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“La Prefettura ci ripensi: sia consentita l’organizzazione delle Feste di Via”

Arriva il “No” della Prefettura di Torino nei confronti di questi eventi all’aperto: le feste di corso Traiano e di Borgo Po, in programma per domenica 16 maggio, sono già state cancellate. Nulla però, nella normativa anti-Covid, impedirebbe manifestazioni di questo tipo, di per sé perfettamente sicure: auspichiamo un ripensamento, privare il commercio di vicinato di una simile opportunità di promozione sarebbe, in questa fase di ripartenza, imperdonabile.

 

Feste di Via, c’è il “No” della Prefettura. Le feste di corso Traiano di Borgo Po, teoricamente in calendario per domenica 16 maggio, sono già state annullate. 

La normativa anti-Covid non vieta, però, l’organizzazione di questo tipo di eventi. Ci auguriamo dunque che il veto della Prefettura possa essere riconsiderato già dalle prossime ore. Per tutta una serie di buone ragioni.

Il commercio di vicinato e gli esercizi di somministrazione – dai negozi ai bar, dalle boutique ai ristoranti, dalle botteghe artigiane alle pizzerie – hanno assoluta necessità di avvantaggiarsi di questi momenti di promozione in questa fase di ripartenza. Le Feste di Via sono sicure da tutti i punti di vista. Gli organizzatori garantiscono tutti i controlli del caso e tutte le misure necessarie.

Nessuna normativa vieta le Feste di Via, né lo fa il Decreto attualmente in vigore: è esplicitamente menzionato nelle FAQ del Governo, semmai, il divieto di organizzare sagre, fiere ed eventi commerciali locali. Ma le Feste di Via sono eventi di natura molto diversa, assimilabili, piuttosto, ai mercatini programmati quali Balon e StraMercatino (che infatti non hanno interrotto l’attività). Anzi, rispetto a questi ultimi le Feste di Via, che hanno programmazione semestrale, non prevedono neanche lo spostamento, da parte dei commercianti che partecipano, su spazi terzi. Permettere l’organizzazione di manifestazioni di richiamo in varie zone della città significa anche offrire ai torinesi opzioni diverse rispetto al solo centro storico e ai soli parchi cittadini, contribuendo così a evitare un eccessivo afflusso di pubblico presso questi ultimi.

Una Festa di Via altro non è che la pedonalizzazione domenicale di una via cittadina per 12 ore con coinvolgimento su suolo pubblico all’aperto di negozi in sede fissa, bancarelle e operatori del proprio ingegno. Gli accessi sono controllati e, se necessario, possono essere contingentati. Il Governo stesso, per bocca del Presidente Mario Draghi, ha più volte ribadito che le attività all’aperto sono assolutamente sicure. Privare il commercio cittadino di una simile opportunità dopo mesi di fatica e sacrifici sarebbe imperdonabile. Auspichiamo un ripensamento da parte della Prefettura, affinché le Feste di Via si possano organizzare già dalle prossime settimane.

Silvio Magliano – Capogruppo Moderati, Consiglio Comunale Torino.

Coltivazione cannabis, via libera dalla Commissione regionale

La terza Commissione, presieduta da Claudio Leone, ha licenziato all’unanimità la proposta di legge 98 “Sostegno alla coltura della canapa (Cannabis sativa L) e alle relative filiere produttive”, primo firmatario Ivano Martinetti (M5s).

Un provvedimento che introduce misure di sostegno alla coltivazione e trasformazione della cannabis sativa e alla definizione di filiere produttive nei settori tessile, industriale e alimentare. Ora ci sarà il passaggio in Aula.

“Una normativa per promuovere un settore tradizionale del nostro territorio, ‘l’oro verde’ del Piemonte – secondo Martinetti – e che, nonostante la grande sofferenza economica del momento, ha grandi possibilità di espansione. Una filiera ecosostenibile nella quale il Piemonte è leader a livello nazionale”.

