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Un giorno per ricordare

27 GENNAIO

la storia da raccontare
non l’abbiamo noi vissuta
non c’è memoria perduta
narrate e mostrate al mondo
non esitate un secondo
ma diteci raccontate
alle masse fortunate
che l’uomo non ha mai smesso
di martoriare se stesso
e che senza alcun ricordo
oh triste cupo ricordo
l’inferno potrà tornare
noi dobbiamo ricordare!

Massimiliano Giannocco

La Shoah e il dovere della memoria

Il giorno della Memoria ci ricorda che 77 anni fa si aprirono i cancelli di Auschwitz-Birkenau, rivelando l’orrore del genocidio nazista.

Quel campo di concentramento e sterminio in Polonia è diventato un simbolo
che ci ricorda e insegna ogni giorno di quali orrendi crimini può
essere capace il genere umano quando applica i principi di
discriminazione con fanatismo, odio razziale e violenza. Le
persecuzioni naziste avevano come obiettivo un progetto di società basato su di un
nazionalismo esasperato che si basava sul progetto di un nuovo ordine
dove non trovavano posto la diversità, il dialogo, l’accettazione
dell’altro, immaginando una società di puri ariani senza ebrei,
dissidenti politici, omosessuali, disabili mentali, testimoni di Geova,
zingari come i Rom e i Sinti, le popolazioni slave. Il processo che
aveva portato allo sterminio degli ebrei in Europa e alla nascita del
sistema concentrazionario nazista era iniziato molto tempo prima con le
campagne di stampa, gli episodi e i comportamenti discriminatori e
razzisti, legalizzati da diverse disposizioni normative che resero la
popolazione ebraica facile preda del nazifascismo che fondava i suoi
principi su discriminazione, insofferenza e intolleranza. “Il mondo non
vi crederà mai”, dicevano i carnefici di Hitler ai prigionieri dei
campi di sterminio. Alcune vittime, sopravvissute a quell’esperienza,
sentirono la necessità e trovarono la forza di portare la testimonianza
di quanto accaduto. Tra questi ci fu Primo Levi. Nel capitolo
conclusivo de I Sommersi e i Salvati scrisse che la testimonianza era percepita
“come un dovere, e insieme come un rischio: il rischio di apparire
anacronistici, di non essere ascoltati. Dobbiamo essere ascoltati: al
di sopra delle nostre esperienze individuali siamo stati collettivamente
testimoni di un evento fondamentale ed inaspettato, non previsto da
nessuno. E’ avvenuto contro ogni previsione; è avvenuto in Europa […]
è avvenuto, quindi può accadere di nuovo, questo è il nocciolo di
quanto abbiamo da dire”. Il 5 Giugno 2018 la senatrice a vita Liliana
Segre intervenendo a Palazzo Madama disse: “Si dovrebbe dare idealmente
la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai
campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere
nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli
dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei
nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a
respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le
sofferenze che ci circondano. A non anestetizzare le coscienze, a
essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha
verso gli altri”. L’indifferenza, quella che Gramsci considerava “il
peso morto della storia”, è il grande problema. Ieri come oggi. E il
negazionismo, allora come adesso, è un virus pericolosissimo e
presente. Per fare davvero i conti con la Shoah non può bastare lo
sguardo rivolto al passato. Non basta perché il virus della
discriminazione, dell’odio e della sopraffazione, del razzismo continua
a diffondersi, non è confinato in una dimensione storica ma riguarda in
maniera concreta i comportamenti di molte persone oggi come nel caso
della negazione della pandemia da Covid 19, dei problemi climatici,
delle sofferenze e dei diritti dei popoli migranti. Come ricordò il
compianto David Sassoli al Parlamento Europeo, “per impedire
negazionismi e amnesie bisogna sentire tutti l’impegno per una lucida e
vigile coscienza storica, capace non solo di rendere testimonianza, ma
anche di capire, prevenire e intervenire ogni qualvolta si diffondono i
semi del male assoluto”. E’ il dovere civile delle memoria,
l’intransigente disciplina repubblicana che deve ispirare le azioni
delle istituzioni democratiche, delle realtà che si occupano di storia
e memoria, di associazioni come l’Anpi. Nella prefazione del 1947 a Se
questo è un uomo, Primo Levi scriveva: “A molti, individui o popoli,
può accadere di ritenere, più o meno consapevolmente, che «ogni
straniero è nemico». Per lo più questa convinzione giace in fondo
agli animi come una infezione latente; si manifesta solo in atti
saltuari e incoordinati, e non sta all’origine di un sistema di
pensiero. Ma quando questo avviene, quando il dogma inespresso diventa
premessa maggiore di un sillogismo, allora, al termine della catena,
sta il Lager”. Le parole di Primo Levi appaiono quanto mai significative e
attuali di fronte alle situazioni che si riscontrano oggi in Europa e
fanno temere che la memoria del periodo nazifascista e la conoscenza
della storia non rappresentino ancora un vaccino efficace contro questa
infezione latente.
Marco Travaglini

I valori della Giornata della Memoria

Il Coordinamento Nazionale dei Docenti della disciplina dei Diritti Umani in occasione della Giornata della Memoria, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno, intende fare una profonda e doverosa riflessione storica per ricordare questa data fortemente simbolica e commemorare tutte le vittime della politica dell’odio nazifascista.

