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La libertà è una camminata veloce (senza mascherina)

Sabato.
Metà pomeriggio.
Come al solito di corsa e trafelata.
Con la vita che faccio devo camminare almeno un po’ nel week end.

Parto come un fulmine dopo aver spiegato ad un amico che una camminata veloce non è la stessa cosa di una passeggiata. In effetti la camminata veloce, che è una attività motoria intensa, è spesso confusa con la “classica passeggiata” che rappresenta invece una mera forma ricreativa.

E lui le confonde continuamente e mi distrae.
Sono in fondo alla via quando mi accorgo di essere uscita senza mascherina.
Ahimé!…

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La libertà è una camminata veloce (senza mascherina)

Il vissuto psicologico della Pandemia

Ciò con cui siamo chiamati a raffrontarci in questo determinato periodo storico, come individui e come società, la pandemia, può essere delineato come un evento a portata traumatica collettiva.

Ognuno di noi, infatti, può rinvenire tra i propri vissuti interiori la paura della morte, propria o dei propri cari, il senso di precarietà e di incertezza sul futuro, dovuti allo spettro della recessione economica, la percezione costante del pericolo collegata allo stato di emergenza; siamo sottoposti ad uno stress continuativo, al quale contribuiscono significativamente e concretamente anche la sottrazione della nostra autonomia, le limitazioni alla nostra libertà e la deprivazione sociale.

Il trauma generalmente viene inteso come un avvenimento che supera le nostre capacità di significarlo e di reagire ad esso, qualcosa che impegna le nostre difese in maniera eccessiva e che irrompe bloccando il flusso regolare del nostro essere nel mondo; ciò che può essere messo in discussione è, in questi casi, il senso di continuità del nostro Sé, cioè la sensazione di essere sempre noi stessi al di là dello scorrere del tempo e dell’avvicendarsi di differenti contesti, si tratta quindi di una caratteristica fondamentale del Sé, sulla quale poggia la nostra stessa identità e la nostra esistenza.La pandemia, con tutto ciò che essa implica, porta però anche con sé delle peculiarità rispetto ad altri eventi a valenza traumatica collettiva, come ad esempio la guerra, e rispetto all’esperienza che facciamo di essa; infatti la minaccia di cui si fa portatrice è invisibile, il nemico non può essere riconosciuto e affrontato direttamente ma può celarsi dietro chiunque, quindi chiunque può essere, di fatto, il nostro nemico; inoltre lo stato di emergenza non può essere delimitato, la sua durata  è indefinita, la minaccia è quindi impercettibile e perenne. Questi presupposti di per sé pongono sotto forte tensione il nostro funzionamento mentale, mettendo a dura prova il nostro assetto psicologico. La vulnerabilità umana diventa la protagonista, a scapito del senso di controllo e dell’illusione di onnipotenza che caratterizzano peculiarmente l’uomo contemporaneo, provocando una ferita narcisistica che ci impone di misurarci con il limite e ci consegna incertezza, smarrimento e frustrazione. Ad un livello più profondo, ciò con cui dobbiamo confrontarci nel nostro vissuto psicologico è l’angoscia di morte, il senso della caducità intrinseca alla condizione umana, che il pericolo imminente e invisibile del virus ci presenta davanti agli occhi con prepotenza, senza darci la possibilità di ignorarla; angoscia di morte che è abitualmente rimossa dagli individui in condizioni di “normalità”, per favorire un assestamento psichico ottimale. Ciò che accade è che l’ansia e la paura scaturenti da tale situazione intrapsichica possono andare incontro a varie strategie difensive, come ad esempio: negazione, scissione, evitamento, intellettualizzazione, rimozione, con conseguenze più o meno funzionali ed adattive, in base alla loro modalità di utilizzo e al perdurare di esse nel tempo, due condizioni in base alle quali può strutturarsi il trauma.