“Un ottimo risultato – commenta a margine della seduta l’Assessore alle Attività produttive, Andrea Tronzano – che permette di dare rilievo a una coltivazione antica delle nostre zone. Tutto questo per creare le condizioni che definiranno un vero e proprio distretto dedicato, facendolo diventare una produzione industriale a tutti gli effetti”.

Nominati relatori per l’Aula, oltre a MartinettiMatteo Gagliasso (Lega) per la maggioranza e Diego Sarno (Pd) per la minoranza.

Parere preventivo favorevole unanime anche alla delibera della Giunta regionale sul “Programma di aiuti in favore di aziende agricole per la riconversione degli impianti di actinidia danneggiati da cause fitosanitarie inclusa la moria”. Si tratta di un contributo forfettario di 3 mila euro per ettaro alle aziende agricole che si trovino a dover estirpare le coltivazioni di kiwi danneggiate e volto a favorire la riconversione verso altre produzioni. Come illustrato dall’assessore Tronzano, dopo gli aiuti del 2018/19, si interviene anche nel biennio 2019/20 e 2020/21 con risorse regionali pari a un milione di euro.

Approderà in Aula, ma con votazione negativa della Commissione, la proposta di legge regionale 22 “Norme in materia di contrasto alle delocalizzazioni produttive, incentivi alle imprese e sostegno all’ imprenditorialità, al fine di salvaguardare i livelli produttivi ed occupazionali”, prima firmataria Francesca Frediani (M4o).

La prima firmataria ha sottolineato la necessità di affrontare un fenomeno negativo importante e attuale, come riscontrato anche nella audizione dell’Ires Piemonte, di aziende che lasciano il territorio dopo aver percepito fondi pubblici.

La contrarietà dell’Esecutivo e della maggioranza, pur conscia della gravità del fenomeno, è stata motivata con la necessità di agire, ma rimanendo nel quadro della normativa europea.

Oltre a Frediani, saranno relatori in Aula Raffaele Gallo (Pd), Sean Sacco (M5s) e Marco Grimaldi (Luv).

Tutta la verità sul “Piano Solo”. A tu per tu con Mariotto Segni

L’INTERVISTA / MARIOTTO SEGNI 

Di Massimo Iaretti

 Il “Piano Solo, del quale le generazioni più giovani hanno quasi perso memoria, negli anni Sessanta fu un argomento di grande e delicata attualità.

