Diario minimo urbano…Vedere e ascoltare per credere
L’avevo già vista e “notata”. Qualche settimana fa, a pochi giorni dal Natale. Interno bar. Quello solito, sotto casa, dove mi piace fare colazione al mattino.
Lei è sola, seduta a un tavolino d’angolo. Davanti la tazzina vuota del caffè. E le briciole di una brioche da poco terminata. Sparse qua e là sulle pagine centrali de “La Stampa” (ben allargata sul tavolino) e su un quaderno a righe, copertina nera vintage con etichetta bianca su cui appuntare il nome e bordi rossi. Le pagine decisamente ingiallite dalla lunga corsa degli anni. Corsa che anche lei deve conoscere molto bene. Una tenera nonnina. Infagottata in un vecchio cappotto grigio dal collo di pelliccia (o simil pelliccia) nero. Sciarpone grigio al collo. Un berretto nero ben incollato in testa a coprire capo e orecchie. Occhialini tondi, che hanno smesso da tempo di contare gli anni, pizzicati alla punta del naso e mascherina – o quella che fu una mascherina – lasciata calare libera a proteggere il mento (!?). E fin qui… Nulla poi di tanto strano. Ma quel giornale e quel quaderno d’altri tempi, aperti in bella mostra, che ci facevano lì davanti a lei? Che non degnava di uno sguardo chi entrava e usciva dal bar. Neppure il cagnolino che, simpatico, sgambettava da un cliente all’altro in cerca di briciole da mettere sotto i denti. Sola. Estranea a tutto e a tutti. Fino a che…colpo di scena! Eccola estrarre baldanzosa, da un borsone posato a terra, una penna a sfera e un grosso matitone dalla punta rossa e blu. Di quelli che un tempo s’usavano a scuola per correggere, in modo drastico o più clemente, i compiti in classe. E qui il gioco comincia. Intrigante. La nonnina abbozza un sorriso e comincia a sottolineare con forza frasi intere del gionale e (udite udite) a trascriverle (credo tal quali) sul quaderno. Il barista ignora lo sfregio al quotidiano. La conosce e ne conosce le abitudini. O forse – penso – se l’era lei stessa, quel giornale, portato da casa e chissà a che data risaliva! Stranezze. Certo una scena curiosa. Su cui però non mi sono soffermato più di tanto. Terminato caffé e brioche, esco a comprare – guarda un po’!– il giornale. Nei giorni seguenti, mi è capitato di ripensare ogni tanto alla nonnina. Del resto, nulla capita per caso. Basta aguzzare ben bene vista e udito e abbandonarsi alla curiosità e all’immaginazione. Il gioco è bello. E se va bene può allargarvi orizzonti di vite inimmaginabili. Per carità senza impegnarsi più di tanto. Ma, lo confesso, nei giorni successivi, ogni volta che entravo al bar, l’occhio mi cadeva sempre a quell’angolo. Chissà la nonnina? Finché il destino (parolone troppo grosso?) me l’ha fatta rincontrare. Eccola di nuovo. Proprio ieri. Stessa scenografia. Stesso cappotto. Stessa sciarpa. Stesso quaderno. Stesso berretto e stessa mascherina, la solita “mento-protettiva”. Di diverso solo il libro. Sì, un libro al posto del giornale. Anche lui, però, non fresco di stampa. Tutt’altro! Avrà avuto, per lo meno, una cinquantina d’anni. Forse un libro d’avventura. Di quelli che i bambini leggevano ancora tanti anni fa, nell’era ante-digitale. Un Salgari, un Verne, un Dickens? Sempre uguale il rituale. Sottolineatura. Trascrizione. Trascrizione e sottolineatura. Con una sorta di compiaciuta frenesia. Di nuovo ( per lo meno nella puntata di ieri) alcune inaspettate, a prova d’indizio, esclamazioni. Sono troppo curioso. Mi accosto e mi siedo al tavolino a fianco. Ma no, ma no…così non va bene! E poi, più ordine, perbacco! E giù come mannaia, il matitone dalla punta rossa. Oh ecco, così. Così va bene! Ma… a che gioco giochiamo, nonnina? A far la maestra? Forse, tuo antico mestiere. Ma subito dopo ecco le carte sparigliarsi. Ma io non ho capito! Smorfia piagnucolosa. Smorfia da alunna. Maestra o alunna? O tutte e due. Interscambio di parti. Ancora la maestra: Ermelinda, fai più attenzione! Ermelinda. Ecco