IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Dalla parte di Lo Russo
A fine novembre si terrà a Torino l’assemblea dell’ANCI alla presenza del Presidente della Repubblica. In lizza saranno i sindaci di Napoli e di Torino e sui giornali appare una mobilitazione per vincere che in passato rimase sotto traccia. Lei cosa ne pensa?
La Famija piemonteisa di Roma compie 80 anni perché essa nacque pochi mesi dopo la liberazione di Roma del 4 Giugno 1944, quando il nuovo ministro del Tesoro Marcello Soleri – antifascista liberale fedelissimo di Giolitti – diede vita al sodalizio che avrebbe raccolto il fior fiore dei piemontesi che si erano trasferiti nella capitale per viverci o per esercitare funzioni pubbliche o private di rango. Era un’idea che si sarebbe potuta realizzare dopo il trasferimento della capitale a Roma nel 1870 con la nascita di nuovi quartieri romani, come il Prati, abitato prevalentemente da piemontesi.
La morte nel 1945 di Soleri non fu di ostacolo alla rapida crescita dell’associazione che fu presieduta dall’ing. Mario Fano a cui succedette Luigi Einaudi governatore della Banca d’Italia e poi ministro e infine presidente della Repubblica. Un altro presidente importante fu Giuseppe Pella economista biellese e presidente del Consiglio nel 1954. Presidente di spicco anche fu Adolfo Sarti, ministro di origini cuneesi anche lui democristiano come Pella. Furono presidenti anche i ministri liberali Renato Altissimo e Valerio Zanone. Eminenza grigia che volle essere soltanto vicepresidente, fu Renzo Gandolfo, un manager con forti interessi per la cultura piemontese il quale realizzò a Torino il Centro di studi piemontesi. Non vanno tuttavia dimenticati i nomi di Manlio Brosio, di Vittorio Badini Confalonieri e di Federico Chabod che incaricò lo storico siciliano Rosario Romeo di scrivere nel 1961 sul Conte di Cavour nel centenario dell’Unità d’Italia. Romeo trasse da quell’invito l’idea di scrivere l’immensa biografia in tre volumi del gran conte.
Alla Famija Piemonteisa si respira aria di Piemonte, ma non si è mai caduti nel piemontesismo.
L’attuale presidente, il giornalista radiofonico Enrico Morbelli, ne è la dimostrazione: un piemontese quasi sempre vissuto a Roma che ha mantenuto la casa di campagna in Piemonte dove torna ogni anno. Il Segretario generale Francesco Ugolini è l’anima organizzativa del sodalizio.
La Famija ebbe una sede sontuosa in cui si tennero memorabili convegni e sfarzose feste. Poi i costi si rivelarono impossibili da sostenere. Fu Valerio Zanone a chiudere la sede e a trovare un accordo con le diverse associazioni regionali esistenti a Roma che decisero di chiedere al sindaco Veltroni una sede da condividere. Per un certo periodo la Famija divenne l’associazione Piemontesi a Roma, perdendo un po’ del suo smalto storico. Il recupero dell’ antica denominazione piemontese è merito del presidente Morbelli. Un numero alto e qualificato di piemontesi, orgogliosi delle proprie radici, che vivono a Roma, sentono la Famija come una sorta di “altera domus” subalpina nella capitale. Essa realizza ogni anno un’intensa attività culturale, dedicandosi al ricordo storico dei piemontesi illustri del passato e alla presentazione di libri di autori piemontesi, pur senza chiusure aprioristiche. Mario Soldati negli anni in cui si dedicò al cinema e visse a Roma, era solito dire che respirare un po’ di aria piemontese alla Famija e recarsi alla stazione Termini per tornare a Torino erano le sue massime aspirazioni di torinese costretto a vivere in una città che non amava, perché troppo identificata col fascismo vecchio e nuovo.
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
La nomina a cardinale dell’attuale arcivescovo mons. Repole e’ stata accolta con entusiasmo da chi ancora si attarda a vedere come esempio e cardine storico della Chiesa torinese il cardinale Michele Pellegrino, esimio docente all’Universita’ di Torino e vescovo decisamente innovativo rispetto al cardinale Fossati, l’unico entrato nella storia novecentesca di Torino insieme al cardinale Richelmy, per altro mancato prematuramente. Non ho mai avuto simpatia verso il cardinale Pellegrino che preparò più o meno inconsapevolmente la strada a Novelli sindaco, favorito in ciò da una Dc che aveva perso il senso della sua funzione politica e non aveva più uomini adeguati. Le due volte che incontrai personalmente Padre Pellegrino, come voleva che lo si chiamasse, e ascoltai le sue omelie, fui colpito dalla freddezza della sua parola, più adatta alla cattedra che all’altare. Io ricordo ragazzino invece l’umanità profonda del cardinale Fossati che aveva accompagnato la diocesi durante la seconda guerra mondiale e la guerra civile. Valdo Fusi che fu sposato dal Cardinale, mi parlò del Cardinale e del suo carisma religioso e umano. Oggi la nomina cardinalizia di Repole appare un riconoscimento più allo studioso che al vescovo perché nel periodo in cui è stato arcivescovo non si è fatto finora notare per il suo apostolato. Il vescovo di Pinerolo Debernardi si è rivelato più vivace e incisivo in un quadro piemontese in verità un po’ depresso, nel quale risaltava soprattutto il vescovo di Ivrea Bettazzi, discutibile per alcune prese di posizione, ma sicuramente dotato di una forte e indiscussa personalità. È significativo che i successori di Pellegrino non sia citati e meno che mai mons. Nosiglia, attivissimo nel sociale, ma anche nella attività pastorale che per primo non venne nominato cardinale. Non sono pochi coloro che non hanno capito perché la cattedra di San Massimo e anche quella, ancora più illustre, di Sant’Ambrogio siano state declassate, togliendo loro il cardinale arcivescovo . Si può capire come la chiesa universale debba andare oltre il localismo italiano e questa nomina ad personam non si può considerare un gesto di attenzione particolare per Torino, come è stato detto. Forse il Pontefice si sentì bloccato dalle sue origini piemontesi quando nominò Nosiglia, forse già di per sé non propriamente adeguato ad essere un principe della Chiesa. La cattedra di San Massimo esigeva comunque maggiore rispetto, solo in parte recuperato con la nomina che avverrà l’8 dicembre nel prossimo concistoro romano. Spero di non dire una cosa fuori posto nell’affermare che l’ex vescovo di Susa mons. Alfonso Badini Confalonieri forse avrebbe meritato anche per la sua storia la porpora cardinalizia.