Nel tempo però, necessitiamo alla base di un’elaborazione psicologica più complessa ed efficace, che implica un lavoro mentale più articolato ed impegnativo. In generale potremmo dire che è necessario andare oltre la posizione schizo-paranoide della psiche ed accedere a quella depressiva, all’interno della quale è possibile il superamento dei meccanismi di difesa arcaici e il rinvenimento dell’”altro da sé”, in una posizione più evoluta, attraversando e compiendo cioè la fase dell’elaborazione del lutto. Elaborazione del lutto innanzitutto per i nostri morti, che ci è stata significativamente e concretamente impedita nell’impossibilità di dar luogo al rito dei funerali, ma, simbolicamente, elaborazione del lutto per ciò che era, in tutti i vari ambiti possibili del mondo che è stato colto dalla pandemia, cioè dal punto di vista sociale, culturale, economico, relazionale. Il punto fondamentale da cui partire è l’accettazione della perdita, e questo passaggio non può e non deve essere evitato, perché è la base necessaria per una rinascita e una ripartenza possibili, che siano individuali e collettive. Vi è nell’integrazione degli aspetti psichici e della realtà più sgradevoli e dolorosi la possibilità intrinseca dell’evoluzione, aspetti che nel momento in cui vengono rifiutati, non ci permettono, invece, di venire a patti con essi. Soltanto tale posizione della mente può prepararci ad affrontare il “nuovo”, può consentirci di procedere tangibilmente ed utilizzare quelle che possono rivelarsi delle effettive opportunità di crescita, mantenendo una prospettiva aperta rispetto alle differenti possibilità insite nel nostro futuro più o meno prossimo; la nostra disposizione deve quindi e innanzitutto assumere in sé stessa il cambiamento e farsi carico dell’imprevedibilità che in questo momento ci viene imposta ma che di per sé è una dimensione intrinseca alla condizione umana, con cui dobbiamo costantemente misurarci. Può venirci in aiuto, a tal proposito, un’attitudine di cui parla Bion (1967) : la “capacità negativa” , che è una condizione che dovrebbe far propria l’analista rispetto alla tecnica analitica, ma che in generale riguarda la capacità di stare nell’incertezza, che comporta anche il tollerare la rinuncia ad una soluzione salvifica, ad un’inquadratura definitiva e razionale e quindi all’illusione di dominio e di controllo, accettando il dubbio, la problematicità e lo smarrimento, ma rimanendo, nel contempo, nel processo della conoscenza, con la consapevolezza dei suoi limiti e delle sue contraddizioni, permettendo così il mantenimento di un funzionamento psichico vitale, nel voler comprendere e reagire. Tale auspicabile iter può tuttavia non venire proprio intrapreso o può interrompersi in più fasi, generando disturbi d’ansia e depressivi, o amplificando i disturbi già presenti. Bollas (2018) mette in evidenza, come nella Seconda Guerra Mondiale la capacità di percepire la perdita fu alterata e si tramutò in uno stato di “malinconia misconosciuta” e inconscia, il lutto irrisolto finì quindi per trasformarsi in disperazione, disorientamento e rabbia, anche se apparentemente sembrava non esserci alcun contatto con il dolore per la perdita di alcun che; soluzione esemplificativa della tipologia di individui “normopatici”, di cui tratta l’autore.

Dalla prospettiva di non bloccare la processualità insita nel vissuto psichico sollecitato dalla pandemia, e rinunciando ad un’idealizzazione del passato e del futuro come immagini statiche nelle quali si cristallizzano gli aspetti proiettati dei nostri desideri non ancorati all’esperienza che siamo chiamati a vivere nel presente, potremmo prendere ispirazione per recuperare l’opportunità di pensare e ri-pensare al nostro futuro pur non potendolo programmare in maniera abituale; eppure, come abbiamo visto, le limitazioni da un certo punto di vista possono essere viste come delle opportunità, infatti se da una parte l’isolamento forzato e la deprivazione sociale portano con sé sicuramente un aumento del malessere psicologico, dall’altra, la frenata negli impegni lavorativi e sociali e l’interruzione del comportamento consumistico, rappresentano anche una dilatazione temporale che ci conduce a doverci confrontare con delle dimensioni intrapsichiche, a favorire processi mentali introspettivi e trasformativi, riprendendo delle questioni e tematiche rimaste sullo sfondo, perché troppo occupati e inghiottiti dalla frenesia delle occupazioni quotidiane, per permetterne lo sviluppo. In effetti gli accadimenti esterni di tipo traumatico stimolano la riattivazione di conflitti intrapsichici, complessi irrisolti e aree del Sé dissociate che riappaiono nell’esperienza individuale cercando una nuova occasione per essere riconosciute ed analizzate. Questo tanto atteso ricominciare sembra quindi poter prendere forma a partire da un confronto con se stessi che può diventare l’occasione per ristabilire finalmente le proprie priorità, nell’ottica di una resilienza che non si realizza soltanto nella forma di una resistenza agli eventi, ma in un mutamento interiore conseguente all’aver affrontato una situazione in prima persona ed  individuabile proprio in una modifica della nostra autoconsapevolezza; e questo processo può mettersi in moto e compiersi solo come esito di una nostra scelta, sapendo anche che non sarà un percorso privo di ostacoli e di turbamento, ma forse davvero soltanto ciò che ci scuote nel profondo e che ci mette alla prova fino ai nostri limiti, può generare trasformazione.

