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Non sono bella, piaccio

Ogni epoca ha avuto il proprio ideale di bellezza, i propri canoni ed il relativo maquillage; in questo articolo tratterò in particolare la bellezza femminile.

Nell’antico Egitto, e la scoperta della tomba di Tutankhamon lo dimostra, le donne conoscevano ed usavano l’eye-liner.

Nell’antica Grecia, per esempio, nelle donne erano apprezzate le forme sinuose, vengono raffigurate con fianchi larghi e con seno e glutei rotondi, sodi ma non troppo prominenti.

Arriviamo alla civiltà romana, dove la ricerca della bellezza riguarda anche gli uomini. Le donne devono avere occhi grandi e ciglia lunghe; anche qui troviamo testimonianze dell’uso dell’eye-liner ottenuto mescolando antimonio, fuliggine e piombo applicato con un attrezzo realizzato appositamente in osso o legno; un finto neo, nell’angolo superiore della bocca, era un’aggiunta ulteriore che, a seconda della posizione, comunicava qualcosa di preciso a chi lo guardava.

Attraversando i vari secoli, il concetto di bellezza ha subito profondi cambiamenti, particolarmente con la conoscenza di nuove civiltà con le loro tradizioni.

Mai come nella nostra epoca, però, la bellezza e, in generale, l’aspetto fisico hanno avuto tanta importanza da discriminare chi non rispecchi determinati canoni o non si adegui allo stile imperante.

Nell’immediato primo dopoguerra assistiamo ad una bellezza femminile quasi androgina, poco seno, capelli alla “garçonne”; i capelli lunghi sono fuori moda, compaiono i pantaloni anche per le donne.

Gli anni 30 del secolo scorso vedono un ritorno alla sensualità, alla femminilità: icone come Marlene Dietrich, anche se è vestita spesso da uomo e fuma, o Greta Garbo sono il modello cui molte donne si ispirano.

Via via attraverso i decenni assistiamo ad un cambiamento continuo di stili, di mode, di acconciature; il clima politico ed economico influenzano enormemente le tendenze: dalla minigonna degli anni 60, in pieno boom economico, alla gonna maxi nel periodo delle contestazioni femministe, per giungere ai jeans quando si comincia a parlare di parità).

Mai come ai giorni nostri, però, la bellezza è stata da un lato trascurata o travisata e, al contempo, usata come mezzo di discriminazione già in tenera età.

Con la complicità dei social, chiunque si discosti dalla bellezza ideale di quel momento viene additato come se fosse un untore, un individuo in grade di nuocere alla società, indegno di farne parte.

Nel film “Vacanze di Natale” la scena tra Billo (Jerry Calà) ed il proprietario del locale in cui Billo suona è diventata iconica. Billo è sempre circondato da donne molto belle e, per questo, spesso si distrae dal suo compito. Il proprietario del locale lo apostrofa “Ma cosa ci troveranno mai le donne in un pupazzo come te?” E Billo pacificamente risponde “Non sono bello, piaccio.”

Per definire questo disprezzo, questa discriminazione a seconda dell’aspetto fisico rispondente o no a determinati canoni è stato coniato il termine bodyshaming.

Questo senso di inadeguatezza, spesso inculcato dalle persone che ci sono più vicine, che noi consideriamo positive ma che, evidentemente, non lo sono affatto porta ad un vero e proprio distress, per risolvere il quale non di rado chi ne sia affetto ricorre a sedute di psicoterapia, prodotti cosmetici costosi, sedute in palestra o continui acquisti di nuovi abiti mentre la cosa, banalmente, più efficace sarebbe non curarsi di quelle critiche.

Chi ha stabilito cosa sia meglio? O cosa sia giusto? O cosa sia bello? Spesso una ragazza o anche una donna matura che mi chiede un servizio fotografico, soprattutto se sono sessioni di fotografia terapeutica, mi dice, con tono di domanda indiretta:“Dovrei perdere qualche chilo” oppure “Dovrei eliminare un po’ di cellulite”. solitamente rispondo che non è con me che deve parlarne ma col suo medico: se il sanitario ritiene che il suo sovrappeso sia dannoso per la salute (cuore, ginocchia, colonna vertebrale, ipertensione) allora adotterà i provvedimenti opportuni (dieta, attività fisica, ecc).  Ovviamente giro la domanda alla ragazza: “perché vuoi dimagrire?” Quasi sempre la risposta è perché “mi sento grossa”, “perché sembro un baule”, “perché nessuno mi guarda”.

E’ evidente che sia una motivazione che nasce dalla modella stessa, perché si paragona con i modelli sbagliati che la pubblicità ci propina con ogni mezzo, perché associa la riuscita sentimentale delle sue amiche al loro aspetto fisico (trascurando che spesso hanno trovato un qualcuno che era stato scartato da tutte le altre) ed è altrettanto evidente che il mondo circostante rafforzi questa sensazione isolando chi non rispecchi determinati parametriperché sovrappeso, strabico, senza capelli perché calvo o sottoposto a chemioterapia, o patologicamente magro perché paziente oncologico.

