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Del Boca, il non accademico che combattè il colonialismo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Ho avuto qualche polemica con Angelo Del Boca in passato, ma non ho mai disconosciuto la sua buonafede. La morte del giornalista e saggista ha portato a riscrivere del   colonialismo fascista di cui  egli è  stato uno dei massimi studiosi, anche se Del Boca non era neppure laureato

Io ho una naturale diffidenza per chi non abbia appreso un metodo storico sicuro con studi regolari, ma è l’abitudine di tanti giornalisti quella di avventurarsi nei cammini impervi  della storia che spesso viene semplificata nel tentativo di divulgarla ai non addetti: un lavoro sicuramente utile ,ma non sempre rigoroso. Per altri versi, gli storici cadono spesso nel difetto di scrivere  per i colleghi ,usando linguaggi da addetti ai lavori. Dalla sua opera noi comprendiamo gli aspetti nefasti del colonialismo italiano che, secondo De Boca, fu pari a quello inglese, portoghese, francese ecc. Egli vede nel colonialismo una sorta di male assoluto, concetto che gli storici non accettano perché tendono sempre a relativizzare gli eventi .Il male assoluto in campo storiografico non esiste. Il colonialismo mastodontico inglese non è neppure confrontabile con quello italiano che arrivò alla fine dell’800,quando le grandi potenze europee si erano impossessate da secoli di intere parti dei diversi continenti mondiali. Montanelli polemizzo’ con lui da giornalista e da reduce dalle campagna d’Etiopia ed ebbe torto, nel negare l’uso dei gas a cui Graziani fece  effettivamente ricorso. Del Boca cavallerescamente difese Montanelli, quando il suo monumento milanese venne imbrattato. Gli studi della storica Federica Saini Fasanotti in “Etiopia :1936-1940. Le operazioni di polizia coloniale nelle fonti dell’ Esercito italiano “ mettono in rilievo aspetti che non vennero abbastanza considerati da Del Boca, innanzi tutto l’opera pacificatrice in Etiopia del Vice Re Amedeo di Savoia – Aosta ,opera interrotta dallo scoppio della guerra. Il Duca d’Aosta non va confuso con altri nella maniera più assoluta. Se ci furono atrocità italiane , ci furono anche atrocità indicibili dei guerriglieri etiopi nei  confronti dei soldati italiani fatti prigionieri  che vennero evirati  . All’epoca della conquista dell’ Impero vigeva in Etiopia un regime schiavista che non può essere ignorato. Può sembrare paradossale che sia stato il regime fascista ad abolire la schiavitù, ,ma la storia è quella, piaccia o non piaccia. La retorica fascista ha nascosto gli aspetti inconfessabili di quella campagna coloniale, ma è indubbio che gli italiani portarono anche nelle colonie scuole, strade, ospedali: un fatto indiscutibile. A Tripoli quel poco di significativo nel campo degli edifici pubblici esistenti  prima della fine  drammatica del regime di Gheddafi ,era stato costruito dagli Italiani, quando Italo Balbo fu Governatore. La figura di Balbo in Libia è molto diversa da quella del Quadrumviro  della Marcia su Roma e del capo dello  squadrismo  di Ferrara. Sia reso onore al giornalista del Boca per la coerenza della sua opera . A volte si e’ permesso persino di polemizzare con uno storico come Renzo De Felice che era oggettivamente a lui molto superiore. Si è accusato De Felice di essersi via via “innamorato” di Mussolini nel corso dei suoi studi trentennali sul duce, sarebbe facile dire che anche Del Boca che dedicò due libri al Negus e a Gheddafi, si fosse “ innamorato“ di un certo mondo africano. Io ho conosciuto ex combattenti delle guerre coloniali e   profughi d’Africa  penso agli Italiani cacciati brutalmente  da Gheddafi dalla Libia) che non stimarono (uso un eufemismo) Del Boca, che non ha considerato l’altera pars ,come dovrebbero fare  sempre gli storici. Ma di fronte alla sua morte provo grande  rispetto perché credo nella buona fede delle sue battaglie, un concetto che  però non coincide con quello degli storici che non debbono intraprendere battaglie, ma limitarsi a raccontare e valutare i fatti con animo sgombro da pregiudizi. Gheddafi, ad esempio, fu un ferocissimo  dittatore,  direi indifendibile, se  non ricorrendo al machiavellismo che vede in lui chi seppe trattenere le tribù sanguinarie che si contesero la Libia dopo la sua morte. Anche il periodo coloniale italiano, che certo non intendo esaltare, ebbe a che fare con tribù libiche ancora più feroci. Il senso della storia ci impone di ricordarlo . Del Boca però ha svelato verità scomode  che gli storici accademici  prima di lui  ci avevano nascosto o avevano omesso di indagare .Appare incredibile che Giorgio Rochat abbia dovuto attendere le ricerche di Del Boca che lascia un vuoto difficilmente colmabile. Non fu certamente  uno storico nel senso della storiografia di Chabod, ma fu  sicuramente un uomo intellettualmente onesto che merita considerazione anche da parte di chi è lontano dalle sue idee.
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Libertà, vaccino e tutela della salute

