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Giacomo. A scuola di teatro / “Facce da scuola” 5

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTA’

Quarant’anni fa, a Vallette…I “migliori” anni della mia scuola

 

Gianni Milani

La soddisfazione fu enorme. Ricordo che mi ritrovai Giacomo, ragazzotto sotto i vent’anni, fra i tecnici del Teatro “Araldo” di via Chiomonte, allora uno dei pochi a Torino specializzati in matinée per i ragazzi delle elementari e delle medie. Giacomo era stato qualche anno prima mio alunno alla “Levi” insieme al fratello gemello Carletto. Entrambi assai poco attratti dallo studio, furono fra i miei più appassionati e accesi “discepoli” e sostenitori nella pratica (rigorosamente in aula) dell’arte teatrale. Talmente appassionati e “presi” dalla novità del recitare a scuola da diventare poi, Giacomo, un abile tecnico teatrale e Carletto – mi suggerì Giacomo – addirittura attore, non prima d’aver frequentato un apposito corso di recitazione, in una nota compagnia dialettale della città. Oggi non so se loro vite continuino a viaggiare sui binari dell’arte scenica. Ma che grande soddisfazione constatare che la mia cocciutaggine nel portare il teatro fra i banchi (erano anni in cui venivi preso per “fumato” se ci provavi) aveva prodotto frutti concreti e ben visibili sotto gli occhi di tutti! Quella mattina d’inverno, Giacomo m’accolse con una mia “prima” in arrivo dalla “Pascoli” di piazza Bernini – corso Ferrucci (oggi sede dell’“Ufficio Pio” della “Compagnia di San Paolo”) dove mi ero trasferito nell’89, per avvicinarmi a casa e per provare il brivido, dopo tredici anni in prima linea alle Vallette, di una scuola “bene” e di gran blasone, già “Educatorio Duchessa Isabella” fino agli Anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Giacomo mi abbracciò . Ha visto professò… il suo teatro mi ha portato fin qui. Oggi faccio questo di lavoro, non guadagno un granché ma sono contento. E’ questa la mia vita, la mia grande passione! Lo presi sotto braccio, mentre ci accompagnava alle prime file, scavalcando con scuse quanto meno improbabili altre classi arrivate prima della mia. E a tutti i suoi colleghi mi presentava. E’ il mio professore delle medie, è lui che ha iniziato ad avvicinarmi al teatro e se oggi sono qui lo devo proprio a lui. Lo avrei baciato! Ci vediamo dopo, professò, adesso vado a controllare i volumi e le luci! Inutile dire del successo che quell’inaspettato incontro  mi procurò agli occhi dei miei alunni. Tutti potenziali attori. Anche alla “Pascoli” infatti avevo introdotto da qualche anno i laboratori teatrali. In piazza Bernini avevamo anche un salone (grande libidine!) adibito alle prove, dove il mitico collega di “Tecniche”, Pippo Leocata – oggi pittore di buona fama – aveva anche costruito un vero e proprio palcoscenico, un vero lusso, su cui si erano organizzate le prime recite. Che poi, fatti più esperti, trasferimmo – io e lo sparuto gruppetto dei colleghi un po’ pazzi e visionari del “tempo pieno” – addirittura al vicino parrocchiale “Teatro Esedra” di via Duchessa Jolanda, in faccia alla piazza Benefica. Ero convinto, e lo sono ancora, che il Teatro facesse bene alla scuola. Che servisse a sbloccare situazioni altrimenti insostenibili. E che offrisse ai ragazzi, in particolare a quelli più problematici sotto vari aspetti, importanti opportunità di realizzazione. Tanto più in scuole  particolarmente “a rischio”, come quelle delle Vallette. A fine anno scolastico era ormai diventata prassi consolidata – e particolarmente attesa da alunni e genitori – la recita di classe o di classi parallele con alunni-attori selezionati all’uopo. Si sceglievano preferibilmente testi per ragazzi, ma anche altri più impegnativi ( un certo numero di “dialettali”, riattati al caso) o tratti dalla letteratura per adolescenti come il “Gian Burrasca” di Vamba che, riproposto un paio di volte, ottenne un successo sempre strepitoso. Lettura e commento in gruppo. Poi la distribuzione delle parti. Le prove. Lunghe. Sfiancanti. Quasi sempre “deludenti”. E poi uno scoppio di abilità e bravure e talenti che regalavano in teatro emozioni e risultati da farti piangere dalla contentezza. La realizzazione scenica contemplava il momento della recitazione, ma una parte importantissima avevano anche la musica e, in certi casi, la danza. Per non dire degli effetti più propriamente tecnici (come l’utilizzo delle luci alternate e dosate a seconda delle scene) in cui una grossa mano mi diedero alcune colleghe e colleghi, come la Maria Luisa Martina (“Musica”) e il Giampiero Mazzarella, per gli amici Gianmazza, (“Educazione Fisica”), grandi compagni e supporter importanti negli anni della “Pascoli”. Ricordo le serate tendenti alle notti passate nella casa-mansarda, magicamente incollata sui tetti della piazza Benefica, del Gianmazza a registrare le musiche e le canzoni che avrebbero fatto da “colonna  sonora” ai vari spettacoli. Notti sudate (si era sempre a fine maggio-primi di giugno), notti di note esaltanti, spesso sul filo di un amarcord del tutto personale e di un lavoro fatto di cuore e di anima, fra grappini abbondanti e mici (i due magnifici del Mazza, madre e figlio) che ti ballonzolavano e saltavano intorno sornioni e indagatori, fino a che si arrivava alla definitiva incisione dei nastri-cassette (altri tempi!) che avrebbero poi accompagnato lo spettacolo, non senza riferimenti precisi alle storie portate in scena. Serate indimenticabili. Esperienze forti. Trasmesse quasi sempre ai ragazzi. E conficcate come frecce d’amore nei loro cuori. Me lo ricordava il “nostro” Giacomo dell’Araldo. Credo che oggi sia pratica abbastanza costante programmare nelle scuole (anche per mantenerle in piedi e vive) laboratori teatrali. Si continui. I ragazzi, soprattutto gli adolescenti, sono “naturalmente” attori e sul palcoscenico si scopre che proprio i più timidi, con quella vocina che dietro il banco o alla cattedra si sente appena appena, diventano giganti della recitazione e ti fanno rabbrividire, fuori e dentro, regalandoti sensazioni che ti restano appiccicate per la vita. Quella mattina, finito lo spettacolo all’Araldo, Giacomo mi aspettò all’uscita. Mi abbracciò, mi parve di sentirgli un po’ di magone che andava su e giù in gola. Grazie, mi disse ancora. Ma grazie a te, caro Giacomo… e grazie a te Carletto e grazie a te Simone e grazie a te Vittorio… e grazie e grazie e grazie. Ritornammo a  scuola. Io e i miei “primini”. Ancora presi dallo spettacolo appena visto, negli occhi le luci e le ombre, i “gesti” le movenze e gli sguardi degli attori; nelle orecchie i suoni delle voci, i canti le musiche i rumori di scena. Il calpestio dei piedi sulle assi del palcoscenico. Ci sedemmo. In aula, dov’era tradizionale prassi commentare e “recensire” quanto visto. Aspettavo le prime reazioni. Un vocione si fece strada dall’ultimo banco. Alessandro –  amabile “mastino” che superava tutti in altezza di varie spanne e quasi nessuno nello studio – urlò quasi professò domani si prova? Grande Alessandro! La tua domanda-desiderio suonò meglio di ogni commento.

