Venerdì 19 agosto ore 21,30 nel Cortile del Museo Garda (Piazza Ottinetti) ad Ivrea,
MASSIMO RECALCATI – psicanalista tra i più noti in Italia – presenterà il suo nuovo libro
“LA LEGGE DELLA PAROLA. RADICI BIBLICHE DELLA PSICOANALISI” (Einaudi).
Ingresso libero
L’incontro, che sarà in forma di una lectio magistralis cui seguiranno eventuali domande del pubblico, è organizzato dalla LIBRERIA MONDADORI DI IVREA in collaborazione con MORENICA_NET e con il patrocinio di IVREA CAPITALE DEL LIBRO 2022
La Legge del Dio ebraico è la Legge della parola. Questa Legge non è solo scritta sulle tavole di pietra, ma intende inscriversi innanzitutto nel cuore degli uomini. Essa sancisce l’impossibilità dell’uomo di farsi Dio e, nello stesso tempo, dona a esso la possibilità generativa del suo desiderio. Si tratta di una dialettica ripresa in modo originale dalla lezione di Freud e di Lacan. In un lavoro senza precedenti, Massimo Recalcati dimostra che non solo non c’è contrapposizione tra il logos biblico e la psicoanalisi, ma che quell’antico logos ne costituisce una delle sue radici piú profonde.
La critica freudiana della religione come illusione sembra condannare il testo biblico senza alcuna possibilità di appello. La psicoanalisi è sin nelle sue fondamenta atea perché non crede all’esistenza di un «mondo dietro al mondo» se non come una favola che serve ad attutire il dolore dell’esistenza. La lettura delle Scritture che Massimo Recalcati propone in questo libro rivela invece l’esistenza inaudita di radici bibliche della psicoanalisi. Non è una tesi teologica o una dimostrazione filologica, ma un effetto del suo incontro singolare con il testo biblico. Non si tratta di psicanalizzare la Bibbia, ma di riconoscere in essa la presenza dei grandi temi che verranno ereditati dalla psicoanalisi, con particolare riferimento all’opera di Freud e di Lacan: il carattere originario dell’odio rispetto all’amore; la radice invidiosa del desiderio umano; il fallimento e la necessità della fratellanza; il rapporto dialettico tra Legge e desiderio; la funzione simbolica del Nome del padre; il lutto necessario della totalità; la centralità attribuita al resto salvifico che sottrae la vita alla morte e alla distruzione; la maledizione della ripetizione e la sua interruzione; la tentazione idolatrica come desiderio perverso dell’uomo di essere Dio; la critica al fanatismo ideologico del sacrificio; il taglio virtuoso della separazione; l’eccedenza della gioia erotica; la scissione della Legge di fronte al reale della sofferenza e al suo grido.
MASSIMO RECALCATI, psicoanalista tra i piú noti in Italia, dirige l’IRPA (Istituto di ricerca di psicoanalisi applicata) e nel 2003 ha fondato Jonas Onlus (Centro di clinica psicoanalitica per i nuovi sintomi). Collabora con i quotidiani «La Repubblica» e «La Stampa» e insegna all’Università di Verona e allo IULM di Milano. Dirige con Maurizio Balsamo la rivista «Frontiere della psicoanalisi». È autore di numerosi libri, tradotti in diverse lingue, tra cui L’uomo senza inconscio (Raffaello Cortina Editore), Il complesso di Telemaco (Feltrinelli) e di una monografia in due volumi su Jacques Lacan (Raffaello Cortina Editore 2012, 2016). Ha pubblicato per Einaudi, L’ora di lezione (2014), I tabù del mondo (2017 e 2018), La notte del Getsemani (2019 e 2020), Il gesto di Caino (2020 e 2021), Ritorno a Jean-Paul Sartre. Esistenza, infanzia e desiderio (2021), Il grido di Giobbe (2021 e 2022), La legge della parola. Radici bibliche della psicoanalisi (2022) e, il suo primo testo teatrale, Amen (2022).