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Un gruppo di medici che non vogliono vaccinarsi, sta cercando di invocare dei presunti diritti costituzionali di libertà, per non sottoporsi alla vaccinazione. Una vera e propria ribellione, palese e ingiustificabile  provocazione che rivela la irresponsabilità di una minoranza di medici, a fronte dello spirito di sacrificio  e, a volte, anche dell’eroismo del personale medico e paramedico italiano.

In una libera democrazia, di fronte ad una emergenza epocale come una pandemia mondiale , non possono essere accettati  atteggiamenti che ledono la libertà e la salute pubblica  e possono compromettere la stessa  vita di altri cittadini. Lo sforzo ciclopico che lo Stato sta facendo per garantire la vaccinazione a tutti, non può essere compromesso dai pregiudizi antiscientifici di persone che hanno scelto di lavorare in campo medico. Il Governo deve porre l’aut – aut  della immediata sospensione dal servizio e dallo stipendio e in casi estremi del licenziamento. La vaccinazioni obbligatorie hanno fatto la differenza nella qualità della vita in passato e chi ha scoperto i vaccini viene considerato tra i benefattori dell’Umanità come Jenner, Pasteur, Sabin. Ma il cattivo esempio di medici che rifiutano il vaccino rappresenta anche un pessimo esempio che andrebbe sanzionato socialmente e penalmente perché causa diretta di nuove infezioni. Ci sono anche semplici cittadini che stanno evitando di sottoporsi alla vaccinazione in base a pregiudizi che non hanno valide giustificazioni. In uno Stato democratico il cittadino non può rivendicare una libertà che in effetti è licenza e che costituisce un’aggressione agli altri cittadini. Non confondiamo la libertà che deve sempre essere responsabile, con il libertinaggio anarcoide. Il liberalismo si fonda sui valori dello Stato che esso stesso ha contribuito a creare nel corso dei secoli, ponendo dei limiti ai suoi poteri. Porre dei limiti ai poteri dello Stato è da liberali, negare lo Stato è proprio dell’anarchia, idea tra utopia e violenza, che ha nulla di liberale. Chi ritiene che ciascuno possa comportarsi come meglio ritiene di fronte ad una pandemia , non può essere tollerato perché attenta alla vita degli altri e alla sua stessa esistenza. In una società nichilista che ha fatto tabula rasa anche dei valori solidali, va riaffermato con forza il dovere morale e civile di vaccinarsi. Ma di fronte alle nuove difficoltà  e ai nuovi pericoli che si stanno profilando all’orizzonte, i cittadini che non adempiono  a questo dovere, vanno almeno sanzionati con forti multe, se non con provvedimenti più gravi. Occorre un deterrente per chi ha smarrito la ragione e si comporta in modo incivile come vivesse in una foresta di barbari. Su questi punti occorrono chiarezza e fermezza assoluta da parte di  chi ci governa. I Decreti del Presidente del Consiglio Conte che marginalizzavano il Parlamento , potevano sollevare dei dubbi di legittimità costituzionale ,ma di fronte alle vaccinazioni che non violano nessuna libertà e salvano vite umane, non ci possono essere debolezze di sorta .I miopi egoismi individuali non sono segni di libertà, sono l’esatto contrario anche solo del semplice, comune  buonsenso. Direi che in primis è dovere di noi cittadini far opera di convinzione con chi si sta sottraendo più o meno inconsapevolmente a un dovere che è anche un diritto. Chi spera nell’immunità di gregge ,più che pecora, si sta rivelando un lupo pericoloso da cui difenderci. Anche se negli Usa – è notizia recente – stanno morendo proprio i non vaccinati.