il nome “antico” della nonnina. Quello portato addirittura dalla regina dei Longobardi e d’Italia – siamo nell’VIII secolo – consorte di re Cuniperto. La curiosità è troppa. Mi alzo e mi avvio alla porta della toilette alle sue spalle, cercando di sbirciare libro e quaderno. Lei se n’accorge e, indispettita, copre il tutto con le mani. Mi aspetto solo che, rivolgendosi al barista, mi “consegni” quale reo d’aver tentato di copiarne il compito. Ecco svelato il gioco. Ermelinda fa della memoria il suo vivere quotidiano. Riacciuffando e portandosi addosso quel tempo che più e positivamente l’ha segnata negli anni. Oggi, per lei, gioco di sopravvivenza. E forse terapia alla solitudine. Così m’immagino. Sbaglierò? Quando esco dalla toilette comunque, Ermelinda ha già messo in borsa tutte le sue cose. Forse ce l’ha con me, il suo compagno “copione”. Saluta con un tenero sorriso non me, ma il barista-maestro ed esce. Ci rivedremo, Ermelinda? Chissà? Ma, ti prego, non essere arrabbiata con me. Sei tu la prima della classe! E addirittura potresti fare da grande la maestra! Continua serena il tuo “gioco” e il tuo viaggio nel tempo, che ancora ti lasciano ampi margini di sorriso sul volto e nel cuore!
Gianni Milani
Quando ero piccola, la sera del 5 gennaio, lasciavamo una tazza di tè adornata di biscotti vicino alla finestra; ricordo il davanzale su cui posavamo la bevanda fumante e il tinello minuto da cui, all’ora di cena, il vapore della pasta scolata appannava i vetri della cucina; rammento che giocavo a disegnare faccine sorridenti con le dita, e al di là dei tratti creati dai polpastrelli spiavo la collina sorvegliata da Superga.
Uno dei nostri rituali familiari: la mamma prendeva dalla credenza – la stessa in cui si trovava il piattino per il Topolino dei denti – una chicchera del servizio “bello”, una di quelle in porcellana, decorata con fiorellini e rifinita in oro, la riempiva con la bevanda incandescente e poi sistemava il tutto vicino alla finestra. È per me un ricordo senza odori né suoni, una pura immagine nitida e immobile, una di quelle cose che mi torneranno immutate alla mente ogni qual volta riaffiori il ricordo.
Chissà in quanti perseverano in questa abitudine tutta italiana?
Chissà quante vetrate caserecce rifletteranno le sagome di infusi e biscotti nella notte tra il 5 e il 6 di gennaio?
Mi è sempre piaciuta la ricorrenza dell’Epifania, ancora oggi appendo simpatiche befane alle maniglie delle porte di casa, anche se è ormai da un po’ che mi dimentico di preparare la colazione notturna per la vecchina. D’altronde crescere significa anche questo, mettere in secondo piano tutte quelle piccole cose che un tempo erano tanto importanti.
Questa volta però vorrei contribuire anche io ad alleviare il viaggio della Signora che ci porta via le feste, scrivendo questo pezzo sulla sua storia, nella speranza di allietare voi, cari lettori, e magari anche lei, chissà che, mentre sorseggia un the su qualche davanzale, tirando fuori da una tascona rattoppata un inaspettato tablet, si metta a leggere queste mie parole.
E intanto che mi accingo a chiacchierare con voi, la nostra bella Torino si organizza per offrirci un 6 gennaio ancora di festa; èpossibile approfittare del momento di “relax” passeggiando per il centro, adocchiando qualche saldo anticipato, oppure andando a teatro o al cinema, o ancora ci si può giovare dell’occasione per visitare qualche museo. Se posso, vi consiglierei caldamente la visione di “Diabolik”, pellicola dei Manetti Bros con Luca Marinelli, Miriam Leone e Valerio Mastandrea; un film che si presta ad occupare il post-serata, discorrendo sul tema della maschera – ogni personaggio ne indossa una – sul rapporto inscindibile tra la sinuosa e spietata Eva e il protagonista, sul gioco psicologico che li tiene legati e collegati in una continua sfida, in cui entrambi perdono e contemporaneamente credono di vincere.
