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Conferenza Rotaract sugli effetti della pandemia

Il Rotaract si attiva a favore dei cittadini in difficoltà e promuove anche una conferenza sul tema “Dialogo sugli effetti sociali della pandemia a Torino”

 

 

In questo periodo di Covid 19 e di ripresa del contagio il Rotaract ancora una volta, come diversi Club rotariani,  nello spirito di solidarietà che li contraddistingue da sempre, si sta mostrando vicino alle persone in difficoltà.

“Il Rotaract – spiega il presidente del Rotaract Augusta Taurinorum, Pierfrancesco Bianca – sta dimostrando un grande spirito di solidarietà nei confronti di quei cittadini che versano in condizioni difficili non solo dal punto di vista sanitario, ma anche economico, in seguito alla pandemia da Coronavirus. Nell’ambito di queste iniziative il Rotaract ha promosso, lunedì 16 novembre prossimo dalle 21 alle 22.30, la realizzazione di una conferenza online sul tema della pandemia e dei suoi effetti, cui parteciperanno la vicesindaca di Torino e assessore alle Politiche Sociali Sonia Schellino, il direttore della Caritas torinese Pierluigi Dovis e Erika Mattarella, Direttrice dei Bagni Pubblici di via Agliè, Casa del quartiere Barriera di Milano.

Tema della conferenza sarà l’esame, sotto forma di dialogo tra i partecipanti, degli effetti sociali della pandemia, con particolare riferimento alle sue ricadute sullo scenario sociale torinese, martoriato da una crisi sanitaria, ma soprattutto economica, che ha provocato l’aumento considerevole del numero di persone in fila alle mense promosse dalla Caritas. Sempre più attività rischiano, infatti, il fallimento, con un conseguente aumento dell’incertezza, che viene a pesare sul futuro economico di tante famiglie”.

“Abbiamo inoltre creato – aggiunge il presidente del Rotaract Augusta Taurinorum, Pierfrancesco  Bianca –  un link per la raccolta fondi, in modo da poter donare a distanza su una piattaforma sicura. Il ricavato della donazione, in collaborazione con la Croce Rossa, verrà utilizzato per l’acquisto di beni di prima necessità,  tra i quali prodotti alimentari e per l’igiene, in modo tale da dare un supporto concreto alle famiglie in difficoltà  e donare anche un sorriso a chi si trova in una situazione di sofferenza materiale e morale in questo periodo”.

 

Mara Martellotta

Il link per la donazione è il seguente :

https://gf.me/u/y79vn9

segreteria.towest@gmail.com

Arte povera e sogni rivoluzionari ai tempi di Merz e Calvino

In via Santa Giulia 57 c’era una vecchia trattoria La Rosa di Francia. Quante serate passate a metà anni ’70. Ora c è un centro estetico. In questo caso il tempo è stato impietoso

E rimane il ricordo con quella vena di nostalgia compagna inseparabile del ricordo. Prima era  una piola con pessimo vino ed al massimo uova sode al bancone, talmente vecchie , diventate dure ed immangiabili e noccioline americane a go-go. Arrivò Carlo dando una nuova anima al locale.

La moglie in cucina e l’avventura cominciava. Carlo ex operaio Fiat e sessantottino. Ogni tanto arrivavano suoi vecchi amici: si autodefinivano Comontisti. Gente strana. Barba e capelli lunghi, l’ immancabile eschimo, rigorosamente verde,  e ventre sfondato dalle troppe lattine di birra tracannate. Carlo li sopportava per amicizia. Diceva sempre: non sono un revisionista ma questi si sono bevuti il cervello. Era sempre in un angolo della sala. Mangiando e bevendo aspettava i clienti. Finiva, poi sempre si sedeva con noi nel fare ore piccole parlando e raccontando  improbabili rivoluzioni. Ed a volte ci impegnava a fare l’alba perché voleva andare a fare i picchetti alla Fiat. Crollava e la moglie lo accompagnava sopra nel loro appartamento e soffocava nel sonno le sue velleità rivoluzionarie. Centrale per il quartiere Vanchiglia. Tra i quartieri più eclettici di Torino. Tutti i ceti sociali rappresentati.