I fatti di Genova venti anni dopo

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni  Concita De Gregorio, già direttore de l’”Unità“, ha scritto un pezzo su “La Stampa“- in cui rivela una indiscussa bravura nello scrivere, pari solo alla sua  innata faziosità – dedicato ai fatti di Genova del luglio 2001 in occasione del G8.

Sono passati vent’anni, c’è’ stato un processo in cui sono stati condannati i responsabili delle violenze che  subirono i manifestanti alla Caserma “Diaz”, violenze ingiustificabili che fanno orrore. Limitarsi di fatto a parlare di  quelle violenze , dimenticando che Genova venne messa a ferro e  fuoco dai black- blok e dai centri sociali arrivati da tutta Italia, appare però vistosamente come una mistificazione della realtà. Addossare al governo Berlusconi delle colpe è un altro segno non di buona fede anche  se il ministro degli interni Scajola non si rivelò una cima. Sostenere che sia stata la polizia  la regista occulta di una vera e propria insurrezione, è un falso storico fondato su una frase di Giorgio Bocca. La violenza eversiva e distruttiva  dell’estremismo di sinistra solo i ciechi non riuscirono e non riescono  a vederla. Mettere come icona di quel luglio genovese la foto di Carlo Giuliani che tentò di ammazzare  un carabiniere, lanciandogli addosso un estintore, è un’altra scelta scellerata perché in Giuliani si vuole vedere solo la vittima e non l’eversore violento. A Genova ci fu chi tentò di celebrarlo, sua madre venne eletta senatrice  di Rifondazione comunista che dedicò al figlio la sede del  suo gruppo parlamentare al Senato della Repubblica. Il carabiniere ventenne  Mario Placanica che sparò per legittima difesa – come venne riconosciuto in tutte le sedi giudiziarie anche internazionali – fu oggetto di un linciaggio intollerabile anche a livello mediatico  ed ancora oggi la De Gregorio lo cita in modo  non veritiero come fosse stato un pistolero assassino. Io sono anche disposto ad aver pietà per il giovane Giuliani che aveva alle spalle una vita travagliata, ma esigerei una ricostruzione storica non emotiva e unilaterale  che racconti la verità complessiva dei fatti. Le vulgate di allora  di don  Gallo e di Franca Rame oggi non possono reggere. Don   Andrea Gallo lo conobbi qualche anno dopo in treno da Genova a Roma. Dopo poco ci mettemmo a parlare e devo riconoscere che, al di là delle sue idee, era una persona  molto simpatica. Parlammo anche di Don Bosco perché originariamente era stato salesiano. Provai ad avviare  inopportunamente un discorso sul giovane Giuliani così tenacemente difeso dal “prete degli ultimi“, così caro a De Andre’.  Ma subito si irrigidì  all’improvviso come lo avessi colpito in modo proditorio e il nostro dialogo si interruppe . Mi ero permesso di dirgli che io stavo dalla parte del carabiniere. Anche oggi stare da quella parte sembra ancora  difficile. E sono trascorsi vent’anni. Vedremo cosa scriveranno  e diranno attorno al 18 /20 luglio, quando ci sarà l’anniversario di quei fatti che portarono alla ribalta personaggi come tal Vittorio Agnoletto che sicuramente verrà intervistato come un reduce di quelle epiche e dannate  giornate genovesi.

