SOMMARIO: Riconoscere la Palestina? – Mario Soldati e la lettura – Lettere







Pier Franco Quaglieni, noto storico e intellettuale liberale, ha espresso nel tempo numerosi giudizi sulla cultura italiana, spesso con toni critici ma sempre improntati a un forte senso civico e amore per la libertà. Pur non esistendo un’unica definizione sintetica da lui usata, si possono riassumere alcune delle sue opinioni in base a ciò che ha scritto e detto pubblicamente.
Ecco come, in sintesi e con parole sue o fedeli al suo stile, **Quaglieni potrebbe giudicare la cultura italiana**:
**1. Una cultura ricca, ma spesso dimentica di sé stessa**
> “L’Italia è una nazione che ha dato al mondo Dante, Machiavelli, Galileo, ma che troppo spesso vive nell’oblio della propria grandezza culturale.”
**2. Piegata al conformismo e all’ideologia**
> “Troppo spesso la cultura italiana è stata piegata alle ideologie, al servilismo politico, alla mediocrità del potere accademico e giornalistico.”
**3. Ostaggio di un antifascismo dogmatico**
> “L’antifascismo vero è libertà di pensiero e di parola. In Italia è diventato spesso una religione laica dogmatica, più utile a giustificare silenzi e censure che a difendere la democrazia.”
**4. Mancanza di spirito critico e indipendenza**
> “La cultura italiana non è più maestra di indipendenza. Chi pensa con la propria testa viene emarginato, mentre trionfa il pensiero unico.”
**5. Bisogno di riscoprire il liberalismo**
> “Serve tornare a una cultura del dubbio, alla tolleranza liberale di Croce e Einaudi, contro ogni forma di integralismo, sia rosso che nero.”
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In sintesi, **Quaglieni giudica la cultura italiana come gloriosa nelle sue radici, ma decadente nelle sue espressioni recenti**, troppo spesso appiattita su conformismi ideologici, incapace di promuovere davvero il pensiero libero e critico. Egli auspica una rinascita culturale liberale, fondata sulla laicità, sul pluralismo e sull’onestà intellettuale.
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
E’ morto il brigatista rosso non pentito Raffaele Fiore che partecipò al rapimento di Aldo Moro e all’uccisione dell’avvocato Fulvio Croce: nel 1977 sparo’ a bruciapelo, con l’intenzione di ucciderlo, a Carlo Casalegno di cui sono stato molto amico e che in più occasioni ho ricordato pubblicamente, anche nel luogo in corso Re Umberto dove venne colpito. Casalegno morì dopo essere stato ferito in modo vile e truculento e dopo una dozzina di giorni di terribile agonia. Nei confronti di Fiore che non usufruì dei favori riservati ai pentiti non ritengo di dover infierire: dopo la morte deve estinguersi ogni odio, anche se è impossibile, come dice il mio amico Massimo Coco (figlio del magistrato freddato a Genova dalle Br) perdonare.
Chi ha perdonato, in effetti, ha dimenticato, come i famigliari del commissario Luigi Calabresi.
Ma ha anche dimenticato, chi non aveva motivo di perdonare. Io ricordo, quando andai a commemorare Casalegno alla “Stampa” su designazione della vedova di Carlo, Dedi, che il direttore Giulio Anselmi parlo’ di Casalegno come di un “uomo di destra”, tema ripreso dal sindaco pro tempore Chiamparino. Era gente che non
si liberava dai pregiudizi neanche a vent’anni dalla morte di Carlo. Quando Fiore sparo’ in volto a Casalegno, parte della sinistra fu molto tiepida, se si esclude il sindaco comunista Novelli,per non parlare del Presidente socialista Viglione. Ci furono operai della Fiat che rilasciarono penose interviste in cui l’ideologia si fuse con il cinismo e la lotta di classe nei confronti del borghese Carlo Casalegno. Ancora più colpevoli furono i giornalisti che le cercarono, in primis Giorgio Bocca . Ma stando alla testimonianza del giornalista Vittorio Messori ci fu anche chi nella redazione di “Stampa sera” giunse a gioire (secondo un ‘altra testimonianza a brindare) perché era stato colpito un reazionario come Casalegno. Non essere estremisti per alcuni significava essere reazionari: una vulgata di fatto brigatista.
Tanti anni dopo “La stampa” cancello’ il premio Casalegno che conferiva da alcuni anni forse perché mancavano i giornalisti meritevoli, forse perché era imbarazzata a continuare a gloriarsi del suo nome seguendo una linea tanto distante dal suo antico vice direttore che Ronchey scelse come commentatore politico di primo piano.
Di fronte agli immemori io sento di dover scrivere che forse ho più rispetto per un assassino coerente con le sue idee deliranti che per tanti perdonisti che hanno annacquato il ricordo di cosa fu il terrorismo in Italia. Ovviamente il terrorismo rosso e anche nero perché, a pochi giorni dall’anniversario della strage di Bologna va ricordato anche quello nero, anche se le polemiche aspre – umanamente più che comprensibili – del presidente delle famiglie delle vittime di Bologna non sono accettabili perché strumentalizzano il passato in funzione del presente.
PS: Il risalto in prima pagina e lo spazio riservato da”La Stampa” alla morte di Fiore rispetto alle poche righe del “Corriere della sera” a pag. 19 deve far riflettere.