Si trattava di un piano di emergenza speciale a tutela dell’ordine pubblico,
fatto predisporre nel 1964 da Giovanni de Lorenzo, durante il suo incarico
di comandante generale dell’Arma dei Carabinieri. Nel 1967 L’Espresso
uscì con un titolo ad effetto: 1964 Segni e de Lorenzo tentarono il colpo di
stato’. I giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari sostennero che
Antonio Segni, all’epoca dei fatti presidente della Repubblica e de Lorenzo
fecero pressione sul Partito Socialista che rinunciò alle riforme ed accettò
di formare un secondo governo Moro perché preoccupato dall’attuazione di
tale piano. Poche settimane fa si è tornato a parlare nuovamente di quanto
accadde 57 anni fa con un libro di Mariotto Segni, edito per i tipi della
Rubbettino, che legge quanto accadde allora da tutt’altra angolazione ed il
titolo è eloquente: “Il colpo di stato del 1964 – La madre di tutte le fake
news”. L’autore è figlio di Antonio Segni, parlamentare nella Democrazia
Cristiana, poi fondatore del Patto Segni dopo un breve transito in Alleanza
Democratica, e propugnatore di diverse battaglie referendarie, tra cui quella
che portò all’abolizione della preferenza multipla. Dal 2004 non ha più
incarichi parlamentari (l’ultimo è stato a Strasburgo) e l’ultima campagna
referendaria con Parisi e Di Pietro fu quella stoppata dalla Corte
Costituzionale. E’ stato anche docente della cattedra di diritto civile
all’Università di Sassari. Nel libro, che è molto documentato e si legge
agevolmente, sottolinea che lo scoop dell’Espresso, che diede il via ad una
vera e propria campagna di stampa che dipinse la Democrazia Cristiana
come un partito golpista, fu in realtà una gigantesca fake news, la prima
della storia repubblicana e forse la più imponente. Abbiamo chiesto a
Mariotto Segni quale sia stata la genesi del libro e le motivazioni che
l’hanno spinto a scriverlo a distanza di tanti anni.
“Questo libro è nato in modo singolare e mi si potrebbe chiedere perché
non l’ho scritto prima. Tre anni fa, nel 2018, ricorrevano i 40 anni del
sequestro e dell’uccisione di Aldo Moro. Nel rileggere i giornali che
ripercorrevano la sua vita e la sua vicenda mi capitò di leggere anche alcuni
articoli che rievocavano in modo arbitrario le vicende del 1964. Ho
effettuato una rilettura attenta degli stessi e mi sono accorto che la
narrazione era rimasta sostanzialmente inalterata in 50 anni. Ho lavorato
per quasi tre anni e avanzando nella ricerca del materiale mi sono reso
conto che era stato raccontato un pezzo di storia italiana con una
costruzione falsa. Come documenti mi sono basato sull’archivio Antonio
Segni e, per una strana circostanza, a casa ho trovato una cassetta con molte
lettere e documenti che poi ho richiamato nel libro e prodotto come
allegati. Ma nel rileggere il tutto la scoperta più grande, più significativa e
più singolare è stato il costatare come documenti conosciuti erano stati
raccontati in modo diverso se non opposto”.
 All’epoca fece scalpore la proposta di Cesare Merzagora che si propose per
guidare un governo di tecnici svincolato da partiti. Certo che i tempi sono
davvero cambiati se pensiamo ai governi di Lamberto Dini, su incarico del
presidente Scalfaro, o di Monti, nominato dal presidente Napolitano …..
