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13 luglio 1970 – 13 luglio 2020

Nel tardo pomeriggio di lunedì 13 luglio 1970, alle ore 17, iniziò nell’aula ottocentesca del Palazzo delle Segreterie di piazza Castello a Torino (sede gentilmente offerta dalla Provincia), la seduta inaugurale della I Legislatura del primo Consiglio regionale della storia del Piemonte.

Alla presenza dei 50 consiglieri eletti il 7 giugno 1970, di numerose Autorità e con l’esposizione dei gonfaloni dei Comuni insigniti dalla medaglia d’oro, il Consigliere anziano Gianni Oberto Tarena, interpretando appieno la solennità e l’emozione del momento storico che tutti avvertivano, aprì la seduta con queste parole: “Da questo momento la Regione Piemonte, costituita in Ente autonomo, esercita propri poteri e funzioni secondo i principi fissati nella Costituzione”. 

“Il mio discorso deve avere anche un contenuto politico – proseguì Oberto – che riaffermi la fede e i propositi che l’accompagnano in questo nuovo ente che trova la sua collocazione nella volontà politica e per noi adesso nell’adempimento di quel documento fondamentale che è al Costituzione nata dal travaglio ella riscossa e del riscatto che ha avuto e d ha nella lotta di liberazione il suo fermento, il suo lievito, il suo fondamento, il suo insegnamento”.
Proseguendo Oberto fece riferimento alle deleghe di compiti e funzioni alle Province e agli altri Enti territoriali, ai 1209 Comuni prima di tutto. Sottolineando le funzioni della Regione come “essenzialmente normative in senso legislativo e programmatorio prima che esecutivo”. Un cenno nel suo discorso andò anche al tasso di immigrazione che “che per il Piemonte è altissimo: il saldo migratorio nel decennio 1958-1968 si chiude con la impressionante cifra di 521.567 unità e siamo oggi a 4.400.000 abitanti”. Oberto parlò anche dell’imminente stesura dello Statuto della Regione: “i 120 giorni fissati per tale adempimento non sono molti ma la Regione Piemonte, nel solco della sua tradizione di laboriosità, penso vorrà rispettare i termini”.