Gianni Milani  

La rivista Vernice dedicata a Wilma Minotti Cerini

Vernice, la rivista semestrale di formazione e cultura, edita dal 1994 a Torino e diretta da Sandro Gros-Pietro, si occupa da quasi trent’anni di letteratura proponendo nuovi testi di poesia, narrativa, teatro e testimonianze di arte contemporanea. L’ultimo numero, il sessantunesimo, come tradizione dedica la copertina e un’ampia biografia a un protagonista della cultura italiana, proponendo il profilo della scrittrice e poetessa Wilma Minotti Cerini. Milanese di nascita – è nata nel capoluogo lombardo nel 1940 – attualmente vive a Pallanza, sul lago Maggiore. Nell’ampio spazio dedicatole ( che ospita anche il racconto inedito Storia di un foglio puntiglioso ) emerge la ricca e avventurosa vita di questa donna dai molti interessi che ha vissuto un infanzia difficile durante la guerra, con la perdita prematura di entrambi i genitori – il padre partigiano venne ucciso dai fascisti ai primi di aprile del ’45 mentre era in missione per conto del Cln – ma seppe affrontare mille difficoltà fino ad affermarsi, frequentando i circoli culturali memeghini e sposando il Visconte Livio Cerini di Castegnate, fine gastronomo e studioso, membro dell’Accademia Italiana della Cucina. Personaggio di indubbio fascino e spessore culturale, Cerini ha pubblicato con Sonzogno, Salani e Longanesi  volumi di grande interesse e successo sulla gastronomia e sulla storia della cucina. Wilma Minotti Cerini nel corso della sua lunga carriera ha pubblicato molte opere tra le quali vanno segnalate il monumentale lavoro di ricerca sulla vita e la poesia dell’inglese Peter Russell, diverse sillogi poetiche, l’interessante saggio dedicato a Guido Gozzano, il racconto filosofico I figli dell’illusione, i romanzi Ci vediamo al Jamaica e Le verità nascoste. Recentemente ha curato i libri Il re mangia solo e altri racconti del marito Livio Cerini di Castegnate e C’era una volta il Bagutta, dedicato alla famosa trattoria milanese dove è nato il più antico premio letterario italiano, forse quello dalle origini più insolite che risalgono al 1927, scaturito dall’idea di un gruppo di amici, artisti, scrittori e giornalisti che avevano l’abitudine di riunirsi in quel locale per discutere di letteratura.

Marco Travaglini

Da piazza Foroni al “Parco Peccei”. Con “Barriera Corallina”, grande “parata culturale” a Barriera di Milano

Barriera in festa!

Domenica 14 maggio, dalle 14,30

Si mette in bella mostra, domenica prossima14 maggio, sfilando in totale e colorata allegria per le sue strade, la storica “Barriera di Milano” o “Barriera dl’Emme”, come ancora la chiamano i più attempati torinesi. In agenda, una ricca “parata culturale”, per dirla con le varie associazioni del quartiere che la organizzano, raggruppate – evocando la forte suggestione di lontani mari tropicali – in “Barriera Corallina” o “organismo collettivo di resistenza culturale”.  La parata parte da un luogo simbolo di “Barriera di Milano”, piazza Foroni (ritrovo alle 14,30), e si dirige al “Parco Peccei”, la grande superficie ex industriale chiusa tra passante ferroviario, via Cigna e via Valprato che è ora il cuore verde del quartiere: “L’iniziativa –sottolinea Giulia Gozzellino, coordinatrice di ‘Barriera Corallina – nasce per celebrare la diversità e la bellezza della condivisione. Abbiamo scelto di riempire lo spazio pubblico con le voci, i suoni e i giochi di quartiere tra ‘marching band’, acrobazie, animazioni teatrali e ‘slam poetry’. Sfiliamo e partecipiamo con divertimento per una ‘Barriera Corallina’ gioiosa e accogliente”.

