IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
In momenti come quello che viviamo, i commentatori devono essere responsabili e avari di giudizi personali. La tendenza predominante è invece oggi quella di commentatori più o meno esperti che generano ansia e non aiutano a capire una situazione cruciale. Quasi una ripetizione di quello che accadde all’epoca del Covid: ai medici virologi si sono sostituiti politici e generali in pensione.








Toccherà a me dare l’estremo saluto in chiesa a Edoardo nella sua Pinerolo dove fu consigliere, assessore, direttore del quotidiano “Il Corriere Alpino”, dirigente del PLI con incarichi nazionali, l’unico Pinerolese che si trasferì a Roma a collaborare con il ministro Altissimo, suo grande amico che gli impedirono di ricordare come lui avrebbe voluto a dieci anni della sua morte. Meschinità di uomini non gli permisero di fare un atto di omaggio tanto desiderato. Fiammotto era un generoso, un passionale che non si risparmiava. Era un liberale che amava il Pinerolese Facta, Giolitti e soprattutto Einaudi. Io lo avviai allo studio di Soleri. Da Pinerolese non disdegnava neanche Parri di cui ricordava l’eroismo nella prima guerra mondiale e anche nella Resistenza. Amava Marco Pannella liberale prima ancora che radicale. Tra noi ci fu un grande rapporto. Fui io a proporlo alla scuola di liberalismo a Enrico Morbelli come coordinatore regionale. Ma Edo fu un pannunziano a tutto tondo sempre presente. In Pannunzio liberale aveva trovato il suo più vero ideale politico. Chiuse la sua carriera politica con un magistrale discorso fatto di cultura vera ad Ivrea. Ne ebbe un premio di cui andava orgoglioso. A settembre verrà onorato al Centro Pannunzio come meritava, la chat del Centro è stata Invasa per giorni dal cordoglio dei soci. In gennaio avrebbe voluto candidarsi ad una più alta responsabilità nel Centro, ma lo dissuasi perché lui era utile nel ruolo ricoperto. Tra due anni sarebbe stato prezioso in altra funzione, liberato dagli




Giancarlo, detto anche Zorro e la sorella Marisa sono in sala, un altro sta ai fornelli.



L’avventura triestina di Borio doveva finire molto presto perché venne nominato direttore del “Lavoro” di Genova. Di cosa fu per davvero, cioè un cedimento vergognoso verso la Jugoslavia mi parlarono la poetessa esule da Zara Liana De Luca e lo storico antifascista Leo Valiani, nato a Fiume, che mi esortò ad agitare il problema delle foibe e dell’esodo, temi allora totalmente occultati dal conformismo degli storici comunisti e anche democristiani. Moro, con il suo contorsionismo verbale con cui tento ‘ di portare i comunisti al governo, arrivò a definire con ipocrisia pretesca Osimo “una dolorosa rinuncia”. Certamente Spadolini per la prima volta ministro non aprì bocca e una volta quando cercai di chiedergli cosa pensasse di Osimo, durante una cena a due al ristorante Tiffany, cambiò subito discorso per ringraziare Giulio Einaudi che gli aveva mandato una bottiglia di dolcetto dei suoi poderi al tavolo. Continuò invece il discorso con me, dicendomi che lui di solito non beveva, ma in questo caso non poteva non onorare il vino del presidente Einaudi; aggiunse che il dolcetto l’avrebbe fatto “dormire come un ghiro” nel vagone letto che lo avrebbe riportato a Roma. Ma su Osimo non pronunciò neppure una parola. Sarebbe diventato dopo poco tempo presidente del Consiglio, nominato da Pertini, notoriamente molto amico di Tito. Cosa mi disse Valiani, a sua volta diventato senatore a vita, del silenzio di Spadolini non lo rivelo anche se c’è memoria nei miei diari. Furono parole comunque molto aspre che non mi sarei mai aspettato. Fu un momento di ira, anche questa volta a cena all’allora notissimo ed apprezzatissimo da Leo, ristorante “Ferrero” tristemente chiuso da molti anni.
Così fecero i primi presidenti De Nicola ed Einaudi, ambedue monarchici come Croce. Il Re Umberto II partì per l’esilio per evitare una guerra civile. Un atto che va ricordato come una gloria del suo breve Regno. Poi con la fine del partito monarchico, la morte inevitabile degli elettori monarchici del ‘46 e la inadeguatezza rispetto ad Umberto II dei suoi eredi hanno fatto sì che la data divisiva sia diventata data unificante tra gli Italiani. A raggiungere questo obiettivo è stato decisivo Il presidente Ciampi, anticipato da Cossiga. Il 25 aprile una parte di Italiani, soprattutto del Sud ,dove non ci fu la guerra civile, lo sente estraneo. Molti giovani non sentono affatto nessuna delle due date.