La Contessa proprietaria di diversi palazzi tra via Vanchiglia e corso San Maurizio. Operai e piccolo borghesi o bottegai e partigiani. E non mancavano gli intellettuali ed artisti. Come Mario Merz, un gigante nel suo genere. Uomo sicuramente affascinante e decisamente anarchico visionario. Cominciammo a dormire a casa sua per fare compagnia alla figlia Beatrice. Iscritta alla Fgci e studentessa del liceo scientifico Segrè. I genitori erano molte volte fuori per lavoro. Faticosamente ma inesorabilmente si stava affermando l’ arte povera. Gianni Agnelli e Marella Caracciolo in Agnelli ne erano estimatori e volevano comprare un opera. Più volte lo invitarono a cena per comprare una sua opera. Il Maestro annuiva. Cambiava discorso. Sicuramente era estemporaneo. Solo dopo 25 anni gli Agnelli riuscirono ad acquistare una sua opera. Trent’anni dopo ebbi l’avventura di lavorare per la Fondazione Merz aiutando la figlia nel predisporre mostre oltre oceano. Argentina e Brasile. La Rosa di Francia era il nostro covo. Stavamo ad ascoltare Merz e tutti fumavano le Stop senza filtro, non penso che siano ancora in commercio. Le ore diventavano piccole, ed il giorno dopo era dura svegliarsi per andare al liceo. Indubbiamente uomo di grande fascino.

Non era semplice stargli dietro. Stargli dietro nel perché è nel come delle sue opere. Ogni tanto ci veniva in aiuto Bea che lo “traduceva”. Una sera ci presentò Italo Calvino. Faceva da spola con Parigi. Lo conoscevo ma non avevo mai letto un suo romanzo. Rientrati trovai La giornata di uno scrutatore. Tempo dodici ore e lo lessi tutto di un fiato. Poi I sentieri dei nidi di Ragno. Dove resistenza era anche un percorso nella propria anima. Una porta aperta all’universalità di Elio Vittorini, o l’epico Beppe Fenoglio e l’antifascismo dolce e tenero di Cesare Pavese, dentro la sua proverbiale impotenza. Che anni, che anni!  Anni impossibili da dimenticare. Anni tra Arte Povera e Casa Editrice Einaudi passando, naturalmente, per la Trattoria La Rosa di Francia.

Patrizio Tosetto

“Voglio tornare a sentire il profumo della vita…”

Qualche giorno fa, prima del nuovo #dpcm, ho comprato questa rosa.

È stato lampante come non solo la mascherina mi impedisse di annusarne il profumo ma anche l’involucro di plastica che la avvolgeva. E così ho deciso di scattare questa foto che non ho avuto tempo di pubblicare perché nel mentre mi son ritrovata in ospedale per una bronchite, i tamponi fortunatamente erano negativi.

Stiamo vivendo un’epoca difficile, soprattutto noi giovani, noi che dovremmo vivere nella speranza di un futuro roseo. Tutti ci chiediamo perché ci ritroviamo a vivere una situazione così drammatica ma molti ormai hanno già capito (e tutti dovrebbero esserne consapevoli) che solo cambiando le nostre abitudini potremmo avere una vita migliore.

Abbiamo tanti problemi da risolvere e la pandemia, qualunque origine essa abbia avuto, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ora cerchiamo di uscirne il più indenni possibile iniziando da subito a pensare e a cambiare quelle abitudini che non sono più sostenibili. Mi auguro in futuro di non dover portare più la mascherina e di comprare una rosa avvolta da un involucro che non inquina o, ancora meglio, dopo tanti anni di impegno e sacrifici vorrei non ritrovarmi più a fine mese coi soldi contati e poter così fare una scelta più ecologica comprando una pianta, simbolo di vita, anziché un fiore reciso.

Fonte Instagram: @irene.cane

Coronavirus, il convitato di pietra della società odierna

In questi mesi di Covid il primo ed ora questo secondo lockdown, seppure eufemisticamente definito “soft”, hanno fatto riaffiorare alla mente l’immagine della desertificazione, non soltanto come processo che, progressivamente, si sta compiendo nelle grandi metropoli cittadine, ma anche come progressivo allontamento tra i membri che compongono la società.