Se invece non amate il genere del cinefumetto vi inviterei a visitare due mostre: “Kakemono. Cinque secoli di pittura giapponese” adibita presso il MAO – Museo d’Arte Orientale o quella dedicata alle imponenti sculture di Fabio Viale, ai Musei Reali. La prima èun’esposizione di preziosi dipinti e oggetti giapponesi, provenienti dalla Collezione Claudio Perino, puntuale conoscitore dell’arte orientale e uno dei principali mecenati del MAO; il secondo allestimento invece è incentrato su un dialogo costante, tra spazio e pubblico, tra antico e contemporaneo, tra architettura e luogo urbano, l’arte di Viale infatti unisce patrimonio culturale e gesto creativo e spiazza lo spettatore, ponendolo di fronte ad una rivisitazione odierna di qualcosa che per noi tutti è “intoccabile”.
È tuttavia innegabile che l’atmosfera, qualsiasi attività si decida di intraprendere, è ormai malinconica e nostalgica. Il Natale, quella che per i più è la festa più attesa dell’anno, è ormai passato, e la bella stagione pare ancora più lontana di quanto non sia in realtà.
La nebbia e l’umidità non ci aiutano, cari concittadini, ma questa èTorino e questo è il momento di farci forza e resistere fino allo sbocciare delle prime gemme.
Torniamo dunque a noi e al proposito che mi sono data: un breve racconto della festa dell’Epifania e delle origini della vecchietta che elargisce carbone e dolcetti.
Prima di tutto è opportuno sottolineare che l’Epifania è una festa italiana pressoché sconosciuta nel resto del mondo. In molte regioni, ancora oggi, si eseguono nel giorno del 6 gennaio rituali con caratteristiche simili a quelli del Carnevale, in cui il Maligno viene scacciato dai campi grazie al fracasso di pentoloni fortemente battuti, o vengono accesi fuochi imponenti o ancora si costruiscono fantocci a forma di vecchia che poi devono essere arsi nella notte seguente.
Il nome della protagonista della festa deriva dalla corruzione lessicale del greco “epifáneia” “manifestazione”, attraverso “bifania” e “befania”, fino all’attuale “befana”.
Dell’anziana figura folclorica la caratteristica principale è quella del consegnare regali ai bambini, qualità che la collega ai personaggi di Babbo Natale e San Nicola, ma anche alla tradizione romana dei Saturnalia, festività in cui si scambiavano le “strenne”, ossia i “doni augurali”, dal latino “strena”, “regalo di buon augurio”.
Si tratta di una ricorrenza dalle origini antiche, le cui radici affondano, così come per il Natale, nelle usanze precristiane e popolari, a cui poi nel tempo si aggiungono elementi folcloristici e credenze religiose. È necessario fare riferimento ai riti pagani risalenti ai secoli X- VI a.C., diffusi soprattutto nelle aree germaniche e austriache, ma similari a rituali tipici delle popolazioni che vivevano, nello stesso periodo, nella penisola italica. Sono celebrazioni legate ai cicli stagionali, al propiziare gli dei per i raccolti e all’auspicio di una florida rinascita di Madre Natura; abitudini che si ritrovano poi nell’uso romano, quando, tra il solstizio d’inverno e il “Sol Invictus”, venivano indetti banchetti e feste per esorcizzare, in compagnia di amici e parenti, la comune paura causata dalle notti più lunghe dell’anno. Si tratta di dodici notti durante le quali era comune credenza che figure femminili si librassero sui campi coltivati per favorire la fertilità dei nuovi raccolti. Ed è da qui che viene il mito della “figura volante”.
Vi sono diverse ipotesi su chi fossero queste signore notturne, secondo alcuni si tratta di Diana, dea lunare, legata alla caccia e alla vegetazione, secondo altri invece è Sàtia, dea della sazietà, mentre secondo altri ancora è Abùndia, dea dell’abbondanza.
È doveroso approfondire il discorso sulla personificazione femminile della natura invernale, evidente nella tradizione nordica del centro e del nord Europa. In queste zone si diffonde il culto di Perchta, “La splendente”, anche nota come “Signora delle bestie” e guardiana del mondo animale. Secondo la mitologia è cugina di Holda, e come lei compare sulla terra nel periodo compreso tra Natale e l’Epifania; Perchta può assumere due forme, la prima come bella e nivea fanciulla, la seconda come vecchia, rugosa, gobbuta e dal naso adunco, con capelli bianchi scompigliati e completamente vestita di stracci. Quale versione abbia riscosso più fortuna è evidente. In ogni caso Perchta è benevola, cammina con le scarpe usurate sui campi per dodici notti consecutive, rendendo propizio il raccolto, il suo errare termina in concomitanza con la nostra Epifania.