E Luca Bosonetto del “Comitato Arci Torino”: “Barriera di Milano è un quartiere fragile ma anche effervescente, solidale, colorato. Negli ultimi anni infatti abbiamo assistito a una crescita di realtà associative locali, spesso nuove e giovani. Anche ‘Arci’ vede rifiorire la sua presenza in Barriera tra mutualismo, inclusione, cultura, con una decina di nuovi spazi aperti o rigenerati dopo la fine della pandemia”. “’Barriera Corallina’ – continua Bosonetto – è un concreto esempio di questa effervescenza, che parte dalla nostra rete per coinvolgere tutto il territorio. Un modello che vuole declinare la parola ‘prossimità’ in forma virtuosa e che sceglie il modo più bello per concludere un primo anno di progetto e rilanciare: scendere in strada e sfilare” .

Si inizia, come detto, alle 14,30, in piazza Foroni, la piazza del mercato di “Barriera”, qui famigliarmente conosciuta come piazza Cerignola, per arrivare   alle 16 al “Parco Peccei”. Peculiarità: tutte le realtà coinvolte sia nella parata sia poi nell’animazione al Parco sono di “Barriera di Milano”. Tutto a “Km zero”.

La sfilata sarà animata, in primis, dalle Associazioni “Pietra Tonale” e “La Folamurga” con musica e perfomance dal vivo, marching band, danze, fiati e percussioni . A dare ulteriore colore alla parata, l’animazione con acrobati sui trampoli della “Fondazione Uci Casa Circostanza” e dell’ “Associazione Slip”.

Vera chicca l’accompagnamento floreale di“FiëscaVerd”, realtà torinese nata con l’obiettivo di promuovere la rigenerazione urbana e l’inclusione sociale attraverso il recupero di aree verdi marginali e l’attivazione di percorsi di agricoltura urbana.

Al “Parco Peccei” sono, quindi, previsti momenti di convivialità, cultura e condivisione. Ci saranno un punto informativo e di ascolto, un angolo della cura dove trovare hennè eprodotti naturali gestito dagli  adolescenti del “Centro Interculturale” e di “Asai”. Curioso lo “Swap party”, la festa per scambiarsi i vestiti che non si usano più, per non parlare degli interventi delle molte realtà teatrali operanti in Barriera che non mancheranno di dare il loro contributo, dal “Teatro Carillon”all’“Asola di Govi”, da “TzimTzum” ad “APS” e a “Onda Larsen”. Non mancheranno ovviamente momenti di animazione per i più piccoli, gestiti da “Ricette d’Africa” e “RenkenOnlus”, due realtà che operano all’interno degli spazi del “Bunker”, e dei “Bagni Pubblici” di via Agliè. Nel programma anche uno “Speakers Corner” (rivolto alle nuove idee in campo editoriale) e un tocco di poesia con “A/Traverso – Rassegna di poesia”, format che ha già proposto le presentazioni di ParimahAvani, poetessa iraniana, ai “Bagni Pubblici”  di via Agliè, e di Mister Caos, poeta di strada milanese, al circolo “La scimmia in tasca”  e alla Biblioteca “Primo Levi”. In questo caso, trattandosi di un’iniziativa all’aperto, verrà proposta una presentazione di poesie di alcuni autori attivi a Barriera di Milano. Infine, “corner radio” con “Radio Banda Larga”, “Radio Ohm” e “Spazio 211”.

g.m

L’amicizia

L’amicizia è uno dei miti più antichi: Eurialo e Niso, Finzia e Damone, Achille e Patroclo fino a Don Chisciotte e Sancho Panza e rappresentazioni cinematografiche come Amici miei o Yuppies.

Possiamo dire che l’amicizia sia innata nel genere umano perché l’uomo è un animale sociale, vive in gruppo e, specie nell’antichità, aveva bisogno di unire la sua forza a quella di altri per la caccia o per combattere quando non esistevano armi a distanza.

Molti di noi sono rimasti in contatto con i compagni delle elementari o delle medie nonostante siano passati decenni e forse sono proprio le amicizie più antiche quelle destinate a durare maggiormente: io vedo ancora i compagni delle elementari e delle medie, si partecipa agli inevitabili dolori che colpiscono ora l’uno ora l’altro, ci si aiuta dove e come si può anche se si sta talvoltamesi senza sentirci.

Poi incontri persone nuove, magari accomunate da un numero maggiore di affinità, ma l’amicizia non riesce a decollare e rimane una semplice conoscenza, seppur approfondita, destinata a naufragare nel giro di poco tempo o a rimanere tiepida.

Ma cos’è l’amicizia? E’ un sentimento tra due persone fra le quali vi sia una carica emotiva ed è basata su stima reciproca, affetto ed interessi comuni.

Un proverbio dice “Gli amici si vedono nel momento del bisogno”; peccato che alcuni lo intendano come bisogno loro: se non hanno bisogno spariscono per mesi o anni salvo ricomparire quando non sanno a chi rivolgersi.

Troppo spesso, tuttavia, l’amicizia viene confusa con l’opportunismo, la semplice conoscenza, la comunione di intenti quali la palestra, il calcetto, il lavoro o l’associazione cui si è entrambi iscritti.

Al giorno d’oggi l’amicizia ha però assunto una connotazione diversa, esagerata, e messa in discussione per la massiccia diffusione dei social. La possibilità di dialogare virtualmente senza mai incontrare di persona l’interlocutore hanno creato relazioni, chiamate amicizia, che con l’amicizia poco o nulla hanno in comune o che, se di amicizia si tratta, questa era presente dal vero prima dell’incontro sui social.

Ma quali sono i limiti da imporre ad un’amicizia? Vi sono diverse scuole di pensiero: alcuni ritengono che un amico vada sempre supportato ed i suoi comportamenti sempre condivisi; altri, al contrario, pensano che l’amicizia sia il motivo giusto per segnalargli i comportamenti sbagliati ed i gesti che si disapprovano. Ognuno segua la scuola che meglio rappresenta i propri convincimenti.

Di sicuro, coltivare un’amicizia richiede impegno, volontà e sacrifici; la ricompensa a tutto ciò è avere accanto qualcuno nei momenti che contano, siano essi gioiosi o tristi.