Autostrada da incubo tra Torino e il Ponente Ligure

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Andare da Torino verso il Ponente ligure e viceversa sta diventando un’impresa mai vista. Anche nei giorni feriali. C’è da immaginare cosa succede nei fine settimana.

La percorrenza in autostrada tra Albenga e Finale Ligure ha richiesto ieri 30 giugno, nel tardo pomeriggio, due ore  con una coda interminabile  in molti tratti un galleria. Non è la prima volta perché ormai i tempi sono imprevedibili  con ricadute di intasamenti anche sull’Aurelia. Una situazione da terzo mondo in via di sottosviluppo che colpisce residenti, operatori dei trasporti, turisti. La Società autostrade ha delle responsabilità  gravi in presenza di tariffe molto alte. La situazione di ieri  – 30 giugno – non avrebbe consentito il passaggio di un mezzo di soccorso o di un’autombulanza per Pietra ligure. Sindaci e presidenti della Regione e della Provincia  debbono intervenire per porre un qualche rimedio ad una programmazione di lavori quanto meno intempestiva. Anche i rapporti con il Piemonte sono compromessi  perché i lavori per la strada del San Bernardino ostacolano la viabilità. E quella sarebbe l’unica alternativa all’autostrada. In ogni caso due ore per pochi chilometri sono davvero troppe. Significa di fatto spezzare in due la Liguria e scollegarla dal Piemonte . La situazione è aggravata dal fatto che in altre parti dell’autostrada la si registrano altri intoppi. Pensare di affrontare luglio e agosto in queste condizioni risulta  non accettabile.

Addio a Lelia Cracco Ruggini, grande donna e grande studiosa

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

La morte della professoressa Lelia Cracco Ruggini, professore emerito dell’Ateneo torinese, dove ha insegnato storia romana e storia greca, è passata nell’indifferenza.

La famiglia stessa ha scelto un necrologio austero privo di titoli che ha impedito, se non a pochi, di collegare quel nome a quello di una grande donna di scienza meritevole di un adeguato ricordo. Per chi ha frequentato la Facoltà di Lettere e Filosofia tra il 1968 al 1975, la Cracco Ruggini è stata un mito.  Io la ricordo negli ultimi anni Sessanta tenere delle splendide lezioni di storia romana in una università devastata dalla contestazione. Con lei scompare l’ ultima esponente di spicco di un periodo storico della nostra Università e della Facoltà di Lettere in particolare che ebbe tra i suoi docenti Franco Venturi, Giovanni Tabacco, Giorgio Gullini, Giovanni Getto, Antonio Maddalena,  Aldo Garosci, Aldo Bertini, Oscar Botto tanto per citare qualche nome. Una Facoltà che dopo di loro non ebbe più maestri, ma solo professori. I suoi trecento lavori parlano per lei. Era accademica dei Lincei e delle Scienze, una studiosa di livello internazionale che aveva mosso i primi passi all’Istituto italiano di Studi storici di Napoli fondato da Benedetto Croce e diretto da Federico Chabod .Dalle aule di Palazzo Filomarino passo’ il meglio della storiografia italiana, da Romeo a De Felice. Io avevo scelto la Storia del Risorgimento e successivamente la Storia contemporanea a cui mi sono dedicato e continuo ad occuparmi. Gli studi di storia antica mi interessavano poco. Ma ricordo ancora il valore scientifico e la passione che si potevano cogliere nelle lezioni della Cracco Ruggini.
Vorrei scrivere di più su di Lei, ma non ho la competenza per farlo. Mi auguro che ci sia chi voglia ricordare una grande donna e una grande studiosa, forse l’unica donna di quella gloriosa Facoltà di Lettere del 1968 con preside il grande archeologo Gullini, che ha lasciato un segno indelebile, mai più raggiunto.