Perchta o Berchta, visita le case dei villaggi e si compiace nel trovarle in ordine e ben rassettate, al contrario non apprezza la pigrizia e disdegna le abitazioni poco pulite; protegge i bambini e le filatrici e, secondo il comune credo, è solita farsi vedere da chi, il 6 gennaio, lavora il fuso, a codeste persone regala arcolai e conocchie vuote, incitando le fanciulle a tessere in modo impeccabile: chi fosse riuscita nell’intento avrebbe ricevuto numerosi doni, chi invece avesse ingarbugliato il filo sarebbe stata vittima di dispetti da parte della Dea. Berchta è anche “Signora del Corteo delle Fate”, di cui fanno parte folletti, streghe, fate e animali, tra cui spicca una grande oca zoppa, vi sono poi anime di bambini e oggetti magici, soprattutto scarpe che camminano da sole.
Altre figure convergono e si sovrappongono a Perchta. La dea Holda o Holla e Frigg, Madre Divina anche conosciuta come “Colei che viene prima di tutti gli altri”.
Holla, dagli occhi luminosi, è la “Signora dell’Inverno”, custode del focolare, protettrice della casa, degli animali domestici e della filatura. Solitamente ha l’aspetto di un’anziana signora, dal volto rugoso e dai capelli canuti; è solita scendere nei campi innevati nelle notti vicine al solstizio d’inverno, benedice il terreno e si assicura che la terra sia fertile per le prossime semine. La dea ha al suo seguito altre divinitàfemminili che cavalcano con lei in groppa a grossi gatti, inoltre fanno parte della sua schiera le anime dei bambini non nati o morti nei primi anni d’età. Holla – come Perchta – visita le case, entra dal camino edelargisce doni e fortuna nelle dimore in cui trova pulizia, ordine e armonia, al contrario maledice le abitazioni sporche e disordinate.
Infine vi è Frigg, nella cui figura confluiscono diversi aspetti di Holla e Berchta. È la madre di tutte le divinità, gli spiriti e le creature naturali; la dea protegge l’agricoltura e il bestiame, nonché il focolare delle case, veglia sui bambini e sulle madri. Tutto è dedicato a lei che ha creato il mondo, ma in particolare a Frigg è cara la filatura, poiché, secondo la leggenda, è lei la prima delle tessitrici. Le donne che lavorano bene il filo e portano avanti il lavoro con amore e dedizione saranno ricompensate, al contrario, chi esegue la tessitura in malomodo sarà severamente punito. Medesimo destino attende chi tiene in ordine la casa e chi al invece la trascura.
Da queste leggende si evincono alcuni caratteri tipici della nostra Befana: l’aggirarsi di notte, precisamente in quelle vicine al solstizio, il poter volare, il portare doni e l’essere di buon auspicio per chi in un qualche modo se lo è meritato.
La simpatica vecchina però ha con sé altri elementi simbolici che la rendono immediatamente riconoscibile.
Il fazzolettone la distingue dalle streghe anglosassoni, essa infatti non indossa nessun cappello a punta, ma una pezzóla di stoffa pesante, annodata in modo vistoso sotto il mento.
Vola su una scopa, simbolo di pulizia, purificazione e rinascita; la tradizione vuole che cavalchi l’oggetto “al contrario” rispetto alle altre streghe, tenendo le ramaglie davanti a sé.
La “vera” Befana tiene i doni in sacchi di iuta slabbrati e antichi quanto lei, talmente deformati da parere dei calzettoni enormi; dentro si trovano dolciumi e leccornie per i bambini buoni e carbone e aglio per chi invece è stato un po’ troppo monello. Il dettaglio del carbone èquel che rimane degli antichi rituali dei falò propiziatori, è simbolo del rinnovamento stagionale e ricorda anche i fantocci bruciati durante le celebrazioni.
A partire dal IV secolo d.C. la Chiesa di Roma inizia a condannare pubblicamente i riti e le credenze pagane, sottolineandone l’influenza satanica; le abitudini però, come sappiamo, sono assai radicate nei comportamenti del popolo e difficili a scomparire, ne consegue un’ovvia sovrapposizione di nuovi concetti su antiche cerimonie e una complessa miscelanza di credenze che nascondono sotto un velo cattolico elementi pagani intelligentemente occultati. La figura femminile che vaga nella notte per risvegliare la natura si tramuta in una strega, brutta e spesso spaventosa, ma comunque non maligna.