L’attrice Martina Colombari ha posato di recente senza alcun makeup dichiarando che “È una lotta, quella all’aspetto ideale, che impegna con accanimento crescente le donne fin dall’età pediatrica e poco importa se questo feticcio di adeguatezza ad uno standard artificiale e malsano venga raggiunto a prezzo di un imponente disagio psicologico, minaccia all’identità sociale, dispercezionecorporea, disturbi della nutrizione, dell’alimentazione e dell’umore che lasciano strascichi nell’arco dell’intera esistenza. Questa idea di bellezza è il burqa dell’occidente dietro cui si nasconde tutto il resto che costituisce il vero valore di una donna: la sua essenza, unicità, i suoi talenti e capacità”

Secondo voi le compiante Rita Levi Montalcini o Margherita Hack, Maria Montessori o Anna Magnani, Nilde Iotti o Hannah Arendt sono diventate famose per il loro aspetto fisico, per la loro avvenenza?

Personalmente, e so di non essere l’unico, ritengo che chi affida unicamente al proprio fisico il compito di renderlo famoso, lo faperché non possiede altro; inoltre, e mi rivolgo soprattutto alle donne, pensate che il fisico prima o poi ci abbandona per l’età, un infortunio, le gravidanze o fattori epigenetici: come pensate di vivere quando il vostro fisico non attrarrà più gli sguardi di chi incontrate?

Ora mi rivolgo ai maschietti: quando non potrete più valorizzare opportunamente il fisico della vostra compagna, sarebbe opportuno che cultura, dialogo, ironia occupassero i vostri momenti; pensateci, quando scegliete una compagna o criticate la compagna di qualcun altro; non soppesate la vostra compagna per ciò che può darvi, esteticamente o culturalmente; pensate a ciò che avete da offrirle voi.

Sergio Motta

Donna: immagini e poesie

Una Mostra Fotografica e Poetica si terrà il prossimo 4-5 marzo a Rivarossa

 DONNA: IMMAGINI E POESIE 

un interessante connubio fra scatti fotografici e versi poetici per raccontare scorci del mondo femminile… in occasione appunto della festa della donna.

Le foto sono della fotografa Donata Ponchia e le poesie della poetessa Barbara Barducco.

L’evento si terrà a Rivarossa presso la Sala Consiliare Comunale  in Via Frescot 21

L’apertura della mostra è  prevista alle ore 16 di sabato 4

domenica 5 esposizione dalle 9,00 alle 18,00.

Il futuro dell’impresa in una ricerca del Politecnico. Crescono gli incubatori e acceleratori in Italia

Più di 3600 startup incubate, circa 1700 dipendenti e un fatturato di oltre 550M€. Oltre il 50% degli incubatori supporta startup a significativo impatto sociale o ambientale.

 

Il team di ricerca Social Innovation Monitor (SIM)con base al Politecnico di Torino ha presentato i risultati delle analisi relative all’ecosistema degli incubatori e acceleratori in Italia.

Dal Report emerge che gli acceleratori e gli incubatori nel nostro Paese sono 237 e occupano un totale di circa 1700 dipendenti; la maggior parte opera nel Nord-Ovest della nostra penisola, con prevalenza in Lombardia, dove ne sono presenti 57. Nel resto del Paese si distinguono per il loro impegno Emilia-Romagna, Lazio, Toscana e Campania, rispettivamente con 29, 22, 18, 16 incubatori.

Gli incubatori e acceleratori sono un importante elemento del sistema imprenditoriale evidenzia Davide Moro, vicedirettore della ricerca. Secondo il report SIM, infatti, gli incubatori e acceleratori sul territorio hanno incubato circa 3600 startup e hanno fatturato circa 550 M€.

In Italia, più della metà degli incubatori (57%) sono costituiti come società a responsabilità limitata. Il 17% sono invece società per azioni. Tra le altre forme giuridiche più comuni troviamo SCARL, SCPA, fondazioni, consorzi e SocCoop.

Per quanto riguarda i principali servizi offerti dagli incubatori il primo risulta l’“accompagnamento manageriale”, seguito da “supporto allo sviluppodi

 

relazioni” e dal “supporto alla ricerca di finanziamenti”. Altri servizi rilevanti sono la fruizione di spazi fisici e la formazione imprenditoriale e manageriale.

Il valore aggiunto apportato da incubatori e acceleratori nel nostro ecosistema non si limita al supporto alla nascita di nuove organizzazioni.  L’86% degli incubatori e acceleratori hanno infatti dichiarato di svolgere anche attività non direttamente riconducibili alle attività di incubazione e accelerazione. Tra le attività più frequenti troviamo partecipazione a progetti e bandi, gestione e promozione di eventi, attività a titolo oneroso di scouting e open innovation per aziende corporate e/o altri soggetti, servizi di coworking.

Come per gli anni precedenti, anche questo Report ha posto un focus speciale sull’impatto sociale e ambientale degli incubatori e delle startup incubate.

Circa la metà degli incubatori e acceleratori in Italia rientra nella categoria “Business Incubator”, mentre l’altra metà rientra nella categoria “Mixed” o “Social Incubator”. Dalle analisi del report risulta che un incubatore su due supporta organizzazioni a significativo impatto sociale o ambientale.