L’interruzione brusca delle attività produttive a marzo e ora il ripetersi di questo black out, seppure un po’ meno drastico, con l’esclusione dal lockdown di alcune attività, ha conferito ad alcuni grandi centri urbani italiani, quali Torino, il volto di città semipietrificate. Soprattutto durante il primo lockdown, nei momenti di massimo numero di contagi, l’immagine che ci restituiva l’ambiente cittadino era molto simile ad un deserto. E  ritornava spesso alla mente il deserto nella sua accezione di luogo metaforico, per eccellenza, della solitudine. Il deserto, infatti, come hanno ben espresso poeti straordinari quali Ungaretti, presenta una duplice dimensione, fisica e spirituale, capace spesso di suggerire il sentimento del nulla. In un’accezione più ampia, in questi tempi di Covid, metaforicamente si potrebbe anche affermare che il virus sia riuscito a pietrificare molti animi umani. Mi pare, quasi, che il Coronavirus, capace, a ondate, di diffondersi, ritirarsi parzialmente e poi di ritornare tra noi, sia simile a un invisibile “Convitato di pietra”, a quel fantasma nascosto in una statua marmorea sepolcrale, cui diede voce, per la prima volta nella storia letteraria, lo scrittore spagnolo Tirso de Molina, creando una figura, che ha poi ispirato molte opere teatrali in musica, tra cui la più famosa è sicuramente il Don Giovanni di Mozart.  Il “convitato di pietra” sarebbe poi diventata un’espressione destinata a indicare una presenza incombente, inquietante, muta, imprevedibile e conosciuta da tutti, ma innominata. Rispetto al convitato di pietra di storica memoria, questo virus, nella nostra epoca, è, invece, sovranominato e sovracitato, in una società dove, già prima del suo comparire, con la progressiva perdita dei valori fondanti, tutto (sentimenti e pensieri) venivano spesso urlato, più che espresso in modo garbato e equilibrato. Auguriamoci che, terminata un giorno questa pandemia, possa anche scomparire questa sensazione così dirompente della pietrificazione che il virus ha portato con sé. Nella mitologia classica Medusa rappresenta la figura che incarna la pietrificazione del significato. Di fronte all’ignoto che, all’inizio della pandemia, è stato rappresentato dalla comparsa di questo virus sconosciuto, è anche entrato in crisi il modello di salute che, nella società contemporanea, ci ha sempre accompagnato, inteso non soltanto come assenza di malattia, ma anche come benessere psicologico e interazione in un ambiente sociale attento alle qualità ed esigenze dell’individuo. Con la comparsa della pandemia, con il lockdown prima e poi le necessarie misure di distanziamento, con la progressiva riduzione della socialità, per diversi individui è risultato compromesso anche lo stato di benessere psicofisico che li accompagnava. Non sempre risulta, infatti, facile mettere in campo quelli che gli psicologi chiamano i “meccanismi di resilienza” perché, di fronte al dolore inspiegabile e alle immagini dei morti per Covid che sono passate innanzi, anche attraverso i media, nel primo lockdown, spesso l’individuo si paralizza, non percepisce più se stesso ed il suo involucro (il suo corpo) come  una casa sicura.  Quando il “Convitato di pietra” se ne sarà finalmente andato, credo che sarà necessario uno sforzo individuale e collettivo non tanto per ritornare come prima ( in fondo non eravamo poi così perfetti!),  quanto per gettare le basi di un mondo migliore in cui, una volta tolte le mascherine, si possa anche riscoprire la bellezza di un sorriso sincero di apertura e solidarietà verso gli altri.

Mara Martellotta

La rabbia delle donne

La psicoterapeuta Almut Schmale-Riedel ci spiega perchè esplode e come sfruttare il suo potenziale nascosto.

 

Normalmente, per cultura e per fama, la rabbia non gode di buona considerazione e viene valutata in maniera negativa come una emozione sgradevole di cui avere timore. Probabilmente in un contesto sociale in cui si aspira all’ armonia e all’equilibrio quasi perfetti  e dove prolificano, giustamente, attività e pratiche per ritrovarli  come lo yoga, la mindfulness, la meditazione e affini, di cui abbiamo parlato anche tra le pagine virtuali di questo giornale, riconoscere gli aspetti positivi della rabbia o dell’ira non è semplice e soprattutto non è immediato.

Sì, la rabbia nelle sue espressioni funzionali, quindi nei casi in cui non arrechi danni a se stessi e alla comunità, in piena consapevolezza delle motivazioni e del perché si manifesta può avere una connotazione e un valore positivi. Reprimerla, creando un carico emotivo pericoloso, o farla esplodere in maniera irrefrenabile, non sono modalità sane e adeguate per sfruttarne appieno le facoltà; comprenderla ed accoglierla invece è il primo passo da compiere per canalizzarla nella maniera corretta superando così anche la comune e limitante credenza che la considera  il più delle volte con un tratto distintivo negativo, soprattutto per il mondo femminile a cui, sempre secondo tradizioni sociali e culturali, non si addice affatto.