Ulteriore tentativo di cristianizzare la giornata del 6 gennaio sta nell’associare la figura della Befana ai Magi. Si racconta che, una notte, i sacerdoti incontrarono una vecchina, alla quale chiesero indicazioni per proseguire nella giusta via che li doveva condurre da Gesù; pare che la donna non solo non li aiutò, ma rifiutò l’invito degli uomini che la spronavano a proseguire con loro il viaggio. Secondo la leggenda, l’anziana si sarebbe poi pentita e avrebbe iniziato a pellegrinare per la terra, consegnando doni ai bambini che incontrava sul suo cammino, nel tentativo di espiare la propria colpa.
Nel 1928 è introdotta la festività della “Befana fascista”, giornata in cui vengono distribuiti regali ai ragazzini più poveri; dopo la caduta di Mussolini tale festività continua ad essere in vigore nella sola Repubblica Sociale Italiana.
Nel periodo più recente la Befana entra nel calendario legale inserendosi all’interno dell’anno gregoriano; a livello liturgico termina così il Tempo Liturgico forte, o natalizio, e comincia quello Ordinario, ed è per questo che si recita: “Epifania, tutte le feste porta via”.
Quello che apprezzo di tale giornata è il fatto che si continui a festeggiarla. È una delle poche usanze rimaste intatte, nonostante l’influsso della globalizzazione e la generale ondata di appiattimento delle culture, in nome di un “politically correct” che di corretto – a mio parere – non ha granché.
Altro aspetto che mi affascina è il concetto che persevera nelle diverse tradizioni e che sopravvive al tempo: la figura ingobbita ricoperta di stracci è metafora dell’anno “vecchio”, vissuto e consumato, è la secca natura invernale che volge al termine e ci lascia la possibilità di sperare nel periodo a venire.
La Befana è la Dea Anziana ormai pronta ad essere bruciata come un ramo secco, per far sì che dalle ceneri rinasca la Natura sotto la luna nuova, prima di perire però la donna distribuisce doni da piantare affinché nascano e crescano l’anno successivo.
È dunque il momento dei buoni propositi, quali sono i vostri?
Alessia Cagnotto
Una splendida veduta panoramica di Torino. La foto è di Mario Alesina
Incontro con Michela Gecele – psichiatra, psicoterapeuta, co-direttore dell’Istituto IPsiG e autrice del libro sul tema delle personalità narcise e di come “difendersi” all’interno di una relazione
4 febbraio 2022 – ore 17:45
c/o Libreria Claudiana, via Principe Tommaso 1, Torino
Ingresso gratuito
Incontro con Michela Gecele – psichiatra, psicoterapeuta e co-direttore dell’Istituto IPsiG – che presenterà il suo libro intitolato “Siamo tutti narcisi? Alla ricerca della relazione perduta”.
Il testo, tra il serio e il faceto, fornisce delle chiavi di lettura utili a comprendere il fenomeno del narcisismo e a imparare a gestire le relazioni con un* partner narcis*.
Con l’autrice dialogheranno Elena Guerri e Francesco Alfieri, psicologi e psicoterapeuti della Gastalt.
Il libro
Il testo si dipana in un percorso ritmato e ironico, che chiama direttamente in causa il lettore e soprattutto le lettrici. L’idea di base è quella di dare delle chiavi di lettura e delle linee guida per le relazioni con il partner narciso, personaggio diffuso e quasi inevitabile nella nostra società. La varietà di tipologie dei “narcisi” si estende fino ad arrivare a comprendere (quasi) tutti noi. Fra serietà saggistica e gioco, incontreremo vampiri, dongiovanni, streghe, personaggi del mito e della cinematografia. Fino a descrivere una rivoluzione possibile. Delle relazioni, del sentire, dei rapporti fra i sessi, della realtà. La visione che viene presentata ai lettori – chiunque sia interessato al tema, senza escludere gli addetti ai lavori – è ironica ma, soprattutto, positiva e propositiva.
Michela Gecele è psichiatra e psicoterapeuta della Gestalt, trainer e supervisore.
Ha pubblicato libri, articoli e capitoli sui temi della psicoterapia e della psicopatologia, esplorando la sofferenza clinica e le relative esperienze di adattamento creativo da un punto di vista fenomenologico e gestaltico. Un altro tema clinico di ricerca e approfondimento è quello delle tematiche interculturali.
Lavora da anni nei servizi pubblici di salute mentale e per tre anni ha coordinato, a Torino, un servizio psicologico e psichiatrico per gli immigrati.