I settori più rappresentati, per le organizzazioni incubate a significativo impatto sociale o ambientale, sono quelli relativi alla salute e benessere (incluso sport) e sviluppo della comunità.

Nel corso del 2021 sono stati creati 16 nuovi incubatori (e diversi incubatori nati negli anni precedenti hanno cessato le loro attività). Il numero degli incubatori nati nel 2021 risulta in crescita rispetto all’anno 2020, probabilmente in parte per la generale ripresa di tutti i settori dalla situazione pandemica.

Quest’anno la ricerca ha analizzato anche gli acceleratori creati a partire dal 2021 da Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) nella «Rete Nazionale Acceleratori CDP – Venture Capital». Alla fine del 2021 risultavano avviati i primi 8 dei 16 acceleratori della rete. Tali acceleratori, realizzati in partnership con altri soggetti, sono distribuiti uniformemente nel territorio italiano: sono stati avviati 5 acceleratori nel Nord-Ovest della penisola, 4 nel Nord-Est, 4 nelle regioni del Centro e 3 in Sud e Isole.

Come dichiarato dal Direttore della ricerca, Prof. Paolo Landoni “oltre ad essere ripresa, la crescita degli incubatori e acceleratori si sta anche specializzando. Non solo gli Acceleratori CDP hanno dei focus verticali, altri soggetti si stanno concentrando su diversi settori o diversi approcci, come quelli già visti l’anno scorso del venture builder e degli startup studio. Per questo motivo quest’anno oltre all’approfondimento sugli acceleratori CdP abbiamo anche iniziato a differenziare tra incubatori e acceleratori”.

L’attenzione all’ecosistema degli incubatori arriva anche dal governo e dalle istituzioni. All’evento di presentazione del report hanno infatti partecipato Stefano Soliano, Vice Presidente di Innovup, Giorgio Ciron Direttore di Innovup, Federica Garbolino, Responsabile mercato e servizi di Invitalia, Stefano Molino, responsabile Fondo Acceleratori di CDP Venture Capital SGR e Maurizio Montemagno, Direttore Generale per la politica industriale, l’innovazione e le piccole e medie imprese.

“I risultati della ricerca ci restituiscono la realtà di una filiera dell’innovazione in salute, ma con ancora un grande potenziale inespresso. Per creare un meccanismo di crescita virtuoso per le startup e i centri di innovazione coinvolti oggi, una revisione del contesto normativo attuale è più che mai necessaria, sia per quanto riguarda le definizioni e per le agevolazioni previste per i soggetti che già vi partecipano, sia e per tutti coloro che vorrebbero farne parte” conclude Stefano Soliano, Vice Presidente di Innovup.

“NO MUSIC NO REVOLUTION” Iran, oltre 100 anni di lotta per la libertà

OFF TOPIC

presenta

 

Uno spettacolo storico e musicale dell’Iran rivoluzionario

 

Colloquio con Hamid Ziarati

 

con la partecipazione musicale di 

Siavash Guil (Cantautore e Musicologo), Saber Partov (Cantautore e Chitarrista) e

Kevyan Majidi (Cantante)

 

 

Mercoledì 1 marzo, ore 19 

 

OFF TOPIC
via Giorgio Pallavicino 35 – Torino

 

Prenotazione per cena consigliata, scrivendo al #Bistrò di OFF TOPIC su WhatsApp al 388.446.3855

 

Mercoledì 1 Marzo OFF TOPIC presenta “NO MUSIC, NO REVOLUTION”: Iran, oltre 100 anni di lotta per la libertà. Dalle ore 19, uno spettacolo storico e musicale sull’Iran rivoluzionario, con una sfida: ripercorrere la storia delle varie rivoluzioni iraniane fino a quella in atto attraverso le canzoni e le musiche che le hanno segnate e che l’accompagnano anche ora.

 

A partire dai primi anni del ‘900 l’Iran ha infatti vissuto diverse rivolte e rivoluzioni con un unico obiettivo: l’instaurazione di un sistema democratico basato sulla volontà popolare. Ognuno di quei momenti ha influenzato le opere degli artisti coinvolti lasciando una traccia indelebile anche nelle generazioni future. In particolare – grazie alla loro forza unificatrice – le composizioni musicali, le canzoni e gli inni nati durante o immediatamente dopo quegli eventi cruciali, sono durati nel tempo arrivando fino ai giorni nostri. Un passaggio di testimone nella Storia, di generazione in generazione.

 

Al centro di questa sfida uno spettacolo di musica e parole che porta al fianco  dell’ingegnere e scrittore di Torino Hamid Ziarati nato a Teheran nel 1966, gli artisti Siavash Guil, laureato presso l’università degli studi di Torino e di Bologna in musicologia e cantautore, Saber Partov, studente di Medicina presso l’università di Torino, cantautore e musicista e Keyvan Majidi, studente di ICT presso Politecnico di Torino, Cantante.

 

 

OFF TOPIC – Hub culturale, Via Giorgio Pallavicino 35

Ideare, valorizzare, educare, diffondere e connettere: questi i principi su cui si fonda OFF TOPIC, l’hub culturale della città di Torino, progetto del Torino Youth Centre, riconosciuto dal Comune di Torino come Centro di Protagonismo Giovanile il cui direttivo è formato da Goodness Ac, Klug APS, Cerchio di Gesso.