Ne La Rabbia delle Donne, edito da Feltrinelli, la psicoterapeuta e coach Almut Schmale-Riedel ci racconta con una analisi approfondita e chiarificatrice come la rabbia e l’irritazione, nelle sue forme più mitigate e consapevoli, possono aiutarci a fissare limiti ben definiti e ci insegna soprattutto che l’insorgere di queste emozioni è il probabile sintomo di bisogni importanti che non ricevono una attenzione adeguata, inascoltate e ignorate quindi almeno in parte. Il libro è un viaggio alla scoperta di quelle emozioni e sensazioni pertanto che affiorando costituiscono una di spia utile a rintracciare le nostre vere necessità, una bussola, come dice l’autrice, determinante per individuare i valori insiti nellanostra personalità e nella nostra identità.

Dalla terminologia, alle spiegazioni neurobiologiche dell’elaborazioni delle emozioni, ai modelli di rabbia femminile per concludere con i suggerimenti per farne una risorsa, l’autrice con un linguaggio comprensibile e chiaro, ci aiuta a legittimare la nostra “buona” collera, a farne un alleato e, altrettanto importante, ci conduce in un percorso di legittimazione che ambisce adeliminare tutti i spiacevoli sensi di colpa legati a giudizi e affermazioni che oramai dovrebbero essere superati.

Nell’ultima parte, in una lettera aperta agli uomini, l’autrice esorta gli stessi a prendere più sul serio la rabbia delle donne, a non sottovalutarne gli effetti e a darle più attenzione con l’ambizioso obiettivo di addolcire i conflitti e creare un confronto più aperto e costruttivo.

Ascoltare e comprendere le nostre emozioni dunque, anche quelle che ci fanno più paura, costituisce un atteggiamento positivo e proficuo , un metodo per non subirle passivamente, un orientamento favorevole per utilizzarle al meglio.

Maria La Barbera

L’indimenticabile gioco del trenino nella Barriera di mezzo secolo fa

Il gioco dei trenini è sempre stata la mia passione

Responsabili sono stati i miei genitori e zii paterni. Nel 1961 per Natale un grande regalo: trenino Marklin, fabbricazione e tecnologia tedesca,  il massimo. E per rendere più allettante la sorpresa dormii dagli zii.  In serata padre e zio lo montavano a casa. Arrivato per il pranzo a momenti svenni.
Accattivante la galleria dove il trenino passava. Risultato pratico: non mangiai e stetti ore ed ore ad osservarlo. C’erano piccole levette . Precisamente tre: una che avviava, una per gli scambi ed una per ridurre la velocità. Fermata tecnica in stazione e operazioni di aggancio dei vagoni.
Così quando mia madre andava a trovare i parenti in via Bra la costringevo all’andata e ritorno a fermarsi nel negozio di collezionismo in corso Giulio Cesare 110.
Appunto,  Artuffo. Partenza da via Cherubini 64. Tutto corso Giulio Cesare fino in via Bra al 9. Nelle puntatine più interessanti fermata nel negozio di libri e fumetti usati di Becutti.
Ex operaio della Grandi Motori licenziato per rappresaglia. Penso di non averlo mai sentito parlare in italiano. Tra un sigaretta e l’altra raccontava della sua attuale libertà. Erano due fratelli e Laura Becutti fu tra le prime interpreti di russo di tutta Italia. Rimase nubile e si favoleggiava di uno struggente ed impossibile amore con un Maresciallo dell’Armata Rossa. Crrscendo chiedevo e desideravo sempre nuovi accessori per il trenino. Sempre a Natale regalone da parte Fiat. Mio padre arrivava a casa con dei buoni per giostre e giochi. Anche qui scarpinata fino in corso Giulio Cesare angolo via Palestrina, tram n. 15 e fermata in via Nizza all altezza di Torino Esposizioni. Sulle giostre ero indeciso sulla scelta. Tot buoni tot giri. Non si poteva e doveva sgarrare. Infine il pacco dono. Eccolo li’ un nuovo trenino marca Lima. Non era tedesco ma andava bene lo stesso. Nei giorni successivi misi in croce mio padre perché stavolta il plastico lo volevo costruire io. Sabato pomeriggio partimmo a piedi,  obbiettivo il falegname di fiducia al fondo di via Palestrina. Direi 2 km ad andare ed altri due al ritorno che mio padre si fece con il grezzo del plastico. Che impresa, ovviamente una sua impresa. Ed io non volevo essere da meno. Per la prima volta ( forse l’unica) decisi un metodo di applicazione e lo perseguii. Il lunedì ( come il cacio sui maccheroni ) arrivo’ la proposta dell’ insegnante di applicazione tecnica. Chi si offriva  volontario per realizzare un plastico con trenino? Mi proposi entusiasta. Una  settimana di tempo per presentare il progetto per l’approvazione e 2 mesi per realizzarla. Indubbiamente diedi il meglio. Adattai il trenino Lima al progetto: Far West. Unico atto di mio padre il calcolo della pendenza per superare un guado con ponte. Lavorando ogni serata dalle 20,  in poi. Manco la televisione vedevo più. In compenso ascoltavo la radio e mi dilettavo. Materiali: pongo cikiratoto Dask ( mastice ) e il Traforo annesso con seghetto. Un esempio era la costruzione della palizzata o dei muri,  diciamo così, simile al legno. Incollavo stuzzicadenti ad un rettangolo di compensato. Tagliavo le punte e poi pitturavo di marrone testa di moro. Fatti i muri montavo piccole casette. Geniale no?
Il Dask per gallerie e monti. Il pongo per collinette ed addobbi. Sotto casa, in piazza Crispi c‘era l’ elettricista, il  decoratore e la cartoleria. Fantastico no? Nel plastico c’erano anche linee telefoniche e l’ illuminazione a gas in città. Far West, meta’ ottocento. Giuro sono stato preciso fino all’ eccesso. Purtroppo i grandi amori a volte vengono spazzati via da grandi delusioni. Puntavo al voto 10. Appunto la perfezione.
Ottenni solo 8. Per il Professore c’erano delle sbavature. Ammetto, tutto sommato, dopo oltre cinquant’anni mi brucia ancora.  Brucia ancora ma sono convinto che molto mi ha insegnato. Aveva ragione mio padre : un modo di sviluppare l’intelligenza è quello di sviluppare le attività manuali. Sbaglierò ma si imparava meglio in questo modo che non solo davanti ad un video. Non mi ha mai abbandonato l’idea di cercare andando in biblioteca per scrivere una ricerca didattica. So perfettamente dI essere, almeno in questo caso, un uomo d‘altri tempi.  Concedetemi di non riconoscermi in questo tempo , dove in cinque minuti si è già consumato tutto. Mi si lasci (cortesemente) la dolcezza dei ricordi di oltre 50 anni fa.

