a seguito della denuncia di violenza domestica subita dalla lavoratrice ad opera del partner, il che mostra l’intreccio di sfruttamento e violenza nell’esperienza femminile.

Lo sfruttamento sessuale ha dimensioni enormi. Si tratta di una delle forme più coercitive di sfruttamento delle donne, che raggiunge punte di violenza sistematica nel caso delle persone LGBT+, soprattutto di provenienza brasiliana. Il Rapporto si sofferma su alcune tendenze recenti, in particolare la prostituzione indoor e gli annunci online. La ricerca ha riguardato 200 siti web attivi in tutta Italia. Il business che ne scaturisce, secondo stime ISTAT del 2021, è di 4,7 miliardi di euro, un volume di affari doppio rispetto all’intero settore alberghiero.

Il sottotitolo del volume è “Il diritto di essere protagoniste”, poiché la ricerca si sottrae a una rappresentazione vittimistica, mettendo in evidenzia l’agency delle donne, le loro competenze, la loro capacità di prendere decisioni importanti sul proprio futuro e su quello delle loro famiglie pur nella condizione di sfruttamento, le potenzialità di sindacalizzazione e di auto-organizzazione.

Elogio della cravatta

IL COMMENTO Di Pier Franco Quaglieni

Non ho mai avuto ne’ affinità’ ne’ buoni rapporti con un consigliere comunale di Torino che dice di essere radicale , dimenticando che l’unico radicale nella Sala “rossa“ fu l’on. Bruno Villabruna, un vecchio gentiluomo liberale, seguito da Marco Pannella eletto nel 1985 che rinunciò alla carica appena eletto.

Quel consigliere “radicale” si è distinto per le sue polemiche spesso astiose, quasi sempre abbastanza irrilevanti , anche se i giornali gli danno spazio e un rilievo non corrispondente alla serietà dei lavori del Consiglio comunale che non viene più seguito dalle Cronache della “Stampa” dai tempi di Bona Alterocca e di Giuseppe Sangiorgio, cronisti esemplari del bel tempo che fu.

E’ il consigliere che ossessivamente da anni vuole togliere il Crocifisso dall’Aula del Consiglio comunale e adesso propone di eliminare l’obbligo della cravatta per partecipare ai lavori del Consiglio Comunale,  considerandola un segno di arretratezza e addirittura di discriminazione di genere. Il Consiglio comunale ha respinto la sua proposta, forse avanzata solo per essere ad ogni costo più visibile. Infatti ci sono tante fotografie di quel consigliere con giacca e cravatta anche fuori dal Consiglio comunale che contraddicono la proposta di potersi scravattare.

In questa società sempre più sciatta il portare la cravatta e’ diventato un optional sempre più raro. Le magliette hanno sostituito le camicie e la camicia con il collo aperto e’ diventata una regola. A Torino i negozi dell’eleganza maschile, forse salvo uno, hanno chiuso da parecchi anni e nessuno ricorda più il mitico Ruffatti. Oggi tutti vogliono l’abbigliamento comodo: un individualismo accettabile in casa o all’osteria, ma non compatibile con altri luoghi.

Secondo quel combattivo Consigliere anche il Consiglio comunale dovrebbe adeguarsi all’andazzo di quella che in passato era considerata la “società civile”. Chi scrive porta la cravatta da quando era alunno della IV elementare. Non ho mai modificato la mia vita.  In casa mia anche d’estate si andava a cena con la giacca e la cravatta, anche in campagna sotto il pergolato. Uno stile del vecchio Piemonte a cui non ho mai voluto rinunciare, anche se i rigori paterni si sono via via allentati.

Infatti da tempo, appena entro in casa, tolgo subito la cravatta, ma solo d’estate al mare non metto la cravatta se esco. Quando alla sera vado a fare una conferenza in Riviera, mi rimetto la cravatta .Non sono solo io a fare così. Ricordo che Giovanni Spadolini, direttore del “Corriere”, chiese ad un giornalista in maniche di camicia perché si fosse messo in mutande in redazione. Certo, oggi già la sola giacca e’ diventata un’ eccezione quasi snob. Ricordo con orrore che negli Anni Settanta in una scuola torinese i professori erano in maglietta o in giacca a vento, quella che allora si usava solo in montagna per sciare.