All’intervento di apertura del presidente provvisorio fecero seguito quelli dei rappresentanti degli schieramenti politici presenti in Consiglio, partendo dai minori per arrivare a quelli più numerosi.
Il primo consigliere a cui il presidente diede la parola fu Mario Giovana (PSIUP-PCI) il quale, dopo aver sottolineato duramente che erano passati ben 22 anni prima di giungere della costituzione delle Regioni, disse: “Riteniamo spetti a questa assemblea farsi momento promotore e collettore delle spinte nuove che emergono dal travaglio di crescita della nostra società, stabilendo rapporti diretti e sostanziosi con quante istanze di democrazia e di autogoverno delle masse vengono maturando in seno al corpo sociale”.
Seguì l’intervento di Domenico Curci, consigliere del MSI, che subito precisò la sua posizione: “Quali rappresentanti dell’unico partito politico che nel parlamento nazionale ha portato coerentemente, sino alle estreme conseguenze, la sua opposizione all’istituzione delle Regioni, ma che come è nella sua morale e nelle sue tradizioni, rispetta istituti, metodi e principi che pur avversa quando essi sono parte integrante della legislazione e degli ordinamenti dello Stato, ci accingiamo a compiere, nella Regione che vede oggi la luce il nostro dovere al servizio della Nazione”.
La parola passò poi ad Aldo Gandolfi, consigliere del PRI, che iniziò il suo intervento dicendo: “…rappresento una corrente, un partito politico che da quasi un secolo conduce una battaglia regionalista. Attraverso una corretta realizzazione delle Regioni passa in concreto la possibilità di realizzare anche nel nostro Paese una moderna democrazia industriale”.
Terenzio Magliano, consigliere del PSU, disse: “… ci accomuna e rende possibile il discorso la convinzione di dover passare, sia pure nel confronto critico continuo, attraverso la sola e unica strada possibile, quella democratica nella quale tutte le riforme sono possibili e tutti gli apporti costruttivi hanno incidenza e lasciano traccia duratura”.
Il consigliere del PLI Cesare Rotta, esordì citando Einaudi: “Come liberali noi siamo assertori del decentramento delle istituzioni e della devoluzione del potere in modo da rendere possibile, al maggior numero di cittadini di conoscere e controllare l’operato della pubblica amministrazione e di occuparsi della cosa pubblica. L’ordinamento regionale non può essere una federazione di sovranità frazionate e divise, deve essere un sistema di autonomie decentrate. Luigi Einaudi ci ammoniva che l’unità del Paese non è data dalle circolari, dalle istruzioni, e dalle autorizzazioni romane; l’unità del Paese deve essere fatta dagli italiani i quali imparino a proprie spese, commettendo spropositi, a governarsi da sé”.
Nerio Nesi, consigliere regionale per il PSI – dopo aver sottolineato con forza la necessità di procedere speditamente alla stesura dello Statuto regionale – così analizzò la situazione del Piemonte di quegli anni: “Qui risiedono alcuni tra i più grandi, gruppi industriali e finanziari europei, ma qui è quasi completamente assente l’impresa pubblica, qui si è riscontrato il più grande fenomeno immigratorio che ricordi la storia del nostro paese, ma qui vi è stata la maggiore diminuzione di occupazione che si sia verificata in questi anni in Italia. Ciò è dovuto soprattutto alla disoccupazione giovanile, fenomeno che diventa sempre più preoccupante ed al massiccio abbandono delle campagne. In questa Regione si costruiscono manufatti perfetti, ma qui si assiste a forme, fra le più odiose, di speculazione e di sfruttamento”.
Conclusero il primo gruppo di interventi i consiglieri dei due partiti politici principali, il Partito Comunista e la Democrazia Cristiana.
Dino Sanlorenzo, consigliere del PCI, dedicò buona parte del suo discorso alla questione meridionale: “… proprio nel giorno in cui si insediano, insieme al nostro, altri Consigli regionali di alcune Regioni meridionali che hanno tanti loro figli nel Piemonte di oggi, noi, comunisti, vogliamo ricordare a noi stessi e alle forze politiche piemontesi la lezione di Gramsci, la necessità di unire i lavoratori venuti da tutte le Regioni, realizzare intanto qui la saldatura fra nord e sud e al tempo stesso operare perché siano affrontati e risolti con metodi e contenuti nuovi i problemi di uno sviluppo distorto, caotico non programmato secondo gli interessi della collettività, diretto sinora dai gruppi privilegiati che questi problemi hanno mantenuto e aggravato in tutti questi anni”.
L’ultimo intervento fu quello di Adriano Bianchi, rappresentante della forza politica più numerosa in Consiglio regionale, che espresse gli obiettivi della Democrazia Cristiana in Piemonte: “L’azione della Regione – disse Bianchi – non può realizzarsi ed esaurirsi nel rapporto e nel confronto fra gli schieramenti politici, o nella loro iniziativa, ma comporta un collegamento con ogni sede in cui si riveli o possa essere suscitata una esigenza di autogoverno. … La risposta che si coglie nella visione di un’unica polis, di un’unica città-regione, senza periferie e senza mura esterne, nella quale le autonomie locali, anche le più esigue, trovino un quadro di riferimento, un modello, una funzione valida”.

Venne poi eletto l’Ufficio di Presidenza, che risulterà così composto: Paolo Vittorelli (PSI) presidente (eletto con 46 voti favorevoli e 4 schede bianche su 50), Gianni Oberto Tarena (DC) e Dino Sanlorenzo (PCI) vicepresidenti, Stanislao Menozzi (DC) e Cesare Rotta (PLI) Consiglieri Segretari.