La sinistra salottiera torinese e lo storico Barbero

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

In un’ampia intervista Alessandro Barbero parla a ruota libera di politica, abbandonando le vesti del divulgatore storico di successo, Così apprendiamo che era un militante del Pci  e che conserva ancora oggi con una certa venerazione la tessera del partito firmata da Berlinguer.

Ma soprattutto apprendiamo che è stanco della “sinistra salottiera“, quella che lo idolatra e lo invita spessissimo a concionare e che voterà come sindaco il collega pensionato Prof . Angelo d’Orsi, il gramsciano per antonomasia , espressione della sinistra più radicale. Quando il giornalista gli chiede quali siano i suoi sogni politici propone cose un po’ ingenue ed improbabili come la  miracolosa realizzazione immediata di tutti i lavori in corso , un’idea così semplicistica e banale  che neppure un lettore di “Specchio dei tempi “oserebbe scrivere. Dall’intervista balza fuori un Barbero che ama i dehors di cui oggi è invasa la città  e che gli ricordano tanto Parigi … Non mi aspettavo idee amministrative propositive da Barbero, noto  invece per far pesantemente politica attraverso i suoi  articoli e i suoi discorsi storici  in cui da ‘ spazio alle vulgate più demagogiche che piacciono tanto ai suoi fans che non sono in grado di seguire discorsi storici più articolati e complessi. La sinistra del Pd sarà anche salottiera, come dice lo storico di Vercelli, ma certo ha idee e progetti che lui neppure si sogna. Pensare a D’Orsi sindaco , un’ipotesi da incubo  politico notturno , rivela un’ingenuità disarmante ma anche un grado di faziosità politica che  forse vorrebbe riportare alla Torino di cent’anni fa con la Fiat occupata . Oggi a Torino la Fiat non di fatto non c’è più e quindi semmai bisogna pensare a regolamentare le biciclette e i monopattini che Appendino ha visto come il futuro della città.

Boniperti, gentiluomo e sportivo

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Ho conosciuto Giampiero Boniperti, scomparso ieri, malgrado non mi interessi di calcio e non sia tifoso di nessuna squadra.

Sono stato però amico di due juventini sfegatati : Mario Soldati e Vittorio Chiusano che fu anche presidente della squadra bianconera. Al contrario molte persone che mi stanno cordialmente antipatiche tifano per il Toro. Sarà sicuramente casuale e non come diceva Soldati un qualcosa che spiega tanti aspetti di una persona. Detto questo, ho sempre avuto simpatia per questo calciatore fuoriclasse che non soffriva del divismo intollerabile e dell’avidità spasmodica di denaro di molti calciatori. Boniperti rappresenta un’epoca in cui le squadre italiane avevano fuoriclasse italiani. Ed avevano anche presidenti adeguati a partire dall’avvocato Agnelli. Se guardo all’oggi, vedo molto cinismo e protagonismo arrogante. La famiglia Agnelli putroppo e’ finita non solo per l’auto, ma anche per il calcio. Resiste donna Allegra nel grande progetto umanitario di Candiolo, esempio eccezionale di efficienza e di scientificità e di filantropia vera. Boniperti lo vedevo spesso con Soldati che stravedeva per lui, ma lo incontravo anche dal mitico “Da Mauro “ in via Maria Vittoria dove io andavo a cena spesso con Aldo Viglione. Aveva un tavolo riservato quasi intoccabile. Un tempietto gastronomico bianconero. Una volta che andai con la senatrice Francesca Scopelliti, compagna di Tortora, Mauro mi concesse di cenare in quel tavolo bonipertiano perché amava la nobile figura di Enzo,  vittima della malagiustizia. Mario Soldati lo volle socio vitalizio del Centro Pannunzio ed in effetti anche quando fu per cinque anni deputato europeo, dimostro’ di essere un vero liberale. A Bruxelles si trovò subito a suo agio. Era un vero signore che mantenne una sobrietà elegante tutta piemontese, anche quando fu al vertice del
successo sportivo e veniva universalmente osannato. E’ stato l’immagine alta di uno sport che non c’è più, dominato oggi dalla brutale logica dei soldi e degli ultrà prezzolati e spesso violenti. E’ una gloria italiana, torinese e piemontese che va ricordata come un monito severo ad un presente calcistico che, per quanto mi dicono i miei amici esperti di calcio, e’ molto squallido.Vi cito un esempio che mi colpì e mi offese molto:  il presidente Andrea Agnelli non volle ricordare Soldati nel ventennale della sua morte.  Feci male a non rivolgermi a Boniperti che sicuramente sapeva molto bene cosa rappresentasse per la squadra la figura di Soldati.