È membro del New York Institute for Gestalt Therapy (NYIGT) e del Human Rights & Social Responsibility (HR&SR) Committe della European Association for Gestalt Therapy (EAGT), ed è co-direttore dell’Istituto di Psicopatologia e Psicoterapia della Gestalt (IPsiG) di Torino.
È autrice anche di una serie di libri gialli “Ada, torte e delitti”, che vedono come protagonista una sociologa berlinese residente a Catania, appassionata di torte e di misteri.
Respirare, terapia per corpo e mente
E’ vero, respiriamo, lo facciamo automaticamente per vivere, il nostro corpo, perfettamente progettato, lo fa indipendentemente dalla nostra volontà. Spesso però questa macchina sofisticata che è il nostro organismo ha bisogno di un supporto consapevole, di un pensiero cosciente che aiuti questo meraviglioso e vitale meccanismo a migliorare
Una respirazione profonda in particolare quella diaframmatica, che richiede concentrazione e volontà, apporta diversi benefici; i maggiori giovamenti di una corretta attività respiratoria sono infatti il rallentamento della frequenza cardiaca e di quella arteriosa, il rilassamento muscolare e una produzione maggiore di melatonina, il meraviglioso e potente ormone che ci fa dormire, il rafforzamento del sistema immunitario.
La respirazione diaframmatica o profonda è in grado di allentare, attraverso l’utilizzo del sistema nervoso parasimpatico, una situazione di agitazione, spesso cronica, donando calma e rilassamento; il sistema simpatico al contrario, chiamato in causa in una situazione di allerta, provoca respiro corto e veloce.
Respirando intensamente aumenta la produzione di endorfine, un insieme di sostanze prodotte dal cervello, neurotrasmettitori,responsabili del buon umore e avversarie di ansie e paure, aiutando così il generarsi di benessere emotivo e psichico. Non a caso chi è ansioso, in una situazione di stress o in preda alla paura ha il respiro corto e il diaframma bloccato.
Per praticare la respirazione diaframmatica ci si mette in una posizione comoda, meglio se supini, si appoggia una mano sulla pancia e si verifica che inalando con il naso, quest’ultima si gonfi grazie all’aria che entra, il petto invece deve rimanere fermo; durante l’espirazione, che può avvenire anche tramite la bocca, la pancia si sgonfia. La cosa importante è non forzare il respiro né inarcare la schiena; inizialmente può sembrare un movimento artificiale ma esercitandosi diventerà naturale e se ne apprezzeranno i benefici.
Si parla di respirazione consapevole perché permette di gestire la durata e l’ampiezza del respiro aumentando l’entrata di ossigeno nei polmoni depurando così l’organismo da sostanze tossiche ed inquinanti, ecco un altro beneficio: la respirazione come pulizia interna del corpo.
In questo momento di pausa dalla vita normale, in questa fase che ci vede diversamente impegnati, con ritmi rallentati, quasi sconosciuti, e con un tempo che scorre lento e flemmatico possiamo ricominciare a respirare; possiamo inspirare per qualche secondo in più, inondare i nostri polmoni di aria e calmarci, trovare in questa nuova e benefica attività il nostro momento di benessere e perché no anche di meditazione. Chissà che questo rallentamento obbligato delle nostre vite non ci regali salutari abitudini e aria nuova.
Maria La Barbera
GIAVENO – Gli studenti del MAG Maria Ausiliatrice di Giaveno si sono fermati per riflettere il 27 gennaio in occasione del Giorno della Memoria, per commemorare le vittime dell’Olocausto, parlando con gli studenti. Agli uomini e alle donne del domani si cerca di inculcare un pensiero di rispetto e antirazzista, nato proprio dalle ombre di ciò che fu il più grande sterminio della Storia. Ci sono storie che non vorremmo sentire o leggere mai ma c’è la Storia, quella che costituisce il passato delle genti, che riguarda tutti noi, solcata talvolta da nefandezze e cattiveria, che va raccontata per fare in modo che gli errori e gli orrori del passato non si ripetano nel futuro. Ci sono storie che non vorremmo sentire o leggere mai ma c’è la Storia, quella che costituisce il passato delle genti, che riguarda tutti noi, solcata talvolta da nefandezze e cattiveria, che va raccontata per fare in modo che gli errori e gli orrori del passato non si ripetano nel futuro.Le classi della Primaria del MAG Maria Ausiliatrice di Giaveno hanno disegnato e utilizzato il “Treno della pace” come argomento e tema di discussione approfondimento. La seconda storia è stata affrontata del punto di vista del viaggio verso la pace, l’accoglienza di tutti e del rispetto dell’altro in tutte le sue diversità. E’ stata raccontata la storia, successivamente drammatizzata e raccontata a loro volta, per finire svolgendo un disegno libero. I bambini hanno costruito il loro treno della memoria: ciascuno ha scritto sul vagone che porta il suo nome le riflessioni legate a quanto ascoltato e discusso. Tanti semi di memoria e spunti di riflessione per non dimenticare.