Nel realizzare il percorso delineato, un posto importante deve essere riservato all’altro, transitando da una visione individualista e narcisistica ad una collettivistica e di partecipazione. Creando dei ponti tra noi e l’altro , infatti, riscoprendoci uniti e simili,  possiamo provare a dividere questo fardello troppo gravoso da portare in solitudine; il cambiamento non accade da soli, e, come individui, siamo naturalmente interdipendenti ed è questa caratteristica che adesso può venirci in aiuto, senza scadere in forme moralistiche e decontestualizzare di solidarietà, ma connettendoci nel presente, nel nostro ambiente relazionale più prossimo, anche attraverso connessioni digitali, se sono quelle di cui possiamo adesso servirci per mantenere vivo il legame con l’altro. A tal proposito, dice Bion: “e così il catalizzatore che fa emergere l’esperienza emotiva è il legame tra un essere umano e l’altro. È da questa esperienza emotiva che poi prenderà il via un processo di pensiero o una scarica. Senza i legami non ci sarebbe nessuna esperienza emotiva. E senza di essa nessuno sviluppo del pensiero. Essi sono quindi la pietra delle fondamenta senza la quale non ci sarebbe nessun edificio”. Quale circostanza migliore di questa, quindi, per scoprire o riscoprire l’imprescindibilità dei legami? In quanto esseri umani le relazioni sono ciò che ci costituisce in quanto tali, ed è soltanto all’interno di relazioni che possiamo r-esistere e ri-conoscerci, ri-identificarci e ri-stabilire la continuità del sé messa in pericolo dalla pandemia. In definitiva, ognuno di noi può decidere se e come costruire un senso, dare significato alla condizione che stiamo vivendo e riconnettere il proprio vissuto attuale con la propria storia passata e futura, come parte integrante di un tessuto relazionale in cui rispecchiarsi, ritrovando in questo modo noi stessi e gli altri attraverso il tempo.

Antonella Basile

psicologa clinica

Contatti:
antonellabasile.psy@gmail.com
351 776 8555

Settembre Nero

PAROLE ROSSE  di Roberto Placido / Da cinquant’anni evoca e viene usato per indicare situazioni tragiche in ricordo di quanto successe in Giordania nel lontano 1970. E’ quello che succederà dal prossimo 1 settembre alla scuola italiana.

Perché è sempre più chiaro che il prossimo settembre la nostra scuola non riaprirà. La pandemia di Covid 19 ne ha amplificato i problemi, i ritardi e le difficoltà. Molti hanno pensato di potere risolvere tutto con il cosiddetto DAD ( didattica a distanza ). Ma anche con l’insegnamento a distanza si sono evidenziati ed acuiti i problemi delle diverse “Italie”. Banda larga inesistente in molte realtà, impreparazione degli insegnanti e delle scuole e un numero elevato di ragazzi senza PC (computer) o Tablet. Un’indagine effettuata a Roma dalla Comunità di Sant’Egidio ha evidenziato che, tra i bambini da 6 a 10 anni, il 61% non ha effettuato nemmeno un’ora di didattica online.