Patrizio Tosetto

Si poteva fare molto. E invece…

Si  poteva fare tanto, dopo il liberi tutti di giugno, convinti d’aver sconfitto il virus…

si potevano aumentare i posti in terapia intensiva…
si poteva assumere personale sanitario e togliere il numero chiuso per le iscrizioni alla laurea triennale in infermieristica….
si poteva aumentare il numero di mezzi pubblici per evitare assembramenti… si potevano scaglionare entrate ed uscite dal luogo di lavoro si potevano fare tante cose… come diceva cetto la qualunque che rappresenta il “politico italiano”
è stata fatta “una beata minchia”.
Dal 4 dicembre di nuovo liberi tutti per salvare il Natale e Capodanno?
Chissà….forse in questo periodo è meglio pensare “per davvero” come organizzare un 2021 non positivo ma sereno!

Vincenzo Grassano

Il “Design Tech” ridisegna gli spazi del futuro

Ecco come adattarli alle nuove esigenze di un’epoca post Covid

Il settore del design sta al passo con i tempi, proponendo nuove soluzioni e nuove mappe concettuali in questa società post Covid e intrecciando un dialogo sempre più serrato con l’architettura e la tecnologia, delineando anche i contorni di un mondo nuovo in cui sia auspicabile abitare in futuro.

Tutto ciò diventerà realtà nel complesso denominato ‘Design Tech”, nell’area milanese ex Expo 2015.

“Sta per inaugurare a Milano, nell’ex area Expo – spiega il dottor Alessandro De Cillis, uno dei co founder del progetto – un grande Hub del Design denominato “Design Tech”, promosso dalla scaleup italiana Hi-Interiors, guidata dal ceo Ivan Tallarico,  e che ha trovato la sua naturale collocazione all’interno di ‘Mind’ ( acronimo che indica “Milano Innovation District”), ma che suggerisce immediatamente i concetti di mente e innovazione. Si tratta del primo Hub italiano di innovazione tecnologica dedicato al Design, ospitato nell’ex padiglione Intesa Sanpaolo di Expo 2015, progettato dall’architetto Michele De Lucchi”.

“Questo polo dell’innovazione precisa Alessandro De Cillis – si è ispirato ad un progetto piuttosto ambizioso e articolato che vede il coworking affiancarsi all’ideazione di uno spazio in grado di mettere in contatto tra loro professionisti del mondo dell’arredo,della tecnologia e del design, aziende e start up, in un ampio scenario di competenze“.