Il Torino Youth Centre è l’associazione di secondo livello che attraverso una progettualità di rete, coordina il funzionamento, le attività e gli spazi di Via Pallavicino 35, rendendo OFF TOPIC hub culturale e sede di attività formative (corsi, workshop, conferenze) e co-working, residenze artistiche, musica live, teatro, proiezioni, reading e eventi off di rassegne cittadine, attività sociali e di promozione del territorio.

 

 

OFF TOPIC

via Giorgio Pallavicino, 35 – 10153 Torino

 

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L’effetto Dunning-Kruger

Capita piuttosto spesso di incontrare persone che decantino la loro conoscenza in un determinato settore, salvo smentita da parte di chi realmente sia esperto in tale materia come pure succede che qualcuno, realmente dotato, esperto e qualificato si sottostimi, non attribuisca il giusto valore alla propria capacità e, in generale, ritenga il lavoro altrui più meritevole o maggiormente valido.

A studiare questa distorsione cognitiva furono gli psicologi David Dunning e Justin Kruger, a cavallo tra il millennio scorso e quello attuale.

In cosa consiste? Secondo i due studiosi nelle persone si manifesta questa distorsione perché esiste una forte mancanza di consapevolezza di sé, che porterebbe a sottostimare le proprie competenze.

Per contro, però, vi è una fase nella quale l’individuo tende a sovrastimare le proprie conoscenze, anche quando siano mediocri, con il rischio di valutare erroneamente un fenomeno o giudicare da incompetente un evento.

Emergono, quindi, due aspetti importanti: il primo è che spesso ci si crede, in un certo campo, peggiori di quanto siamo in realtà e questo contribuisce a diminuire la nostra autostima; il secondo è che la sovrastima ci impedisce di vedere questa “incompetenza”.

Nel grafico osserviamo come, dopo un picco di sopravvalutazione dovuta ad una totale inesperienza, la fiducia in noi stessi diminuirà all’aumentare della conoscenza.

In questo caso non possiamo dire “In medio stat virtus” perché è proprio chi possegga una conoscenza media a sentirsi inadeguato; quando la conoscenza diventa approfondita, invece, si ottiene una fiducia corretta in sé stessi.

Come fare a sopravvivere in un mondo di social media, nel quale tutti sanno tutto di ogni materia disorientandoci ed essendo essi stessi disorientati? L’effetto Dunning-Kruger stesso può fornirci la risposta: se ci rendiamo conto di non conoscere una materia o di conoscerla in modo approssimativo dobbiamo sentirci in dovere di approfondire la conoscenza, di colmare le nostre lacune e di soddisfare la curiosità che il non sapere qualcosa genera.

Riferendosi alla società, come al singolo individuo, possiamo sostenere che la fiducia e la conoscenza sono un’accoppiata vincente per la crescita e che l’umiltà di ammettere di non sapere è il passaporto per imparare sempre più. “So di non sapere”: con questa frase Socrate precedeva di quasi 2400 anni gli studi di Dunning-Kruger.

E ricordate: solo gli ignoranti sono sicuri di avere sempre ragione.

Sregio Motta

Cure psicologiche primarie Il Piemonte da marzo è Regione pilota

Nel mese di marzo entrerà nella fase operativa il progetto “Psicologo delle cure primarie”, che coinvolgerà tutte le aziende sanitarie locali e che farà del Piemonte la prima Regione italiana ad offrire ai propri cittadini questo servizio.

Finanziato con 1,8 milioni di euro di fondi statali, ha l’obiettivo di individuare per ogni Asl psicologi che diventino punto di riferimento continuativo sul territorio per chi necessita di una prima presa in carico di tipo psicologico.

“Continuiamo nell’impegno messo in campo già in piena emergenza Covid – sottolineano il presidente Alberto Cirio e l’assessore alla Sanità Luigi Genesio Icardi – Un’attenzione e un servizio importante ancor più alla luce del grande disagio causato dagli anni di pandemia in moltissime persone, in particolare nelle fasce più fragili e tra i giovani”.

Il Piemonte si era già distinto in modo virtuoso per l’attivazione del servizio di supporto psicologico nelle scuole, nel periodo di emergenza Covid, con uno stanziamento di 1,5 milioni di euro che nel 2021 ha consentito l’apertura di 53 nuovi sportelli a favore delle istituzioni scolastiche. Le prestazioni rivolte ai minori sono state 7.959, gli insegnanti incontrati 2.323 e gli studenti 2.364 (dati aggiornati a fine novembre 2022). Gli interventi, che hanno visto lavorare insieme Regione, Ufficio scolastico regionale e Ordine degli Psicologi del Piemonte, si sono concentrati sul coordinamento degli sportelli e sulla formazione e il supporto a docenti e personale scolastico rispetto ai problemi legati alla situazione emergenziale. Nella riunione della Commissione Sanità del Consiglio regionale della scorsa settimana è emerso che la quasi totalità delle Asl ha utilizzato i fondi messi a loro disposizione, segnale che l’iniziativa ha ottenuto un ottimo riscontro.