Ed ancora, un terzo delle famiglie non possiede un computer e di conseguenza le linee di ADSL sono ancora meno. In questo quadro bisogna poi sottolineare tutte quelle famiglie che hanno due se non tre figli in età scolastica con la necessità di fare lezione alla stessa ora e magari con l’aggiunta di uno dei genitori in tele lavoro da casa ed il computer è solo uno. Questa situazione porta alla mente la famosa “ Lettera ad una Professoressa” di Don Milani “ Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali”. Anche perché a distanza non è scuola, è un surrogato e cioè una …ciofeca. Il digitale e la tecnologia sono un elemento complementare dell’istruzione e non un fondamento. Meno male che , a ricordare questo importante aspetto ci hanno pensato un gruppo di intellettuali, sedici, tra i quali il filosofo Massimo Cacciari, che hanno sottoscritto un documento che chiede e ricorda che il futuro della scuola non è il DAD che, tra l’altro, aumenta le disparità ed elimina la socialità che è uno degli elementi fondamentali dell’istruzione e della formazione dei ragazzi. Insomma la scuola non è più il presidio della Nazione. Funzione prima svolta dall’esercito fino a quando c’è stata la leva obbligatoria. La Nazione è rimasta così senza presidio, sguarnita. In questa fase, può sembrare incredibile, spesso si sono distinti negativamente una parte del corpo docente e soprattutto il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina. Approdata in Parlamento dopo essere stata paracadutata, dal suo capo cordata Luigi Di Maio, da Biella, dove insegnava, a Torino e poi posta, casualmente, alla guida del ministero di Viale Trastevere in seguito alle dimissioni del suo predecessore Lorenzo Fioramonti. Da quel ministero, ritenuto una volta “ di peso” e ad appannaggio della vecchia Democrazia Cristiana, sono passati oltre una trentina di ministri, politici e tecnici di grande prestigio come Aldo Moro, tre futuri Presidenti della Repubblica come Antonio Segni, Oscar Luigi Scalfaro e, l’attuale, Sergio Mattarella fino ad uno dei più recenti e prestigiosi, accademico e linguista, Tullio De Mauro.

Anche da questi dati si percepisce la distanza siderale tra quei ministri e quello attuale ed i guai della nostra scuola. Un ministro, Lucia Azzolina, che in più di un’occasione ha dimostrato l’assoluta inadeguatezza ed incapacità. Lo si può chiedere agli assessori regionali all’istruzione, lasciati, nello sconcerto generale, improvvisamente da soli nel bel mezzo di una riunione. La coalizione di governo ed il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte si dovrebbero porre il problema, urgente, della sua sostituzione. Così sono passati tre mesi senza impostare una strategia complessiva che coinvolgesse le regioni, che hanno la delega sulla materia, i comuni e le città metropolitane che hanno la responsabilità della manutenzione degli edifici delle scuole superiori. Un piano anche ambizioso che sfruttasse l’emergenza per recuperare i tagli e la mancanza di finanziamenti degli ultimi anni. La sbornia aziendalista dell’ultimo decennio ha colpito duramente sia la Sanità, e ce ne siamo drammaticamente accorti in questa circostanza, che l’Istruzione. Un piano che preveda il recupero di edifici scolastici in disuso e da mettere in sicurezza, attrezzature e reti informatiche, ed un numero adeguato di docenti. Proprio sui docenti, in una situazione di emergenza, stiamo assistendo ad un braccio di ferro tra i partiti della maggioranza per l’assunzione di 32.000 docenti e cioè se farlo per titoli, assumendo i precari che già insegnano oppure, come prevede la legge, per concorso. In tutto questo rimane una certezza, a settembre non ci saranno. Così, un governo che ha fatto riaprire e ripartire praticamente tutto, aziende, bar, ristoranti, impianti sportivi, palestre e parrucchieri, che ha dato soldi, in qualche caso a pioggia, dalle Partite Iva ai Tatuatori, non ha riaperto le scuole e gli ha dato le briciole in termini di finanziamento. Dei 55 miliardi stanziati alla scuola , con l’immane lavoro da fare sono stati destinati solo 1,45 miliardi. Cioè molto meno della percentuale che riceve normalmente e che da tutti è ritenuta ampiamente insufficiente. Pochi, non maledetti e che nemmeno riusciranno a spendere entro settembre. Insieme al ministro ha segnato il passo dimostrando insufficienza, ritmi inadeguati ed una generale impreparazione la struttura burocratica del ministero.