Il neo presidente del primo Consiglio regionale del Piemonte, il senatore Paolo Vittorelli, tenne quindi il suo discorso di insediamento sottolineando i caratteri peculiari del nuovo ente.
“Noi non siamo un ente autonomo come gli altri. Non pretendiamo di essere un Parlamento. Ma, nello stesso tempo, noi dobbiamo essere consapevoli che il Consiglio regionale è qualcosa di diverso dal Consiglio delle altre Amministrazioni autonome – disse Vittorelli -. Non foss’altro che per la struttura della quale noi siamo dotati; struttura che presenta alcune analogie con quella degli organi di carattere nazionale. Non è per puro caso che il Consiglio regionale, diversamente dai Consigli provinciali e dai Consigli comunali, è dotato di organi assembleari e di organi di governo; e la distinzione delle loro funzioni è diretta conseguenza delle caratteristiche che la Regione assume nella Costituzione della Repubblica, caratteristiche secondo le quali la Regione è il primo ente autarchico al quale sia stata conferita potestà legislativa e al quale, nello stesso tempo, siano state attribuite funzioni di controllo sugli altri enti locali”.
“Nello stesso tempo – proseguì Vittorelli – come ente autonomo, siamo anche un ente dotato di una propria sfera, sia pur limitata, di sovranità, fissata negli articoli 117 e 121 della Costituzione della Repubblica. Sfera di sovranità che consente alla Regione, su materie esplicitamente enunciate, di emanare norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti nelle leggi dello Stato….. Si tratta di una innovazione importante nel nostro ordinamento amministrativo, in quanto la Regione assume, in questo modo, una responsabilità che, fino ad oggi, in tutta la storia delle nostre autonomie locali, nessun ente locale era riuscito a conseguire”. ” Vorrei, per concludere, Signori Consiglieri, ricordare che la nostra non è una Regione come le altre. Questo non soltanto perché è una Regione industrialmente sviluppata, ma anche perché ha avuto una funzione importante nella storia del nostro Paese. Non voglio ricordare per esteso la funzione che essa ebbe cent’anni fa: desidero soltanto ricordare a questo riguardo che da questo territorio partì una tradizione di correttezza amministrativa che, con la complessità dei problemi sorti dopo l’Unità d’Italia, andò a poco a poco disperdendosi. In questa Regione noi possiamo ricostituire le condizioni di questa correttezza amministrativa, anche perché i problemi che ci stanno davanti sono problemi di una gravità estrema”.

Alle 20.45 di un caldo lunedì sera, il 13 luglio 1970, il presidente Vittorelli pronunciò le solenni parole conclusive: “La seduta è tolta”. Da quella importante serata ebbe inizio la storia della Regione Piemonte che è arrivata oggi, a 50 anni da quel giorno, alla sua undicesima legislatura.

Dall’Ufficio stampa di Palazzo Lascaris

Razzismo, Ruffino (Fi): “Solidale con Beatrice Ion”

“L’aggressione e gli insulti razzisti contro l’atleta azzurra della nazionale italiana di basket in carrozzina Beatrice Ion e la sua famiglia sono intollerabili e abominevoli, frutto solo di ignoranza e odio.

C’è ancora tantissima strada da fare affinché episodi del genere non si ripetano. Quello del razzismo e della violenza contro le donne e i disabili sono ancora, purtroppo, temi attualissimi. Beatrice è stata insultata da un uomo non solo perché straniera, ma perché disabile e donna. Gli episodi di intolleranza e violenza, infatti, sono rivolti soprattutto verso le donne e i disabili ed è incredibile che ancora oggi ci si trovi a dover commentare simili fatti. Per questo sono sempre più necessarie misure di contrasto alla violenza, partendo dalla scuola dove si formano le generazioni future. La scuola può e deve svolgere un ruolo fondamentale nel contrasto al fenomeno del razzismo, nella promozione della cultura dell’accoglienza e nel contrasto alla violenza di genere. Purtroppo mancano ancora adeguate tutele verso le donne e i disabili, le categorie più esposte e fragili. A Beatrice va la mia solidarietà e l’incoraggiamento a proseguire nello sport. Il suo è un esempio positivo, di ragazza che non si è arresa di fronte alle difficoltà e che continua a combattere per i suoi sogni” Lo dichiara in una nota, Daniela Ruffino, deputata di Forza Italia.

Adesso la gauche torinese della collina ha scoperto che le sardine puzzano

Signora mia, l’odore pungente delle sardine può piacere, però qui in collina sta diventando fastidioso, eccessivo. Ebbene sì, signora mia, le sardine puzzano.