Ho conosciuto dei professori, si fa per dire, che non hanno mai indossato una giacca e non sanno neppure cosa sia una cravatta. Dei prof. sempre in jeans sono piene le scuole anche oggi, quelli che il mio amico Beppe Lodi definiva ironicamente i rappresentanti del “baracchinaggio scolastico”. Ricordo che al liceo d’Azeglio un’avvenente professoressa cinquantenne si presentò in settembre per far lezione in reggiseno striminzito e pantaloni attillati a vita bassa come se fosse a Saint – Tropez e volesse far rivivere il mito di Brigitte.

Il mio amico preside di quel liceo, il pur grande Giovanni Ramella, non osò obiettare nulla alla professoressa che forse sarebbe stata felice di far lezione magari anche in topless, con grande godimento visivo degli allievi sicuramente più attenti alla docente che alla materia insegnata.

Per altri versi, le ascendenze del consigliere “radicale “ si ritrovano proprio nel clima infuocato e contemporaneamente rilassato di quei maledetti anni di piombo in cui si giunse putroppo alle violenze più inaudite, oltre che al modo di vivere del “libero amore“ all’insegna di un libertarismo sessuale molto individualistico. Non c’è’ bisogno di essere l’”inutile“ Conte Giovanni Nuvoletti che scrisse un libro sulla cravatta per capire il valore simbolico di un certo modo di vestire. Nuvoletti era entrato nella famiglia degli Agnelli dove gli eredi sono spesso molto disinvolti come il prode Lapo, ad esempio, nel modo di vestire.

Anche l’Avvocato amava un abbigliamento sportivo, ma era rigorosamente rispettoso delle istituzioni e delle forme. La cravatta spesso nera di Gianni Agnelli era la norma. Al contrario penso che nelle cravatte ci si possa un po’ sbizzarrire, magari scegliendo le cravatte di Marinella, un gusto napoletano amato in tutto il mondo. La cravatta e’ sicuramente inutile, ma e’ l’unica cosa un po’ fantasiosa che può essere consentita ad un uomo elegante. Capisco che parlare oggi di eleganza sia quasi una bestemmia.  Mario Soldati con i suoi celebri papillons francesi oggi inorridirebbe camminando in via Roma. Capisco che, scrivendo queste cose,  mi candido ad una condanna a morte per snobismo, ma credo che le regole nei luoghi pubblici vadano rispettate.

Quella “Sala rossa” va considerata anche per la sua storia. In quell’ aula sedettero tanti uomini e donne di alto livello, da Cavour a Fusi, da Peyron a Castellani, da Magnani Noya a Frida Malan. Le istituzioni vanno rispettate perché il pubblico non può coincidere con il privato. Giustamente alcuni comuni balneari hanno vietato di girare per le vie in costume da bagno. Una delle poche regole che sopravvive  al diluvio della banalità libertina o libertaria nel vestire va difesa perché appartiene allo stile Torino.

Gli ex agitatori nostalgici dell’ eskimo fanno quasi un po’ di pena. Ciascuno può vestirsi ed oggi anche svestirsi a suo piacimento, ma, se si fa eleggere in una istituzione, deve rispettare le regole. Non vorrei ricordare male ma, se non sbaglio, mi sembra che anche negli anni Settanta qualche consigliere trasgredisse alla regola della cravatta durante l’estate, malgrado il regolamento e l’oppositore e poi sindaco Novelli esibisse il borghesissimo gilet in ogni stagione. Almeno in questo, Novelli , era meglio di tanti altri.

Donne, un percorso di ricerca

Un viaggio, un percorso personale di ricerca e studio offerto a donne desiderose di comprendere e di lottare con e per le altre e gli altri; suggerito a uomini audaci e impazienti di riacquistare un ruolo decisivo nella creazione della società in cui vivono, capaci di costruire senza prevaricazioni e senza arroganza. Spunti di riflessione e pensieri che si intrecciano e si intersecano a formare una ragnatela che tutto collega.

