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Piccole riflessioni morali tra laicità e religiosità

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / Mario Soldati, una volta, guardando insieme a me, il cielo stellato di una sera d’agosto a Tellaro, mi disse: “Guardiamo in alto alla costellazione dei valori“. Fu una frase detta all’improvviso senza ulteriori approfondimenti, forse poteva essere anche una citazione che non sono mai riuscito a rintracciare. Questa frase mi è tornata in mente l’altra sera quando, nonostante i divieti, ho visto dalla mia terrazza dei fuochi d’artificio che non si sarebbero potuti fare. Ho pensato alla solida costellazione dei valori e agli effimeri colori pirotecnici. Ed ho colto una differenza abissale tra un sistema di valori e la chiacchiera a cui siamo abituati, volta a  narcotizzarci privandoci dei punti cardinali dell’ esistenza.

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L’opera volta a scristianizzare la società senza renderla più laica ,ma volgare ha raggiunto con la massificazione il massimo del suo effetto negli ultimi decenni durante i quali ogni regola etica, anche quelle del diritto naturale, è stata rifiutata ed  è prevalsa l’idolatria del denaro e del successo.
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Il sesso è  diventato un’ossessione ,specie quello che non si esprime secondo natura e diventa un orgoglio praticare e persino ostentare. Parlare di decadimento dei costumi appare un aspetto ormai consolidato e persino l’istituto del matrimonio come fondamento della famiglia naturale – sono parole della nostra Costituzione – sembra qualcosa da cui molti giovani rifuggono ,forse pensando alle responsabilità che certe scelte implicano. Per altri versi, il divorzio in tempi brevisssimi ha tolto oggettivamente l’importanza di una scelta fatta davanti ad un prete o ad un sindaco. Dov ‘è finita la costellazione dei valori di cui parlava Soldati che certo contemplava anche a volte scelte libertine ,ma in un contesto in cui ,ad esempio, la famiglia appariva fuori discusssione. Nel mondo intellettuale, a dare un forte scrollone è stato sicuramente Nietzsche con la teoria del superuomo e il suo dichiarato anti Cristianesimo. Prima ancora Marx aveva considerato la religione oppio dei popoli. E’ sicuramente vero che le religioni hanno delle colpe e hanno commesso dei gravi errori e sono state motivo di intolleranza e di persecuzioni,come aveva denunciato Voltaire. Ma il Vangelo ha rappresentato,come diceva Benedetto Croce, la più grande rivoluzione – incruenta – dell’umanità per cui “ non possiamo non dirci cristiani“. Croce tendeva a vedere nel suo storicismo  idealistico   il superamento della religione da parte della filosofia come momento di  sintesi di stampo hegeliano. Ma Croce riconosceva i valori fondamentali  della civiltà  “ laica o non laica che sia“. Il superomismo che arriva a D’Annunzio, ha radici antiche nel mito di Prometeo e di Icaro che rappresentano il tentativo dell’uomo di liberarsi da ogni giogo .Anche il mite Gozzano parlerà di “Dio, patria,umanità ,parole che i retori han reso nauseose“.
Anche la stessa civiltà delle macchine nata dalla spinta al progresso del Positivismo, che vedeva nella scienza una nuova religione, ha contribuito a relegare nell’ombra la costellazione dei valori.
Nel film di Luchino Visconti “ La caduta degli dei “ appare molto ben rappresentata la vicenda travagliata di una famiglia tedesca alla vigilia della dittatura  del Nazismo che a sua volta sarà una forma di  plumbeo e sanguinario neo Paganesimo, come il fascismo una manifestazione di cattolecismo ateo.In alcuni di quei personaggi si può vedere la perversione lussuriosa e viziosa della borghesia che in modo diverso troviamo in Musil e in Moravia. La tabula rasa di ogni valore per molti si identifica con l’essere laici, mentre in realtà essa è la desertificazione della vita. Il tramonto dell’ Occidente e della sua civiltà appare inarrestabile con sempre nuovi barbari che vogliono imporre il loro dominio. Il fatto che molti non rispettino neppure le regole più elementari contro il contagio della pandemia rivela la mancanza di rispetto al valore della vita che appare secondaria in rapporto ad una visione ludica dell’esistenza che due grandi laici come Croce e Salvemini  rifiutarono indicando modelli austeri e severi di vita ,tutti giocati nell’al di qua dell’esistenza umana. In grandi laici come Francesco Rufffini e Arturo Carlo Jemolo troviamo ansie religiose profonde che danno un senso alla loro vita e alle loro opere  che sono state troppo presto archiviate. I diversi relativismi etici hanno creato dubbi e sbandamenti perché l’etica  deve tendere necessariamente a  stabilire criteri universali, almeno nelle grandi scelte della vita e della morte. In questo quadro la religiosità è un modo di atteggiarsi alla vita con umiltà e senza spavalderie:  Timor Domini initium sapientiae, c’era scritto nei cortili salesiani di un tempo. Il timore di Dio non c’è più e ci sentiamo autorizzati ad agire di conseguenza. La morte di Dio annunciata da Nietzsche, filosofo della modernità e dell’ateismo, comporta che essere timorati di Dio sia privo di senso e tutto sia consentito, ”al di là del bene e del male.
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Anno zero. Scirocco