È durato poco l’idillio tra la gauche caviar della Torino bene, collinare, ed i maleodoranti esponenti dello spintaneismo (perché di spontaneo c’era poco) giovanile antisalviniano. La sinistra che piace alla gente che piace si è stancata di giocare con i giovanotti un po’ ottusi e tanto ignoranti. È vero che le sardine potevano rappresentare una discreta base elettorale, ma solo a patto di tacere e di limitarsi ad ubbidire. Lasciateci lavorare, hanno spiegato i radical chic. E ne hanno fatto anche una questione generazionale. Voi, le giovani sardine, proseguite con il vostro onanismo post adolescenziale. Noi, la gauche che ha fatto la Holden dopo l’Erasmus, ci occupiamo di questioni serie con Berruto, Verri, Zagrebelsky…

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Adesso la gauche torinese della collina ha scoperto che le sardine puzzano

 

Salizzoni: “Da Nosiglia parole importanti”

“Il Parco della Salute è un’infrastruttura strategica: rilancerà l’economia e ci permetterà di ridisegnare la rete ospedaliera”

“Sono parole importanti quelle pronunciate da mons. Cesare Nosiglia sul Parco della Salute di Torino. Nel sottolineare il fatto che quel progetto rappresenta un’opportunità importante per il rilancio urbanistico del nostro territorio, oltre che sul versante della ricerca medica, l’Arcivescovo di Torino coglie il punto fondamentale: il Parco della Salute, della Scienza e dell’Innovazione di Torino non sarà solo un ospedale, una sorta di Molinette 2, ma un’infrastruttura strategica intorno alla quale si potrà ridisegnare l’intera rete ospedaliera come quella territoriale, e un centro propulsore che farà da volano favorendo la ripartenza dell’economia del Piemonte”. Così il vice Presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Mauro SALIZZONI, commenta l’intervento di mons. Cesare Nosiglia in merito al rilancio del “Tavolo per il lavoro” promosso dalla Diocesi di Torino. “La politica ha il dovere di accelerare i tempi, di non tergiversare più. La nostra Regione ha bisogno – e l’emergenza Covid19 lo ha ulteriormente dimostrato – di ospedali nuovi, moderni e sicuri, dotati di attrezzature di ultima generazione e dove si fa anche ricerca medica e tecnologica. Bisogna fare in fretta, andare avanti con la bonifica dell’area ex-Avio e con il dialogo competitivo, e il Comune di Torino non può continuare a far finta di niente, come se il Parco della Salute non rappresentasse l’occasione per ridisegnare, sotto il profilo urbanistico e non solo, un intero pezzo della città. Purtroppo, la notizia dell’abbandono del progetto di realizzare nelle arcate dell’ex-Moi il Polo della Ricerca nel settore biomedicale, mi pare un segnale negativo ed un’occasione persa”.

Stato di emergenza e pieni poteri

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni / L’idea del presidente del Consiglio dei ministri di prorogare di sei mesi lo stato di emergenza preoccupa e suscita sconcerto 

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La seconda carica dello Stato, il presidente del Senato Casellati parla di “camere invisibili” ed invita il governo a sottoporre al voto parlamentare la proroga fino al 31 dicembre. Il solo Zingaretti si allinea acriticamente in tutto e per tutto al premier, dimostrando una insensibilità democratica davvero sorprendente.
Ma a bocciare l’avvocato del popolo, il Giuseppi lodato da Trump, è un grande giurista democratico, già presidente della Corte Costituzionale, il prof. Sabino Cassese  il quale dice che per prorogare non basta il timore di un evento calamitoso, ma occorre che ci sia una condizione attuale di emergenza. Il premier, seguendo questa strada, riconosce implicitamente che oggi stiamo vivendo nell’emergenza Covid o intende forzare la mano per altri fini. Cassese inoltre evidenzia l’opportunità di evitare la concentrazione dei poteri nelle mani del Presidente del Consiglio  sia perché Conte ha già troppi poteri, sia perché l’accentramento crea “colli di bottiglia“ che paradossalmente rallentano i processi di decisione. Solo Mussolini ottenne i pieni poteri dal Parlamento per il riordino del comparto fiscale per pochi mesi tra la fine del 1922 e il gennaio 1923 poi abbiamo visto come è andata a finire. Francesco Crispi non ottenne i pieni poteri e neppure Giuliano Amato. Salvini nel delirio estivo di un anno fa li chiese, forse, senza sapere neppure di cosa stesse parlando. Tornando a Cassese, egli ritiene inopportuna la proroga perché l’eccezione non può diventare la regola in quanto governare con mezzi eccezionali non è fisiologico rispetto ad una democrazia parlamentare. Cassese parla di oscuramento del Parlamento ,del presidente della Repubblica  e della Corte Corte Costituzionale al cui controllo sono sottratti gli atti dettati dall’emergenza. Sabino Cassese evoca  addirittura l’esempio emblematico  ed inquietante di Orban. Forse occorre una parola chiarificatrice che arrivi dal Colle più alto che spesso tace.  I cittadini hanno bisogno di chiarezza. Sono in gioco le nostre libertà costituzionali.
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Scrivere a quaglieni@gmail.com