Rimasta più con i piedi e la mente al secolo scorso ed alle circolari ministeriali a cui seguivano, immancabilmente, le circolari esplicative che lasciavano il dubbio se inviate perché si rendevano conto di scriverle in maniera incomprensibile e se ritenessero dirigenti e funzionari delle scuole incapaci di capire. Tra dirigenti, , CTS (comitato tecnico scientifico), Consiglio Superiore dell’Istruzione ed una pletora di consulenti hanno prodotto, poco, lentamente e male. Hanno favorito la riluttanza di molti docenti, un’indagine parla del 70% contraria a riprendere l’insegnamento diretto, adducendo l’elevata età media degli insegnanti. Sconsigliando le sessioni d’esame in diretta. Fortunatamente invece si faranno. Mi chiedo ma quei docenti vanno a fare la spesa, affollano le parrucchiere, vanno per negozi o per strada? Perché , rispettando le norme, non possono fare gli esami? Per inciso l’INAIL ( Istituto Nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro) ha classificato la scuola, insegnanti compresi, a rischio medio-basso. E cosa dire di quegli insegnanti che hanno interrotto velocemente l’aspettativa quando hanno scoperto che le lezioni si svolgevano online?! Così molti precari sono rimasti a casa senza lavoro. Senza dimenticare la levata di scudi per fare tutte le vacanze pasquali quando le scuole erano chiuse da settimane. Al ministro, a tutto il suo ministero, consulenti compresi, gli italiani chiedono e vogliono sapere, ed hanno cominciato a farlo anche con manifestazioni nelle principali città, se dal 1 settembre i bambini delle materne, i ragazzi delle elementari e medie e gli studenti delle superiori avranno un aula sicura ed un insegnante.

Forse qualche bonus in meno e qualche aula ed insegnante in più non guasterebbero. Ritornando sugli esami, poteva essere, quella di fare ritornare le classi quinte delle superiori, un quinto degli studenti, e le classi terze delle medie, un terzo degli studenti, quanto prima a scuola proprio i vista degli esami, un segnale di funzionamento e di preparazione per tutta la scuola e per tutto il paese. Invece con ritardi, scuse e resistenze è andata, purtroppo, come sappiamo. Lo stesso Sindacato deve decidere se difendere, in alcuni casi, rivendicazioni corporative o lanciare ed attuare un’alleanza con gli studenti e con le famiglie che invece rischiano di essere lasciate sole nella gestione dei figli. Una struttura inefficace unita ad un ministro privo di autorevolezza e preoccupata più di fotografarsi e rilanciare commenti con personaggi discutibili e controversi oppure di rispondere, senza capirne il senso vero, ad un Tweet della simpatica e brava Sabina Guzzanti, non possono e non sono in grado di affrontare la sfida ed i problemi che ha davanti la nostra scuola. Sarebbe necessario un grande sforzo, una grande capacità ed intelligenza organizzativa e strategica per recuperare spazi, edifici, insegnanti, per fare partire la scuola in sicurezza, anche in prossimità delle famiglie. Un settore strategico per il presente e per il futuro del nostro paese non può essere abbandonato a se stesso. Non si possono penalizzare intere generazioni. In queste condizioni il primo settembre la scuola, nel senso tradizionale, non riprenderà e sarà una vera tragedia. Ecco il perché di un titolo così evocativo, tragico e funesto.

Cronache della peste. Il ristorante

Stanno ammazzando tutti i ristoranti. I ristorantini, le taverne, le trattorie che frequentavo e amavo…

Scrive Amerino… Ma tu, mi si potrebbe dire, prendi sempre spunto da qualcosa che qualcuno scrive o ti scrive? Inevitabile. Queste vorrebbero essere cronache. Ma quali cronache mai si possono redigere di un mondo ove, in apparenza, non accade nulla?

Non puoi entrare in un bar. Non puoi vedere un vecchio amico. Un parente di sesto grado sì, però. Ovvero qualcuno con cui hai un antenato comune nella prima metà dell’800… Questo per dire l’intelligenza dei famosi esperti delle Task Force di Conte…

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Cronache della peste. Il ristorante

Stop alla movida nel primo weekend di riapertura di bar e ristoranti

Movida vietata a Torino e divieto di vendita degli alcolici a partire dalle 19

E i locali dovranno chiudere all’una di notte. Saranno rafforzati i controlli da parte delle forze dell’ordine.  Le nuove misure anti-assembramento a Torino e in Piemonte riguardano la riapertura di bar, ristoranti e locali della movida  sabato 23 maggio. 