“In realtà quella di Merzagora era una autocandidatura, in realtà è mia
convinzione che mio padre non fosse d’accordo su un Governo Merzagora
ma pensasse piuttosto ad un monocolore DC”.
Per l’ipotesi di colpo di stato che sarebbe maturato nel 1964 e che indica
come una gigantesca fake news ante litteram quale sarebbe stata la ragione
alla base ?
“Non saprei dirlo, credo che sia stato il desiderio di un grande scoop.
Eugenio Scalfari su ciò ha costruito la sua carriera di giornalista. In ogni
caso questo ha influenzato fortemente tutto il corso degli anni Sessanta. Da
lì è iniziato il racconto della Democrazia Cristiana golpista. Il risultato di
questa predicazione è stata una campagna che dipingeva l’Italia come ad un
passo dal colpo di Stato e la Dc come partito pronto a fare il golpe pur di
sbarrare la strada al Pci. La narrazione successiva ha poi rafforzato la tesi
scalfariana che ha fatto partire tutto dal luglio 1964, con l’azione golpista
nella quale sarebbero stati coinvolti il Presidente della Repubblica e l’Arma
di Carabinieri.
Antonio Segni era contro il centrosinistra ?
“Mio padre non aveva una preclusione politica di principio, riteneva che si
dovesse fare più avanti nel tempo e che l’esperienza dei due anni del
Governo Fanfani (che aveva l’appoggio esterno del Psi) costituisse un
pericolo enorme per il Paese. E non dimentichiamo la preoccupazione
angosciata di Guido Carli, l’allora Governatore della Banca d’Italia, cui si
aggiungevano quelle della stampa e della Cee”.
Che rapporto ha sviluppato con Scalfari ?
Lui e Repubblica appoggiarono fortemente la prima parte della campagna
referendaria, come Montanelli. Con Scalfari c’è stato un buon rapporto ma
nella vicenda in questione le sue responsabilità sono evidenti. La campagna
sul presunto golpe del 1964 ha fatto molto male all’Italia. Paolo Mieli negli
anni Novanta, in polemica con Scalfari disse “Avete dato la spinta
psicologica al terrorismo rosso, se dite ai giovani che c’è uno Stato violento
si fornisce ai giovani il motivo per rispondere con la violenza”.
Che reazioni ha avuto l’uscita del libro ?
“E’ da poche settimane in libreria. Ho sentito parecchi amici che mi hanno
detto che riapre il discorso non solo sulla crisi del 1964, ma anche di ciò
​che è seguito. Mi auguro che sia l’inizio di una revisione storica, di un
cammino più lungo”.
Il suo libro si chiude con una interessante appendice di documenti. E tutto o
c’è ancora qualcosa da aggiungere ?
“In questa pubblicazione ho utilizzato tutto quanto era possibile utilizzare.
C’è un punto, però, che ancora non è accertabile ed è quello dell’ipotesi del
coinvolgimento del Kgb in questa vicenda. Non è chiaro perché gran parte
del materiale che proviene dall’archivio del Kgb e dal Cremlino è ancora
ampiamente secretato in quanto è stato consegnato così dal Governo
Inglese. Ho chiesto all’archivio storico del Senato ma il Governo italiano è
tenuto a seguire le indicazioni di quello britannico”.
Qual è il suo ricordo di Antonio Segni ?
“Con un padre che per tutta la mia giovinezza è stato al centro politico
italiano si può essere o contestatori o tifosi e io sono stato un suo tifoso.
Era un uomo dal carattere difficile, certamente, ma di grande sentimento e
di grande spessore.”
Massimo Iaretti