La targa sulla casa natale di Faletti ad Asti

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Giorgio Faletti è stato un personaggio poliedrico che mi è sempre piaciuto.

In televisione mi ha costantemente divertito ed io sono di gusti molto difficili: farmi ridere è impresa ardua, a meno dell’ilarità involontaria che suscitano certe persone che non intendono affatto provocare il riso ed invece ci riescono come se fossero dei collaudati comici professionisti. Faletti mi piaceva da morire e non perdevo una puntata. Faletti con i suoi personaggi mi è rimasto nel cuore, ben oltre il divertimento che mi ha regalato. Sullo scrittore Faletti non sono così convinto, anche se nel 2013 come presidente del premio letterario “Albingaunum“ gli conferii quell’ambito riconoscimento che tocco’ anche a Gramellini. In quell’occasione nacque un rapporto molto cordiale e nel suo intervento fu molto gentile con me, con una definizione affettuosa ed ironica che mi lusingo’  molto e che non oso ripetere perché troppo generosa.  E’ immaginabile il forte dolore e l’impressione emotiva che suscitò in me la notizia della sua morte neppure un anno dopo. Promossi già nel luglio 2014 un ricordo nella piazza San Michele, la più importante di Albenga, che si riempì di gente partecipe e commossa. Io stesso ero così toccato  dalla sua morte immatura e crudele che non riuscii a pronunciare il discorso che avrei voluto dedicargli. Mi limitai a poche parole del tutto inadeguate. Asti ,la sua città, per cui Faletti ha fatto molto, gli ha dedicato la Biblioteca diretta allora da sua moglie. Ma fuori Asti si è fatto poco per ricordarlo. Il Lions di un paese astigiano gli ha dedicato un ricordo legato alla canzone “Minchia, signor tenente”, come si può leggere su internet, ma si trattò di un’iniziativa locale.
Il 28 giugno verrà inaugurata una targa sulla casa natale di Faletti, definito “artista eclettico“, omettendo la data di nascita e di morte che in una lapide di quel genere non e’ cosa opzionale, ma obbligatoria perché destinata ai posteri. Anche la definizione di “eclettico” lascia perplessi perché riduce la portata di Faletti che si sarebbe limitato a miscelare elementi diversi, senza avere un suo stile. Forse volevano scrivere poliedrico, ma sono inciampati nella scelta dell’aggettivo.  La lapide dedicata da Raggi a Ciampi sembra far scuola,  anche se qui non si capisce chi sia il promotore della targa in cui manca il tradizionale “pose“: come abitualmente si legge in lapidi analoghe. Ma credo che un uomo ironico come Faletti non gradirebbe assolutamente un riconoscimento così pomposo. Sarebbe il primo a sorridere di un’idea un po’ bizzarra, come se ad Asti non bastasse il grande Vittorio Alfieri. Infatti ad Asti c’è un ricordo che cancella ogni altro:  quell’Alfieri poeta italiano e cosmopolita che ha onorato la sua città natale come nessun altro: non a caso “abita eterno”, come scrisse il Foscolo nei “Sepolcri”, riferendosi al tempio di “Santa Croce”.