Riaprono anche i bar e si trovano alle prese con le nuove norme. Prime colazioni nei dehors facendo i conti con distanziamenti, amuchina e mascherine. Nelle zone “calde” di  Vanchiglia, San Salvario, Quadrilatero Romano e piazza Vittorio sarà consentito bere nei dehors mantenendo il distanziamento.

Su tutto il territorio piemontese, invece,  tutti i locali dovranno chiudere entro l’una del mattino.

Nei centri commerciali obbligatorio l’uso della mascherina.

La solidarietà non si ferma

Riceviamo e pubblichiamo / Non si ferma la solidarietà, propulsore più che mai fondamentale in un momento terribile per la nostra città, per l’Italia e per il mondo intero.

 

Mentre crescono polemiche e sospetti sulle responsabilità di un disastro umano, sociale, culturale ed economico senza precedenti, i volontari non interrompono gli aiuti.

 

Tra i numerosi esempi sul territorio di Torino, città da sempre all’avanguardia nel terzo settore, non manca quello delle realtà religiose che in vari modi stanno contribuendo ad alleviare le difficoltà di persone e istituzioni in questa particolare contingenza.

 

I Ministri Volontari di Scientology in forze alla PRO.CIVI.CO.S., associazione operante dal 2001 nella Protezione Civile, rientrano in quest’ambito: un gruppo laico che ha indubbiamente le sue radici nell’impulso etico della religione fondata da L. Ron Hubbard negli anni ’50.

 

“Qualcosa si può fare”: questo potrebbe essere ed è il motto di un insieme eterogeneo di persone unite dal desiderio di agire piuttosto che lamentarsi, di collocare una goccia di speranza in un mare di difficoltà, con la consapevolezza che qualsiasi gesto piccolo o grande in direzione del bene comune, possa fare tutta la differenza a favore del bene.

 

C’è da fare la spesa per persone impossibilitate a muoversi? Serve aiuto per collocare i cartelli informativi nei parchi pubblici e assistere gli utenti al rispetto del buon senso e delle precauzioni? Bisogna consegnare i computer a studenti affinché possano continuare in qualche modo gli studi? Distribuire pasti a persone senza fissa dimora? Portare le mascherine o le uova di Pasqua agli anziani nelle case di cura?

 

A partire dai primi giorni dell’emergenza COVID-19  PRO.CIVI.CO.S. ha risposto “presente”.  Totalizzando centinaia di servizi e migliaia di ore di volontariato ha collaborato con le altre associazioni della Sezione Comunale e del Centro Operativo Misto della Protezione Civile, con la Caritas, con la Croce Rossa, con il Progetto Leonardo, con le Forze dell’Ordine, con il Comitato Interconfessionale, con il Tavolo di Borgo Vittoria e altre associazioni e singoli cittadini: un numero importante di persone unite dallo scopo comune di rendere meno gravoso il dramma e uscire il più in fretta possibile dall’emergenza.

 

Domenica scorsa, 16 maggio, un’altra bella pagina nel diario della solidarietà è stata scritta quando PRO.CIVI.CO.S. ha realizzato la completa sanificazione delle due chiese, della palestra e degli esterni della parrocchia San Giuseppe Cafasso di C.so Grosseto 72 affinché i fedeli possano riprendere a frequentare in sicurezza.

 

Se l’unione fa la forza, agire insieme fa il maggior bene.

Amnesty International Italia sostiene Arci Torino

Supporto alle organizzazioni che aiutano le fasce vulnerabili a fronteggiare l’emergenza Covid-19

 

Beneficiari il Comitato Territoriale Arci Torino in Piemonte,
Binario 95 a Roma e Medu per Toscana, Lazio e Calabria

 

Amnesty International Italia, nell’ambito della campagna #nessunoescluso, ha selezionato tramite un bando alcune associazioni che hanno varato iniziative a favore di persone e gruppi vulnerabili che vivono in strutture non adeguate a fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19. Sosterrà il Comitato Territoriale Arci Torino, il centro di accoglienza Binario 95 e l’organizzazione umanitaria Medici per i Diritti Umani (MEDU).