Per un confronto su questi temi il presidente Cirio ha incontrato il presidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte, Giancarlo Marenco, con la vice presidente Georgia Zara, insieme al presidente della Commissione salute del Consiglio regionale Alessandro Stecco.

“Dopo due anni di pandemia e di fronte all’impatto socio-economico della guerra in Ucraina, i numeri parlano di fenomeni crescenti di ansia e disagio tra alunni e insegnanti. Questo rende fondamentale garantire continuità al servizio di sportello psicologico nelle scuole, affiancando ai docenti dei professionisti della psicologia per dare risposte adeguate ai tanti problemi che stanno emergendo tra i ragazzi”, ha affermato Stecco.

Dal canto suo Marenco ha rilevato che “la Regione Piemonte ha dimostrato particolare sensibilità rispetto al diffuso disagio psicologico evidenziato in questa fase post pandemica” e che “il servizio innovativo dello psicologo delle cure primarie è un importante primo livello di risposta tempestiva e di prossimità alle diverse forme in cui si esprime la sofferenza psicologica, in collaborazione con i medici di famiglia e i pediatri. Il ruolo della Regione è stato importante e decisivo nello stanziare i fondi necessari che permettono la presenza dello psicologo di base in tutte le aziende sanitarie. Questa attenzione alle istanze dell’Ordine e della popolazione ha fatto sì che il Piemonte sia la prima Regione ad erogare questo fondamentale servizio ai cittadini, in attesa di un auspicato disegno di legge nazionale che metta a sistema lo psicologo nelle cure primarie”.

Il C.A.A.T. Centro Agro Alimentare di Torino lancia un concorso per urban artist

Street art, ortofrutta, sostenibilità e solidarietà:

Visionario il progetto di street art avviato dal CAAT di Torino, conosciuto dai più
come “mercati generali”, in collaborazione con l’associazione Monkeys Evolution.
Innovativo il passo del più grande mercato terminale di smistamento di frutta e
verdura all’ingrosso del Nord che – sempre più incubatore di innovazione e
cultura, propone un bando rivolto a giovani artisti “muralisti” che prevede la realizzazione
di un’opera di arte urbana, un immenso murales con una superficie di più di 300 metri
quadrati su una delle pareti del padiglione centrale all’ingresso del Centro
Agroalimentare.
Un murales che sintetizzerà quanto il contesto dell’ortofrutta promuova legami e trame
sociali come strumento per la qualità della vita, per l’alimentazione e il cibo sano, per
l’integrazione e la solidarietà, ponendo al centro il lavoro e la sostenibilità verso la
transizione ecologica.
“Con questa iniziativa – evidenzia il presidente del CAAT Marco Lazzarino – vogliamo da
un lato rafforzare il nostro impegno nel valorizzare uno spazio urbano industriale anche
attraverso l’arte. Dall’altro vogliamo portare attenzione ai valori del mondo dell’ortofrutta,
veicolando un messaggio di speranza e fiducia per un futuro alimentare sempre più sano e
solidale”.
“Realizzare un murales in un contesto quale quello di un grande mercato, afferma il
Direttore Generale Gianluca Cornelio Meglio, non è solo una bella espressione artistica
ma una modalità con cui parlare alle persone, farle riflettere e spingerle ad approfondire
un concetto e una tematica. Abbiamo voluto con questo bando dedicato a giovani artisti,
valorizzare un contesto industriale sul territorio promuovendo il movimento culturale che
vede l’arte di strada quale veicolo di educazione permanente”.
Gli artisti partecipanti sono invitati a sviluppare tematiche relative all’integrazione
multiculturale, al contrasto allo spreco alimentare, alla sostenibilità, alla solidarietà,
mantenendo un focus sui prodotti della terra visti come valore comune per tutti gli esseri
viventi affinché siano una risorsa sostenibile ed accessibile a tutti.
L’opera sarà realizzata con pitture fotocatalitiche, capaci di assorbire parte degli
inquinanti dispersi nell’aria in prossimità della superficie trattata.
Il concorso prevede un premio di euro 1.500,00 per il vincitore (materiali e
attrezzature verranno fornite dagli organizzatori). Possono partecipare al bando singoli
artisti o gruppi di artisti (composti da non più di 3 persone) di età compresa tra i 18 e i 35
anni, residenti in Italia.
Gli elaborati dovranno essere caricati attraverso il modulo di iscrizione al link
https://www.monkeysevolution.org/caatxartxfuture/, entro e non oltre le ore 12.00 del
giorno 13 marzo 2023.
Il compito di valutare le opere, in base alla congruenza con le tematiche e alla qualità
artistica, sarà affidato ad una giuria composta dallo street artist Karim, da Matteo Bidini
curatore di arte urbana con esperienze internazionali tra cui quella al SAMA museo di
street art di Amsterdam, da un rappresentante di Monkeys Evolution e da un esponente
del CAAT. Tra i giurati un ospite d’eccezione: Ernesto Olivero fondatore del Sermig e
dell’Arsenale della pace, il più grande “monastero metropolitano” laboratorio di
convivenza, formazione giovanile, solidarietà, accoglienza dei più disagiati, rifugio
per tanti.

Rottamiamo gli anziani!