L’amicizia, e la capacità di contrarne di nuove, cambia proporzionalmente all’età: maggiore è la nostra età minore è il numero delle amicizie strette che ci circondano. Il motivo è da rinvenirsi nella maggior selettività da parte nostra, nel disincanto con cui ci avviciniamo alle persone e, non ultime, la memoria e l’esperienza di amicizie che ci hanno delusi.

Una cosa è sicura: l’amicizia non potrebbe mai sparire dalla vita e dalla cultura del genere umano.

Perché oggi, più che anni addietro, l’amicizia è così in crisi? Ritmi frenetici, impegni assunti per non fermarsi a pensare, carriera ci hanno portato ad aumentare l’individualismo cercando, semmai, il conforto che potrebbe darci un amico in uno smartphone, in un videogioco o nel branco col quale ci sentiamo forti, potenti, invincibili.

I genitori per primi, come la scuola, dovrebbero sviluppare nei figli il senso dell’amicizia, anziché fomentare l’eccessiva competitività e l’odio e non dovrebbero favorire, dalla più tenera età, una competitività basata sulla possibilità o meno di vestire con abiti griffati, di giungere a scuola col SUV anziché in autobus o di abitare in una villa anziché in un alloggio di edilizia popolare.

In una società dove è normale essere figli unici l’amico può essere la giusta compensazione alla mancanza di un fratello cui confidare problemi di cuore e cui chiedere consigli disinteressati.

Quando incontriamo qualcuno che potrebbe diventare un buon amico accantoniamo i pregiudizi sulla sua etnia, sulla differenza di età, sul ceto sociale o su eventuali difetti fisici e viviamo la frequentazione in modo lucido, senza fanatismi né preclusioni. Se la persona è quella giusta l’amicizia nascerà da sola, senza forzature, in modo silenzioso e si svilupperà giorno dopo giorno.

Condividere tutto con un amico non significa privarsi di qualcosa, ma arricchirsi di qualcosa.

Sergio Motta

A Torino 300 sindaci per riconoscere i figli delle coppie omogenitoriali

300 sindaci da tutta Italia sono giunti questa mattina al teatro Carignano di Torino, invitati dal sindaco Stefano Lo Russo

Obiettivo chiedere al governo diritti per le famiglie arcobaleno e poter tornare a trascrivere nei registri le adozioni dei figli delle coppie omogenitoriali.

In presenza e in collegamento video  i sindaci di Roma Roberto Gualtieri e di Trento Franco Ianeselli, di Milano Beppe Sala, di Napoli Gaetano Manfredi e di Firenze Dario Nardella. Al Carignano anche associazioni ed altri esponenti politici come l’ex sindaca di Torino Chiara Appendino: fu la prima nel nostro Paese a registrare tre figli di coppie gay e lesbiche.

Foto: Città Metropolitana di Torino

Bigbag presenta la nuova piattaforma di divulgazione social nata a Torino

Domenica 14 maggio la startup innovativa Bigbag svelerà in anteprima al pubblico la nuova piattaforma di divulgazione social nata a Torino

In occasione dei Torino Digital Days 2023, Bigbag Web S.r.l. startup innovativa e società benefit torinese, presenterà in anteprima la versione beta dell’app Bigbag, scaricabile da IoS e Androidi durante l’evento di domenica 14 maggio a partire dalle 14 presso il Porto Urbano, suggestiva location nella splendida cornice dei Murazzi del Po, uno dei luoghi più leggendari di Torino.. Ospiti e visitatori saranno i primi a poter scaricare e utilizzare pubblicamente la nuova piattaforma.

L’evento è stato progettato per offrire un’esperienza coinvolgente e memorabile a tutti i partecipanti, con un programma ricco di attività, intrattenimento e opportunità di networking.

Orgogliosi di rendere pubblica la nascita di Bigbag, i founder Paolo, Alessio e Lorenzo saranno protagonisti dell’evento insieme ai membri del team per guidare gli utenti, i divulgatori e gli ospiti alla scoperta di questa nuova piattaforma confrontandosi su vari aspetti del “mondo social”.

In controtendenza con i social network attuali, l’app Bigbag valorizza la qualità e l’autenticità dei contenuti, la privacy e la tutela degli utenti. La piattaforma è stata progettata per fornire una nuova esperienza improntata sul valore della condivisione di contenuti di qualità e l’interazione tra utenti.

Con esperti e divulgatori, miriamo a creare uno spazio virtuale in cui conoscenza e informazione di valore siano accessibili e condivise in un ambiente sano”

Non bisogna fare tanto, bisogna fare meglio!”

Bigbag si distingue per la sua struttura categorizzata su tre livelli, che consente di accedere ai contenuti in maniera più rapida e precisa in base ai propri reali interessi. Ogni area tematica è rappresentata da divulgatori ed esperti di settore accuratamente selezionati in modo da garantire la massima qualità ed autenticità dei contenuti.

Inoltre, Bigbag è impegnata a combattere l’odio online, a non utilizzare cookie per scopi commerciali e a premiare utenti e creator in base ad un approccio user-centrico e meritocratico, in modo da contrastare la diffusione di fake news e cattiva informazione.

Siamo convinti che Bigbag possa rappresentare l’evoluzione etica che incarna il futuro dei social network, grazie alle sue avanzate funzionalità, alla innovativa struttura e alla tecnologia. Siamo entusiasti di condividere questa esperienza e offrire un’alternativa autentica e di qualità ai tradizionali social network”.

Potete riservare sin da subito il vostro posto all’evento sul sito https://bigbag-web.com, inoltre, se desiderate essere tra i primi a scoprire la nuova app social, non perdete l’opportunità di diventare beta tester e di contribuire all’evoluzione di questa innovativa piattaforma. Potete candidarvi direttamente qui: https://bigbag-web.com/diventa-tester/ per sperimentarla in anteprima ed entrare a far parte della nostra community aiutandoci a migliorare l’esperienza degli utenti in un ambiente digitale sano e innovativo.