Persino il Ferragosto del 1943 a pochi giorni dal 25 luglio passo’ quasi nella normalità. Il Ferragosto è stato sempre una festa rispettata anche da chi non poteva andare in ferie. Tra l’Assunta e San Rocco, tutti o quasi sospendevano il lavoro come a Natale e Santo Stefano. Il mio amico Aldo Viglione , grande avvocato e grandissimo presidente della Regione, sospendeva il lavoro solo a Ferragosto, dicendo di fare “i fucinatori “. La politica ha sempre conosciuto una tregua per agosto, solo quest’anno la direzione del Pd si riunisce oggi. Sicuramente gli aspiranti candidati sono tutti all’erta in tutti i partiti.
Il risultato ottenuto permise una forma d’agricoltura e di sopravvivenza dell’uomo ad alte quote. I prodotti del loro lavoro erano soprattutto di tipo caseario: latte, burro e formaggio, provenienti dagli allevamenti bovini degli alpeggi. Il clima ebbe un’importanza decisiva. Negli insediamenti Walser più elevati si registrava un clima secco, con brevi piogge annuali nella stagione estiva. Con l’eccezione della val Formazza dove le precipitazioni sono sempre state più abbondanti ma ben ripartite. In ragione dell’umidità e dell’altitudine i coloni stabilivano se e cosa coltivare. Gli alpeggi della Val Formazza, costruiti quasi tutti tra il XIII e il XV secolo, nacquero per il bisogno, avvertito in tutta Europa, di ampliare i raccolti e i terreni coltivabili. Venne così realizzata la alpwirtschaft, un’economia che traeva la sua forza dall’unione tra agricoltura e allevamento. Era un modello sbilanciato, poiché le coltivazioni si riducevano allo sfalcio e a tre tipi di colture: patata (introdotta a partire dal XVII secolo), segale e canapa. Infatti, era l’allevamento la risorsa primaria del piccolo popolo delle Alpi. Il ritmo delle stagioni regolava l’attività. Nella stagione fredda, la stabulazione invernale avveniva nelle stalle dei villaggi di fondovalle, dove le bestie erano alimentate con il fieno accumulato durante l’estate (fino a ottocento metri d’altitudine). In primavera, allo spuntare delle prime erbe, e in autunno il bestiame veniva fatto salire sui corti maggengali, ricoveri tra gli ottocento e i duemila metri. Infine, gli alpeggi: il bestiame vi pascolava senza doversi nutrire di fieno, tra il 24 giugno (festa di S.Giovanni) e l’8 settembre (natività di Maria), a circa duemila metri.
Giulia Briccarello, 26 anni: “Mi sono laureata nel 2018. Ho fatto molte esperienze e le proposte sono arrivate il giorno dopo essermi laureata. Ho lavorato in RSA, in reparti psichiatrici, riabilitativi e adesso seguo due case di riposo. Attualmente lavoro con pazienti geriatrici e seguo le attività cognitive. I miei pazienti hanno in media 80 anni e con loro facciamo attività di gruppo come cucinare mele cotte da mangiare la sera, giocare a tombola o al gioco dell’oca. Così stimoliamo le capacità cognitive, la memoria e la curiosità. Abbiamo creato un calendario che gli ospiti aggiornano quotidianamente per ricordare dove siamo e la stagione, il mese e il giorno in cui viviamo. Con le signore abbiamo creato un gruppo di cura del sé e ci facciamo la manicure, ci mettiamo lo smalto o la crema idratante. Sono piccoli gesti ma per loro molto significativi. E con un altro gruppetto abbiamo messo su una classe di cucito e facciamo l’uncinetto. Devo quindi ringraziare mia nonna che mi aveva insegnato a fare i centrini che ora sono diventati parte del mio lavoro”.
dei pazienti per rimuovere tutti gli ostacoli che limitavano la loro autonomia. Per esempio ho fatto sostituire vasche da bagno con docce o attrezzato bagni con ausili per permettere loro di lavarsi da soli. Questo grazie al fatto che nel mio corso di laurea ho fatto studi di ergonomia. Ho anche rilasciato valutazioni sulla carrozzina ideale, ovvero mi occupavo di scegliere il miglior supporto per le attività quotidiane basandomi sulle esigenze del singolo paziente. Ho lavorato anche in una clinica di neuroriabilitazione e ho aiutato pazienti a ritrovare l’autonomia nel vestirsi o nell’adattarsi al posto di lavoro a seguito delle abilità perse. Ho anche aiutato i miei pazienti a trovare un nuovo lavoro. Al momento lavoro a Torino in una struttura psichiatrica dove mi faccio carico della gestione delle attività quotidiane per aiutare i miei pazienti a reinserirsi nella vita sociale. Per farti un esempio, usciamo, diamo ai pazienti dei soldi e diciamo loro di fare la spesa. Alla fine dell’attività controlliamo lo scontrino e che effettivamente siano riusciti a portare a termine un compito che per noi è scontato ma per una persona fragile o con deficit potrebbe essere difficile se non impossibile.”