Oggi soffia lo Scirocco. Il cielo è terso. Di un azzurro, però, sbiadito. E la luce del tardo pomeriggio assume riflessi aurei. È la sabbia rossa del deserto, portata dal vento. Domattina la troveremo come una coltre sulle automobili parcheggiate all’aperto.

Viene da sud est lo Scirocco. Dalla martoriata Siria, sfiorando la Zacinto di Foscolo. E dalla Libia, anche. Dove lo chiamano Ghibli. È un vento strano. Barocco, lo definisce Guccini, che lo chiama anche “lurido”. Perché sporca le strade. E turba gli animi.

È infatti un vento nocivo, secondo la tradizione popolare. Non solo perché porta afa soffocante, e l’umidità intensa di cui si carica attraversando il Mediterraneo. Ma anche, e soprattutto, perché tende i nervi come corde di violino. Evoca fantasmi. Porta angoscia. Dicono che i neurolabili soffrano molte crisi in giornate come questa…

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Anno Zero. Scirocco

Noi siamo con Santa Sofia

Noi siamo con Santa Sofia, perché non solo le persone ma anche i simboli e i luoghi sacri possono diventare vittime di decisioni ispirate da ragioni di potere

A Istanbul, l’antica Costantinopoli, la basilica dedicata a Santa Sofia, la divina Sapienza, è stata per quasi mille anni sede del Patriarcato di Costantinopoli, con un’importanza quindi per la Cristianità d’Oriente paragonabile a quella rivestita da San Pietro in Occidente. Poi, nel 1453, a seguito della conquista ottomana, è stata trasformata in moschea. Nel Novecento, con la nascita della Turchia moderna, sotto l’influsso di un’ideologia laicista, la si era sottratta al culto religioso e trasformata in museo; ma oggi, nel contesto dell’Islam politico del Presidente Erdogan, viene nuovamente adibita a moschea.

Si tratta di una decisione su cui è doveroso esprimere perplessità. Rende giustizia solo a una parte della storia, e non a quella più lunga e originaria. Di conseguenza introduce una ferita in ciò di cui in ogni modo ci si sta prendendo cura, cioè il rapporto tra Islam e Cristianesimo.

Per questo è importante la posizione assunta dall’Imam Yahyah Pallvicini, presidente della Coreis (Comunità Religiosa Islamica):Santa Sofia dovrebbe tornare a essere chiesa cristiana. Con ciò si intende affermare che la destinazione di un luogo sacro non devedipendere da finalità politiche e ancor meno con l’uso della forza. Il fatto che tante volte sia avvenuto, e non certo solo ad opera dell’Islam, non può esimere oggi dall’affermare un principio fondamentale per la convivenza tra le fedi.