Il 27 gennaio è il giorno in cui il mondo intero ricorda le vittime della Shoah, cioè lo sterminio del popolo ebraico da parte dei nazisti, ma ricorda anche rom, sinti, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, testimoni di Geova e altri nemici di Hitler.
La giornata commemorativa è stata istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 1° novembre 2005 con la Risoluzione 60/7 e ricorda lo storico momento in cui le truppe sovietiche dell’Armata Rossa abbattevano i cancelli di Auschwitz rivelando al mondo, per la prima volta, l’orrore del genocidio.
In Italia già nel 2000, cinque anni prima della Risoluzione ONU, la legge n. 211 del 20 luglio istituì il 27 gennaio Il Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah, ma anche le leggi razziali approvate sotto il fascismo, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, tutti gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte.
La Giornata della Memoria ci insegna ogni anno, attraverso quella che è certamente la pagina più orribile della storia del genere umano, come anche nella vita quotidiana sia importante intervenire in tempo e non girare lo sguardo dall’altra parte quando un uomo o un popolo vengono offesi e discriminati.
La memoria della Shoah ci spinge certamente a interrogarci non solo sulle responsabilità di chi ha compiuto quelle atrocità, ma anche su quelle di chi con il silenzio complice le ha, in qualche modo, favorite perché è rimasto indifferente, perché non ha voluto vedere, perché toccava agli altri.
Fu infatti in questo clima di indifferenza collettiva verso le disumanità perpetrate gradualmente che nel cuore dell’Europa la politica dell’odio razzista e antisemita trascinò l’umanità nel più profondo baratro e la falce della morte del regime totalitario di Adolf Hitler strappò la vita a 6 milioni di ebrei, trascinò negli inferi il diritto, la scienza, la cultura e sporcò per sempre la coscienza di chi vide, seppe, ma tacque.
Ad aggravare il clima già rabbioso e antisemita fu certamente il razzismo scientifico che malefico e inarrestabile costruì false tesi di disuguaglianza genetica contro l’uguaglianza umana e propagandò teorie senza fondamento sull’inferiorità di un popolo che, per tale ragione, fu sterminato dalla scienza prima ancora di essere sterminato dal gas e dai forni crematori.
E tutto questo accadde davanti agli occhi indifferenti di una Europa attraversata da tempo ormai da sentimenti razzisti e antisemiti. Quando poi ogni poro del tessuto sociale fu avvelenato dall’odio e iniziò a produrre i primi germogli malati, tra 1938 e il 1945, il regime nazista ideò, pianificò e condusse il più brutale e incomprensibile genocidio dell’umanità.
Troppe colpe secondo i gerarchi nazisti avevano gli ebrei. Colpe storiche, colpe recenti, colpe inaccettabili.
In una Germania affamata e in ginocchio a causa delle riparazioni di guerra, in questa terra che avrebbe avuto bisogno di un altro tipo di conduzione politica di resurrezione, i nazisti iniziarono a saziarsi unicamente attraverso l’odio dell’uomo contro uomo.
Questa volta fu il diritto ad autorizzare il popolo ad odiare: le Leggi di Norimberga furono la manifestazione più orribile e spietata del Male sulla terra.
La Legislazione antisemita partì dal ghetto, simbolo della segregazione razziale, proseguì con le deportazioni nei centri di sterminio e si concluse con la soluzione finale della questione ebraica: la distruzione di un popolo innocente.
Il Nostro Paese in questi anni non fu immune del male. Tra il 1938 e il 1945 furono emanati provvedimenti legislativi ed amministrativi che resero impossibile la vita degli ebrei.
Come tante volte ha ricordato la senatrice Liliana Segre, il binario 21 della stazione di Milano veniva considerato un treno di sola andata, perché i prigionieri che partivano da questo binario andavano incontro a morte certa, perché Auschwitz, diversamente dal motto posto all’ingresso del lager, ARBEIT MACHT FREI, non rendeva liberi attraverso il lavoro. Ad Auchwitz non c’era posto per la parola libertà.
Auschwitz era il logorìo della carne e dell’anima, era poche gocce d’inchiostro sulla pelle in cambio di una identità perduta per sempre, era il pianto dei bambini rimasti per sempre bambini, era l’urlo di chi uccideva e il silenzio di chi moriva, era un maledettissimo magnete in cui l’uomo seppe catalizzare tutta la sua malvagità.
Auschwitz fu “quell’atomo opaco di male” che trasformava gli uomini in animali selvaggi, denutriti, affamati di cibo e di amore, fu l’umanità dimenticata da Dio, come troppe volte si è detto non trovando nessuna umana giustificazione.
Il CNDDU in occasione della Giornata della Memoria che rappresenta la più grande violazione dei Diritti Umani vuole ribadire a piena voce che non possiamo dimenticare gli uomini che hanno subito la violenza delle Leggi Razziali e che a causa di queste ultime sono state strappate alla vita.
Il CNDDU come sempre, durante le giornate commemorative che spingono a profonde riflessioni sui Diritti Umani negati, violati, dimenticati, rivolge un accorato appello ai colleghi docenti della scuola italiana affinché si facciano portatori di tutti i più nobili valori umani e sensibilizzino gli studenti, attraverso progetti e iniziative, al dialogo interculturale, baluardo indispensabile contro il razzismo quotidiano.
L’iniziativa che proponiamo quest’anno si intitola La farfalla gialla di Terezìn e fa riferimento a un disegno di una bambina ebrea che insieme ad altri 15 mila bambini visse nel campo di concentramento di Theresienstadt (Terezìn), in Cecoslovacchia. Più volte la senatrice Liliana Segre ha ricordato “quella bambina di Terezìn che prima di essere uccisa ha disegnato una farfalla gialla che vola sopra i fili spinati”.
Chiediamo quindi ai docenti della scuola italiana di far realizzare ai propri studenti farfalle gialle che riportino sulle ali il numero di matricola dei prigionieri ebrei morti o sopravvissuti alla Shoah.
Siate sempre come la farfalla gialla che vola sopra i fili spinati.
Questo ha chiesto e chiede Liliana Segre ai giovani. Quest’anno sentiamo di farci portavoce di questo suo straordinario augurio.
Il 27 gennaio mettiamo una farfalla gialla sulla porta di ogni classe e una farfallina gialla su ogni banco come antidoto al male, come luogo di memorie vive, come simbolo di una scuola che educa al giusto e al bene.
“Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un mondo così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”.

Prof.ssa Rosa Manco
CNDDU

“La pace bene supremo”

Il Coordinamento interconfessionale del Piemonte “Noi siamo con voi”, dichiara la propria adesione alla giornata mondiale di preghiera per la pace in Ucraina e nel mondo, proclamata da Papa Francesco.

La pace bene supremo, la pace la fratellanza di tutti, la pace che sappia dar tregua alle nostre ansie”

Anche noi del Coordinamento interconfessionale del Piemonte facciamo nostro l’accorato appello di Papa Francesco perché mercoledì 26 gennaio sia una giornata di preghiera per la pace. I venti di guerra che soffiano sempre più impetuosi in Ucraina ci impegnano più che mai ad essere operatori di pace in un mondo che fra mille fuochi di guerra, sta ormai combattendo una sorta di terza guerra mondiale a pezzi.

Oggi più che mai, ni credenti non dobbiamo dimenticare che non c’è disarmo senza coraggio, non c’è soccorso senza gratuità, non c’è perdono senza verità. Questi presupposti costituiscono l’unica via possibile per la pace; dobbiamo testimoniare che la capacità di contrastare il male non sta nei proclami, ma nella preghiera; non nella vendetta, ma nella concordia; non nelle scorciatoie dettate dall’uso della forza, ma nella forza paziente e costruttiva della solidarietà. Perché solo questo è degno dell’uomo.

