Sino al 1° gennaio le repliche di “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie

Nella villa in riva al mare la filastrocca che accompagna le uccisioni

Una lussuosa villa su di un’isola di fronte alla costa inglese, separata dal mondo, un gruppo di dieci persone sconosciute tra loro convocate là da un misterioso invito, il passato di tutti che non quadra come dovrebbe e non dovrebbe essere svelato. È l’inizio di Dieci piccoli indiani… e non rimase nessuno! che con la traduzione di Edoardo Erba e la regia dello spagnolo Ricard Reguant, spettacolo ricco di un più che apprezzabile successo nato a Verezzi nell’estate 2016, occupa il palcoscenico del Carignano per le festività di fine anno (repliche sino al 1° gennaio). Successone nei secoli per la Christie che pubblicò in Inghilterra il romanzo nel ’39 e s’incaricò

. © 2017 Sebastiano Vianello.

di ricavarne la trasposizione teatrale in pieno conflitto, quattro anni dopo, trasposizione che tenne a Broadway per 426 repliche. Per non contare i diritti d’autore che andarono a gonfiare le casse della signora Agatha con l’arrembaggio (se non andiamo errati quattro versioni) che il cinema fece sulla vicenda che brillava per intreccio, angosce claustrofobiche e cast sempre ad alti livelli. S’aggirano spaventati attraverso l’ampio salone ideato da Alessandro Chiti i tanti personaggi, il giudice che ha condannato a morte ingiustamente un uomo, la giovane segretaria che ha lasciato il proprio lavoro di governante dopo la morte del bambino che le era stato affidato, l’ex capitano accusato d’aver lasciato morire di fame un gruppo di indigeni di una tribù africana, un’anziana donna bigotta e dal comportamento severissimo che ha spinto al suicidio una ragazza perché rimasta incinta. E poi un generale che avrebbe mandato a morire in una missione inutile l’amante della moglie, un giovane e ricco rampollo colpevole di aver travolto con la auto due fratellini, un ex agente di polizia che con la sua falsa testimonianza ha spedito un uomo all’ergastolo, un medico chirurgo che per il vizio del bicchiere ha spedito una paziente all’altro mondo, una giovane coppia di camerieri, anch’essi sulla coscienza l’omicidio di una vecchia

© 2017 Sebastiano Vianello.

danarosa che accudivano. Accuse, sospetti, morti escogitate in grande varietà d’esecuzione, bui improvvisi, coltelli e pistolettate, veleni, macigni che colpiscono arrivando da chissà dove. Una storia già vista (qui magari è la sorpresa di un finale riportato alle antiche origini, definitivo, perfettamente allineato con il titolo), forse difficile mantenervi un’attenzione dello spettatore quantomai lucida e attiva. Nessuna paura, ci pensa una regia che fa di tutto per mantenere ben solido e “divertente” il testo, per rifinire simpaticamente ogni personaggio, per costruire appieno ogni suspence, ogni movimento e urlo che si presenti, sempre all’ombra sonora della filastrocca che accompagna ogni

© 2017 Sebastiano Vianello.

uccisione. I tempi sono quelli giusti seppur pecchino nella seconda parte di qualche rara dilatazione di troppo. Alla perfetta uscita di questa serata da brivido contribuiscono in prima linea alcuni dei nomi più belli del teatro italiano, una invidiabile compagine, compatta, ognuno con il proprio attimo di occhio di bue per mandare in primo piano il suo peccato, un esempio di vera professionalità, da Ivana Monti che s’aggiusta anche a perfezione una componente lesbo in vena d’approcci nella sua invalicabile bigotta, a Carlo Simoni farfugliante medico con corposi sensi di colpi, da un freddo e ambiguo Luciano Virgilio a Mattia Sbragia, da Alarico Salaroli a Pietro Bontempo, ai più giovani colleghi, tutti applauditi da un pubblico visto assai folto in ogni ordine in una delle repliche postnatalizie.

 

Elio Rabbione