Cinquant’anni fa nasceva la Regione Piemonte

Esattamente cinquant’anni fa, il 13 luglio 1970 (ironia della sorte anche quel giorno cadeva di lunedì) muoveva i suoi primi passi ufficiali la Regione Piemonte.

Riuniti nel Palazzo delle Segreterie in Piazza Castello, i cinquanta membri del primo Consiglio regionale del Piemonte, diedero inizio alla fase costituente dell’Ente la cui nascita era stata prevista nella Costituzione entrata in vigore nel 1948.

L’annuncio  dello storico evento, pronunciato dall’avvocato canavesano Gianni Oberto Tarena, presidente provvisorio dell’Assemblea, venne suggellato dall’applauso unanime dell’intero Consiglio e delle autorità che presenziarono alla cerimonia di insediamento.

Nella stessa seduta si procedette all’elezione del Presidente, il socialista Paolo Vittorelli, coadiuvato dagli altri componenti dell’Ufficio di Presidenza formato dai Vicepresidenti Gianni Oberto Tarena (DC) e Dino Sanlorenzo (PCI), dai segretari Stanislao Menozzi (DC) e Cesare Rota (PLI).

Dieci giorni più tardi, il 23 luglio, il Consiglio procedette all’elezione del primo governo regionale guidato dal Presidente Edoardo Calleri di Sala, esponente della Democrazia Cristiana. Ne fecero parte, oltre al Presidente, altri 15 membri: 11 effettivi (Giovanni Falco, Angelo Armella, Augusto Dotti, Domenico Conti, Pierino Franzi e Carlo

Gianni Oberto Tarena

Borando della DC, Aldo Viglione e Mario Fonio del PSI, Germano Benzi e Giulio Cardinali del PSDI (ex PSU) e Aldo Gandolfi del PRI)  e 4 supplenti (Anna Maria Vietti, Ettore Paganelli, Enzo Garabello e Mauro Chiabrando, tutti appartenenti allo scudo crociato).

L’appuntamento con le urne per eleggere i cinquanta membri del “parlamentino” subalpino si era tenuto poco più di un mese prima, il 7 e 8 giugno del 1970. Nove erano stati i partiti in lizza sulle cui liste si erano riversati  i 2.805.786 voti validi, determinando la composizione del primo Consiglio regionale sulla base proporzionale della rappresentanza politica: 20 seggi alla DC, 13 al PCI, 5 al PSI, 4 al PSDI (a quel tempo PSU), 4 al PLI, 2 al MSI e infine uno ciascuno a PRI e PSIUP.

Unico partito che non raggiunse il quorum per eleggere un consigliere fu quello monarchico del PDIUM. Dopo una lunga attesa durata oltre vent’anni le Regioni, segnata da una gestazione molto laboriosa e non facile, il regionalismo muoveva i suoi primi passi. In mezzo secolo è stato compiuto un lungo cammino da parte della comunità regionale piemontese che quest’anno festeggia anche il terzo lustro dell’approvazione del nuovo Statuto.  Quindici anni fa, durante la VII legislatura, infatti, venne ridefinito il profilo istituzionale della Regione nell’ottica dell’autonomia e della partecipazione, della devoluzione dei poteri e della sussidiarietà.