Giampiero Leo portavoce del Coordinamento interconfessionale “Noi siamo con voi”

Il mondo delle immagini: il ruolo dell’arte nelle scuole torinesi e oltre

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Vado ancora dallo stesso parrucchiere che mi acconciava i capelli a chignon per i saggi di danza quando ero piccola. È una piacevolissima scusa per tornare nei “miei” luoghi, vicino a quel segmento di Lungo Po, perpendicolarmente tagliato da via Gassino. Lascio l’auto là, su quella salitina perennemente ghiacciata, dove tentavo di parcheggiare la pesantissima Dedra di mio padre, prima che mi venisse regalato Bolide I – così io e le mie amiche avevamo battezzato la mia piccola e sfrecciante Opel corsa del ’98. –

Tutte le volte che mi ritrovo a camminare per quelle vie mi guardo attorno, percepisco quel quadrato cittadino come il più bello di Torino e mi ritrovo a desiderare ardentemente di ritornare ad abitare in quei paraggi. Guardo i palazzi non nuovi ma ben tenuti, i marciapiedi sbrecciati, la cartoleria dall’insegna sempre più sbiadita e il dirimpettaio dehor del bar ancora pullulante di caffè. C’è la copisteria dove ho stampato la tesi, a fianco alla quale sono spuntati un Sushi e un Kebap. Gli alberi alti filtrano il riverbero del sole sull’acqua verdastra del fiume e il sentiero non asfaltato sembra una lattea vena del prato brinato. Il tempo di arrivare dal parcheggio al negozio e c’è sempre qualche inaspettato dettaglio adolescenziale che riaffiora: la libreria Luxemburg, dove andavo talvolta a studiare, piazza Borromini e il suo minuscolo mercato, le Cantine Risso, dove si andava con i compagni di classe e, dall’altra parte, andando verso San Mauro, il drago di legno su cui ancora mi piacerebbe arrampicarmi. Non so se ora sarebbe così divertente abitare lì, a due passi dal centro eppure immersi nel verde della precollina, chissà se i ritmi odierni mi permetterebbero di godermi il panorama come facevo allora? Torino è la città di tutti, ma ognuno ha il suo angolino ritagliato, ognuno racconta la nostra città attraverso i propri occhi e i propri vissuti, ciascuno con una cartolina diversa da conservare nell’album dei ricordi. Guardo in giro ed è come se osservassi attraverso una lente magica che distorce la realtà: le immagini che si creano nella mia mente sono impregnate di passato e quella felicità sentita tempo fa mi impedisce di vedere il panorama con oggettivo distacco.

Siamo esseri visivi. Diverse aree della superficie corticale del cervello partecipano al trattamento delle immagini e svolgono un ruolo fondamentale nell’elaborazione del pensiero. Un’immagine è quindi una costruzione del mondo che si definisce nella testa e rappresenta ciò che noi definiamo “reale”. Lungi da me approfondire con taglio scientifico tale argomentazione, vorrei solo sottolinearne la complessità ed evidenziare la centralità che le immagini ricoprono nel nostro presente. Va da sé che il rapporto tra “immagine” e “realtà” è diretto e assai complesso.
Se costruiamo il mondo che ci circonda a partire da percezioni che divengono raffigurazioni, è dunque opportuno prestare attenzione a tali icone: una personale riflessione su cui credo sia giusto soffermarsi, soprattutto in questo preciso periodo storico, in cui si pensa e si vive “per” e “attraverso” le immagini.
Mai come in questo momento le iconografie hanno giocato un ruolo tanto essenziale nella comunicazione e nelle interiezioni. Lo dimostra soprattutto l’ormai più che diffuso uso dei social, considerati determinanti nella quotidianità, così come lo smartphone è un effettivo prolungamento dei nostri arti, mezzi in cui la componente visiva ha una rilevanza senza precedenti.
Siamo nella “società dell’immagine”, definizione in cui la parola “immagine” va intesa nella sua accezione più ampia, non solo in quanto “apparenza”, ma come “linguaggio di comunicazione”, e si pensi alla grafica, all’infografica, all’uso di foto e video. Le icone sono dunque preponderanti nei microblogging come Instagram o Pinterest, ma anche largamente utilizzate sui magazine online istituzionali, caratterizzati appunto dall’utilizzo di strumenti di comunicazione legati all’uso delle infografiche.

Foto e video sono protagonisti indiscussi della comunicazione odierna grazie alla semplicità di accesso a software free e al basso costo degli hardware.
Credo sia anacronistico, nonché ormai inutile, inneggiare ad un’esistenza priva di Facebook, Snapchat o simili, non saremmo più certo in grado di rinunciare al social network, tuttavia mi piace pensare che si tratti di “strumenti”, utensili digitali che a seconda del loro utilizzo possono influire positivamente o meno sulle nostre vite. Mezzi che dobbiamo imparare a gestire e comprendere, così come è necessario apprendere un buon metodo di decodifica delle icone a cui quotidianamente siamo esposti. Data la delicatezza e la multiformità dall’argomento, vorrei ribadire che quanto espresso in questo pezzo riguarda il mio personale punto di vista: da sempre sostengo l’importanza del confronto e della mediazione intellettuale come unica possibilità di convivenza sociale tra individui, tuttavia credo anche sia importante e giusto avere delle opinioni ben salde e saper prendere posizione. Quello che sostengo è che non ci sia un adeguato insegnamento dell’approccio critico alle immagini, non siamo sufficientemente preparati ad osservare e comprendere tutti questi stimoli visivi che costantemente ci colpiscono, non siamo abituati ad osservare, a vedere, guardiamo ma senza capire e senza riflettere. Tuttavia, oggigiorno non è pensabile sensibilizzare i giovani su tali tematiche tralasciando il discorso “social network”.
In una “società dell’immagine” non bastano corsi specifici universitari dedicati allo studio della comunicazione visiva, al contrario sono necessari momenti di approfondimento nei livelli scolastici inferiori, ovviamente adeguati all’utenza, dato che già alla scuola primaria gli scolari sono abituati a “smanettare” con smartphone e tablet.
Ribadisco: sono strumenti che se usati con criterio possono aprire mondi interessanti. Internet è un tripudio di informazioni e curiosità che possono aumentare il nostro bagaglio culturale, si possono reperire informazioni e notizie e rimanere costantemente informati sull’attualità. Attraverso i social è possibile conoscere persone che vivono lontano da noi, a supporto dell’ideale del rispetto e della convivenza in quanto noi tutti siamo cittadini del pianeta Terra. Sono infinite le sfaccettature positive legate ad un corretto e intelligente uso di internet e dei social, ma altrettanto numerosi sono i possibili effetti negativi conseguenti ad un utilizzo scorretto degli stessi, come la perdita della concentrazione, una sfalsata percezione di sé, oppure il cadere vittima di cyberbullismo o addirittura contrarre una vera e propria dipendenza da social.