Livio Caputo liberale

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Fu la comune amica Paola Liffredo a farmi conoscere Livio Caputo che torno’ molto, volentieri a tenere una conferenza a Torino. Livio Caputo, nato a Vienna nel 1933 e mancato ieri, era molto legato a Torino.

Massimo Caputo, suo padre, fu il mitico direttore liberale della “Gazzetta del popolo”, quando il giornale, nato nel Risorgimento, prima di cadere in mano democristiana, era il primo quotidiano di Torino e del Piemonte, impedendo l’ascesa del giornale della Fiat. E studio’ Giurisprudenza a Torino dove si laureò’, mentre già faceva il giornalista. Mi parlò con affetto del mitico Rettore Allara, severissimo, ma uomo di grande sapienza giuridica con cui ebbi rapporti d’amicizia tanti anni dopo. “Repubblica“ commette oggi un errore definendolo liberal perché sia suo padre sia lui furono coerentemente e appassionatamente liberali. Liberali e non liberal alla maniera di Scalfari. Livio aveva anche militato nel PLI, poi nel 1994 venne eletto senatore in FI, una parentesi di due anni perché nel 1986 non venne confermato, come sempre è accaduto ai liberali in quel partito, liberale solo a parole. Fu anche per breve periodo sottosegretario agli Esteri, lui che aveva un’esperienza internazionale di prim’ordine. Ma invece di ritirarsi, rimase al “Giornale” di cui, con scelta patetica e stolta, è stato nominato direttore ad interim nell’ultimo suo mese di vita. Uno sfregio ad una carriera giornalistica straordinaria. Avrebbe meritato di esserne direttore effettivo in anni lontani molto più di Feltri, Sallusti, Giordano o dello stesso Cervi. Era stato tra i fondatori del quotidiano con Montanelli di cui era molto amico, ma che non segui’nell’avventura della “ Voce “ insieme ai futuri diffamatori seriali che Montanelli si covo’ in seno. Era un gran signore, colto , equilibrato, brillante, tollerante, ma anche fermo nelle sue idee, con cui era bello parlare. Simile a lui ricordo l’amico Egidio Sterpa. Collaborai ad un giornale che diresse nei primi anni duemila, organo dei Comitati della libertà, associazione liberale non sostenuta da nessuno e quindi destinata al fallimento. Solo le iniziative “culturali” di Dell’Utri o della Brambilla erano degne di interesse e sappiamo come andò a finire. Quel giornale duro’ al massimo un anno e, se non ricordo male,  si chiamava “Libertates”, un titolo troppo difficile per chi aveva studiato liberalismo al Cepu e ovviamente ignorava il latino.  Malgrado fosse stato bistrattato, Livio seppe essere superiore a tutto e a tutti. Con lui è morto un uomo e un giornalista di rara qualità di cui si è perso lo stampo. Se pensate al nuovo direttore Minzolini che gli succede, potete capire la differenza tra i due, se pensate al suo esatto opposto.

Primarie, democrazia, crisi del Pd

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni

Qualche mese fa c’è stato chi all’interno del Pd ha evocato “il modello Moncalieri” a cui guardare. In quella città i democratici hanno stravinto nel settembre scorso con oltre il 40 per cento, senza neanche l’aiutino dei moderati