Le attività di Arci Torino si basano sul recupero delle eccedenze alimentari per offrire gratuitamente 65 pasti caldi al giorno in alcune strutture di Torino, Moncalieri e Carmagnola con modalità asporto, garantendo così il distanziamento sociale previsto dalla legge italiana per l’emergenza Covid.

Binario 95 ha invece richiesto un contributo per continuare a garantire accoglienza, orientamento ed ascolto all’interno dei servizi offerti alle persone senza dimora, nei locali alla stazione Termini di Roma. A causa dell’emergenza Covid-19, infatti, la cooperativa Europe Consulting Onlus, che gestisce il centro, ha dovuto fronteggiare un incremento notevole di costi per garantire la pulizia e la sanificazione della struttura e la fornitura di beni primari, come dispositivi di protezione individuale, kit igienico-sanitari, biancheria intima, disinfettanti e prodotti per la cura e l’igiene di chi vive in strada.

Medu, infine, intende migliorare le condizioni sanitarie della popolazione senza dimora o che vive presso insediamenti informali a Roma, Firenze, Prato, Pistoia e nella Piana di Gioia Tauro. L’obiettivo è l’implementazione di misure di screening sanitario, prevenzione del Covid-19 e individuazione precoce dei casi sintomatici tra queste comunità attraverso una campagna di informazione e assistenza.

«Amnesty International Italia, che si finanzia grazie a donazioni da privati cittadini, vuole sostenere concretamente le organizzazioni che lavorano con i gruppi vulnerabili maggiormente esposti alle conseguenze dell’epidemia e garantire che siano messe in pratica le misure di prevenzione introdotte per fermare la diffusione del virus.La salute è un diritto universale e non devono esserci discriminazioni di alcun genere nella gestione dell’emergenza sanitaria in corso» dichiarao Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia. 

 

Leggi l’appello di Amnesty International Italia al governo

Giovedì 21 maggio, a partire dalle 18, sulla pagina Facebook di Amnesty International Italia nell’ambito della campagna #nessunoescluso, Ilaria Masinara (Amnesty International Italia) insieme ad Alice Graziano (Arci Torino), Alessandro Radicchi (Binario 95) e Alberto Barbieri (Medu) discuteranno de La tutela dei soggetti più fragili ai tempi del Covid19.

Patriottismo cercasi

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / Non sono certo un sostenitore di questo governo che giudico inadeguato e politicamente orientato verso impostazioni ideologiche che mi sono  estranee e  lontane. E rivendico anche  il diritto  a manifestare perché senza libertà di manifestare la democrazia muore e il passo tra assembramento e adunata sediziosa può sembrare ad  alcuni forcaioli  non così distante 

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Certo è importante manifestare nel rispetto delle regole fissate per la pandemia. Ma il diritto costituzionale va difeso con le unghie e con i denti, comunque è sempre. Premesso questo, ho dei forti dubbi sulle manifestazioni promosse da partiti il 2 giugno, quasi in alternativa alla parata militare che era un momento unitario per tutti gli Italiani.
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Il Tricolore non va mai usato per scopi di parte e Zingaretti  che all’ improvviso si sente patriota ed invita ad esporre il  Tricolore  fa un’operazione politica per spiazzare il centro- destra che porterà, per la festa della Repubblica,  in piazza il Tricolore. Zingaretti e’ così  lontano dalla conoscenza della  storia  patria da definire il 2 giugno festa dell’Unita’ nazionale. Il 2 giugno è  invece storicamente già di per sè una data divisiva perché la Repubblica nacque  da  un referendum carico di ombre e con uno scarto di voti inadeguato rispetto agli oltre dieci milioni di Italiani che votarono per la Monarchia. Non facciamo  del 2 giugno occasione e pretesto  di altre divisioni e riserviamo il tricolore a manifestazioni che non siano di parte. Inno nazionale e Tricolore vanno rispettati perché sono ciò che resta di un’ Italia a pezzi  e di una storia dimenticata che i giovani non conoscono affatto e che quindi non rispettano. Molti sono figli di una scuola che non insegna neppure il civismo, figurarsi il patriottismo che molti insegnanti giudicano  una fastidiosa retorica. Leggiamo o rileggiamo il “Cuore” di De Amicis, patriota e socialista umanitario, per capire cosa debba essere il  vero patriottismo di cui avremmo tanto bisogno e che nessuno oggi in Italia e’ in grado di generare. Ci riuscì o almeno tentò di suscitarlo il presidente Ciampi, ma anche il suo esempio è oggi molto lontano. Amare la Patria significa identificarsi nella sua storia, guardando a ciò che ci unisce e non a ciò che ci divide. E’ il grande esempio che ci viene dal nostro Risorgimento: da Cavour a Vittorio Emanuele, da Garibaldi a Mazzini. Discorsi vecchi che però andrebbero ricoperti proprio in questi drammatici frangenti. Gli Italiani dopo Caporetto seppero comportarsi in altra maniera, anche quelli contrari alla guerra.  Un altro esempio di come si debba essere italiani. Sventolando quel Tricolore sono morti nelle guerre di indipendenza e nelle due guerre mondiali tanti italiani che meritano rispetto e  nel silenzio solenne e misterioso della morte ci giudicano. Non dobbiamo mai dimenticarlo.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Cronache della peste. Consiglio di classe