Militando all’interno della struttura, credo sia compito della scuola sensibilizzare i giovani sulla questione, evidenziando l’importanza di vivere la propria vita in maniera “reale”, distinguendo il virtuale dal concreto e ricordando agli adolescenti – ma non solo – che il social non è in grado di offrire le medesime emozioni e opportunità del mondo vero, fatto di risate e pianti, di litigate e amori e di cose che si toccano, pungono e feriscono, riscaldano e avvolgono. Attraverso un opportuno insegnamento del ruolo del social si passa per forza per una riflessione sulle immagini, primario mezzo di comunicazione, molto più complesso di quel che si crede. In una società non solo delle immagini ma anche dei consumi, il marketing è fortemente condizionato dalla dirompente potenziale viralità dei contenuti diffusi attraverso le immagini. Si parla di “consumismo consapevole”, di “shopping experience” di “brand” e di “influencer”, termini portatori di un nuovo approccio, più cosciente, più “green” – per usare una parola “modaiola” – ma comunque legati ad una modalità impositiva della scelta: sono le immagini che ci dicono come vogliamo essere, con che filtro dobbiamo colorare i ricordi, che cosa vogliamo per il futuro, sono le immagini che ci influenzano continuamente e sono proprio tali immagini che dobbiamo imparare a decodificare, affinché la possibilità di scelta sia ancora qualcosa di concreto e di nostro. Vi devo dire la verità, cari lettori, tutto questo sproloquio è dovuto alle recenti chiacchierate che ho fatto a scuola con gli studenti nell’ultima settimana; a causa del Covid molti colleghi si sono ritrovati costretti a casa, mentre chi, come me, per ora superstite dei contagi ha dovuto saltellare da una classe all’altra per assicurare ore di lezione agli scolari. Come rendere giustizia a queste “ore buche”?ì Io credo che una buona idea sia quella di intrattenere i ragazzi facendoli parlare, chiedendo loro opinioni sugli argomenti più disparati, trattandoli come effettivi cittadini del mondo di domani; inevitabile la domanda di rito: “Qual è la materia che meno vi piace?”. Dopo questa settimana non cadrò più nell’errore, poiché la risposta è stata in prevalenza “Arte”. Non solo – ci tengo a specificarlo- la parte di teoria, ma anche quel che riguarda lo svolgimento pratico. Mi ha stupito come proprio la materia che per eccellenza tratta e studia le immagini, sia percepita come l’ora più “odiata” proprio da chi tra le immagini ci vive. Mi ha inoltre sbigottito ascoltare il tono sicuro di chi sosteneva l’inutilità della disciplina e la conseguente noia provata durante l’ora di lezione.

Al di là dell’ovvia insoddisfazione personale, vorrei provare a dare qualche motivazione per contrastare questo pensiero dilagante. Non mi soffermerei sul ruolo centrare che investe l’arte sul nostro territorio, né sul fatto che l’Italia possieda il maggior numero di siti riconosciuti dall’UNESCO, così come eviterei il discorso sul Rinascimento e quello sul patrimonio artistico costituito da architetture e opere d’arte che il resto del mondo ci invidia. Mi soffermo invece su altri aspetti. Conoscere la storia dell’arte significa essere in grado di interpretare monumenti e opere, e di conseguenza saper comprendere ciò che ci circonda, avere un pensiero critico è il primo passo verso la comprensione della necessità della salvaguardia dei nostri beni artistici; chi non conosce infatti svaluta e disprezza, la non conoscenza supporta lo sviluppo dell’ignoranza da cui scaturiscono odio e paura nei confronti di ciò – o di chi- ci appare diverso e strano. Non mi stancherò mai di sottolineare la fortuna di poter insegnare una materia interdisciplinare come questa: l’arte consente di approfondire e affrontare molte argomentazioni da diversi punti di vista, non solo le materie letterarie, ma anche gli ambiti scientifici. L’arte è disciplina centrale per superare le diversità, poiché le attività manuali permettono di collaborare e sostengono la socializzazione, l’uso della creatività favorisce l’integrazione perché quello a cui si fa ricorso è un linguaggio universale. Negli ultimi tempi anche l’Italia ha approvato la sfaccettatura terapeutica dell’attività artistica, che, attraverso modalità attive, permette di superare barriere comunicative, aiuta a sentirsi capaci di creare e stimola la conoscenza e l’accettazione del proprio Io interiore.

Salvatore Settis, storico dell’arte, sostiene che la storia dell’arte “aiuta a vivere”, e in numerosi articoli sottolinea il ruolo sociale e civile che la materia ricopre; Tommaso Montanari, altro studioso non meno noto, dimostra che lo studio della storia dell’arte allena al senso critico e al libero giudizio; molti neuroscienziati appoggiano la tesi secondo cui l’educazione artistica migliora l’attenzione e le funzioni cognitive. Aggiungerei che l’arte è proprio quella materia che esplica il linguaggio visivo, forma di comunicazione che assolutamente i giovani – oggi più che mai- devono essere in grado di padroneggiare. Lo studio del passato ci costringe a confrontarci con modelli differenti di abitudini e canoni e rammenta che non tutto ciò che sembra “farina del sacco del contemporaneo” sia in realtà una novità. Le immagini sono testimonianza di ciò che è stato, memoria indelebile di una storia che proprio attraverso tale linguaggio arriva a tutti. Saper descrivere e commentare un’opera sviluppa una particolare sensibilità critica assai utile oggi, nel mondo delle immagini, e libera chi sa decodificare i messaggi dal giogo della non scelta voluta dal consumismo. L’arte contemporanea ci sfida a riflettere e a mettere in gioco i principi dettati da una società che ci impone l’omologazione, pungola l’osservatore, lo induce a confrontarsi sulle più disparate tematiche, sul doppio, sull’identità, sull’appartenenza, sull’uguaglianza. Mai come ora l’apprendimento della storia dell’arte è chiamato ad essere svolto attivamente, in prima linea, perché l’arte ci mostra la realtà attraverso la finzione, e sono gli insegnanti che hanno l’arduo compito di aprire le menti e rendere i giovani individui in grado di comprendere il mondo che li circonda.
Ma, prima, bisogna (re)imparare a vedere.

Alessia Cagnotto

Quel 24 gennaio 1979, cosa ci resta di Guido Rossa

Giorni e date che ti entrano nelle carni producendo ferite non guaribili. Ferite che ogni anno continuano a sanguinare. Con dolore e tristezza e rabbia. 24 gennaio 1979 le Br assassinarono Guido Rossa.