Chi ha frequentato il liceo classico ricorderà senz’altro l’opera tarda di Marco Tullio Cicerone dal titolo significativo “Cato Maior-De senectute” (Sulla vecchiaia). Il trattato filosofico immagina un dialogo tra il vecchio Catone il censore e due suoi amici: Gaio Lelio e Publio Cornelio Scipione Emiliano. Cicerone sostiene che l’essere carico di anni e di esperienze non impedisca e non escluda una partecipazione piena a quello che resta da vivere ed esalta la saggezza, i beni “interiori” dell’avanzata età, che consentono anche di superare l’affievolirsi delle forze fisiche. Insomma i vecchi vanno amati e rispettati.

Fin dall’origine dei tempi, d’altronde, le tribù primitive tenevano in grande considerazione i vecchi, depositari delle tradizioni del popolo e della cultura, maturata attraverso l’esperienza e lo studio; e di solito il governo delle comunità era affidato al “consiglio degli anziani”, a testimonianza che la guida di un gruppo di persone deve essere affidata a chi sa, conosce, ricorda.

Sono passati duemila anni e quei valori sono carta straccia, orpello inutile e fastidioso…

Chi è in età avanzata non è più amato e rispettato, ma solo sopportato quando, addirittura, non è disprezzato o emarginato con fastidio dalla società: vecchio è sinonimo di essere inutile, da rottamare al più presto, un residuo inquinante che rappresenta il passato, cioè un’epoca da dimenticare nella corsa verso il futuro, radioso, bello, giovane.

In Germania il Ministero dei trasporti ha preso in esame l’idea di non rinnovare la patente agli anziani anche se in perfette condizioni fisiche: arrivati ad una certa età, anche se si legge il tabellone dell’oculista senza occhiali, se si sente lo stormire di una foglia a 100 metri, se si salgono le scale saltando i gradini due a due, non si potrà sedersi al volante neppure di un’utilitaria.

In Italia non siamo arrivati a tanto, ma altri segnali sono preoccupanti.

Il più grave è legato all’informatizzazione della vita quotidiana. Non si può chiedere un certificato andando allo sportello di un ufficio pubblico perché lo si deve fare via Internet cliccando sull’indirizzo www.ufficio.it. “Ma io non so cosa sia, e poi non ho neppure un computer” protesta flebilmente il vecchietto ultraottantenne. Peggio per te, pensa l’impiegato di là dal bancone, facevi meglio a morire qualche anno fa…

Vuoi verificare la tua posizione all’INPS? Devi andare sul sito! E lì leggi che “Ai sensi dell’art. 24, comma 4, del D.L. n. 76/2020, dal 1 ottobre 2021 l’accesso a tutti i servizi della Pubblica Amministrazione è consentito solo attraverso credenziali SPID, CIE o CNS”.

Lo SPID?… Cos’è questa sigla lo chiarisce il sito dell’Istituto con queste semplici parole: “SPID è il sistema di accesso che consente di utilizzare, con un’identità digitale unica, i servizi online della Pubblica Amministrazione e dei privati accreditati. Se sei già in possesso di un’identità digitale, accedi con le credenziali del tuo gestore. Se non hai ancora un’identità digitale, richiedila ad uno dei gestori.Accesso, identità digitale, servizi on line, credenziali, gestore; vallo a far capire al poveretto che, per anni, era abituato a far la fila disciplinatamente, a parlare con l’impiegato, a chiedere quello che gli serviva, a farsi spiegare le cose che non capiva…

Vuoi prelevare 500 euro per campare facendo le tue spese quotidiane nel negozio sotto casa? Scordati di entrare in banca, di compilare la richiesta, fare magari due chiacchiere col cassiere,che è figlio di una tua vicina di casa ,e lo hai visto crescere; devi utilizzare il bancomat all’esterno della filiale, digitare il PIN (dovediavolo è finito? L’avevo messo nel portafoglio ma non lo trovo…) ritirare le banconote e ringraziare Dio che non ti hanno rapinato mentre facevi l’operazione.

Vuoi spedire qualche soldo a tuo nipote che studia a Milano e ha sempre bisogno di un aiuto perché lì la vita è cara? Che non ti venga in mente di mandare un vaglia postale, il caro vecchio vaglia postale con cui anni fa spedivi gli aiutini a tuo figlio appena sposato che aveva dovuto trasferirsi a Bologna per lavoro: “Usi l’home banking, fa prima, costa meno, basta che sul sito della Posta apra l’apposita applicazione…”. Già, ma non ho il computer, se lo avessi te lo avrei già sbattuto in testa, crapùn!

Tutto è ormai diventato virtuale, tutto gira sul cloud, sul web, sul software, la realtà è virtuale e si nutre di bit, di giga, di pixel e chissenefrega se l’anziano (anzi, usiamo il termine giusto: il vecchio) resta tagliato fuori, attaccato ai suoi ricordi, alle cose concrete, ai rapporti personali guardandosi negli occhi, anziché smanettando WhatsApp, mail e sms…

Il vecchio è inutile perché fa fatica ad adattarsi, diventa un peso per la società. E la società lo mette “fuori gioco” levandogli la terra sotto i piedi e irridendolo, perché non conosce la differenza tra PIN e SPID.