Gianni Oberto Tarena con Paolo Vittorelli

 

 

Nel corso dei decenni  le funzioni regionali sono aumentate e con esse il ruolo e la responsabilità fino a ipotizzare nuovi e importanti traguardi nella realizzazione di un federalismo moderno, rispondente alle esigenze dei territori e dei cittadini in una cornice istituzionale basata su rapporti nuovi e condivisi tra lo Stato, il sistema regionale e gli Enti locali.

Basterebbe uno sguardo ai provvedimenti più importanti che sono stati varati in cinquant’anni per rendersi conto del lavoro svolto nel corso delle undici legislature da una classe dirigente di amministratori e legislatori appartenenti alle diverse forze politiche alternatesi al governo della Regione.

Marco Travaglini

 

Giachino: “Replicare i bonus per il commercio”

Visto il perdurare della crisi e il calo della domanda di consumi il Governo replichi i Bonus a fondo perduto per il Commercio, il settore dei Bar e della Ristorazione, un must della immagine del Paese. 

Gli effetti economici e psicologici del Lockdown pesano sulla domanda di consumi che vale il 65% del nostro PIL,  così il perdurare dello Smart Working .Il commercio , i caffè’ , i ristoranti sono un pezzo importante della immagine del Paese con il turismo in particolare quello internazionale. Il Governo oltre a far partire rapidamente i cantieri, usi la procedura veloce e semplice della Regione Piemonte e decreti una norma che giri un bonus a fondo perduto e rapidamente al commercio, ai bar e ai ristoranti.

Mino Giachino

(ex sottosegretario ai trasporti)

Stato prefallimentare

Questa poi, Matteo Salvini è l’ erede politico di Enrico Berlinguer ed apre una sede a Botteghe Oscure. Sa solo di bestemmia questo paragone. La domanda successiva però è questa:

che cosa porta a casa, soprattutto considerando l’ideologia media leghista profondamente anticomunista?

Chiaramente quando Matteo Salvini presentò la lista comunisti padani era un
po’ di coreografia per dare lustro all’allora leader incontrastato leghista del Nord Umberto
Bossi che aveva in Alberto da Giussano il suo vate ideologico. Ora dichiararsi quasi comunista per Salvini è
essenziale per mandare tutto in caciara, arte in cui è tra i professionisti.

Nel dargli manforte  arriva l’ ineffabile Danilo Toninelli rivendicando di aver sempre avuto ragione sulla revoca della concessione
Autostrade. Da un lato continua nel dire che l’unica strada è la cacciata del Gruppo Benetton,
dall’altro che sono  i pentastellati per la revoca. Con il piccolo dettaglio che
è il Parlamento solo può che farlo. Dove, per l’appunto non passerà mai. Praticamente un’arma
spuntata. Fa il furbo credendosi furbo. Perché? Contribuire al caos. A Torino tra un po’ arriviamo
a 50 candidati alla carica di sindaco. Ognuno dice la sua, tanto i partiti non esistono più. Visto
così non stanno dando un bello spettacolo. Sembra più l’arena di un circo o una nuova edizione
del teatro dell’assurdo. Unica certezza: Chiaretta non sarà riconfermata. Rimane solo la sinistra
sbrindellata che vuole a tutti costi l’alleanza con i pentastellati. Motivazione: Salvini non deve
vincere a Torino.

Lo hanno capito i PD locali: meglio perdere da soli, che sicuramente perdere con
Chiaretta. Poi, diciamocela tutta, non vanno d’accordo su nulla. Come dice il saggio: meglio soli che male
accompagnati. Ma ha preso il sopravvento la pletora di candidati alla poltrona di Sindaco, che
poi sarà, per i prossimi 5 anni una poltrona scomodissima, visto i drammatici nostri problemi.
Ed anche qui perché buttarla in caciara? Fa fino e non impegna.

 

Intanto  il nostro amato presidente del Consiglio Conte ci comunica: prorogherò l’emergenza fino al 31 dicembre. Bagarre delle
opposizioni. Se diceva: io sono per la proroga, sentiamo cosa ne pensa il Parlamento, cambiava nulla, ma a
volte la questione di stile fa la differenza. L’ Europa che fa?