Interessante è anche la proposta di esponenti cristiani del Pakistan: che Santa Sofia possa ospitare tanto il culto religioso islamico quanto quello cristiano. Può apparire una soluzione al momento inattuabile, che però ne farebbe un simbolo, anziché del conflittostorico tra le due grandi religioni, della loro comune professione di fede nell’unico Dio.

Ben difficilmente queste due proposte potranno mutare la decisione presa, ma il loro valore va al di là degli interessi immediati. In quel che oggi può apparire utile a cementare un’identità sociale non è difficile vedere un danno ben più grande nelle relazioni tra le fedi e le culture.

Giampiero Leo, Claudio Torrero, Ermis Segatti, Younis Tawfik, Idris Abd Al Razaq Bergia, Walter Nuzzo, a nome del Coordinamento interconfessionale del Piemonte “Noi siamo con voi”

La stretta tardiva di Ferragosto

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / La ministra dell’Interno ha annunciato su tutti i giornali la stretta di Ferragosto, dopo aver allertato i prefetti di tutta Italia 

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Si tratta di una stretta tardiva. Quando denunciavamo, all’inizio dell’estate, gli ammassamenti in spiaggia e in alcuni locali, la movida selvaggia dei giovani, Il non uso delle mascherine, fummo presi a male parole . Ma era allora il momento nel quale si doveva stringere subito i freni.
I danni sono evidenti e il contagio cresce di giorno in giorno. Una vita normale non sarà possibile fino al vaccino.Non dobbiamo farci illusioni. Lo ha capito persino Zingaretti che brindava ai Navigli con spavalderia. Questa idea dobbiamo imprimercela bene nella mente. Anche il Piemonte, oltre alla Lombardia, ha dato dei risultati non buoni, a voler essere gentili. Lo smantellamento della sanità pubblica ha fatto sentire i suoi effetti in modo evidente. Saremo costretti a nasconderci dietro le mascherine per un tempo indefinito, il nostro lavoro sarà nell’incertezza a tempo indeterminato, andare in un ristorante sarà problematico per la nostra sicurezza perché il distanziamento non è osservato o forse non può essere osservato. Gli operatori del settore non sanno dare l’idea della sicurezza. L’atteggiamento di molti che cercano di vivere la vita secondo il “ carpe diem” e’ irresponsabile verso sè stessi  oltre che verso gli altri. L’egoismo personale e’ suicida e omicida allo stesso tempo ed e stupidamente asociale. Anche i giovani non sono immuni e molti giovani stentano a capirlo. Dovremo passare un Ferragosto in casa, non ci sono scelte. Niente movida e assembramenti. Per l’occasione ho riaperto la vecchia casa di vacanza dei miei genitori a Bordighera per trascorrere qualche ora di serenità e di nostalgia verso i tempi passati . La prudenza deve essere massima, sempre e ovunque. La stretta ferragostana della ministra serve a riempire le pagine dei giornali, non a dare sicurezza ai cittadini.
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Borgo Vittoria, il volontariato non si ferma mai

Riceviamo e pubblichiamo / La quarantena è ormai un ricordo come dopo ogni calamità si cerca faticosamente di tornare alla normalità, 
ma anche in questa fase intermedia il volontariato non va in vacanza.

Infatti, grazie alla comune collaborazione con il Tavolo di Borgo Vittoria, varie associazioni proseguono il loro impegno.

Ogni settimana, ad esempio, il gruppo torinese di Ministri Volontari della Comunità di Scientology – movimento umanitario 
internazionale avviato da L. Ron Hubbard negli anni ’70 – collabora con l’associazione NAIM nelle operazioni 
di carico scarico di quintali di alimentari raccolti ai mercati generali, consegnati gratuitamente persone famiglie 
messe in ginocchio dalla chiusura forzata.

questo si aggiunge, ogni lunedì venerdì, il turno di consegna dei pasti persone senza fissa dimora supporto del 
Progetto Leonardo, mentre al mattino, in settimana, una squadra si dedica al monitoraggio di sette tende allestite davanti ai pronto 
soccorso di altrettanti ospedali cittadini, come parte della Sezione Comunale di Protezione Civile.