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
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Per poter dare un giudizio sulla vicenda appena definita dei dazi bisogna tener presenti almeno due fatti, al di là delle persone che hanno condotto la trattativa: in primis il fatto che gli USA sono uno Stato federale con a capo un presidente dotato di ampi poteri, il secondo fatto che l’UE è un’unione di Stati sovrani senza un esercito europeo ,senza una politica estera comune con governi nazionali anche politicamente diversi. L’elemento che accomuna di più è l’euro che ha dato vantaggi e provocato problemi ai diversi Paesi all’atto della sua nascita. L’Europa non ha saputo neppure dotarsi di una Costituzione , arenandosi sulla questione delle sue origini. L’Europa è quindi fragile , mentre gli USA sono uno Stato forte, strutturato in Stati, ma capace di una solidità del tutto estranea al vecchio continente che si avviò verso l’unione soprattutto per evitare il ripetersi delle due guerre che hanno dilaniato la prima parte del Novecento. Dopo la carica propulsiva di De Gasperi, Schumann e Adenauer e il boicottaggio di De Gaulle , l’Europa dopo i Trattati di Roma del 1957, non è più riuscita ad avere un suo ruolo convincente. La stessa adesione con riserva dell’Inghilterra che decise di mantenere la sterlina e poi uscì dall’Unione, è oggettivamente una debolezza della EU, se consideriamo lo storico rapporto tra Regno Unito e USA.
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Tutte queste considerazioni portano a capire che Trump ha avuto con facilità, alzando la voce, la possibilità di ottenere i dazi per le merci europee esportate negli USA. Chi ha parlato di libero mercato e di Alleanza atlantica ha fatto discorsi che la sordità di Trump rende vani. Sulla distanza i dazi danneggeranno anche gli USA ma il palazzinaro presidente non riesce ad andare oltre perché manca di lungimiranza politica. Va aggiunto che l’Italia nel quadro della UE e dei rapporti con gli USA non è mai stata un forte interlocutore capace di far sentire in modo concreto la sua rappresentanza. Non è accaduto con Andreotti, Fanfani, Moro, Craxi, Berlusconi, Prodi, Gentiloni, al di là di valutazioni politiche su cui voglio sorvolare. L’unico periodo in cui l’Italia è apparsa più ascoltata è quando fu al governo Draghi, ma ad avere un ruolo è stata la storia personale di Draghi, una meteora che è passata senza quasi lasciare traccia.
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Quando leggo sui giornali i commenti ironici di chi dice il governo difende un accordo sui dazi indifendibile, vorrei replicare dicendo che la presidente italiana – invitata perentoriamente dall’opposizione a uniformarsi alla EU evitando protagonismi italiani – non può essere incolpata di quasi nulla. A cose fatte, vista la estrema fragilità della presidente della EU che dovrebbe dimettersi dopo la trattativa scozzese con Trump (è la stessa che ha agitato l’Europa usando per prima la parola “riarmo“). Questo dimostra che l’uscita dell’Inghilterra ha indebolito l’Europa di una componente vitale. Di fronte ad un presidente americano che ruggisce, l’Europa indietreggia. Gli statisti europei, si fa per dire, hanno dimostrato di non esistere e hanno sancito, dopo l’accordo scozzese ancora provvisorio, che l’ Europa è tornata un sogno. Peccato non avere più un De Gasperi. Sapere le lingue è importante, ma a volte non basta.
Foto ©EU2024-EP
IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Ricordo che al famoso Collegio “Filippin“ di Paderno del Grappa venivamo svegliati dalla canzone di Gino Paoli “Sapore di mare“. Era un collegio con le stanze singole gestito dai Fratelli delle Scuole Cristiane, dove c’era la piscina olimpionica e la possibilità di fare equitazione. Non so chi avesse scelto quella canzone estiva ascoltata tutte le mattine. Mi è tornato in mente questo episodio leggendo una interessante intervista di Paoli per i suoi prossimi 91 anni portati, sembrerebbe, egregiamente, malgrado la vita dissipat . E ‘ quasi impossibile non apprezzare gran parte delle canzoni di Paoli, mentre detesto De Andre ‘ per una serie di ragioni che ci porterebbe distanti. Paoli fu deputato eletto nel Pci, a onor del vero per una sola legislatura ed è sempre stato uomo di sinistra anche quando ebbe qualche problema con la SIAE di cui fu presidente e venne accusato di aver sottratto al fisco 2 milioni di euro , frutto delle sue esibizioni alle feste dell ‘“Unità”, trasferiti illegalmente in Svizzera. Nell’intervista ha dichiarato, parlando dei repubblichini Tognazzi, Chari e Fo in modo sorprendente: “Il fascismo è stato anche un ideale come lo è stato l’anarchia. Non possiamo accanirci contro vent’anni di storia italiana perché Mussolini è nella storia italiana. Il Duce era capace e furbo (…)”. Ed ancora: ” Sono consapevole delle pagine nere della Resistenza. Quando i partigiani aprirono le carceri, uscirono anche i criminali. Ci furono vendette private e delitti. A Genova la mia maestra fu additata come collaborazionista: le raparono i capelli, la portarono in giro con il cappio al collo, poi le spararono in testa e la gettarono nel laghetto di Villa Doria “. D’ora in poi ascolterò le canzoni di Paoli con più piacere, dimenticando il fastidio giovanile di dovermi svegliare quasi all’alba, ascoltando “ Sapore di sale “ a tutto volume.