 

L’autrice

Maria Rita Mottola, nata nel 1956, avvocato e autrice di testi giuridici e non solo, collabora con il prof. Paolo Cendon, presidente di A.L.E.R.A.MO. onlus associazione culturale che offre e promuove la bellezza delle arti nella terra del Monferrato. Collabora con associazioni di volontariato e culturali, a gruppi d lavoro e di studio. Convinta che solo il dubbio possa consolidare la fede.

 

L’EVOLUZIONE DELLE DONNE

Un lungo viaggio che conduce a una domanda che è anche la domanda da cui è possibile partire: siamo giunti al punto di non ritorno? L’atmosfera che si respira negli ultimi mesi non lascia spazio a dubbi. Stiamo attraversando un guado, andando verso un oltre. Sta a noi scegliere in che direzione andare, se fermarci per pensare e progettare il futuro, affrontarlo a testa alta ma insensatamente, o analizzare con onestà ciò che è stato e ciò che siamo, ciascuno e tutti, per affrontare una sfida che sconcerta e spaventa, emoziona e sprona a procedere, a non fermarsi, a costruire un mondo nuovo, vero e vitale. Questa sfida non può essere affrontata da soli e men che mai uomini contro donne armati, e viceversa. Solo insieme con umile consapevolezza, vestiti di coraggio e determinazione, forti della conoscenza di storia e pensiero filosofico, armati degli strumenti del diritto e della scienza potremmo procedere, insieme verso la cima della montagna. Il saggio che presento è un viaggio e un percorso personale di ricerca e studio offerto a donne desiderose di comprendere e di lottare con e per le altre e gli altri, senza voltarsi indietro e senza prescindere da ciò che è stato; suggerito a uomini audaci e impazienti di riacquistare un ruolo decisivo nella creazione della società in cui vivono, capaci di costruire senza prevaricazioni e senza arroganza. Spunti di riflessione, brani di testi e saggi, giurisprudenza e sociologia, pensiero filosofico e religioso, raccontando si intrecciano e si intersecano a formare una ragnatela che tutto collega. Il puzzle piano, piano si perfeziona e l’immagine si fa più nitida e chiara. Non vuole essere la fine di un lungo e complesso lavoro ma un inizio e una provocazione per i lettori. Una agorà, un luogo di incontro e confronto.

Una premessa (Per chi, perché e come Incontri Letture Ricerche) e 14 capitoli.

Suddiviso in Parti (sei) a loro volta suddivise in capitoli e alla fine di ogni capitolo un paragrafo “Tiriamo le fila” che fa il punto per riassumere e preparare la lettura successiva.

Gli argomenti:

PARTE I La politica; PARTE II La famiglia; PARTE III La cosmesi dei diritti; PARTE IV La salute; PARTE V l’evoluzione e il progresso; PARTE VI DonnaDonne

IL CERCHIO Iniziative editoriali

Quel Carnevale indimenticabile di tanti anni fa tra via Po e piazza Vittorio

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ

Febbraio, dunque carnevale. Il Carnevale è pagano per eccellenza. Addirittura affonda le radici negli antichi Egizi. Per noi era tre cose.