Se la società deve ripartire, il volontariato non si è mai fermato non si ferma nemmeno in agosto

L’uomo di Pianaccio

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Enzo Biagi di cui ricorre il centenario della nascita, ha avuto l’onore di ottenere un francobollo a lui dedicato, come lo ebbero pochissimi giornalisti, da Longanesi a Pannunzio.

La frase sul francobollo che evidenzia che Biagi si considerasse un uomo di Pianaccio, il paesino sull’ Appennino dove nacque, evidenzia, forse senza consapevolezza, il limite di Biagi che sicuramente aveva girato il mondo, ma era rimasto sostanzialmente un provinciale.

Era l’accusa che gli fece Giulio De Benedetti, il terribile direttore della “Stampa” che lo allontanò dal suo giornale. Molte delle pagine di Biagi appartengono, come ha scritto Dino Cofrancesco, al populismo moralistico ante litteram.  Cofrancesco vide il corrispettivo alto di Biagi in Barbara Spinelli, oggi del tutto scomparsa dalla scena. Il suo stile semplice, immediato, quasi guareschiano, senza avere il genio e la poesia dell’inventore di Don Camillo, gli consentì un larghissimo successo sia come giornalista, sia come uomo televisivo.

Sembrava uno di noi, mi disse una volta un amico non particolarmente colto, suo attento e appassionato lettore. Dicono che Biagi abbia raccontato il mondo e la vita, la politica e la quotidianità. Fu un fustigatore inflessibile degli altri, soprattutto quelli avversi alla sua parte politica, forse dimenticando che compito di un giornalista è quello di capire ed aiutare a capire e non quello di giudicare. Secondo Marc Bloch neppure agli storici è consentito di giudicare prima di aver capito, figurarsi ai testimoni del presente che vivono nella contemporaneità. Non so più chi lo definì il citazionista per il suo vezzo di infiocchettare i suoi articoli con citazioni più o meno dotte o popolaresche,una mania ripresa in maniera persino fastidiosa dall’incolto Mauro Corona che cerca così di avvalorare una cultura che non possiede. Gli scritti di Biagi sono facili facili, ma alla fine spesso sembrano quasi aria fritta.

Il populismo moralistico  ebbe in Biagi il suo Vate che << giudica e manda>>, quasi esclusivamente, quelli che non la pensano come lui. Il servizio televisivo Biagi, nell’ultima parte della sua attività, lo ritenne una sorta di pulpito dal quale lanciare scomuniche e sollevare polveroni polemici. Non ho mai approvato l’editto bulgaro di Berlusconi che rivelò anche in quella occasione di non essere liberale, ma certo non potevo neanche approvare Biagi che pontificava in Tv come neppure fece Giuliano Ferrara ,allora faziosissimo berlusconiano, dopo essere stato faziosissimo comunista e faziosissimo craxiano. Non ci sono confronti con l’equilibrio e il tatto di Sergio Zavoli che pure si dichiarò di parte e fu deputato e senatore.

Questo fingere di essere indipendente, rigorosamente indipendente e poi parteggiare è un altro limite di Biagi. Il giornalista non parla in nome dell’ opinione pubblica, ma semmai deve rispettare in primis le regole deontologiche del mestiere giornalistico che sulla carta sono molto rigorose, come nella pratica sono assai  poco rispettate. Il giornalista deve avere l’umiltà di ascoltare e di riportare le idee di tutti, senza escludere a priori nessuno. Non teorizzo l’utopia di un giornalismo obiettivo che non esiste e non è neppure possibile, ma sostengo la necessità di un giornalismo non preconcetto che sia aperto al pluralismo delle idee e dei giudizi morali che  per un giornalista sono accettabili sono in alcuni casi ben precisi e limitati. In altri casi il giornalista deve astenersi dal dare valutazioni morali per cui non ha l’autorità.