Dei brigatisti uccisero un compagno comunista che aveva osato denunciarli. Operaio Italsider, nato a Belluno ma cresciuto a Torino. Trasferitosi a Genova per sposarsi. Tra i più grandi scalatori del tempo. Maestro del Cai. Fu anche para’.Delegato sindacale ed attivista comunista. Uno che non si tirava mai indietro. Non fu lui che sorprese il brigatista Francesco Berardi che nascondeva, all’interno dello stabilimento Italsider, volantini delle Brigate Rosse. Ma fu lui a denunciarlo ed a testimoniare contro.  Un uomo con gli attributi lasciato solo dai suoi stessi compagni di partito e di sindacato. Dopo oltre 40 anni è chiaro ed assodato. Incontro’ la morte perché, o anche perché solo. Nessun servizio d’ordine del pci lo difese. Nessuna pattuglia della polizia staziono’ sotto casa sua. La sua morte mise a nudo i limiti del movimento operaio. Della sinistra ed in particolare del PCI e del sindacato. Fiom in primis e con essa la Flm.
Troppe connivenze  e reticenze. Lo urlo’ il giorno del funerale Luciano Lama. Lo ammise a denti stretti Bruno Trentin. Mesi dopo, a Torino il questionario dove si chiedeva: sei a conoscenza di fatti di terrorismo? Decenni dopo Giancarlo Caselli affermò: oltre 50 di quelle denunce, fatte in forma anonima, furono preziosissime per debellare il fenomeno. Ai funerali pioveva come Dio la mandava. Quell’omicidio e quei funerali segnarono la fine, o perlomeno l’inizio della fine del terrorismo rosso. Al funerale il presidente della repubblica Sandro Pertini stravolto. Per tutta la giornata piovve a dirotto.  Non cambio’ il colore della giornata. D’un blu scuro. Perché era un maledetto giorno da fissarsi nella memoria, nel cuore e nell’anima di ognuno di noi. Davanti a tutti il Consiglio di fabbrica dell Italsider e dopo I Camalli, portuali di Genova. Le loro giacche di pelle con il rampino agganciato. Il rampino gli serviva per lavorare , ma era anche di monito. Come agli inizi degli anni 60 contro il governo Tambroni e il Msi che volevano fare il congresso a Genova medaglia d’oro alla Resistenza. Ieri contro i fascisti, ed ora contro i nuovi fascisti rossi, alias Brigate Rosse. Momenti alti della Storia del nostro paese. Sono passati 43 anni.  24 gennaio 1977 e il 24 gennaio 2022 si comincia a votare per l’elezione del Presidente della Repubblica. Una lunga Storia cominciata il 25 Aprile del 1945. Una Storia che si chiama Democrazia. Ieri come oggi e per sempre. Si spera. Oggi i mille elettori che voteranno hanno un debito morale e politico verso eroi come Giudo Rossa. Era solo un operaio , un sindacalista. Nato a Belluno, era vissuto per tanti anni a Torino. Figlio dell’immigrazione. Operaio a Torino come a Genova dove  si era sposato. Sua moglie l’aveva conosciuta al CAI.  Anche lei alpininista. Non aveva visto direttamente i terroristi che lasciavano nei reparti i volantini Br. Ma li aveva denunciati, aveva testimoniato e dunque era stato determinante per la loro condanna.  Aveva fatto il suo dovere pagando con la vita.  Un prezzo troppo alto… Chissà se verrà ricordato? Credo e spero di sì. Per me, per noi, ogni anno il compito di ricordarlo.

Patrizio Tosetto

Torna ContemporaneA. Parole e storie di donne

DAL 1° FEBBRAIO 2022 TORNANO GLI APPUNTAMENTI ONLINE 
Si amplia la squadra di ContemporaneA. In arrivo la terza stagione di rendez-vous, con tanti nuovi format realizzati in collaborazione con la Scuola Holden, Alessandra Carini, Irene Dionisio, Martina Liverani, Cristina Manfredi, Elena Marinelli. E per raccontare le donne del varietà, un nome d’eccezione: Arturo Brachetti.

Tornano per il terzo anno consecutivo i quotidiani rendez-vous online di ContemporaneA. Parole e storie di donne, come sempre a cura di Irene Finiguerra e Barbara Masoni, con nuove storie e tante protagoniste. Gli appuntamenti culmineranno nel festival, che si terrà in presenza, a Biella, dal 23 al 25 settembre 2022 per la sua terza edizione.

 

La nuova stagione segna un cambio di passo, un’ulteriore espansione del progetto di ContemporaneA che si fa sempre di più osservatorio del panorama culturale e artistico femminile: in arrivo da martedì 1° febbraio 2022, 13 nuovi format affidati ad altrettante professioniste e professionisti che hanno aderito al progetto con la loro passione e competenza per raccontare ogni giorno sui canali social di ContemporaneA nuove storie di donne.

 

Alla guida delle rubriche, i cosiddetti rendez-vous, ci saranno nuovi amici di ContemporaneA e alcune delle ospiti delle passate edizioni. Con i racconti e gli aneddoti legati alle grandi figure del varietà, molte delle quali conosciute personalmente dall’artista, i followers di ContemporaneA troveranno il grande Maestro del trasformismo internazionale Arturo Brachetti nel ruolo di showteller (letteralmente “raccontatore di spettacolo”) con il format Stelle. I post a tema cinematografico sono affidati alla regista Irene Dionisio, direttrice per tre anni del Lovers, storico festival LGBTQI del Museo Nazionale del Cinema di Torino con la sua rubrica Supernovae – Le innovatrici del cinema italiano; con BuonissimA il pubblico potrà conoscere meglio il mondo della ristorazione e le donne che ne fanno parte insieme alla food curator Martina Liverani. Con Atlete la giornalista sportiva Elena Marinelli tratteggerà i ritratti di campionesse dello sport; mentre alla curatrice d’arte Alessandra Carini è affidato il racconto delle professioniste dell’arte: galleriste, direttrici di  musei e fondazioni. Cristina Manfredi, esperta di  moda e lifestyle,  parlerà della magia e della creatività propria dell’universo fashion attraverso le storie delle sue protagoniste. Un nuovo format nasce dalla collaborazione con la scuola Holden di Torino: dieci docenti di varie discipline racconteranno tramite un video una scrittrice particolarmente significativa all’interno del loro percorso come narratori.

 

Accanto a queste rubriche firmate da ospiti speciali, non mancheranno quelle realizzate dal nucleo redazionale di ContemporaneA: spazi dedicati alle arti figurative, con  Artiste, alle scrittrici internazionali, alle protagoniste dei grandi romanzi, alle imprenditrici illuminate, alle autrici e ai personaggi femminili della letteratura dell’infanzia con Non solo “Piccole donne”, al mondo della musica, con First Ladies of Songs. Si confermano inoltre gli appuntamenti più amati delle scorse stagioni, come A ruota libera Caffè con le ragazze, che in questi due anni ha visto raccontarsi scrittrici come Antonella Lattanzi, Nadeesha Uyangoda, Beatrice Masini, Giulia Caminito, Alice Urciuolo, Giusi Marchetta, Marta Barone, ma anche professioniste come la musicista Ginevra Di Marco, la giornalista Corinna de Cesare, la tatuatrice Silvia Maschio, le ideatrici del progetto Senza Rossetto Giulia Cuter e Giulia Perona, la manager musicale Katia Giampaolo, le giornaliste Ritanna Armeni, Simonetta Fiori, Cristina Manfredi.

 

Come ormai da tradizione l’immagine guida di ContemporaneA, la sua pelle, la veste con cui si comunica, è affidata a un’artista: dopo Chiara Fucà e Anna Ippolito è la volta di Elena Miele, illustratrice e pubblicitaria. Nelle suoi lavori utilizza il collage, il disegno e ogni tecnica utile a creare mondi onirici, surreali, veri e propri sogni lucidi. L’illustrazione che ha realizzato per ContemporaneA verrà svelata poco alla volta nel corso dei prossimi mesi.