Siamo arrivati ad una forma sottile ma efficace di “eutanasia per via informatica”: il vecchio non lo si elimina con una dose mortale di farmaci per liberare la società dal peso della sua sopravvivenza, ma lo si elimina mettendolo fuori dalla vita quotidiana.

R.I.P. , requiescat in pace!

Gianluigi De Marchi

Insegnare alle “Vallette”… quarant’anni fa. I “migliori anni” della mia scuola

COSA SUCCEDE(VA) IN CITTÀ 

“La trappola dei ricordi”

Gianni Milani

Anno Scolastico 1975 – ‘76. Quasi non sapevo neppure dove fossero “Le Vallette”. Certo, ne avevo sentito parlare. Male, quasi sempre, e soprattutto attraverso i fatti di cronaca (per lo più nera) riportati dai media. A Torino si sapeva bene che “Vallette” era in quegli anni sinonimo di quartiere fortemente “a rischio”, uno di quelli che proprio non si faceva mancare nulla in quanto a problemi di più o meno spicciola criminalità, di disagio e soprattutto di scarse prospettive d’inserimento sociale – che, alla prova dei fatti e per svariate ragioni, erano molto inferiori rispetto ad altri luoghi della città – per i suoi ragazzi e per i giovani che lì vivevano. E che spesso riuniti “in bande”, coltivavano, fra i divertissements più gettonati e libidinosi, quello per loro assai spassoso di spingersi “fino a Torino” (per quei ragazzi, Vallette era allora isola urbana rigorosamente a sé, ben altra cosa da Torino) per fare abbotte e quant’altro con i fighetti e i cremini che bazzicavano il centro o altri quartieri “messi meglio” della città. Fenomeno non isolato del resto e che in fondo era – e in gran parte é ancora oggi in tanti, troppi, luoghi della città – caratteristica comune di tutte quelle aree periferiche (si pensi a Falchera o a Mirafiori Sud o a Barriera di Milano) che, a cavallo degli Anni Cinquanta, avevano assistito al nascere come funghi di case (“torri”) popolari, tutte uguali e non prive di gradevoli spazi verdi conficcati, come per Vallette, fra vie dai graziosi nomi floreali che quasi quasi, a pronunciarli, sembrava di essere in uno degli oltre trenta piacevoli London boroughs.

Case che dovevano ospitare l’imponente marea di immigrati dal Sud (ma non solo; molti a Vallette anche i profughi istriani e giuliano-dalmati), attratti in questa estrema periferia nord-ovest della città, dalla speranza di un lavoro che, sotto la Mole, era soprattutto garantito in quegli anni da mamma Fiàt…Quartiere operaio, quartiere dormitorio, via via Le Vallette hanno poi negli anni conquistato terreno (con buona pace dell’ingegner Gino Levi – Montalcini che nel 1957 ne firmò il piano urbanistico, curando anche la progettazione dei vari edifici) fino a spingersi oggi alla parte nord del verde Parco Carrara, noto più comunemente come Parco della Pellerina e fino a fregiarsi, in un’area di stretto confine, di un’autentica magia urbanistico-sportiva come il complesso dello Juventus Stadium e della Cittadella bianconera, così come di un’imponente centrale per il teleriscaldamento entrata in funzione nell’inverno 2012 e che sembrerebbe fare di Torino la città oggi più teleriscaldata d’Europa. A vent’anni dalla sua progettazione, le Vallette in cui mi trovai a lavorare e che mi  trovai a vivere dagli Anni Settanta  alla fine degli Ottanta, incutevano, per i “forestieri”, un certo senso di reverenziale rispetto. E anche appena appena – a voler giocare di ottimismo – un po’ di panico. Del resto erano quelli, anche per Torino, gli anni bui del terrorismo, delle Brigate Rosse e di Prima Linea: 19 morti e 130 feriti si contarono in città fra il 1977 e il 1982. Erano quelli anche gli anni di un’accesa contestazione studentesca, figlia o figliastra del ’68. Quella che molti di noi giovani (allora) insegnanti avevano fatto propria o comunque vissuta – direttamente o indirettamente- sulla propria pelle e che ora si trovavano a confrontare con le nuove proteste di ragazzi che non avevano molti anni meno di loro, che okkupavano scuole e organizzavano cortei e manifestazioni anche di forte impatto sulla vita della città, ma poco recepite, se non per farne spesso uso strumentale, dalle istituzioni e da quelle forze politiche cui si chiedeva maggiore attenzione e maggiori risorse per la scuola italiana nel suo complesso. Eventi però che, per valenza politica, sembravano interessare solo marginalmente le Vallette, dove il “buco nero” era fatto principalmente di ribellione e rabbia sociale. Ebbene, in quelle Vallette, a cavallo degli Anni ’70-’80, dove anche la Scuola, così come le Comunità Parrocchiali non meno che la presenza di Enti socio-assistenziali, assumevano un ruolo determinante nell’accompagnamento dei ragazzi e delle loro famiglie, io arrivavo tutte le mattine con un’“affannata” Fiat 127 bordeaux, che avevo battezzato, non so perché ma mi sembrava un nome simpatico, Carolina . Partivo (ero quasi sempre in ritardo) da  via Spano, Mirafiori Sud (all’altro capo della città); attraverso corso Sebastopoli, arrivavo a tutta birra in via De Sanctis – via Pietro Cossa per poi imboccare via Sansovino e corso Toscana e ritrovarmi in quel dedalo di strade impreziosito – come detto – dalla soavità di graziosi nomi floreali: via dei Gladioli, via dei Glicini, viale dei Mughetti, via via fino a via delle Magnolie. Qui al civico 9, mi trovavo ogni mattina di fronte a quella media statale, titolata allora al grande “Carlo Levi” (oggi a David Maria Turoldo), che, nel corso degli anni, sarebbe un po’ diventata la mia “seconda casa”. Avevo fatto pochi chilometri e mi sembrava, ogni giorno, d’essere atterrato, con la Carolina fumante, su un altro pianeta. Ero al mio primo incarico diurno. Dall’atrio, volavo ogni giorno due rampe di scale, strappavo al volo dal cassetto personale della sala insegnanti il registro e m’infilavo, con l’irruenza di un vigoroso centometrista ma insieme con la silenziosa leggerezza di una libellula – per non offrire al pubblico ludibrio il mio vituperabile e sempre più proverbiale ritardo – nell’aula di mia competenza. Chiudevo alle spalle la porta, mi dirigevo alla cattedra e mi buttavo, pancia a terra, nella mischia. Calmavo con non poca fatica gli animi e iniziavo ‘a mattinata

