AVVISTAMENTI / di EffeVi
Basta che si occupi dei problemi con umiltà, non si faccia accalappiare dai vecchi marpioni che si riposizionano e deponga velleità di ingegneria sociale
C’è già chi storce il naso sul nuovo corso di Palazzo Civico. Si lamentano che il nuovo Sindaco (perdonate l’arcaismo) perda tempo a piantare bandierine simboliche: si fa accompagnare a Palazzo da un minicorteo di No-Tav in tripudio; fa ristampare carta intestata col titolo di “Sindaca”; vuole introdurre nello statuto della Città il riconoscimento dei genitori omosessuali. Una riedizione molto occidentale e decadente dell’”estremismo come malattia infantile del comunismo”. C’è chi si preoccupa piuttosto di altri segnali più concreti: i nuovi assessori che annunciano il prolungamento dell’orario della Ztl – con tutta l’epica melensa e pedagogica della cosiddetta “mobilità dolce” (che proprio non si può sentire) – l’opposizione alle grandi opere e – potenzialmente – il blocco alle (residue) trasformazioni urbane. Questi borbottoni fanno sorridere: in realtà non è alle viste nessun cambiamento epocale, semmai una “intensificazione” di tendenze già in essere nelle amministrazioni di centrosinistra, soprattutto negli ultimi anni. Agli scribi e sacerdoti della TAV faccio sommessamente notare che, se da un lato il Sindaco Appendino ha confermato la sua contrarietà di principio, restando però nel recinto istituzionale che non le assegna il potere di interferire sostanzialmente e men che meno di bloccare l’opera, chi ha modificato il tracciato con un tratto di penna è stato il premier Renzi. A chi si preoccupa di piste ciclabili imposte, di ZTL e di chiusure del centro, dico di guardarsi intorno e chiedersi chi è l’artefice delle pedonalizzazioni ideologiche e del record di piste ciclabili: se un Sindaco appena insediato o le precedenti amministrazioni, che hanno avuto assessori come Corsico e Sestero, attivamente impegnati a perseguire un disegno di città altrettanto utopistico. L’idea che una grande economia cittadina si possa muovere sulle due ruote – neanche vivessimo in un centro minore dell’Appennino – è una piaga sociale, connaturata all’estrazione dei nostri amministratori, in genere buoni borghesi progressisti che interpretano le esigenze di mobilità di famiglie e imprese al riparo del loro reddito alto (spesso stipendi pubblici) e della residenza in quartieri centrali. Ai cattolici preoccupati ricordo che il Comune aderisce al gay Pride da anni, che Fassino anzi lanciò la pantomima dei matrimoni gay in polemica col Governo e in particolare con il Ministro Alfano. Peraltro, che l’assessorato alla famiglia (anzi, scusate: “alle famiglie”) sarebbe andato a un esponente dell’Arcigay, era stato annunciato prima del ballottaggio. Stupisce lo stupore, visto che tutto si può rimproverare alla Appendino, tranne l’aver nascosto i suoi orientamenti in tema di sviluppo urbano, mobilità, famiglia, società e altro. Semmai il punto è un altro, e riguarda più in generale il dilemma dei due sindaci pentastellati e di un partito che si candida a (o rischia di, vedete voi) prendere la guida del Paese, stando ai recenti sondaggi. Non è un mistero che nel sistema attuale tripolare gli elettori di centrodestra, esclusi i loro candidati al ballottaggio, tendono a favorire i grillini: a Roma come a Torino. Appendino è stata eletta con un riporto massiccio – tra 70% e 90% – degli elettori che al primo turno avevano votato
per Morano/Rosso/Napoli ( i cui appelli a votare Fassino sono serviti a poco). Appendino parta intanto da questo: si assuma la responsabilità di inventarsi un modello di Torino inclusivo (come aveva promesso) e non discriminante per quella fascia media di cittadini che non può sentirsi rappresentata da un’élite radical-chic, sia essa nella versione paludata e di potere (il PD) o in quella più dannunziana e rivoluzionaria, che è quella che abbiamo visto sinora.Il nuovo Sindaco deve inventarsi (e far funzionare presto) un modello in cui pezzi importanti, sinora esclusi, trovino diritto di cittadinanza: borghesia impoverita ed esposta alla criminalità, imprese sane sinora bandite perché estranee al sistema Torino, anziani alle prese con un welfare inceppato. Un blocco moderato che preferisce affidarsi alle forze di autoriforma della società, piuttosto che alle imposizioni di una classe di governo illuminata – cominciando dal delicato tema della famiglia. C’è poi la lista di cose da non fare: non intignarsi in operazioni di ingegneria sociale, imponendo concetti divisivi; non affrontare i problemi di sicurezza con la pedagogia dei progressisti di collina; rendersi conto che la bicicletta va bene, ma poi c’è da gestire una realtà di quasi due milioni di spostamenti motorizzati al giorno. Insomma, dimostrare di aver capito che non deve vincere le “parlamentarie” sulla piattaforma web della Casaleggio e Associati, ma è stata eletta con voti da destra e da sinistra per rimettere in piedi una città fiaccata da crisi economica e sclerosi delle classi dirigenti. Ma la prima cosa da non fare è cedere alle tentazioni estreme. Da un lato, illudersi di poter ripulire furiosamente il sottobosco di mediocri e profittatori che hanno prosperato nella compiacenza di un ventennio ininterrotto. Distingua caso per caso, e faccia ben attenzione a non fermarsi a qualche “avvicendamento” simbolico, che poi non cambierebbe la cultura (dirigista, esclusiva, clientelare, autocelebrativa) maturata a Palazzo Civico. Dall’altro lato, diffidi delle conversioni improvvise e delle moine della classe salottiera torinese: si tratta in generale di percettori di rendite, i cui risultati come manager sono inversamente proporzionali agli stipendi pubblici che percepiscono, e li abbiamo già sperimentati e stipendiati per lunghi anni. Nessuno è indispensabile. E anche lei, resista al richiamo della foresta e ai tentativi di sottile condizionamento attraverso leve famigliari o amicali. Anche qui, abbiamo già dato e il suo appartenere a una borghesia di ben nati, vicini alla Fiat e agli ultimi cascami della corte pre-Marchionne, può anche essere una vulnerabilità. Faccia il sindaco di tutti, non riconosca accessi privilegiati, discuta e comunichi il più possibile in Aula. Infine, accetti il rischio: maturando un’esperienza da Sindaco e allontanandosi con coraggio dall’ortodossia infantile del 100% del M5S (che è un biglietto sicuro per il fallimento di qualsiasi progetto politico) può rappresentare davvero qualcosa di duraturo, ricomponendo un modello postideologico esportabile di rinnovamento, purché fondato sulla competenza e non sulla retorica, sulla trasparenza non come religione ma come ordinata normalità, sulla moderazione e sul rispetto delle convinzioni di una buona fetta di Torinesi. L’alternativa è esporsi al rischio di farsi rosolare, magari per semplici leggerezze di assessori senza esperienza (ma le leggerezze fruttano comunque l’apertura dei fascicoli in procura) e rassegnarsi a finire come un Pizzarotti qualsiasi. Chiara Appendino, insomma, non può più scherzare, deve lasciare la casa di Beppe e saltare in groppa alla tigre. Oppure prepararsi a tornare presto a vita privata, inseguita dallo stigma del velleitarismo e della sconfitta.
(foto: il Torinese)