 

Con Irene Finiguerra e Barbara Masoni fanno parte della squadra di ContemporaneA – contribuiscono alla realizzazione dei rendez-vous –  Marco Bianchessi, Laura Colmegna, Patrizia Bellardone e Mariangela Rossetto.  ContemporaneA è realizzata in collaborazione con la Libreria Vittorio Giovannacci di Biella e il progetto grafico è a cura dallo Studio Anna Fileppo.

 

 

COS’È CONTEMPORANEA. PAROLE E STORIE DI DONNE

 

I RENDEZ-VOUS

ContemporaneA è un progetto che fin dalla sua nascita si è presentato con una doppia anima, online e analogica, e un solo obiettivo: quello di essere uno spazio per tutte le donne (e non solo) dove confrontarsi, sognare e progettare, dove ascoltare gli interventi di scrittrici, artiste, imprenditrici. Una vocazione multidisciplinare e inclusiva che si traduce nel corso di tutto l’anno in appuntamenti online, i cosiddetti rendez-vous: interviste, recensioni, citazioni, illustrazioni, profili e storie di donne.

 

IL FESTIVAL e gli altri incontri dal vivo

Nel corso del 2021 ContemporaneA ha organizzato numerosi incontri e presentazioni dal vivo, con scrittrici del calibro di Silvia Avallone e Annarita Briganti. A settembre si è tenuta a Biella la seconda edizione in presenza del festival Contemporanea. Parole e storie di donne. Tra le degli anni passati, Teresa Ciabatti, Valeria Parrella, Vera Gheno, Simonetta Fiori, Roberta Scorranese, Ritanna Armeni, Florencia Di Stefano-Abichain, Mariangela Pira, Elena Varvello, Tiziana Ferrario e Marina Spadafora.

La terza edizione del festival si terrà dal 23 al 25 settembre 2022 a Biella.

 

www.contemporanea-festival.com

Facebook: @contemporaneafestival

Instagram: @contemporaneafestival

Servizio Civile in ADMO: 42 posti in tutta Italia

Per il Piemonte si cercano due volontari per la sede di Torino

Pubblicato il bando per la selezione di giovani tra i 18 e i 28 anni che vogliono diventare volontari del Servizio Civile. ADMO Federazione Italiana e le ADMO Regionali aderenti partecipano al Bando di Servizio Civile Universale con delle sedi accreditate presso l’ente AVIS Nazionale. 42 i posti totali a disposizione.
Il Servizio civile universale rappresenta una importante occasione di formazione e di crescita personale e professionale per i giovani, che sono un’indispensabile e vitale risorsa per il progresso culturale, sociale ed economico del Paese. Il servizio civile diventa universale e punta ad accogliere tutte le richieste di partecipazione da parte dei giovani che, per scelta volontaria, intendono fare un’esperienza di grande valore formativo e civile, in grado anche di dare loro competenze utili per l’immissione nel mondo del lavoro.

“Ti invito a donare” è il titolo dei progetti presentati da AVIS Nazionale e ADMO, suddivisi per aree geografiche. I posti disponibili presso le sedi ADMO sono 42 per giovani che abbiano compiuto i 18 e non superato i 28 anni di età vorranno vivere una esperienza unica ed entusiasmante!
Tante le attività proposte, che saranno svolte nel pieno rispetto delle attuali norme anti-Covid e a tutela della salute dei partecipanti. È possibile effettuare la richiesta di adesione entro le ore 14.00 di mercoledì 26 gennaio 2022. Partecipare è semplicissimo, basta presentate la domanda online attraverso la piattaforma DOL, collegandosi a questo link: https://domandaonline.serviziocivile.it/ Le selezioni avverranno secondo i criteri accreditati dal Dipartimento disponibili di seguito e riportarti all’interno di ogni scheda progetto.

MAGGIORI INFORMAZIONI

Chi può partecipare
Possono presentare domanda i giovani senza distinzione di sesso che siano in possesso dei seguenti requisiti:
aver compiuto il diciottesimo anno di età e non aver superato il ventottesimo anno di età (28 anni e 364 giorni) alla data di presentazione della domanda;
cittadinanza italiana, ovvero di uno degli altri Stati membri dell’Unione Europea, ovvero di un Paese extra Unione Europea purché il candidato sia regolarmente soggiornante in Italia;
non aver commesso reati;
Tipologia di progetti
Per la partecipazione ai progetti di Servizio Civile non esistono limitazioni geografiche di alcun tipo: è possibile scegliere tra tutti i progetti presenti nel bando da svolgersi in Italia e all’estero, a patto che si presenti domanda per un solo progetto tra quelli indicati, pena l’esclusione.
Durata e impegno settimanale
I progetti di Servizio Civile in ADMO prevedono un monte ore annuo di 1145 ore per la durata di 12 mesi e un orario di servizio pari a una media di 25 ore settimanali. L’orario di servizio viene stabilito in relazione alla natura del progetto ed è indicato nel progetto stesso.
Trattamento economico
Ai volontari spetta un compenso di € 444,30 al mese. Il pagamento avviene in modo forfettario per complessivi trenta giorni al mese per la durata prevista del progetto, a partire dalla data di inizio.

SEDI ADMO ADERENTI AL PROGETTO CON NUMERO DI VOLONTARI RICHIESTI

Cod_sede Sede Prov Regione/PA Area Volontari Richiesti
145996 ADMO ALTO ADIGE SÃœDTIROL Bolzano – Bozen Alto Adige Nord 2
145999 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Bologna Bologna Emilia Romagna Nord 2
146000 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Faenza Ravenna Emilia Romagna Nord 2
146001 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Ferrara Ferrara Emilia Romagna Nord 2
146002 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Forli’-Cesena Forli’ – Cesena Emilia Romagna Nord 2
146003 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Modena Modena Emilia Romagna Nord 2
146004 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Parma Parma Emilia Romagna Nord 2
146005 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Piacenza Piacenza Emilia Romagna Nord 2
146006 ADMO EMILIA ROMAGNA sezione Reggio Emilia Reggio Emilia Emilia Romagna Nord 2
146007 ADMO FEDERAZIONE ITALIANA Milano Lombardia Nord 2
146008 ADMO FRIULI VENEZIA GIULIA Udine Friuli Venezia Giulia Nord 2
146009 ADMO LOMBARDIA Milano Lombardia Nord 2
146010 ADMO PIEMONTE Torino Piemonte Nord 2
146011 ADMO TRENTINO Trento Trentino Nord 1
145995 ADMO ABRUZZO Pescara Abruzzo Centro 2
147238 ADMO LAZIO sezione Roma Roma Lazio Centro 3
147239 ADMO LAZIO sezione Viterbo Viterbo Lazio Centro 2
147241 ADMO TOSCANA Grosseto Toscana Centro 2
145997 ADMO CALABRIA Vibo Valentia Calabria Calabria 3
145998 ADMO CALABRIA sede Reggio Calabria Reggio Calabria Calabria Calabria 3

Dall’acropoli al centro commerciale. Conferenza Ucid

Iniziativa promossa dalla Sezione di Torino Interviene l’architetto Luigi Rajneri

“Dall’Acropoli al centro commerciale. Come la scristianizzazioneha cambiato le nostre città?” è  il titolo della conferenza promossa lunedì 24 gennaio prossimo dall’Ucid ( Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti) Sezione di Torino, che si terrà presso la Sala Crocetta de La Darsena in strada Torino a Moncalieri,relatore l’architetto Luigi Rajneri.