Nei giorni scorsi ho letto le celebrazioni del centenario e ho notato la mancanza di spirito critico. Certo fu uno dei giornalisti di maggiori successo, ma c’è da domandarsi cosa resterà di Biagi. Non a caso le celebrazioni avranno come punto di riferimento Pianaccio dove esiste un museo a lui dedicato. Enzo Bettiza, Oriana Fallaci e Giampaolo Pansa sarà impossibile dimenticarli, come forse anche Giorgio Bocca, ma su Biagi bisogna oggi invocare almeno una sospensione di giudizio. Di Biagi ricorre il centenario della nascita a tredici anni dalla morte e quindi c’è ancora un’aureola intorno a lui, sopravvissuta alla morte. Per Pannunzio, ad esempio,morto nel 1968 e ricordato nel centenario della nascita nel 2010, c’è stato il tempo di vedere ciò che era vivo e ciò che era morto della sua opera giornalistica e intellettuale. Per Biagi no.

Delle celebrazioni di amici e sodali non ci si può fidare, possono essere considerati al massimo dei materiali, in verità poco affidabili, per una storia del giornalismo che è cosa diversa dalle agiografie. Neppure Biagi si sentirebbe a suo agio nel ruolo di mezzobusto.Se aveva un sicuro pregio, era quello di rifuggire la retorica di cui sono piene le commemorazioni e le celebrazioni per il suo centenario e, ovviamente, non solo per il suo. Per altri versi, fu un buonista deamicisiano  di rito emiliano, a volte persino sdolcinato.

 

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Cinquant’anni di Regione. Calleri di Sala, il Presidente

La Regione Piemonte a cinquantanni dalla sua nascita. Suo primo Presidente fu Edoardo Calleri di Sala, esponente della Democrazia Cristiana, con un’ampia esperienza antecedente di sindaco

Il 13 luglio 1970, esattamente cinquant’anni fa, nasceva la Regione Piemonte, vale a dire quel giorno, che era un lunedì (come quest’anno), i cinquanta membri del primo Consiglio Regionale del Piemonte, riuniti nel palazzo delle Segreterie di piazza Castello, diedero avvio alla fase costituente dell’Ente, previsto dal Carta Costituzionale del 1948.

Dieci giorni dopo la seduta che aveva decretato l’elezione del presidente del Consiglio Regionale, il socialista Paolo Vittorelli, nel corso della seduta del 23 luglio fu nominato primo Presidente della Regione Piemonte il conte Edoardo Calleri di Sala, esponente dell‘allora partito della Democrazia Cristiana.

“Oggigiorno la nascita delle Regioni italiane afferma Guido Calleri di Sala – non rappresenta un avvenimento che venga moltoapprofondito dal punto di vista storico come, invece, si meriterebbe,e, con tutta probabilità, il cinquantesimo anniversario della loro fondazione, coinciso purtroppo con un anno di emergenza sanitaria, certo non ha agevolato la promozione di eventi tali da poterricordare un passaggio storico epocale come fu quello rappresentato dalla nascita delle regioni, nell’avvio del processi di decentramento edi autonomia differenziata.

Calleri a Torino con Maria Callas

“La figura di nostro padre – spiega Maria Clotilde Calleri di Sala – è  sicuramente stata emblematica per l’avvio della Regione Piemonte. Nonostante la sua formazione universitaria fosse maturata in campo medico ( era laureato in Medicina con specializzazione in Otorinolaringoiatria ), la sua passione politica sorse ben presto, tanto da spingerlo ad impegnarsi per il suo territorio,  divenendo sindaco di Bricherasio, dove abitava, e  ricoprendo questo incarico dal 195q al 1960. Successivamente divenne sindaco di Moncalieri nel 1965, ma vi rimase in carica per poco perché nel luglio dello stesso anno fu dimissionario in quanto eletto Presidente del Cassa di Risparmio di Torino. Egli proveniva da una famiglia in cui risultavano centrali l’impegno per il prossimo, per la comunità e per lo Stato. Suo padre, Guido Emilio Calleri di Sala, era ammiraglio della Regia Marina ed i fratelli erano in Marina ed in Aviazione“.