I risultati delle primarie torinesi di ieri sono deludenti con una partecipazione di presenza e on line di poco più di 11 mila persone, sedicenni compresi, che da’ il senso della crisi profonda di quel partito, dei suoi leader locali, delle loro clientele. E’ evidente una disaffezione profonda degli elettori e lo stesso sistema delle primarie si è rivelato logorato. Occorrerà’ il risultato elettorale della elezione del Sindaco per capire quali ripercussioni avrà il flop di domenica dove il candidato più qualificato Lo Russo
raggiunge il 37 per cento , il finto civico Tresso sostenuto dalle sardine e dalla sinistra il 35 , mentre Lavolta  anche lui della sinistra si ferma al 25 e il radicale Boni raggiunge un ridicolo 2 per cento che dovrebbe consigliarlo di ritirarsi a vita privata. Non entro nelle beghe evidenti di un Pd torinese molto malconcio,  cito l’esempio di Boni come emblematico di una supponenza senza pari : anche solo pensare di candidarsi a sindaco di Torino rivela in questo signore una presunzione incredibile. Il gioco riuscì ad una sconosciuta come Appendino , ma solo perché al ballottaggio l’elettorato moderato, con un gesto scellerato, la preferì a Fassino , non rendendosi conto che stava affidando la Città alla peggiore candidata possibile. Per candidarsi a sindaco di una grande città dopo la sciagura del quinquennio grillino ci vorrebbe un minimo di storia personale che in verità nessuno dei quattro contendenti possiede in modo adeguato. E i parlamentari del PD non hanno certo rinunciato al seggio sicuro per scendere in campo. Sono rimasti a guardare e a dare il loro consenso all’uno o all’altro, rivelando una scarsa capacità di mobilitazione. Dopo Fassino il Pd torinese ha perso l’unico leader di livello. Forse solo il serio ma poco noto Giorgis poteva scendere in campo con i titoli sufficienti. Fassino , pensando di essere rieletto, non scelse un vice adeguato da formare come possibile successore. L ’opposizione alla giunta Appendino è stata flebile e inconsistente al di là di Lo Russo perché l’intero gruppo consiliare e’ apparso politicamente assente. Io ricordo Carpanini oppositore che faceva vedere i sorci verdi al Pentapartito.  Poi il governo giallo – rosso ha generato l’idea scellerata di fare anche a Torino l’innaturale ammucchiata romana. L’alleanza con i grillini e’ sembrata la cosa più ovvia a tanti,  se si esclude Lo Russo che per coerenza non poteva certo smentire il suo ruolo di capo dell’opposizione. In ogni caso da storico e da persona di cultura liberal – democratica mi sento spaesato . Torino ha avuto grandi sindaci democristiani e comunisti, i sindaci socialisti e laici sono stati meteore difficili da giudicare.  In ogni caso una Magnani Noya o uno Zanone erano persone di rango. Uno dei più grandi sindaci di Torino Valentino Castellani aveva cercato di dare utili e saggi consigli da uomo di grande esperienza. Non è stato ascoltato.
Oggi purtroppo quel tipo di persone simili a Castellani sembra essersi esaurito. Se penso che i radicali veri ebbero l’ex ministro Villabruna in consiglio comunale e penso al candidato del 2 per cento, provo rammarico. Non parlo da elettore , ma da commentatore:  qui rischiamo davvero di diventare una seconda Cuneo . Una città marginalizzata, senza prospettive.
Si era partiti malissimo con un rettore che si ritirò subito appena aver fiutato l’ambiente e un mago della chirurgia del tutto digiugno di amministrazione,  ma carico di ideologismo un po’ vecchiotto e si è giunti ad un appuntamento che vede un Pd dilaniato in tre pezzi senza nessuna strategia politico – amministrativa credibile . Il Pd e’ un interlocutore importante della vita democratica e chiunque – al di là delle sue simpatie politiche – deve augurarsi che quel partito si riprenda. Forse le primarie, purtroppo con pochi voti di scarto,  hanno almeno chiarito che il matrimonio con a
i grillini sarebbe un suicidio
per ambedue i contraenti. E hanno anche tolto di mezzo di stretta misura questo Carneade Tresso che sarebbe stato un altro suicidio sicuro, essendo punto di incontro dei peggiori politicamente e incapace di andare oltre le sardine.