Come si sono trasformate le nostre città nel corso dei secoli?

“Molti studi hanno affrontato questo interrogativo – ha spiegato l’architetto Luigi Rajneri – La città è la creazione umana più complessa e coinvolge diverse discipline. Questo piccolo studio vuole offrire un punto di vista scarsamente indagato, per aggiungere un tassello di cui bisognerebbe tenere conto.

Antichi equilibri sono mutati a seguito di grandi rivoluzioni culturali e se ne possono leggere le conseguenze nelle trasformazioni urbane.

La frammentazione dei lotti ha generato il caos urbanistico e ha reso necessaria l’adozione di piani regolatori per porre rimedio. In realtà era tardi, gli edifici offrono una tale varietà che, sebbene allineati, creano confusione e disordine. I monumenti e le piazze stanno lasciando il posto a centri commerciali e giardinetti di quartiere, in cui la comunicazione e la socializzazione sono utopici se confrontati agli oratori o alle antiche piazze”.

“La separazione tra chi fa architettura e chi fa Urbanistica – prosegue l’architetto Rajneri – ha fatto perdere di vista le proporzioni più importanti, cioè quelle umane.

I nuovi riti urbani? Dove sono finite le belle piazze italiane ammirate in tutto il mondo?

Siamo ancora capaci di costruire dei bei luoghi?

La freddezza ragionata e calcolata dei nuovi luoghi lascia poco all’immaginazione e coltivano false speranze.

Occorre ritrovare quell’equilibrio tra fede e ragione più volte ricordatoci dal Papa, e già presente nell’Acropoli ateniese”.

MARA MARTELLOTTA

Vita e morte a Napoli

Napoli è una città fortunata, baciata dal sole e dal turismo

Le malelingue hanno voluto che fosse merito prima delle guerre feroci alle frontiere, poi della crisi economica, quindi degli attentati in altre importanti capitali europee e adesso della tragedia della Pandemia.

Non è così.

Napoli è una città che ha saputo valorizzarsi, a partire dal basso, con giovani ardenti di uscire dalla disperazione e commercianti che hanno imparato le regole del marketing. A partire dall’era Bassolino Sindaco, la città ha subito un risveglio culturale e identitario ed è riemersa dalla negligenza del quotidiano e dall’omologazione televisiva in romanesco o peggio in milanese.

Abbiamo avuto solo la sfortuna delle canzoni neomelodiche, durissime esteticamente e nei contenuti violenti o banali, che rimandano ai suoni del Mediterraneo e della antica Grecia, dalla Nea-Polis, la Nuova Atene, con i rituali feroci ed orgiastici, le pire e le sette famiglie che comandavano in città.

Queste tradizioni sono oggi narrate con disprezzo, dovuto, da chi si occupa di cronaca nera, di camorra, anzi del Sistema, come Saviano, ma oggi proverò a darne una rilettura estetica, perché vendendo Napoli possiate apprezzare anche il popolo e le sue tradizioni millenarie.

Napoli, durante la quaranten, era un deserto silenzioso e caustico, interrotto dallo scrosciare degli applausi, dai canti appassionati dai balconi, dalle giornate di sole sui balconi o le terrazze, per chi poteva, o solo all’uscio del proprio basso, a mezzogiorno.

Poi d’estate nel 2020, tutti al mare.

Turisti pochi, pochissimi, rari.

Il cielo sopra il mio terrazzo, di cui vedete il panorama in foto, è stato muto per mesi, quando fino alla fine del 2019 era uno scroscio e un rombo di aerei ogni cinque-dieci minuti. Più frequenti della metropolitana collinare o degli autobus urbani con cui poi i turisti devono fare i conti per visitare la città.

Erano anni che la città era stracolma del vociare di truppe cammellate di ogni genere etnico. I quartieri più fortunati, come la Sanità o i Quartieri Spagnoli, hanno da tempo costruito intorno a loro nuove mitologie e nuovi riti goderecci, legati agli apertivi, fino ad allora ignoti, o le più comuni zingarate di cibo e vini dell’entroterra, tutti di elevatissima qualità.

Dopo la fuga estiva, al rientro, una nuova quarantena planetaria, più infida e deprimente, perché in inverno le giornate si accorciano, i balconi erano deserti, i morti che prima vedevamo solo in televisione, hanno cominciato a colpire le nostre famiglie (non la mia, tiè), e siamo diventati teledipendenti, abusatori di streaming e webinar, adoratori dei delivery, anche quelli etnici. E quando mai i napoletani avevano apprezzato i cibi di cinesi o giapponesi? Pure gli hamburger erano durati, come moda, pochissimo negli anni ’80.

Poi d’estate adesso nel 2021… tutti a…. Napoli !?

Come a Napoli?!

Gli aerei hanno solcato di nuovo i cieli, anche se sporadici e limitati ai fine settimana. Le navi da crociera, seppure mezze vuote, si sono intraviste al Porto, davanti al Maschio Angioino. La metropolitana era sempre in ritardo e gli autobus pieni solo dei domestici cingalesi o delle badanti ucraine.

Noi borghesi attoniti ad ammirare la meraviglia delle voci straniere intorno a noi, a sbracciarci di nuovo per dare indicazioni (io sono ufficialmente una guida abusiva, gratuita, per amici e avventori di ogni genere). Il lungomare, invece, vessato dalle auto, all’improvviso, per il crollo promesso dalla instabilità idrogeologica di ben due tunnel di collegamento tra la stretta baia, detta via Caracciolo, e le affastellate città antiche e moderne del Centro Storico e di Fuorigrotta.

Ne traevamo i peggiori auspici, moltiplicati dalla propaganda negativa di una curiosa sentenza del TAR che avrebbe voluto veder cancellare uno dei numerosi omaggi agli adolescenti del popolo, uccisi da polizia o carabinieri, nell’atto entrambi di compiere il proprio dovere, lecito allo Stato italiano, invasore, o alla famiglia, quella da mantenere, secondo le regole di vita millenarie che caratterizzano tutte le storie di scugnizzi, dalla greca Nea-Polis a quella post-moderna.