Info e contatti:

Sito web: https://bigbag-web.com

Programma: https://digitaldays.it/evento/bigbag-la-nuova-era-dei-social-network

Location: https://www.portourbanotorino.it

A Torino la prima sede di “Fridays For Future Italia”

Si chiamerà “Kontiki” e aprirà in zona Vanchiglietta, nei locali “Arci” dell’ex “Molo di Lilith”

Lanciato un crowdfunding per sostenerne l’iniziale attività

“Kontiki”. Il nome è lo stesso dato alla zattera (e al titolo del libro che ne descrive l’avventura) su cui l’esploratore e scrittore norvegese Thor Heyerdahl si imbarcò nel 1947 con altri cinque “sognatori” con l’obiettivo di attraversare l’Oceano Pacifico dal Sud America alle isole della Polinesia per dimostrare che la colonizzazione di quelle terre (fra Nuova Zelanda, Isola di Pasqua e Hawaii) potrebbe essere avvenuta in epoca precolombiana da parte di popolazioni del Sud America. Per dimostrare, cioè, “con la pratica e contro il parere di molti, che l’impossibile può diventare possibile”. Ciò che anche può accadere per gli ardui e attualissimi scopi con cui, a breve, aprirà a Torino la prima sede di “Fridays For Future Italia”, in zona Vanchiglietta, al civico 7 di via Cigliano, nei locali che ospitarono un tempo il “Circolo Arci”, il “Molo di Lilith”. E sempre “Circolo Arci” sarà anche il torinese “Kontiki”, nato dall’incontro fra l’“Arci” e il movimento che in Italia porta avanti le battaglie (ormai protesta su scala internazionale, dopo gli esordi nel 2018 con lo “Skolstrejk for klimatet” – “Sciopero scolastico per il Clima” dell’attivista svedese Greta Thunberg) a favore dello sviluppo sostenibile e del cambiamento climatico.

“ ‘Kontiki’ sarà uno spazio accessibile, inclusivo, una casa per tanti ragazzi e gruppi di attivismo ambientale che, finora, si erano sentiti apolidi. Un luogo che ospiterà incontri, spettacoli, presentazioni, aperitivi, pomeriggi di aula studio, laboratori con le scuole”. A parlare è Andrea John Dejanaz, presidente di “Giustizia Climatica Ora!” e attivista di “Fridays For Future Torino”, che aggiunge: “La crisi climatica sconvolgerà le nostre esistenze. Per questo crediamo che la priorità sia di immaginarsi la società del futuro e poterla sperimentare in spazi definiti come questo, facendola diventare al più presto il presente che vogliamo vivere”.

  1. a sua volta, parla cosìAndrea Polacchi, presidente “Arci Torino”:“Una delle funzioni del nostro Comitato è supportare nuove realtà che desiderano formalizzarsi, trovare una sede, aprire un circolo: ‘Kontiki’ è intanto frutto di questo accompagnamento, di cui sempre più associazioni hanno bisogno. Ma c’è di più: è il segno che ‘Arci’ accoglie le ragioni dei movimenti per la giustizia climatica, che sono state in grado di mobilitare un’intera generazione in questi anni. In ‘Arci’ quelle lotte possono saldarsi a quelle culturali, sociali, per i diritti. Aprire un circolo animato da comunità così giovani, poi, è sempre un processo emozionante. ‘Kontiki’ sarà un presidio importante per la città di Torino, un laboratorio di partecipazione, democrazia e attivismo”.

“La crisi climatica – conclude infine Marta Maroglio, portavoce di ‘Fridays For Future Italia’ – è qui e sta già colpendo le nostre vite. Le compagnie del fossile continuano a investire nella distruzione del nostro futuro e i governi sono loro complici. Dobbiamo costruire un cambiamento che parta dalle persone, dalla collettività. La sede torinese di ‘Fridays For Future’ sarà quindi un luogo d’incontro in cui immaginare e realizzare la società che vogliamo. Lottare per la giustizia climatica significa anche chiedere città più giuste, inclusive e vivibili».

In attesa dell’inaugurazione ufficiale – in programma, con un weekend di iniziative, dal 9 all’11 giugno prossimi, è stato lanciato un crowdfunding https://www.retedeldono.it/it/sede-di-fridays-for-future – per sostenere il lancio dello spazio e la sua sistemazione.

g.m.

Nelle foto:

–       Greta a Torino

–       “Fridays For Future” a Torino

Riflessioni su Venere: dea, capolavoro, influencer

Come non discuterne?


La bella e ondosa chioma bionda è tornata a far parlare di sé dopo secoli, un tempo allegoria del rinnovamento culturale del Rinascimento, oggi forse personificazione del nostro tempo caratterizzato da una generale mancanza di logos, passando da simbolo indiscusso di bellezza e sensualità, ad una moderna sciattaicona svuotata di ogni significato, una sorta di contemporanea versione alla Andy Warhol, ma priva del senso di critica e denuncia sociale che caratterizzava le opere della Pop Art.
Quante parole e quante contestazioni intorno alla vicenda della Venere influencer, eppure penso che abbiamo ben poco di cui lamentarci, giacché, a mio modestissimo parere, questa odierna rivisitazione ce la meritiamo tutta.