Armonie di Pace
Come Coordinamento interconfessionale del Piemonte “Noi siamo con voi” abbiamo deciso di tornare a celebrare la “Giornata Mondiale della Pace”.
Purtroppo, però, a cagione della delicatissima situazione sanitaria, si è reso opportuno garantire la partecipazione solo in streaming cercando comunque di offrire il meglio,abbiamo pensato che sarebbe stato bello farlo innanzitutto tramite un variegato concerto, realizzatodalla nostra orchestra interconfessionale (hanno provato e suoneranno insieme giovani di diverse fedi religiose).
Siccome il nostro obbiettivo pervicacemente perseguito è quello della pace, la serata sarà intitolata “Armonie di Pace”.
Inoltre la scelta della musica ha un duplice valore:
il primo, quello di sottolineare che l’impegno per la pace e per i diritti umani deve essere – pur nell’estrema tragicità della situazione attuale in molti paesi del mondo– mosso dalla speranza e in un clima di confortante fraternità.
Il secondo, quello di denunciare l’assurda brutalità di quei regimi e di quei poteri che addirittura voglionoproibire la musica, che è espressione universale di libertà e di gioia.
Il concerto sarà accompagnato dalla proiezione di frasi e motti in tema, patrimonio delle religioni del mondo, e sarà preceduto da brevi interventi.
Oltre alla introduzione da parte del portavoce del Coordinamento, Giampiero Leo, sono previsti i saluti delle principali autorità civili e religiose della nostra Città e della nostra Regione, a partire dell’Arcivescovo Mons Cesare Nosiglia. A dare il senso pieno della nostra iniziativa, ci sarà una testimonianza particolarmente attesa, da parte della dott.ssa Amiri Farzana, ginecologa già responsabile della Clinica dell’amicizia italo afghana di Kabul, che è stata recentemente premiata per il suo valore, il suo coraggio e la sua coerenza, dal Comitato per i diritti umani del Consiglio regionale del Piemonte (insieme ad una donna esponente dell’opposizione democratica venezuelana, ed a un’altra che rappresenta una delle più importanti organizzazioni solidariste delle donne africane, oltre alla nostra suor Angela Pozzoli).
Dunque un concerto e una serata affinchè, come appassionatamente ci chiedono le tante persone – a partire dalle donne – che lottano per la libertà, la giustizia e i diritti fondamentali, noi non ci dimentichiamo – e non permettiamo che ci si dimentichi – di loro. Al contrario, vogliamo e dobbiamo far sì che tutte/i loro si possano sentire realmente nostre sorelle e fratelli, non solo nelle occasioni “di moda”, ma in ogni giorno della vita.
Giampiero Leo a nome del Coordinamentointerconfessionale “Noi siamo con voi”
Telegram, cosa è e come si usa
Il sistema di messaggistica istantanea che garantisce maggiore privacy e sicurezza.
Nata nel 2013 dai fratelli Durov, Telegram è una applicazione di messaggistica che ha raggiunto i 500 milioni utenti mensili attivi. A differenza di altri servizi similari ,Telegram, grazie ad una tecnologia che fa uso dei cloud, assicura una maggiore sicurezza delle conversazioni che non vengono salvate all’interno del nostro dispositivo ma su una piattaforma esterna che effettuerà un backup criptato.
E’ importante spiegare, innanzitutto, che la tecnologia cloud, “nuvola” nella nostra lingua, permette di usufruire di memorie per l’archiviazione di dati, come documenti o foto, tramite l’utilizzo di un server remoto, e che l’accesso a questi ultimi è sempre possibile connettendosi ad internet tramite cellulare, tablet o computer; questa app fornisce, quindi, anche un servizio di catalogazione di tutto quel materiale che abitualmente viene conservato nei nostri dispositivi permettendo, pertanto, un notevole risparmio di tempo nelle azioni di backup e una consistente disponibilità di spazio nelle nostre memorie personali o di lavoro. Dal 24 marzo 2019, inoltre, è stata introdotta una funzione che consente di eliminare messaggi inviati e ricevuti senza limiti di tempo cancellando ogni traccia di chat e , rimanendo in tema di protezione, gli utenti possono essere rintracciati anche attraverso il nickname scelto durante la registrazione senza necessariamente rendere pubblico il numero di telefono.