“In un periodo di Covid come quello che stiamo vivendo – aggiungeDe Cillis –  dal lockdown in poi, si sono presentate esigenze assolutamente nuove, come la necessità del distanziamento, che ha richiesto un brusco cambiamento dei modelli organizzativi di vita e di lavoro. Non è detto che questa esigenza non si possa figurare come ciclicamente necessaria e tale da imporre il rispetto delle norme di distanziamento e sicurezza, pur nella pratica di quelle stesse attività che venivano compiute, con altre modalità, in tempi precedenti. Il design, allora, diventa uno strumento assolutamente indispensabile al servizio della tecnologia per il raggiungimento di questo scopo, vale a dire per soddisfare la creazione di nuovi scenari per la progettazione, per nuovi modelli d’uso, per una gestione ridisegnata degli spazi e per l’ideazione di nuove modalità di coesistenza degli esseri umani in ambiti lavorativi condivisi ma, al tempo stesso, distanziati”.

“Abbiamo individuato proprio nel periodo del lockdown – precisa il co founder dell’Hub del Design De Cillis –  la priorità di ridisegnare gli spazi, attraverso un modello che potesse essere esportato anche in altre città italiane e all’estero, e che è risultato vincente già nella sua fase iniziale, nella sua capacità di attrarre investitori. Partendo dal Co-working abbiamo poi coinvolto il sistema del Co- Factory e quello del Co-living. La Co-Factory rappresenterà una vera e propria fabbrica che supporterà la produzione di prototipi di nuovi prodotti da parte di start up e aziende”.

“Design Tech – conclude Alessandro De Cillis – diventerà così un incubatore capace di diffondere le tecnologie digitali nel settore del design, che si sta dimostrando in grado di evolversi seguendo le esigenze dei tempi anche difficili che stiamo vivendo. A questo scopo sia la scaleup Hi-Interiors sia Lendlease hanno deciso nei mesi scorsi di lanciare una call per realizzare il primo coworking Covid complaint, in cui riunire architetti, designer, professionisti del settore insieme alle start up”.

Mara Martellotta

 

(nella foto in alto, da sinistra, Talarico e De Cillis)

Da Marazzato un aiuto ad Asl e mense dei poveri

COVID, GRUPPO MARAZZATO RACCOGLIE E DONA 28MILA EURO AD ASL E MENSE DEI POVERI
Beneficiari del generoso crowdfunding strutture sanitarie e tavole sociali di Piemonte e Valle d’Aosta.

Anche chi opera da anni nel settore ambientale, durante la pandemia in corso, si è speso attivamente per fornire in maniera concreta e operosa un sostegno alle Asl più periferiche del territorio e alle mense dei poveri più in difficoltà di Piemonte e Valle d’Aosta.

E’ il ‘Gruppo Marazzato’, mobilitatosi durante il lockdown dando vita a ‘Diffondiamo la solidarietà, non il virus’, campagna di crowdfunding attivata sulla nota piattaforma Gofundme disponibile all’indirizzo web https://gf.me/u/ynv2rq.

Un’iniziativa che ha potuto contare sul prezioso aiuto di due noti e amati testimonial provenienti dal mondo della musica, il cantautore bolognese Andrea Mingardi e la raffinata interprete Silvia Mezzanotte, voce storica dei Matia Bazar, che hanno rilasciato sui propri social due video per invitare le persone a donare.

Grazie alla generosità dei benefattori piemontesi e valdostani e dell’azienda vercellese promotrice della macchina solidale, “sono stati raccolti ben 28.000 euro, distribuiti ai primi di agosto scorso e ripartiti fra le aziende sanitarie locali e le tavole sociali giornalmente in prima linea nel fornire sostentamento alimentare alle frange più bisognose della popolazione”, spiegano i fratelli Alberto, Luca e Davide, terza generazione di imprenditori alla guida dell’impresa dopo il nonno Lucillo e il padre Carlo.

“Oggetto della nostra attenzione e di chi ha scelto di dare il proprio, spontaneo contributo caritatevole sono state le ASL di Alessandria, Casale Monferrato e Tortona, Aosta, Biella, Ivrea, Novara, Vercelli e la ASL TO5 per quanto concerne il Torinese. Così come la Mensa Sociale ‘Tavola Amica’ di Aosta, Alessandria e Ivrea in mano alla ‘Caritas’, la mensa ‘Il Pane quotidiano’ di Biella, la mensa dei Frati Cappuccini San Nazzaro della Costa di Novara, la mensa dell’Associazione Don Luigi Longhi Onlus di Vercelli e la ‘Mensa dei Poveri’ di Torino del ‘Cenacolo Eucaristico della Trasfigurazione Onlus’ di Don Adriano Gennari”, proseguono.