Le responsabilità morali della lotta armata

IL COMMENTO  di Pier Franco Quaglieni

Lo storico  Gianni Oliva, uno dei più lucidi studiosi che abbia oggi l’Italia , ci ha richiamato ad un aspetto del tutto sottovalutato nella riflessione sugli anni piombo: le responsabilità morali della lotta armata, evidenziando le complicità e gli ammiccamenti  verso il terrorismo che si manifestarono in Italia negli Anni 70.Oliva parla di una “verità etica“ che va oltre a quella giudiziaria e a quella storica.

Con grande onestà intellettuale  ricorda la sua  personale partecipazione ai cortei in cui si  urlava la violenza  e arriva a scrivere che nessuno di quei giovani può dirsi completamente innocente, anche se non ha mai sparato, non ha mai scagliato le molotov o i cubetti di porfido.  E’ vero che hanno  una qualche responsabilità morale e anche politica perchè – contrariamente a quanto è stato autorevolmente detto- non è affatto vero che non ci siano stati dei nessi tra ‘68, autunno caldo e la stagione successiva della violenza terroristica. L’ultrasinistra è nata nelle università in fiamme e nelle fabbriche in cui il sabotaggio era considerato più che legittimo legittimo.  C’è  stato un rapporto evidente tra la iniziale  violenza verbale e il ricorso progressivo alla teorizzazione e alla pratica della violenza più o meno rivoluzionaria . Fino ad un certo punto lo stesso Pci che fu un prediletto  bersaglio di certa contestazione , non ha avuto  almenoper un certo tempo  le idee chiare su cosa stava accadendo.  Alcuni suoi iscritti finirono nelle Br. Sarebbe persino fastidioso ricordare i “compagni che sbagliano“ e le “sedicenti  Br”, ma anche quelle frasi appartengono a quella storia.   Mi ha stupito apprendere una vulgata ufficiale  sul ‘68 che non credo  corrisponda al vero. Certo non va criminalizzata la contestazione  in quanto tale, ma la sua esaltazione acritica suscita qualche lecito dubbio. Non è possibile scindere il ‘68 rispetto a quanto accadde dopo perché per una parte di contestatori la militanza, ad  esempio, in Lotta Continua fu una scelta naturale e scontata.  Oliva ,parlando di verità etica, mette in evidenza che anche chi non ha commesso reati, ha una qualche responsabilità, una responsabilità che non si può giustificare con il giovanilismo degli anni formidabili. Aver indossato o non indossato l’eskimo fa una qualche differenza.
Ma certo non si tratta solo di responsabilità giovanili. Un libro coraggioso come “L’eskimo in redazione “ di Michele Brambilla rappresenta una testimonianza che ha un  indiscusso valore storico perché la più grossa responsabilità morale la ebbero i cosiddetti intellettuali a partire dai firmatari del manifesto contro Calabresi per giungere a quelli che pazzamente teorizzarono “Ne’ con lo Stato ne’ con le Br”.  I Carlo Casalegno e  i Walter Tobagi  che denunciarono la violenza che stava montando e pagarono  con la vita furono pochi . Anche certa borghesia radical – chic simpatizzò  con il terrorismo e l’esempio non solo di Gian Giacomo Feltrinelli lo sta a dimostrare . Il teorizzare che la violenza del sistema imponeva  il ricorso alla violenza fu più frequente di quanto si creda. E venne  incredibilmente dimenticato da molti che la violenza eversiva  in un regime democratico è sempre ingiustificabile e che il richiamo ad una nuova Resistenza in nome di un presunto tradimento di quella vera, fu un errore in cui caddero anche studiosi come Guido Quazza per citare il più noto e autorevole. C’è un libro che non ha avuto la dovuta diffusione ed e ‘ stato boicottato perché documentava verità scomode: “La zona grigia “ di Massimiliano Griner che ebbi  il piacere di presentare in una sala molto affollata,  in assenza del volume che la casa editrice non aveva incredibilmente  fatto arrivare. In quel libro con rigore storico si documentano le responsabilità etiche e non soltanto etiche di intellettuali, professori, cantanti, giornalisti, avvocati, magistrati, sindacalisti. In una parola ci furono cattivi maestri e cattivi allievi  che furono protagonisti di una stagione nella quale il sonno della ragione genero ‘  mostri che misero in pericolo le libere istituzioni. Ma anche molto tempo dopo la fine del terrorismo, ad esempio Roberto Saviano, nel 2004 aderì ad un manifesto a favore di Cesare Battisti da cui si dissociò successivamente. Erri De Luca ha collezionato dichiarazioni allucinanti non solo su Battisti che il magistrato Armando Spataro definì  un”assassino  puro”.
Ci sono pagine recenti che fanno davvero  rabbrividire. La mia scelta liberal-democratica che data dal 1967 mi preservo ‘ dalle seduzioni della violenza. Forse ha giocato in primis la formazione che ho avuto nella mia famiglia, ma giunto all’Università ,mi legai subito ad Aldo Garosci , mitico  combattente antifascista , ma altrettanto fermissimo anticomunista  Fu lui a preservarmi dal virus dell’estremismo. Poi arrivo ‘ il Centro Pannunzio nel 1968  e la mia vita prese una piega che mi condannò ad una certa serietà fin dall’adolescenza. Non ebbi nessun merito particolare a non fare certe scelte . Pagai qualche prezzo a non seguire la corrente , ma non mi lamento . Sento, senza vantarmi di nulla, sia chiaro, di aver fatto ciò  che era più  coerente con la mia famiglia liberale . Ho commesso anch’io molti errori che non ripeterei più, ma ho anche  un qualche piccolo  orgoglio nel dire che ho sempre cercato di servire le  libere istituzioni. Il giuramento solenne  che ho pronunciato quando sono diventato professore ordinario di fronte al Tricolore, non fu per me una mera formalità come per tanti colleghi che obiettavano su quel giuramento, ma fu un impegno che ho cercato di mantenere negli anni.
scrivere a quaglieni@gmail.com

Tav, Giachino: “il Governo non si renda complice di ulteriori ritardi”

Presidente DRAGHI sulla TAV il Governo, in relazione a quanto dichiarato dal Ministro GIOVANNINI di fatto rischia di si rendersi complice di ulteriori e inaccettabili ritardi.