Telegram è gratuito e l’applicazione può essere scaricata facilmente da PlayStore o dall’AppleStore. Il sistema crittografico server-client mantiene chiuso l’accesso e la lettura delle conversazioni da parte di terzi il meccanismo delle spunte, argomento spesso trattato, ha un percorso diverso da quello di Whatsapp: una spunta vuol dire che il messaggio è stato inviato, due spunte per indicare che il messaggio è stato letto, si evita così quella fase “ha ricevuto ma non ha ancora visualizzato” che spesso provoca situazione scomode e di imbarazzo.
Questo evoluto sistema di messaggistica offre la possibilità di creare gruppi con un numero di iscritti fino a 200, super gruppi fino a 5.000, le cui impostazioni di base possono essere utilizzate esclusivamente dall’amministratore, e canali, gestiti da una sola persona che pubblica contenuti e informazioni, che ricordano un po’ le newsletter e che possono costituire un valido strumento commerciale.
Telegram, inoltre, è in grado di inserire nella sua applicazione i bot, chat automatiche che rispondono a specifiche richieste dell’utente seguendo comandi predeterminati come nell’ l’assistenza clienti o nei costumer care. Inoltre queste chat bot sono in grado di comunicare informazioni aggiuntive e interessanti come sconti, promozioni o fornire un supporto nell’acquisto dei prodotti.
Utilizzare questa applicazione è semplice, dopo aver scaricato l’applicazione e aver concesso l’accesso alla lista dei propri contatti, si potrà cominciare a messaggiare, inviare file, adesivi, foto e video e attraverso un motore di ricerca interno sarà possibile, inoltre, trovare persone di nostro interesse.
Telegram, dunque, non è un semplice un programma di messaggistica, è una applicazione evoluta che permette la condivisione di file anche molto pesanti, garantisce un alto livello di privacy e sicurezza e può essere un valido strumento di promozione e assistenza.
Maria La Barbera
Altro che emergenza sanitaria. Qui siamo perennemente in emergenza, punto e basta.
Quarta ondata di Covid. Chi l’avrebbe detto. Ed ora scopriamo che ogni sei mesi dobbiamo vaccinarci per avere il green pass.
Pazienza, ce ne faremo una ragione. Dove non ce ne facciamo una ragione è l’emergenza delle morti sul lavoro. Oltre mille morti sul lavoro. Mancano i controlli. Bassi i costi e dunque poca attenzione. Emergenza emigrazione. Continuano gli sbarchi e Continuano le assegnazioni di profughi. Non sappiamo come rigirarci. Cercare di salvarli qui a Torino come nel mare è un atto dovuto. Come i senza tetto. Oltre 2500 nella nostra Città e solo 800 posti per accoglierli. E fa freddo, tanto freddo. È Natale. Un altro motivo per cercare di resistere. L’emergenza produce paure, troppe paure che molte volte si trasformano in ansia ed angoscia. Ma è Natale , come non fare gli auguri ai volontari che assistono i senza tetto. Come non augurare Buon Natale ai medici e personale sanitario. In prima linea da due anni a questa parte. Persino Buon Natale ai no vax , dannosi a sé stessi e soprattutto agli altri. Che vengano fulminati sulla via di Damasco e ritrovino la ragione persa. NON Buon Natale a chi incentiva il lavoro nero. Tragica premessa per le morti sul lavoro. Con la speranza che paghino con la galera le loro colpe. Dunque a Natale tutti buoni. Almeno per 48 ore . Con la convinzione che la solidarietà ci ritornerà moltiplicata mille. Nessuno si salva da solo.
E buon Natale al Sindaco di Torino Stefano Lo Russo. E buon Natale al presidente Alberto Cirio. Insomma Buon Natale a tutti . Tranne per i cattivi che, fortunatamente, continuano ad essere una minoranza. Buon Natale. Come quella canzone di Venditti: Quando verrà Natale tutto il Mondo cambierà. Ripetendosi. Quando verrà Natale tutto il mondo cambierà. Sappiamo che non è vero. Ma per 5 minuti amiamo crederlo. Un po’di speranza non guasta mai.
Patrizio Tosetto