Ci guarda sbigottita. Miliardi su miliardi di euro ci stanno a guardare aspettando un piano
economico italiano che non arriva. In compenso il tasso di litigiosità della classe politica è alle
stelle. Rimane solo l’alternativa nel buttarla in caciara.

Almeno, solo per i politici ai vari livelli un anno di stipendio è assicurato.
Per settembre, tirando i conti, il disastro Italia è assicurato. Non cc’è un piano italiano come
non c’ è un piano Piemonte. Sarebbe fantascientifico che la nostra regione fosse più avanti dell’
Italia intera. Due anni buttati via sulla Tav o sul Terzo valico ed il collaudo del Ponte Morandi in alto mare.
Deprimente che certi personaggi (Toninelli) possano dire ancora la loro. Ma è la democrazia.

Democrazia è anche capacità di scelte.
Sono oltre 30 anni che la politica ed i politici vivacchiano. La democrazia dovrebbe essere unicità
di comportamenti tra politici e cittadini.

Non è così. Se un imprenditore non riesce nel recuperare i suoi crediti, annualmente li deve
svalutare, pena il falso in bilancio. Se poi ha perdite che superano il capitale sociale deve
dichiarare fallimento. Nello Stato no. Le cifre sono buttate lì solo per far tornare i conti dal
punto di vista formale. Indebitamento alle stelle, miliardi letteralmente buttati via con il reddito
di cittadinanza. Promosso dai cinque stelle, votato da Salvini e ” bevuto ” dal PD. Insomma
tutti ci hanno messo del loro. Ci dovrebbe essere un commissario con pieni poteri che come
nelle società in stato prefallimentare , ottenuto il concordato preventivo, cerca di raddrizzare la
baracca. Straparlo?

Forse, ma almeno ragiono, o almeno ci tento. Si potrebbe dire a mali estremi rimedi. Amici
mi hanno fatto notare che nessuno a Torino come a Roma, nel circo delle candidature parla di
contenuti.

Con la scusa della società comunicativa e che la gente ha le scatole piene della politica,
perché parlare di contenuti ? Progettare, e perché mai? Perché come  infatti in questi giorni è
avvenuto, chi dà i soldi vorrebbe sapere come li spendi. Francamente non
mi pare una richiesta così balzana.

Allora, come sempre, da almeno 30 anni l’ unica soluzione possibile fare caos
ottenendo la scusa che la colpa è dell’altro che ti ha impedito di fare quello che volevi fare.

Questi comportamenti bizantini non fanno mangiare un popolo che comincia ad avere fame
nel senso letterale del termine. Non fanno risorgere Torino come una delle capitali d’Italia. Non
fanno e basta. Vero che la perfezione non è di questo mondo. Ma qui si sta proprio, ma proprio esagerando.

Patrizio Tosetto

“La Piazza” pulisce il parco Colonnetti

Giovedì 16 luglio, a partire dalle 16,30

Ci ritroveremo davanti alla Casa nel Parco, via Panetti 1 (ang. Via Artom). Oltre all’immancabile mascherina, porta anche un paio di guanti!
Noi saremo lì a ripulire la zona da rifiuti più o meno recenti. Un’azione simbolica, certamente, ma importante nel suo significato più profondo: tutti possiamo prenderci cura concretamente del nostro territorio.

Lista civica La Piazza

L’attualità della sinistra Dc

Periodicamente, e quando si vuole parlare della politica con la P maiuscola o della qualità della classe dirigente politica si fa quasi sempre un esplicito riferimento alla esperienza e alla storia della sinistra democristiana.

Una esperienza che ha accompagnato, seppur con diverse forme e con modalità alterne, la storia cinquantennale della Dc e che ancora oggi, attraverso i suoi vari leader cresciuti in quella comunità, condiziona e orienta la politica italiana. Seppur in assenza del partito di riferimento, la Dc appunto.

Ora, almeno su tre fronti persiste la bruciante attualità della sinistra Dc.
Innanzitutto la qualità, lo spessore e la valenza politica e culturale dei suoi leader.