Il Gianduia. Lecca lecca di varie dimensioni con coriandoli annessi. Le giostre di piazza Vittorio e soprattutto i costumi. Così carnevale alle elementari e medie o all’oratorio Michele Rua. Io ero “sfortunato” perché avendo la madre sarta e  i primi costumi erano fatti in fai da te. All’età di 10 anni mi ribellai e mi venne in soccorso zia Teresina, sorella di mio padre. Ero l’unico nipote. Non aveva figli e viziarmi era quasi un atto dovuto.
Il costume fu comprato al Nido dei bimbi, via Po. Teresina aveva una predilezione per il centro. Erano originari  di Vanchiglietta e quando si era sposata era andata a vivere in via Timavo, pieno San Paolo quasi dietro a San Bernardino. In quell’occasione venne anche mio zio, Roberto Sereno era stato sommergibilista e, buon per lui fatto prigioniero nel 1941 dagli inglesi così per lui la guerra durò poco. Essere stato marinaio lo inorgogliva e al polso sinistro aveva un ” bernoccolo ” figlio di una scheggia di missile che si portò dietro tutta la vita. Diceva sempre: la marina era la sola fedele al Re ed antifascista. Tornando al Nido dei bimbi il seminterrato era carico di giochi e di costumi.
Difatto fui banale nella scelta. Costume da cowboy. Grande capello di cartone e soprattutto la pistola con relativo cinturone.
Per simulare gli spari c’erano apposite cartucce decisamente innoque.
Bene,  arrivò il giorno prestabilito per le giostre di piazza Vittorio. Incontro con gli amici al Michele Rua. 50 lire per il biglietto di andata e ritorno, il 57 passava in via Cherubini e fermava in via xx settembre quasi angolo via Garibaldi. E poi giù per via Po, che freddo faceva. Fortunatamente i miei mi avevano convinto nel mettermi sotto il costume la calzamaglia. Orecchie a sventola congelate e mani ghiacciate. Ma nulla poteva fermare un provetto pistolero come il sottoscritto.
Pochi soldi da saper centellinare per le giostre. Dunque la prima cosa da fare per scegliere erano ampi giri per farsi un’idea.
L’ultima volta fu nel 1986. Alice non aveva ancora 2 anni compiuti. Anche allora faceva freddo. Lei era tutta imbacuccata.
Ed ero felice per essere lì. Per mia figlia Alice e per il ricordo di quegli anni. Sempre freddo, tanto freddo ma non lo sentivamo manco più.
Era quel misto di di allegra felicità che ci faceva superare quel freddo. Ed adesso? Unica possibilità diventare nonno. Ma non dipende dal sottoscritto… questa è un’altra storia.

PATRIZIO TOSETTO

Il bullismo non è un gioco da ragazzi. L’impegno della Regione

“Il bullismo non è un gioco da ragazzi, troppo spesso si è sottovalutata la gravità del bullismo, o perché affiora in luoghi a torto ritenuti al riparo da certi comportamenti, oppure perché si è tentati di confondere tali atteggiamenti con la casistica di scherzi e derisioni che fanno parte della memoria scolastica di ciascuno”.

Con queste parole, il presidente Stefano Allasia ha aperto la seduta pomeridiana di ieri del Consiglio regionale. A prevedere un momento dedicato in aula al tema del bullismo la stessa legge regionale del 2018 “”Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto dei fenomeni del bullismo e del cyberbullismo”. “Il bullismo è violenza cerebrale, è libertà senza obblighi e doveri, è isolamento. In quest’ottica – ha concluso Allasia –  la scuola e in generale il mondo degli adulti, deve svolgere un ruolo di cerniera.  La qualità della vita di una città, di un paese, si misura in grande parte sulla normalità della vita quotidiana dei cittadini, quindi su quei piccoli gesti e conflitti che, apparentemente insignificanti, possono in realtà essere fattori determinanti per la crescita di una persona”.

Secondo i dati citati in aula dal presidente Allasia, elaborati dall”Osservatorio (in)difesa” del ministero dell’istruzione,  su 6.000 adolescenti, dai 13 ai 23 anni,  emerso che il 68% di loro ha  assistito ad episodi di bullismo, o cyberbullismo, mentre ne è vittima il 61%. La violenza psicologica è quella più diffusa da parte di coetanei (42,23%) e in particolare il 44,57% delle ragazze ha segnalato il forte disagio procurato dal ricevere online commenti non graditi di carattere sessuale”.

Alle parole del presidente del Consiglio sono seguite quelle dell’assessore all’Istruzione Elena Chiorino – “”Bullismo e cyberbullismo sono violenze che vanno contrastate con fermezza per ripristinare la cultura del rispetto in classe: senza di esso non può esistere nessun sistema scolastico degno di questo nome. Il dilagare di entrambe i fenomeni rappresenta la fotografia di una deriva della desertificazione valoriale che non distingue più la differenza tra forza e violenza. Bisogna restituire forza ai nostri valori cercando di abbandonare il concetto di una società che avanza diritti e rimanda agli altri i doveri. Dal 2020 a oggi oltre 350 mila euro sono stati investiti in centinaia di progetti rivolti sia agli studenti che ai docenti delle scuole piemontesi. Tra le varie sfide legate al mondo della scuola – ha concluso Chiorino – vi è anche quella di restituire autorevolezza ai docenti”.