“L’epoca in cui mio padre – aggiunge Guido Calleri di Sala – fu sindaco di Bricherasio coincise con gli anni Sessanta, che rappresentarono un decennio di grande trasformazione e rinascita industriale per il nostro Paese. Furono costruite, a livello locale,alcune vie di comunicazione fondamentali, servizi essenziali evenne introdotta anche, in paesi come Bricherasio, l’elettricità. Mio padre ( Edoardo Calleri di Sala) era un uomo sicuramente progressista per i tempi, nel senso che aveva perfettamente compreso l’importanza rappresentata, per il progresso del territorio,da parte della costruzione di infrastrutture. Quando ricoprì il mandato di Presidente della Regione, promosse, infatti, la costruzione del primo tratto della Torino-Bardonecchia e di un tratto della TorinoPiacenza. Diede anche avvio alla creazione di una società per la costruzione della metropolitana torinese. Negli anni in cui fu Presidente della Regione mantenne anche l’incarico di Presidente della Cassa di Risparmio di Torino, ricoperto dal 1965 “.

“Erano anni – spiega Maria Clotilde Calleri di Sala –  quelli, durante i quali mio padre fu presidente della Regione e, ancor prima,sindaco in cui fare politica aveva un significato abbastanza diverso da quello che ha assunto nella società  odierna. Chi ricopriva incarichi di responsabilità  aveva alle spalle un lungo percorso di preparazione politica, una vera e propria gavetta di “scuola politica, già a partire dagli anni giovanili, che spesso affondata le radici nello stesso associazionismo giivanile. I partiti, come la Democrazia Cristiana in cui papà ( Edoardo Calleri di Sala) militava, erano contraddistinti da correnti interne, ma tra i rappresententanti ed i militanti delle singole correnti era presente un profondo rispetto reciproco. Mio papà faceva parte della corrente dorotea, ma aveva un attimo rapporto di stima e di dialogo con Carlo Donat Cattin, esponente della corrente di sinistra della Dc, e con lo stesso Giorgio Merlo, che avrebbe ricoperto l’incarico di presidente della Commissione di Vigilanza della Rai, ed anche con Gianfranco Morgando.

Intensi e fraterni furono anche i rapporti precisa Guido Calleri di Sala con altri esponenti della Torino intellettuale e politica a lui contemporanea, quali l’esponente democristiano Silvio Lega, che è stato vicepresidente della Delegazione per le Relazioni con i Paesi della Europa dell’Est e membro della Commissione per i Bilanci, l’onorevole Giuseppe Botta, che rivesti’ il ruolo di Presidente della Commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera, l’onorevoleed eurodeputato Vito Bonsignore, e Rolando Picchioni, dal ’95 al ’98 Presidente del Consiglio regionale del Piemonte“.

Oggi la Fondazione Donat Cattin sta avviando un’ampia ricerca –prosegue Guido Calleri di Sala di documenti che sono la testimonianza diretta del dialogo tra esponenti politici che hanno collaborato con Carlo Donat Cattin. Siamo stati interpellati per poter raccogliere lettere scritte da nostro papà, capaci di testimoniare anche l’attiva collaborazione ed il dialogo presenti tra nostro padre elo stesso Donat Cattin anche negli anni in cui, a Torino, fu sindacoGiovanni Porcellana, esponente della DC“.

Edoardo Calleri di Sala era un politico daltri tempi e preparazione, sempre curioso nei confronti della realtà politica e civile del suo tempo, attento lettore di diversi quotidiani e, soprattutto, uomo dotato di grande temperamento.