Nazionali e locali. È indubbio che molti leader e statisti della prima repubblica provengono
dalle fila della sinistra democristiana. Leader che, anche con una percentuale minima di
potere all’interno della Dc, erano comunque in grado di condizionare e addirittura di
guidare la strategia e la prospettiva dell’intero partito. Basti pensare alla sinistra sociale di
Carlo Donat-Cattin che, con il 7-8% dei consensi nel partito era in grado di condizionare
l’intera strategia politica della Dc. Per non parlare della sinistra politica di Base i cui
leader, da De Mita a Granelli, da Galloni ad Andreatta, da Tina Anselmi a Mino
Martinazzoli erano considerati punti di riferimento ineludibili per l’intera esperienza Dc
nonchè leader politici capaci di imprimere una impronta determinante e alcune volte anche
decisiva per la stessa qualità della democrazia italiana. Una classe dirigente nazionale
che, però, era accompagnata anche da leadership locali altrettanto importanti e di qualità.

Basti pensare ai sindaci delle medie/grandi città italiane e al loro magistero amministrativo
e politico esercitato con qualità e autorevolezza per molti anni.

In secondo luogo la profondità del pensiero e la ricchezza di cultura politica che
accompagnava quella straordinaria ed irripetibile esperienza. Le riviste, i tradizionali
convegni politici e di approfondimento culturale di Saint Vincent, Chianciano, Belgirate,
Lavarone e molte altre località che ricordano come quei convegni di studio, di analisi
politica e soprattutto di proposta politica riuscivano a dettare l’agenda dell’intera politica
italiana. E non solo della Dc dove la presenza dorotea e moderata era comunque sempre
forte e ragguardevole. Un luogo di elaborazione culturale, di progettualità politica concreta
e di cultura di governo quasi irripetibile nella storia democratica del nostro paese. Non solo
un laboratorio e, soprattutto, non solo un consesso di azione politica o, peggio ancora, di
mera distribuzione di potere. No, un presidio di cultura politica e di azione politica che
obbligava l’intera politica italiana a tenerne conto, a prescindere dalle varie collocazioni
della sinistra Dc nella geografia interna al partito. Maggioranza o minoranza faceva poca
differenza. La sinistra Dc era un punto di riferimento a prescindere dalla conclusione dei
congressi e dai tatticismi di potere e dai vari posizionamenti nel partito. Comportamenti ed
atteggiamenti validi ieri come oggi.

In ultimo la rappresentatività sociale, culturale e politica della sinistra Dc. Nessuno poteva
fare a meno della sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin, e prima di Pastore. Lo ha detto più
volte lo statista Aldo Moro, anche quando la maggioranza dorotea del tempo del partito
non lo voleva o dopo la richiesta di esclusione dal Governo avanzata dal Pci durante le
stagioni della solidarietà nazionale. Non si poteva e non si doveva fare perchè DonatCattin

rappresentava, appunto, un pezzo di società che garantiva la conservazione della
natura popolare e sociale della Democrazia Cristiana. Così valeva per la sinistra politica di
Base e per la sinistra dell’area Zac in un secondo momento. Esperienze e realtà che non
solo erano qualificanti sotto il profilo politico e culturale ma anche, e soprattutto, sotto il
profilo della rappresentatività sociale e anche territoriale.

Ecco perchè l’esperienza della sinistra Dc ritorna d’attualità e non è facilmente
archiviabile. Nè può essere banalmente storicizzata. Certo, il “nulla della politica”, per dirla
con una felice espressione di Martinazzoli durante gli anni dello strabordante
berlusconismo, è difficilmente paragonabile con quella esperienza. Per non parlare
dell’attuale fase ancora dominata dai dogmi dei 5 stelle, cioè dal populismo demagogico e
anti politico. Ma se si vuole ridare credibilità, autorevolezza e qualità alla politica e alla sua
classe dirigente, non si può non incrociare l’esperienza vissuta e praticata dalla sinistra
democristiana e dai suoi tanti leader. Per il bene della politica italiana e non per una
banale e sterile riverniciatura nostalgica.

Giorgio Merlo