Egregio Presidente DRAGHI,
Scusi ma la intervista del Ministro GIOVANNINI al Direttore de La Stampa sulla TAV mi ha sconcertato molto. Il Suo Governo , che io avevo auspicato ben prima della crisi aperta da Renzi, sta lavorando come Lei ha più volte riaffermato per rilanciare la crescita, unico modo per ridurre l’enorme Debito Pubblico e il Ministro a proposito della TAV parla di un nuovo dibattito con la popolazione locale per la revisione della tratta nazionale della Linea ferroviaria? Ma il Ministro sa che Torino è il Pieminte da vent’anni crescono meno della media nazionale e hanno bisogno come il pane di ritornare a crescere di più?
L’Osservatorio sorto per aiutare il dialogo tra Governo e Comunita’ locali proprio sul progetto della TAV , venne istituito nel Marzo del 2006.
La lentezza dei suoi lavori passerà alla Storia .
Ricordo che Cavour impiego meno di 13 anni per unire l’Italia mentre i lavori per costruire il primo tunnel ferroviario del Frejus durarono meno di 13 anni ed eravamo nell’800.
La TAV e’ l’opera più aderente agli obiettivi del PNRR perché, spostando il traffico dalla strada alla rotaia , diminuirà concretamente e strutturalmente l’inquinamento che nella Pianura Padana è molto alto.
Il 7.8.2019 , dopo le nostre grandi Manifestazioni SITAV del 10.11.2018 , il Senato della Repubblica boccio’  a stragrande maggioranza la Mozione dei NoTAV.
L’Europa come disse la Commissaria aspettava quel voto per le sue decisioni confermative e ora ,dopo l’assurda stasi di 18 mesi decretata dal Governo giallorosso, che pagherà la economia torinese, il Ministro GIOVANNINI , mentre il Governo inserisce nei suoi programmi la tratta veneta del Corridoio Mediterraneo, vuole ritornare indietro o fermarsi sul progetto della tratta nazionale?
La stasi decretata dal governo giallorosso che , infischiandosene del voto del Senato,
ha bloccato un’opera strategica, ha di fatto ridato fiato ai movimenti antagonisti che in questi anni hanno usato violenze fisiche e verbali contro le forze dell’ordine e contro i SiTAV , come il sottoscritto.
Mi spiace che l’intervistatore non abbia fatto rilevare al Ministro quanto la maggioranza dei piemontesi e la maggioranza degli italiani vogliano quest’opera .
Attraverso la Francia passano le esportazioni dirette verso Francia, Spagna e Inghilterra per quasi cento miliardi . Rendere più competitive le nostre esportazioni dovrebbe essere il primo obiettivo per il rilancio della crescita della nostra economia e del nostro lavoro. La TAV ci porterà l’aumento del turismo internazionale e l’aumento degli scambi commerciali . Dopo aver perso 15 anni , invece di nominare un Commissario per accelerare i lavori si pensa di ritornare al dibattito locale?
Torino non ha gli stessi diritti di Genova?
Perché il Ministro prima di parlare non è venuto a rendersi conto di persona visitando il cantiere di Chiomonte ?
Un conto è fare i Professori è un conto è fare il Ministro. Il Ministro rappresenta l’interesse nazionale che oggi è rappresentato dal lavoro e dalla maggiore crescita.
La ringrazio molto della attenzione e spero in una sua risposta,
Mino Giachino
già sottosegretario di Stato ai trasporti

Gioco d’azzardo, Pd: legge giusta non si strumentalizzi il lavoro

“Gli imprenditori del settore del gioco sono scesi in piazza per chiedere la riapertura delle sale perché, come tanti altri, stanno scontando il peso della pandemia.