Per poi aggiungere: “Abbiamo scelto di rendere noto l’esito della campagna, presente anche su Gofundme a riprova di massima trasparenza, soltanto alla ripresa delle attività scolastiche e lavorative perché anche in quest’ultima parte di un anno così critico e difficile sia sempre alta l’attenzione proattiva verso le categorie sociali più in difficoltà”, chiosano i manager del ‘Gruppo Marazzato’.

“La violenza”: incontro con Alfredo Bosco, fotoreporter e Domenico Quirico, giornalista

L’evento inizialmente previsto in Sala ‘900 il recente DPCM del 25/10/2020 pone alcune limitazioni allo svolgimento degli eventi; in ragione delle ultime disposizioni, non è più consentita l’apertura al pubblico delle iniziative che si svolgono negli spazi del Polo del ‘900, nemmeno su prenotazione nominale. 4 novembre 2020 ore 18

ArtPhotò coglie l’occasione del riconoscimento ad Alfredo Bosco, per il suo progetto “Forgotten Guerrero”, del premio speciale “For Humanitarian Photography” del Comitato Internazionale della Croce Rossa al concorso Andrea Stenin a Mosca e del Visa d’Or Humanitarian Award ICRC nel 2020 al festival di fotografia Visa Pour l’Image, per il dialogo ormai annuale con Domenico Quirico. Dialogo nato nel 2017 per mettere insieme le testimonianze di immagini e parola. Iniziato con Ferdinando Scianna sul tema del “dolore” per proseguire con Ivo Saglietti su quello della “rivoluzione” e l’anno scorso con Marco Gualazzini, vincitore del WPP sull’”Africa”. Quest’anno è Alfredo Bosco che dialoga con Domenico Quirico sul tema della violenza al Polo del ‘900.
“La parola di Quirico incontra le immagini di Bosco cercando di descrivere la forza impietosa della violenza, dell’uomo sull’uomo. La violenza paralizza le sue vittime con la paura per sé, per i propri cari, per intere popolazioni. Ha molti volti che prosciugano di lacrime l’uomo falciandone dignità rispetto compassione. Alfredo Bosco, fotoreporter, dice “bisogna mostrare la violenza per comprenderla “e Domenico Quirico dice che “per raccontare la violenza, ritrovarne l’orma e sentirne l’eco si deve pagare un prezzo”. La malvagità, la brutalità della violenza spesso indossa gli abiti della morte e diventa protagonista nelle guerre, contrabbandi, povertà, dolore. Bosco e Quirico, testimoni, guardano con la stessa prospettiva per farci conoscere e comprendere.” TB.
Un dialogo per parlare dei “molti volti” della violenza di quanto avviene in diverse parti del mondo dal Messico al Donbass, tutte situazioni che hanno radici lontane nel nostro inquietante, affascinante, storico ‘900. Modera l’incontro Tiziana Bonomo di ArtPhotò.

Incontro in streaming dal titolo “La violenza” dialogo con Alfredo Bosco e Domenico Quirico. La diretta dalla pagina Facebook di ArtPhotò https://www.facebook.com/artphotobonomo/ mcondiviso sulla pagina del Polo del ‘900 https://www.facebook.com/ilpolodel900 e su You Tube https://www.youtube.com/channel/UC0B_XsXpHiy7mOouij3WDew.

 

BIOGRAFIE
Alfredo Bosco
Nasce a San Miniato (PI) nel 1987.
Dopo essersi diplomato alla scuola di fotografia John Kaverdash di Milano, segue un workshop a Cesuralab sotto la guida di Alex Majoli. Inizia a lavorare come fotoreporter nel 2010, documentando il terremoto di Haiti e la giovane generazione di Tashkent, lavoro che gli vince la menzione speciale del premio FNAC.
Dal 2011 al 2014 lavora per l’agenzia fotografica di Stefano Guindani, documentando nel frattempo le attività ad Haiti della ONLUS Francesca Rava e la campagna elettorale del PD di Matteo Renzi. Nel 2014 inizia un reportage di quattro anni sulla guerra civile in Donbass, nell’Ucraina dell’est. Nel 2015 viene selezionato da Lensculture tra i primi 50 talenti emergenti nel mondo della fotografia. Svolge diversi reportage in paesi dell’ex Unione Sovietica, tra cui la comunità LGBTQ nella Mosca di Putin, la situazione politica e sociale in Kazakistan sotto il controllo di Nazarbayev, e il problema dell’eroina in Kyrgyzistan. Nel 2018 viene selezionato dal World Press Photo per lo Joop Swart Masterclass e, seguendo il tema proposto, svolge un lavoro sui millennials che vivono nelle provincie italiane. Nel 2019 riceve il premio speciale “For Humanitarian Photography” del Comitato Internazionale della Croce Rossa al concorso Andrea Stenin a Mosca. Dal 2018 lavora a Forgotten Guerrero, un reportage sulla guerra della droga nello stato messicano di Guerrero con cui ottiene il riconoscimento del “Visa d’Or Humanitarian Award ICRC” nel 2020 al festival di fotografia Visa Pour l’Image.