Ricordo – conclude la figlia Maria Clotilde – la grande ampiezza di vedute politiche di nostro padre e l’importanza che per lui fu sempre rappresentata dal confronto con le altre compagini politiche. Un giorno mi portò ad assistere in piazza Castello ad un comizio tenuto da Marco Pannella perché, secondo lui, era importante conoscere a fondo il pensiero degli avversari politici, sempre da rispettare.

Mara Martellotta 

Volontariato, aggiornata la convenzione con la protezione civile

Ferma da 5 anni, la convenzione che regola i rapporti con le organizzazioni di volontariato della Protezione civile è stata aggiornata e approvata oggi dalla Giunta della Regione Piemonte.

La convenzione biennale 2020-2021 è stata aumenta di oltre il 10% per ogni Associazione per un importo complessivo di 2.686.000 euro a favore del Coordinamento Regionale del Volontariato di Protezione Civile del Piemonte, del Corpo Volontari Antincendi Boschivi del Piemonte Odv, del Coordinamento delle sezioni piemontesi dell’Associazione Nazionale Alpini, della Croce Rossa Italiana – Comitato Regionale del Piemonte, del Coordinamento Protezione Civile ANC Regione Piemonte, dell’ANPAS-Comitato Regionale Piemonte, del Banco Alimentare Piemonte ONLUS e del Soccorso Alpino e Speleologico Piemontese.

Il contributo è destinato al mantenimento in efficienza del parco materiali e mezzi della colonna mobile regionale e della capacità di risposta operativa del sistema regionale di protezione civile, e sarà liquidato alle organizzazioni in un’unica soluzione.

L’Assessore regionale alla Protezione civile evidenzia come si sia andati oltre le belle parole che da anni vengono unanimemente spese per i Volontari e ci si sia adoperati per realizzare un gesto concreto. L’incremento dei contributi approvato giunge in un momento in cui le casse non sono certamente piene, ma è stata fatta una scelta strategica di destinazione dei fondi evitando voli pindarici in questo momento non attuabili.

In dettaglio, l’incremento della convenzione è quantificato in 392.000 euro per il biennio 2020-2021. Prevede 150.000 euro annui a favore Coordinamento Regionale del Volontariato di Protezione Civile del Piemonte; 15.000 euro annui a favore del Coordinamento delle sezioni piemontesi dell’Associazione Nazionale Alpini; 5.000, euro annui a favore della Croce Rossa Italiana – Comitato Regionale del Piemonte; 15.000 euro annui a favore del Coordinamento Protezione Civile ANC Regione Piemonte; 2.000 euro annui a favore dell’ANPAS-Comitato Regionale Piemonte, 5.000 annui a favore del Banco Alimentare Piemonte ONLUS, 150.000 euro a favore del Corpo Volontari Antincendi Boschivi del Piemonte Odv e 50.000 euro per il Soccorso Alpino e Speleologico piemontese (questi ultimi due per l’anno 2020).

 

Hiroshima e Nagasaki, una tragedia da non dimenticare

Giovedì 6 agosto si è tenuta – come ogni anno – una iniziativa per commemorare la tragedia di Hiroshima e Nagasaki. Evento in questa occasione particolarmente significativo, perché nel 2020 cadono i 75 anni del primo uso dell’arma atomica.

La manifestazione si è svolta in Piazza Carignano, a Torino, a partire dalle h 21.00, ed è stata promossa dalla “Casa Umanista” e dal “Coordinamento contro l’atomica, tutte le guerre e i terrorismi”. La serata, costituita da momenti di silenzio, di canto, di musica e di riflessione, è stata aperta da una rappresentante della Casa Umanista, che ha riassunto gli obbiettivi della mobilitazione. Fra questi, di particolare importanza, la richiesta al nostro Parlamento di ratificare il trattato ONU per il bando delle armi nucleari.