Lasciate che mi spieghi.
Sul finire del 1400 precisamente tra il 1485 e il 1486- Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi, meglio noto come Sandro Botticelli (1445-1510), dona al mondo una delle opere più strabilianti della storia dellarte: un mare leggermente increspato, piccole onde che si susseguono secondo un ritmo simmetrico quasi una decorazione da carta da parati-  mentre sullacqua si riflette un cielo terso. Dal lato sinistro del quadro si sporge Zefiro, ha le guance gonfie, soffia per far giungere lavvenente Venere sulla riva, mentre la bella Clori si lascia avvolgere dal dio in un eterno abbraccio aggraziato. Dallaltro lato della tela, una fanciulla, probabilmente una delle Ore o delle Grazie- porge con gesto gentile alla dea una veste, indumento che è di per séun tripudio di decorazioni naturalistiche, le pieghe della stoffa sono riccamente ricamate con primule, rose e rami di mirto, pianta sacra alla stessa Venere e raffigurata anche nellaltrettanto celebre dipinto dello stesso autore, la Primavera.
Al centro della composizione, lo strabiliante artista, allievo di Filippo Lippi, pone Venere.  La splendida figura si staglia nuda allinterno di una conchiglia aperta, che la porta sulla marina, con un atteggiamento di timida riservatezza che tuttavia non la salvaguarda dal trasudare elegante sensualità. Lautore, che apprende le lezioni del Verrocchio e del Pollaiolo, è anche profondo conoscitore dellarte classica, motivo per cui i tratti di Venere/Afrodite  si fanno preziosi e leggiadri, ma altresì ispirati alla statuaria greca; secondo la tradizione iconografica della Venere pudica, la sempiterna fanciulla con una mano si copre il pube e con laltra il seno, mentre i lunghi capelli le incorniciano il volto e contribuiscono a coprire la nudità del corpo.
Il soggetto raffigurato è ripreso dalle Metamorfosi di Ovidio (poeta romano I a.C. – I d-C.), tematica già rappresentata nelle Stanze di Agnolo Poliziano e in generale argomento assai apprezzato e conosciuto presso la corte intellettuale della famiglia Medici.
È bene precisare che, nonostante la titolazione Nascita di Venere, il momento ritratto è lapprodo di Afrodite presso lisola di Cipro.
Come la celeberrima Primavera, anche questopera risponde al diffondersi del neoplatonismo presso la corte di Lorenzo il Magnifico, figura essenziale del Rinascimento, uomo colto e dai gusti raffinati, che amava circondarsi di artisti, filosofi ed intellettuali.
Secondo la filosofia neoplatonica lamore è principio vitale e forza del rinnovamento della natura, per tale motivo lopera del Botticelli va letta come celebrazione e allegoria della nascita di una nuova umanità, rappresentata proprio da Venere, la cui nudità diventa pura sublimazione del concetto di bellezza, esimio tentativo, da parte del pittore, di canonizzare i paradigmi estetici del pensiero di Plotino, per il quale la mimesi non è più pensata come copia del reale, ma come copia del modello ideale, ossia come idealizzazione.
Per secoli tale capolavoro si è fatto amare, senza alcuna difficoltà, perché il bello colpisce il cuore e la mente e non può che lasciare lo spettatore senza fiato.
Per secoli, appunto, fino alla nostra attualità, asettica e adiafora, ossia indifferente.
Silenzio che si è quietato giusto fino al 2020, il tempo di un battito dali duna farfalla o di una storia su instagram, quando la più che nota Chiara Ferragni ha solcato i vasariani corridoi degli Uffizi.
E poi di nuovo il nulla.
Ma ecco allimprovviso il riapparire di quella inconfondibile chioma bionda.
È la nostra Venere, solo che ora non rappresenta più lidea botticelliana, bensì la nostra. È tutta moderna, ora la bella Afrodite: alla faccia del body positive o del girl power, si presenta abbigliata da radical chic, non mostra nemmeno un centimetro dellantica perfezione e sembra sorridere inebetita accanto alla sua bicicletta ecosostenibile, mentre presenta al mondo unItalia stereotipata -che poi come sappiamo Italia non è-.
Questa tanto dibattuta Venere mondana è leffigie dellaltrettanto discussa campagna promozionale Open to meraviglia, voluta dal Ministro del Turismo Daniela Santanché e costata ben 9 milioni di euro. Le problematiche paiono essere effettivamente complesse, al punto che il caso è finito in parlamento con laccusa   di grave danno di immagine al Paese. Gli scivoloni in effetti sono molteplici, èinnegabile, e grossolani, per lo più traduzioni errate e locazioni geografiche inesatte. Solo un esempio: sul sito si legge che Palladio interviene, per ledificazione della Basilica Palladiana, sul preesistente Palazzo della Regione, in realtà Palazzo della Ragione, definizione data alledificio poiché lì si esercitava la ratio.
A far discutere sono anche le immagini da cartolina pizza e mandolino, che per altro non sono nemmeno state realizzate sul territorio. E infine questo claim ibrido e maccheronico che richiama quel Verybello voluto nel 2015 dal Ministero dei Beni culturali, espressione per altro ritenuta inadatta e poco internazionale.
Insomma questa trovata pare fare acqua da tutte le parti.
Eppure non sono tali numerosi errori a colpire la mia attenzione.
Mi pare, a guardarla bene, che sul volto della mirabile Afrodite non ci sia più un aggraziato sorriso, ma un ridere sommesso e beffardo, una smorfia celata e trattenuta da photoshop, una presa in giro rivolta a noi, noi osservatori automatici, a noi incapaci di agire attivamente e icon criterio, a noi che come s**** rimaniamo a guardare per dirla parafrasando il titolo di un film di PIF, geniale quanto veritiero.
Quello che penso è che questa Venere influencer ce la meritiamo.
Come la Dea botticelliana era allegoria della ratio rinascimentale, dell uomo misura di tutte le cose e della nuova umanità illuminata, questa contemporanea Venere influencer è perfetta metafora del tempo in cui stiamo vivendo.
La storica bellezza lascia spazio ad un aspetto banalizzato e standardizzato, la simbolica nudità che esaltava la perfezione del corpo è ora censurata con abile e subdolo moralismo, infine lo slogan, così tristemente scarno, riecheggia la pochezza di contenuti inculcata dalla cultura del Social.