Consigli di classe online. Didattica a distanza la chiamano. Non dico come la definisco io perché, tra i miei pochi lettori, vi sono delle gentili Signore. Comunque credo che si sia capito.

Le riunioni online sterilizzano i rapporti fra docenti. Li rendono tristi. Non impersonali, che potrebbe pure essere cosa buona sotto certi profili. Così, invece, sono solo squallore. I volti si intravvedono appena. Sorrisi forzati. La battuta, il cicaleccio vengono ingoiati dal mostro elettronico. Stai solo assolvendo ad un onere formale. Non hai possibilità di scambiare due parole. Tanto meno quella di sbirciare le gambe di una collega. Che, nell’usuale noia, era comunque una divagazione. E talvolta un piacere estetico…

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Cronache della peste. Consiglio di classe

 

Sfumatura alta?

Le code e prenotazioni nei negozi di parrucchiere e barbiere, che si sono create in questa prima fase di riapertura dopo il lockdown di due mesi, mi hanno portato a riflettere

Durante la cosiddetta “quarantena” diverse persone hanno apprezzato il rallentamento dei ritmi quotidiani e lavorativi, accanto alla possibilità di stare con i propri cari; altre, magari, invece, si sono trovate a dover vivere, in uno spazio chiuso ed in un tempo dilatato, relazioni affettive che già presentavano, in precedenza, delle problematiche. Altre persone ancora, magari affettivamente felici, si sono trovate a dover affrontare problemi pratici di gestione dei figli (magari pure piccini), lasciati a casa da scuola o dall’asilo. Davvero ogni soggetto ed ogni nucleo familiare è diventato una piccola imbarcazione, da traghettare in acque non calme. La riapertura è stata essenzialmente rivolta al settore commerciale, escludendo, ovviamente, ancora per precauzione i settori ludici e dell’intrattenimento (quali teatri e cinema). In fondo ha messo a nudo, al di là della giusta necessità di far girare il motore dell’ economia, un po’ le tendenze della società contemporanea. Ogni adattamento ad una situazione nuova, hanno ben spiegato gli psicologi, necessita sempre di un periodo di tempo più o meno lungo. Anche nel caso dell’adattamento al periodo di lockdown, questo ha finito con il produrre, in molte persone, affaticamento, calo dell’attenzione e, in alcuni casi, anche stati quali ansia e stress. Se così è, anche il ritorno alla normalità (al di là dell’importanza della cautela e prevenzione sanitaria) avverrà, secondo me, per gradi e a piccoli passi. Ma non potrà passare soltanto attraverso segnali esteriori (pur considerando la cura della persona essenziale, anche in tempi di lockdown). Se non verrà ad includere anche processi di solidarietà e condivisione con il prossimo, sono convinta allora che questa epidemia da Covid 19 ci avrà insegnato ben poco.

Mara Martellotta

In collaborazione con: http://www.pannunziomagazine.it/