Gianni Milani

Il 3 marzo torna Polis Policy con la terza e ultima sessione della sesta edizione

 “Una demografia sostenibile è possibile?”

Tra i relatori interverranno Giancarlo Blangiardo e Alberto Anfossi

Torino- Venerdì 3 marzo si concluderà la sesta edizione dell’Accademia di Alta Formazione Polis Policy. Il tema della giornata di incontri sarà il particolare momento che sta vivendo il Paese da diversi punti di vista, tra cui economico, politico, sociale e demografico. Il titolo di questa terza sessione sarà: “Una demografia sostenibile è possibile?”. Tra i relatori interverranno Giancarlo Blangiardo (Presidente Istat), Alberto Anfossi (Segretario Generale Fondazione Compagnia di San Paolo), Roberto Gontero, Forum delle Associazioni Familiari del Piemonte, il fotografo Alessandro Zentie ancora Stefano Molina(Unione Industriale), Alberto Scavino (Irion Srl) e Claudia Mandrile (Fondazione Compagnia di San Paolo).

L’Associazione Difendiamo il Futuro organizza dal 2002 seminari, cicli di dibattiti e incontri di approfondimento su temi legati a quanto accade nella società italiana e piemontese. Il progetto attorno al quale ruotano le iniziative di DF è Polis Policy, accademia di alta formazione su argomenti di natura sociale, culturale e politica. Negli scorsi anni, tra i temi centrali affrontati da DF, ci sono stati la pandemia e le conseguenze per lo stato sociale tra diritti, lavoro e integrazione.

Nel corso di questa edizione è stato affrontato il tema “Sfide e opportunità per un’Italia in transizione”, prima con una sessione dedicata all’Italia come ponte tra Europa e Mediterraneo e poi con una sessione dedicata alle politiche e infrastrutture per l’immigrazione. In questa sessione, grazie al contributo di relatori d’eccezione si parlerà di democrazia, demografia e sostenibilità, pilastri del nostro presente.

“Il futuro della demografia italiana – ha detto Giuseppe Giulio Calabrese, Presidente Difendiamo il Futuro – secondo le ultime previsioni non è così roseo: la popolazione residente è in decrescita, con più anziani e famiglie più piccole. Ci sono sempre meno coppie con figli e la questione investe tutto il territorio. Come Difendiamo il Futuro siamo da sempre attenti a questi argomenti, consapevoli dell’importanza sociale e strategica di temi relativi le dinamiche socio-demografiche, l’invecchiamento della popolazione. Per questa ragione, con questa ultima sessione che chiude la sesta edizione, intendiamo realizzare un approfondimento che metta in luce le varie sfaccettature di questo argomento e che possa fornire altri momenti di dibattito e confronto in vista delle prossime edizioni”.

Il programma – 3ª SESSIONE – VENERDI’ 3 MARZO 2023

ORE 18.00 – REGISTRAZIONE PARTECIPANTI

ORE 18.30 VISION

Giancarlo Blangiardo (Presidente Istat) e Alberto Anfossi(Segretario Generale Fondazione Compagnia di San Paolo)

Introducono al dibattito Roberto Gontero, Forum delle Associazioni Familiari del Piemonte; due studenti universitari: Luca Odifreddi e Luca Caci

Modera: Giuseppe Giulio Calabrese, Presidente dell’Associazione Difendiamo il Futuro

ORE 20.00 ANOTHER VISION

Alessandro Zenti, fotografo

ORE 21.00 AGORA’

Intervengono alla tavola rotonda Claudia Mandrile (Fondazione Compagnia di San Paolo), Stefano Molina (Unione Industriale) e Alberto Scavino (Irion Srl)