Al dibattito hanno preso parte anche il consigliere Domenico Rossi (Pd) che ha ribadito come non sia solo una questione di educazione etica, ma di un cambiamento che riguarda la relazione tra pari e tra generazioni diverse. Francesca Frediani (M40.UP) ha suggerito di tornare ad aprire le porte di Palazzo Lascaris ai giovani per entrare nel loro mondo e farli sentire ascoltati, capiti e restituire loro una prospettiva. Per Andrea Cane (Lega) “siamo tenuti a rispondere ai segnali d’allarme, come adulti e come eletti,  e atrattare il bullismo con un problema di salute pubblica. Secondo Mario Giaccone (lista Monviso) il 7 febbraio non è semplice ricorrenza ma giornata di impegno educativo, una presa di coscienza di tutti gli attori in campo. Riccardo Lanzo (Lega) rivolge un appello alle piattaforme social che devono fare la loro parte in termini di tutela e segnalazioni. Per Ivano Martinetti (M5S) “non è accettabile che ragazzi arrivino a perdere la vita, come adulti e rappresentanti delle istituzioni abbiamo il dovere di proteggerli e metterli in guardia”.  Giorgio Bertola (M4o.UP) ricorda Carolina Picchio che nel 2013 ha scelto di togliersi la vota per sottrarsi ai continui episodi di bullismo e invita a non adagiarsi sul fatto che esista una legge nazionale e regionale. Per Paolo Bongioanni (FDI) “la pandemia ha azzerato socialità accrescendo il ricorso ai social, serve che nella scuola i ragazzi possano trovare personale a cui segnalare  eventuali episodi di violenza”.

La Regione: “scuola ascensore sociale”

Contro il disagio giovanile e la povertà educativa 21 progetti finanziati in Piemonte dalla Regione.
CHIORINO:”LAVORIAMO PER UNA SCUOLA CHE RITORNI AD ESSERE UN ASCENSORE SOCIALE PER NON LASCIARE INDIETRO NESSUNO”
430 mila euro dalla Regione a 21 Comuni piemontesi per finanziare progetti di contrasto al disagio biopsicosociale e alla povertà educativa degli studenti con bisogni educativi speciali.
Contrastare la povertà educativa dei bambini oggi, significa creare le basi per ridurre la povertà economica degli adulti di domani – ha commentato l’assessore all’istruzione e merito della Regione Piemonte Elena Chiorino – la scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale che non lascia indietro nessuno, superando quel sistema che negli anni ha anestetizzato i nostri giovani. Ritengo indispensabile investire su chi ha voglia di crescere, alimentando le capacità dei più bravi e sostenendo i più fragili“.
Le finalità dei progetti:
Il bando è stata una novità del piano di offerta formativa 22/24. Le finalità sono, appunto, il contrasto all’abbandono scolastico e il ritiro sociale, la prevenzione e gestione delle situazioni di disagio biopsicosociale nei giovani, la creazione di una rete tra famiglie, scuola, istituzioni del territorio, la progettazione percorsi per il recupero degli studenti a rischio dispersione scolastica e il ritiro sociale e la promozione degli apprendimenti e del benessere emotivo.
Lo svolgimento dei progetti si svilupperà sui due anni scolastici 2022-2023 e 2023-2024.
Chi riceve il contributo:
A ricevere il contributo sono i Comuni con almeno un’istituzione scolastica statale o paritaria del primo ciclo di istruzione, che diventa partner nella progettazione.
La distribuzione delle risorse:
Sono 8 i comuni della Città metropolitana (Pavone, Ozegna, Piobesi, Rivalta di Torino, Pino Torinese, Torre Pellice, Nichelino, Moncalieri), 9 del Cuneese (Pianfei, Cherasco, Boves, Guarene, Savigliano, Santo Stefano Belbo, Saluzzo, Alba, Mondovì), 2 del Novarese (Borgomanero, Invorio), 1 dell’Astigiano (Incisa Scapaccino) e 1 del Vercellese (Varallo). Si allega tabella con le progettualità.