Non è dunque lattualizzazione ironica dellicona rinascimentale, bensì una sorta di nemesi: una fanciulla vacua e vaga truccata da capolavoro, personificazione ad hoc di una società dove la leggerezza spadroneggia, i ruoli si sfaldano e nessuno vuole assumersi le proprie responsabilità.
Lo dimostrano le recenti circostanze, in particolar modo i fatti riguardanti la scuola.
Il sistema educativo si sta sgretolando, sta cedendo il luogo in cui i ragazzi vengono istruiti, in cui si concretizzano i verbi latini disco e nosco secondo le accezioni più late dei termini.
Le cose funzionavano bene fino a non troppo tempo fa. La famiglia ricopriva il suo ruolo essenziale per la crescita dei giovani, parimenti la scuola contribuiva alla formazione del futuro cittadino (secondo quanto sostenuto nel documento chiamato Patto di Corresponsabilitàtra Famiglia e Istituzione), rivestendo un ruolo chiave nella crescita dellindividuo, il quale si preparava così ad inserirsi attivamente nella collettività.
Dun tratto i due nuclei non hanno più viaggiato in parallelo, luno ha improvvisamente debordato nellaltro, che a sua volta ha perso senso di fermezza e concretezza. Di nuovo andrei a ricercare le cause in questa violenta e forzata intromissione tecnologica nelle nostre vite.
Scusate poi se mi appello a quello che è propriamente il mio campo: lo abbiamo già dimenticato il casus belli del David di Michelangelo? Una vicenda che come sempre ha acceso gli animi per qualche pomeriggio, poi è passata in sordina: Hope Carrasquilla, preside della Classical School di Tallahassee, in Florida, è costretta a rassegnare le dimissioni per aver mostrato la statua del David di Michelangelo Buonarroti durante una lezione di arte -tra laltro proprio sullarte del Rinascimento italiano- in seguito alle proteste dei genitori degli alunni, i quali hanno accusato la docente di pornografia.
Certo, è successo lontano da noi, nella stessa terra misteriosa dove la Cancel Culture vuole eliminare Dante e Omero dai programmi scolastici perché ritenuti offensivi e razzisti, nello stesso luogo in cui i grandi classici della Disney sono eliminati dalla storia della filmografia e con la stessa ignorante presunzione vengono trattati alcuni capisaldi del cinema internazionale (Via Col vento giusto per citarne uno).
Eppure è la stessa patria che guardiamo con fascinazione e adorazione, è la stessa America che vogliamo tanto imitare, quindi scusate se mi indigno e un po mi spavento.
In più vi confesso, certo non a questi assurdi livelli, ma anche nelle nostre scuole tutte italiane noi docenti dobbiamo entrare in classe in punta di piedi, non tanto per timore dei ragazzi, ma per le eventuali rimostranze che potrebbero giungere da casa.
Lo dico sorridendo, ma pensatemi mentre spiego Storia dellArte, che praticamente è tutta un nudo e quando non si parla di religione si tratta di scene di violenza! Cosa dovrei spiegare? Forse rimangono alcune opere fiamminghe, ma non possiamo soffermarci solo sul genere natura morta che poi per lo più si tratta di scene di vanitas e qualcuno potrebbe comunque sentirsi turbato allidea di sfiorire e non essere immortale-.
A me in primis era capitato qualche anno fa: una mamma mi aveva atteso fuori da scuola, per dirmi che era contraria alla consegna che avevo assegnato alla figlia (un disegno attraverso il quale i ragazzi avrebbero dovuto esprimere ciascuno le proprie emozioni): classe I media, studio delle emozioni, con tanto di spiegazione e restituzione del lavoro da parte mia ad ogni fine ora, completo di confronto attivo tra gli alunni, basato su riflessioni e raffronti. Lezioni a cui per altro lalunna in questione partecipava volentieri, senza ansie né traumi.Ricordo che la vicenda si era poi conclusa senza eccessive difficoltà, qualche delucidazione in più e una spiegazione accurata di quanto avveniva in classe avevano appianato i dubbi della madre che si era dimostrata aperta al dialogo.
Accade qualche giorno fa vicino Napoli. Alcuni genitori, membri dellAssociazione Borromeo, protestano perché la classe dei figli realizza, sotto la supervisione del docente, un film horror, attivitàche, a detta di tali individui, è di cattivo gusto  e senza un finale educativo. Il filmato però tratta tematiche importanti e di grande attualità quali il bullismo, lemarginazione, la violenza in etàadolescenziale, ma anche lamicizia e la rivalsa; inoltre gli alunni vengono preparati studiando testi specifici, quali alcuni romanzi di Stephen King, maestro per eccellenza della letteratura horrorcontemporanea, abilissimo scrittore  e uomo di grande cultura e genialità, insomma non proprio improvvisando su filmati di serie B o libri privi di messaggio come certe saghe dark che poi riscuotono pure troppo successo.
Sono davvero numerosi i casi in cui la scuola, e i componenti di tale comunità educante, devono retrocedere a favore di questa prepotenza diffusa, basata su villania e ignorantaggine.
Ad oggi non mi crea sconcerto lappunto di un signor nessuno, ma temo grandemente il fatto che queste assurde prese di posizione non solo vengano ascoltate, ma abbiano spesso la meglio sulle scelte didattiche e sulle metodologie educative impiegate del docente, che per altro è un professionista dellerudizione, pagato (molto poco) per istruire i ragazzi e prepararli alla vita, non solo allinterrogazione imminente.
Questi sono i veri atteggiamenti che sminuiscono il ruolo del Professore, non i rapporti più o meno stretti che talvolta si instaurano allinterno della classe, non gli strumenti e i metodi che gli insegnanti decidono di adottare, e non è nemmeno colpa dei banchi a rotelle o dei libri di testo digitali.
La colpa è dei padri e delle madri di questa Venere influencer.
Che poi è figlia nostra, di noi adulti, dei miei coetanei, di questa bizzarra generazione che crede di sapere tutto, che non vuole vedere i propri figli crescere perché ciò significherebbe invecchiare, che non basta a se stessa e perciò sproloquia su tutto, che non ha ancora capito i cambiamenti che ormai sono avvenuti e colpevolizza le nuove generazioni.
Questa Venere influencer non ha proprio nulla di sbagliato, al contrario.
Solo che guardarsi allo specchio talvolta può essere doloroso.