I murales sono tutti là, esattamente là, anche un poco più in là, dove ogni tanto ne spunta un altro. Sono riproduzioni gigantesche delle foto che, di solito, sono messe sui numerosi altarini, dette edicole, di foggia sia barocca, sia sudamericana, la cui storia pagana e cristiana è una delle tante di cui narro alle persone amiche, ma solo dal vivo.

Arriva capodanno…

Il nuovo sindaco, eletto a furor di borghesia e si suppone popolo, promuove per la prima volta nella storia l’inutile divieto contro i fuochi d’artificio. La notte di capodanno purtroppo c’era foschia, se volete vi metto quelle dell’anno prima che erano esattamente uguali in rumorosità, grandiosità e diffusione millimetrale, ma grazie al clima terso, ne ho tratto immagini migliori.

Ah, ma cosa sarebbe Napoli senza le bombe a capodanno e la conta dei feriti e dei morti, magari per pallottole vaganti delle stese? Sarebbe una Marrachesch senza mercato, una Montmartre senza artisti ed una Monza senza la Ferrari.

La morte e la vita a Napoli si festeggiano insieme, con una ferocia dionisiaca che deriva, lo ricordo ancora, direttamente dall’essere stata la greca Nea-Polis.

Napoli a Capodanno era piena di vita e di speranza, perché i vaccini, nonostante le manifestazioni contrarie di Trieste, fondamentalmente ce li stavamo facendo tutti, perché la salute,… è ‘a primma cosa’… I turisti erano ovunque, anche se ovviamente solo la metà di quelli del 2019, ma l’anno prima… non c’erano proprio. Nel 2020, al massimo, dei profughi settentrionali e qualche migrante dalle basi NATO.

Arriva gennaio. Una pioggia, un freddo ed oggi il sole. Quello della foto dal terrazzo.

In città ieri sera il popolo della camorra ha vinto un’altra battaglia. Tra i vicoli davanti al Museo, tra Toledo e Salvator Rosa, in uno spiazzo dove prima della guerra c’era un palazzo, mai riedificato, di cui si osservano ancora i colori delle stanzucce di chissà quali famiglie degli anni ’40, si è svolta una battaglia epocale.

Se volete vi faccio vedere il filmato di un mio amico… sta su Facebook, ovviamente, e potrete ammirare nel buio l’altissimo falò detto Cippo o Fucarazzo, dedicato nelle sue forme a Sant’Antonio, ma di origini molto più antiche.

La tradizione neolitica della scoperta del fuoco, della rappresentazione della potenza della tribù, usata quindi come rituale di passaggio dall’età infantile al vigore della giovinezza dai maschi e dagli scugnizzi del popolo fino appunto a ieri, diventa una delle tante feste dionisiache di fine e rinascita dell’anno, dedicata chissà a Partenope o a Priapo.

Passando casualmente là davanti, mentre scendevo a Toledo, a piedi, vengo accolto da madri che, dal vicolo ai balconi, esaltano i figli che, poveretti, faticando per tante notti a fare la guardia, avevano raccolto e preservato, dalle bande rivali si intende, l’enorme fascina di “lignamme”, estorta, asportata, tolta, raccolta, eliminata, sequestrata in pochi minuti dalla polizia locale, inviata si suppone sempre dal Sindaco eletto a furor di borghesia e ormai sempre meno dal popolo.

Subito dopo, scendendo, tra le scarse luci dei bassi e dei rari negozietti di parrucchiere, si vedono scugnizzi trascinare pezzi di legno con voci sempre più concitate, mano a mano che scendevo il vicolo, protetti dagli sguardi di ragazzotti o scagnozzi di poco più grandi, ma più virili e per me affascinanti.

Non mi lascio distrarre e guardo al centro della confusione il cancello dell’antro dionisiaco “scassato” e l’andirivieni formicolare di bambini e adolescenti, le loro voci, e quatto mamme, eroiche ad issare il telo della protesta sindacale, che raccoglie la preghiera del quartiere intero. E svela il mistero.

Il Fucarazzo è la rappresentazione pagana delle anime dell’Ade, poi del “priatorio”, che non è esattamente il Purgatorio, ma il luogo di reciproca preghiera. Nella nostra mitologia partenopea la relazione con le anime del priatorio è ampia complessa e si deve spiegare in molti anfratti e chiese, in palazzi e vicoli, ogni volta in un modo diverso, a seconda della leggenda e delle storie connesse.

Questa rappresentazione post-moderna delle Anime “d’ ‘o Priatorio”, con un lenzuolo vergato come nelle proteste degli studenti, in nero, di spray e lutto, per gli adolescenti rappresentati in foto. Morte e Rinascita.

Sono sempre quelli uccisi nelle varie guerre tra bande in città, oppure dalla polizia e dai carabinieri, per i quali si chiede giustizia. Giustizia… A Napoli il concetto di Giustizia detto da una madre che ha perso il figlio perché ucciso dalla banda rivale è una cosa. Un’altra se l’ha ucciso un rappresentante dello Stato italiano invasore, invasore sì, come lo sono stati i romani, i goti, i normanni, i bizantini, gli aragonesi, gli angioini, gli austriaci, i borbone, i nazisti (più che i nazi-fascisti…), cioè i tedeschi, e poi gli americani, “’e nire”, quelli americani prima e quelli migranti adesso, incluso i cinesi, gli arabi e i turisti.

Tutti invasori! Ma i turisti e gli americani portano i soldi… e se non li spendono… vabbuò, che c’è sempre modo a Napoli di spenderli questi soldi, nei vari piaceri, anche della carne, servita con menù di ogni genere.

Chiudeva il corteo verso il basso un gruppo di atletici e barbuti, intorno ai 25, forse 30 anni, le guardie del corpo della festa, verso l’ingresso da via Toledo, delle scale meravigliose che ancora sono poco frequentate dai turisti. E chi c’era secondo voi in ipocrita falsa ma vigile attesa?

Il corpo della polizia, in tenuta anti-sommossa…

No, non sono intervenuti.

E’ una libera manifestazione del popolo, sebbene sia quello della camorra, quello violento, dionisiaco, feroce, mariuolo ed assassino. E’ la manifestazione di gioia per i figli che crescono e di lutto per quelli morti nel compimento del loro dovere (rispetto alle distorte regole etiche della camorra…)

Tutto questo candore è reale. Molto più reale delle pretese regole borghesi. E forse se diventasse folklore, attirando i turisti, sarebbe finalmente un modo per arricchire queste madri e questi figli senza che debbano più rischiare la vita o … fare… la vita… per ottenere i soldi dagli americani e dai turisti o dallo Stato italiano invasore… moltiplicando i turisti che continuano ad invadere Napoli, almeno nei fine settimana di gennaio.

Manlio Converti
Psichiatra