In questa direzione è stato accolto con grandissimo apprezzamento l’intervento svolto in Parlamento, nello stesso pomeriggio di giorno 6, dal Sen. Mauro Laus.  Sono seguite considerazioni e testimonianze di numerosi rappresentanti di movimenti per la pace, la non violenza, il dialogo ecc. Fra le più”rilevanti”, quelle di Graziella Silipo della C.G.I.L., di Maria Boffetta di Senzatomica, del Consigliere Regionale Silvio Magliano e del portavoce del Coordinamento interconfessionale del Piemonte “Noi siamo con voi” Giampiero Leo che ha trasmesso anche il saluto del Presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio. In particolare, Leo ha voluto citare l’intervento svolto da Papa Francesco, il 24 novembre scorso al Memoriale della Pace di Hiroshima, che ha detto: “non possiamo permettere che le attuali e le nuove generazioni perdano la memoria di quanto accaduto, quella memoria che è garanzia e stimolo per costruire un futuro più giusto e fraterno”. Aggiungendo poi: ”bisogna agire tutti insieme, senza divisioni, per scongiurare l’impensabile, cercando un punto d’incontro non più basato sulla paura bensì sul comune interesse. L’equilibrio del terrore – specie in questo nuovo, instabile contesto mondiale – è un filo che rischia di spezzarsi ogni giorno. Solo la tessitura del dialogo riannoda ogni giorno la speranza dell’umanità.  In conclusione della serata si sono lanciate anche immediate iniziative di aiuto e solidarietà col Libano.

Lo “spirito” di Woodstock, l’evento che segnò una generazione

Nell’agosto del 1969, in una piccola località dello Stato di New York, si svolse il più grande raduno nella storia della musica rock: il festival di Woodstock, mezzo milione di persone raccolte sotto l’insegna di “tre giorni di pace, amore e musica“,convenute da ogni parte d’America per celebrare con la musica le idee,i suoni e i colori della generazione cresciuta nella contestazione alla guerra del Vietnam.

Era ferragosto quando salì per primo sul palco Richie Havens e l’aria diventò elettrica. Lo straordinario cantante folk afroamericano suonò tra gli applausi e concluse la sua performance con un finale memorabile , improvvisando su un brano gospel, Motherless child, che parlava dei figli degli schiavi . Ripeté all’infinito, suonando la chitarra con ritmo ossessivo, la parola Freedom, libertà. Nasceva in quegli istanti uno degli   inni di quella generazione pacifista.

L’elenco di cantanti, gruppi e musicisti è lunghissimo:Country Joe McDonald and the Fish ,The Incredible String Band, l’indiano Ravi Shankar con il suo Sitar, Santana e Janis Joplin, Grateful Dead, Creedence Clearwater Revival, Jefferson Airplane, Crosby, Stills, Nash & Young . Gli Who con le straordinarie See MeFeel MePinball Wizard e My Generation;

Joan Baez che concluse i suoi pezzi con We Shall Overcome, l’inno del movimento per i diritti civili. Chi non ha ascoltato e visto almeno una volta un grande e giovane Joe Cocker cantare con voce graffiante su quell’immenso palco la cover dei Beatles With a Little from My Friends?E infine Jimi Hendrix, il talento puro che rivoluzionò il modo di suonare la sei corde. E’ sua l’immagine forse più simbolica di quel concerto dove salì sul palco per ultimo, in giacca bianca ornata di frange e perline, blue jeans, una fascia rossa in testa: un chitarrista mancino che suona l’inno americano con la sua Fender Stratocaster.

In una intervista ricordò così quei giovani:“Se un genitore ha a cuore i propri figli dovrebbe conoscere la musica che ascoltano. Il ruolo della musica è fondamentale in quest’epoca.. .è necessario prenderne coscienza. La musica è più forte della politica. Agli occhi dei ragazzi noi musicisti diventiamo un punto di riferimento, molto più in fretta di quanto faccia il presidente coi suoi discorsi. Ecco perché a Woodstock erano tantissimi”. Questo è stato lo “spirito di Woodstock”, simbolo di un’epoca, di un pezzo di storia degli Stati Uniti e della musica.

Marco Travaglini