ALESSIA CAGNOTTO

Case alloggio: di cosa parliamo quando parliamo di futuro

Al convegno di apertura dell’incontro nazionale del 

Coordinamento Italiano delle Case Alloggio per persone con HIV/AIDS (C.I.C.A.)

 

Mercoledì 10 maggio alle ore 15

Presso Cascina Roccafranca, via Rubino, 45 a Torino

Saluti:

Maurizio Marrone, assessore Regione Piemonte alle Politiche sociali e dell’integrazione socio-sanitaria

Jacopo Rosatelli, assessore Comune di Torino alle Politiche sociali, salute, casa, diritti e pari opportunità

Maria Deghi, presidentessa nazionale del C.I.C.A

Giuliano De Santis, presidente Associazione Giobbe

Intervengono:

Felice Di Lernia, antropologo ed esperto di lavoro sociale

Marco Brunetti, vescovo di Alba, delegato della Conferenza  Episcopale Piemontese per la pastorale della salute e per latutela dei minori

Alberto Anfossi, segretario generale della Fondazione Compagnia di San Paolo

Giancarlo Orofino, medico infettivologo, responsabile assistenza domiciliare dell’ospedale Amedeo di Savoia di Torino

Stefano Arduini, giornalista, direttore di VITA

Alessio Gatta, direttore della cooperativa sociale Inchiostro

Torino ospita, dal 10 al 12 maggio l’incontro nazionale del C.I.C.A. (Coordinamento Italiano delle Case Alloggio per persone con HIV/AIDS). Una realtà diffusa in tutta Italia che, quotidianamente, oltre a prendersi cura degli oltre 600 ospiti colpiti da AIDS presenti a tempo pieno nelle 53 strutture associate, promuove iniziative di formazione, prevenzione e di ricerca, legate all’HIV. Una grande opportunità di dialogo e confronto per conoscere le problematiche legate al mondo della sieropositività e tracciare la strada per meglio rispondere alle richieste di una società in continuo cambiamento e all’evoluzione della malattia e delle cure: «È un’occasione particolarmente importante per ricordarci che l’HIV/AIDS esiste ancora – sottolinea Giuliano De Santis, presidente dell’Associazione Giobbe -. Nonostante gli obiettivi posti dall’OMS di debellare la malattia entro il 2030, questa non sparirà a breve, anzi, anche a causa dell’Epidemia di Covid, rimane una malattia subdola di cui si parla troppo poco e per questo è alto il rischio di nuove infezioni».

L’incontro è organizzato da Casa Giobbe, realtà torinese, gestita dall’associazione Giobbe, che fa parte del C.I.C.A. e che dal 1990 è attiva nell’accoglienza e sostegno ai malati di AIDS. L’appuntamento di Torino, dove saranno presenti esponenti di tutte le case alloggio, prevede anche la partecipazione di ospiti provenienti dalle varie residenze: «Sarà sicuramente un’occasione – conclude Giuliano De Santis – di confronto per gli operatori che lavorano nelle case alloggio, che in tutta Italia cercano di dare risposte al disagio che ancora accompagna la condizione di sieropositività, ma anche d’incontro con alcuni ospiti con HIV, perché insieme possono aiutarsi e aiutarci a trovare soluzioni più efficaci per rispondere allo stigma che ancora oggi l’HIV porta e a trovare strategie atte a prevenire, se non ad azzerare, l’ulteriore diffusione della malattia».

Per informazioni e adesioni:

Associazione Giobbe, ufficio stampa, Valter Musso valtmusso@gmail.com 

Misteri e paranormale, il Cicap indaga al Salone del Libro

Il CICAP parteciperà alla trentacinquesima edizione del Salone del Libro di Torino. È ormai una tradizione, per il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze, prendere parte al più importante evento culturale italiano, che si svolgerà al Lingotto Fiere di Torino da giovedì 18 a lunedì 22 maggio 2023.

Tutti i giorni del Salone, volontari ed esponenti del CICAP saranno presenti allo stand F35 del padiglione 2: saranno a disposizione per incontrare il pubblico e far conoscere storia e presente del Comitato fondato, fra gli altri, da Piero Angela. Sarà inoltre possibile consultare e acquistare tutte le pubblicazioni dell’associazione e ricevere informazioni sulle prossime iniziative, come, ad esempio, il CICAP Fest 2023, in programma a Padova dal 13 al 15 ottobre.

 

Sabato 20 maggio, dalle 15 alle 16, lo stand del CICAP ospiterà un incontro con Claudia Di Giorgio, direttrice di Query, la rivista ufficiale del Comitato, che risponderà a domande e curiosità sulla nuova linea editoriale, unita alla nuova veste grafica, della rivista del CICAP.

 

Cos’è il CICAP?

Il CICAP (Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sulle Pseudoscienze) è un’associazione di promozione sociale, scientifica ed educativa, che promuove un’indagine scientifica e critica nei confronti delle pseudoscienze, del paranormale, dei misteri e dell’insolito con l’obiettivo di diffondere il metodo scientifico e lo spirito critico. Il CICAP nasce nel 1989 per iniziativa di Piero Angela e di un gruppo di scienziati, intellettuali e appassionati, ed è oggi presieduto dal professor Sergio Della Sala.

 

Per seguire il CICAP www.cicap.org