Domenico Quirico
È giornalista de “La Stampa” dai primi anni ’80 dopo aver esercitato la professione di avvocato. È stato caposervizio degli Esteri con un periodo nei primi anni ’90 a Mosca. Corrispondente da Parigi dal 2004 al 2010 per diventare inviato di guerra sui fronti più caldi, testimone dal vivo ed esperto di Medio Oriente. Ha seguito in particolare tutte le vicende africane degli ultimi venti anni dalla Somalia al Congo, dal Ruanda alla primavera araba. Ha seguito diversi paesi in Medio Oriente, in particolare la Siria dove è stato sequestrato per cinque mesi nel 2013. Domenico Quirico precedentemente, per pochi giorni, aveva già patito la prigionia a Groznyj, in Congo e in Libia. Ha narrato e continua a narrare quel mondo contribuendo alla sua difficile comprensione, confermandosi come una delle più grandi voci del giornalismo italiano.
Ha vinto i premi giornalistici: “Igor Man” nel 2011, “Cutuli e Premiolino”, nel 2013, “Premio Estense, l’Aquila d’oro” nel 2014, “Montale fuori Casa” e “Indro Montanelli” nel 2015, “Ischia Internazionale di giornalismo” nel 2015, “Goffredo Parise” nel 2016, “Alberto Jacoviello” nel 2019. Inoltre il “Premio per
la letteratura Albatros” nel 2017 e il “Premio Terzani per la letteratura” nel 2018.

Autore di numerosi saggi storici per Mondadori: “Adua”, “Squadrone bianco”, “Generali”, “Naja” e per Bollati Boringhieri: “Primavera Araba. Le rivoluzioni dall’altra parte del mare”. Presso Neri Pozza ha pubblicato: “Gli Ultimi: la magnifica storia dei vinti”, “Il Grande Califfato”, “Ombre dal fondo”, “Il paese del male”, “Esodo. Storia del nuovo millennio”, “La sconfitta dell’occidente”, “Morte di un ragazzo italiano – In memoria di Giovanni Lo Porto”, “La sconfitta dell’occidente”. Con Salani ha pubblicato “Cos’è la guerra”. Ha scritto con Laterza “Succede ad Aleppo” e l’ultimo libro “Testimoni del nulla”
Tiziana Bonomo
Dal 2016 si dedica attivamente al progetto ArtPhotò con cui propone, organizza e cura eventi legati al mondo della fotografia come mostre, libri, incontri. La passione per la fotografia si unisce ad una ventennale esperienza, prima nel marketing L’Oreal e poi in Lavazza come responsabile della comunicazione, di grandi progetti internazionali: dalla nascita della campagna pubblicitaria Paradiso di Lavazza nel 1995 alla progettazione, gestione e divulgazione delle edizioni dei calendari in bianco e nero con i più autorevoli fotografi della scena mondiale. Nel 2019 ha portato in Italia per la prima volta in mostra un grande fotoreporter polacco Krzysztof Miller, ha organizzato la presentazione al Museo Nazionale del Cinema del documentario “Domenico Quirico: Viaggio senza ritorno” di Paolo Gonella. Nel 2019, ha progettato il premio inedito “Mia

Photo Fair – Fotografia di Architettura” e la mostra “Chi Legge” di Claudio Montecucco inserita nel programma “Piemonte che legge”. Attualmente la mostra “Transmissions people-to-people” al Museo del Risorgimento è a sua cura. Ama organizzare incontri. Alcuni già avvenuti con famosi fotoreporter come Ferdinando Scianna, Ivo Saglietti, Marco Gualazzini. L’insegnamento ai ragazzi attraverso il doposcuola all’ASAI e il laboratorio per le scuole “Leggere la fotografia”.