Francesca Chiais, 27 anni: “Il mio sogno è sempre stato quello di lavorare con i bambini. Prima di laurearmi, nel 2018, ho iniziato a collaborare con un’associazione che, una volta terminati gli studi, mi ha confermato tra i collaboratori. In pratica ho trovato lavoro ancor prima di finire l’università. I miei bimbi avevano gravi disabilità, come quelle derivanti da malattie neurologiche. Con loro svolgevo attività sensoriali o motorie per stimolarli. Oggi lavoro principalmente con bambini dai due anni e mezzo in su, in particolare con bambini autistici. Li aiuto a partecipare alla vita sociale, a esprimere le loro richieste, a dire ciò che preferiscono fare. Per esempio con me iniziano a comunicare scegliendo e pronunciando le prime parole. Uso il gioco, costruisco con loro piccoli oggetti, usiamo l’imitazione per imparare a guardare chi si ha davanti e allo stesso tempo imparare cose nuove. Oltre a collaborare con una struttura pubblica a Vercelli, ho aperto il mio studio dove seguo pazienti privati.”
Tex, Pecos Bill, Kinowa, Capitan Miki, il Grande Blek, il Piccolo Ranger e le loro avventurose gesta colpivano la fantasia di un largo pubblico di adolescenti e adulti e si affermava anche un’originale linea di fumetti comici. Tre personaggi raggiunsero una grande popolarità: Cucciolo, Beppe e Tiramolla. Il loro creatore grafico era Giorgio Rebuffi, prolifico inventore di protagonisti e comprimari del fumetto comico italiano. Nato a Milano nel 1928, Rebuffi ( morto nell’ottobre del 2014, a 86 anni) iniziò la sua attività di professionista del fumetto nel 1949 creando lo Sceriffo Fox ( un corvo nero, con tanto di pistole e stella) per le edizioni Alpe, le stesse che porteranno al successo Cucciolo e Beppe che, di lì a poco, saranno affidati proprio alle cure di Rebuffi per un decisivo restyling. I due personaggi esordirono nel 1941, disegnati da Rino Anzi. In origine erano due cagnolini antropomorfi che, grazie alla matita e ai pennini di Rebuffi, si trasformarono in una coppia che ricordava la parodia di Topolino e Pippo (anche qui il piccoletto era scaltro e l’allampanato un po’ svampito) con qualche richiamo alle coppie comiche del cinema, come Gianni e Pinotto e Stanlio e Ollio. Nell’agosto del 1952 comparve per la prima volta, a pagina 12 del numero 8 di Cucciolo mensile, un nuovo protagonista dei fumetti: Tiramolla. L’episodio fu il primo di una lunga storia in quattro puntate che si concluse con il numero 11 del novembre dello stesso anno. Dieci anni dopo, quei quattro episodi vennero unificati e ristampati con il titolo “Il mistero della villa” (Le storie di Tiramolla – anno II n. 18, 23 agosto 1962). La penna che lo tratteggiava era quella dell’eclettico Rebuffi e Tiramolla (ideato da Roberto Renzi), elastico personaggio di caucciù con il cilindro in testa, aristocratico e pigro ma, suo malgrado, coinvolto in guai e avventure, costituì un indissolubile trio di successo con Cucciolo e Beppe. Insieme a una serie di straordinari comprimari (il malvagio Bombarda, il menagramo Giona, il maggiordomo Saetta,il cane Ullaò, il nipotino Caucciù e, soprattutto, Pugacioff, il perennemente affamato e sovversivo “luposki della steppaff” ), raggiungeranno il successo e segneranno in modo indelebile il fumetto comico di quegli anni. Erano di fatto delle strisce semplici e un poco ingenue, ricche di invenzioni e divertenti gag, che hanno accompagnato i nostri lunghi e spensierati pomeriggi quando eravamo poco più che bambini.