Ma non confondiamo la modifica di una legge valida con il tema delle riaperture: sono due cose totalmente diverse” dichiarano Sarno e Rossi evidenziando che “la destra sta strumentalizzando il tema del lavoro per compiacere il settore del gioco: abbiano il coraggio di dirlo apertamente senza ipocrisie. Se davvero avessero voluto salvaguardare l’occupazione avrebbero scelto il percorso che prevedeva una proroga per il settore delle sale gioco, dando così anche il tempo per approfondire i tanti aspetti della legge, su cui le opposizioni si erano rese disponibili ad una valutazione”.

“Apprendiamo, invece, che nella nuova formulazione del disegno di legge dovrebbe esserci la possibilità addirittura che le slot tornino nei bar in base al numero degli abitanti: sì nei piccoli Comuni dove c’è un solo bar, no ai centri di medie o grandi dimensioni. Una decisione che svela come il tema del lavoro sia solo strumentale alle vere finalità della Lega, che vuole solo assecondare tutte le richieste di un settore economico senza tenere conto del diritto alla salute, che, invece, è al centro della legge in vigore che intende rendere il gioco meno pervasivo, che corrisponderebbe ad un ritorno al passato ad una diffusione nei territori dell’occasione di giocare stimolando e fomentando l’aumento del gioco d’azzardo patologico. Mettere le slot nei bar vuol dire, infatti, inserire una presenza costante, ravvicinata, facilmente raggiungibile. E’ assurda l’idea di consentire che le macchinette trovino posto nei piccoli Comuni, proprio dove il bar rappresenta uno dei pochi punti di aggregazione. Per sostenere queste realtà occorre piuttosto pensare a politiche per valorizzarli” precisano gli esponenti dem.

“Stiamo ancora aspettando i dati dall’Assessora al lavoro sui numeri reali legati al mondo del lavoro, ma a quanto pare conviene rimanere su stime non istituzionali. Ci stupiamo, infine – concludono i Consiglieri regionali Pd – che, in poche settimane dalla sospensione grazie all’intervento delle Opposizioni del provvedimento leghista sul Gap, Forza Italia e FdI che tanti dubbi avevano avanzato sul tema, abbiano radicalmente cambiato idea e siano pronti a sostenerlo. Sarà davvero così?  Ci dispiace che la Lega continui a essere sorda di fronte alle proteste del mondo sanitario e delle tante associazioni e si ostini a non tenere in alcun conto i dati sulla validità della legge del 2016”.

Autostrade, Fdi: “Il governo riferisca sulla gara Torino-Piacenza”

“Vogliamo chiarimenti sulla gara per la concessione della tangenziale di Torino e dell’autostrada Torino-Piacenza. Ferma restando la sentenza del Consiglio di Stato ed il procedimento in essere, rimane un dato che non puo’ non preoccuparci e di cui chiediamo conto al Governo.

Se da un lato il Pd torinese invoca l’urgenza affinche’ si assegnino le concessioni, la domanda che facciamo con un’interrogazione al Ministro delle infrastrutture e’: gli 800 milioni di differenza tra il primo aggiudicatario e il secondo chi li paga?”.

Così in una nota i deputati di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli (nella foto), Marco Silvestroni e Mauro Rotelli. “Una cifra cosi’ importante – aggiungono – non puo’ passare inosservata a chi accumula debito dello Stato e merita una valutazione politica sia in termini di fattibilita’ dei lavori in assenza di quelle risorse, sia in termini di mancate entrate in un momento in cui l’Italia continua a indebitarsi per assenza di risorse. A pagare due volte potrebbero essere gli italiani e quindi chiediamo che vi sia un approfondimento della questione nelle sedi istituzionali. Il Governo riferisca su un aspetto che la sinistra sta clamorosamente ignorando”.

Napoli (Cambiamo!): “Competizione Salvini – Meloni fa male al cdx”

Con la felice eccezione di Torino, dove il candidato Paolo Damilano ha bruciato tutti sui tempi, il centrodestra brancola nel buio e stenta a concordare le candidature nelle altre grandi città impegnate nel voto autunnale. Da Milano a Roma, passando per Napoli e Venezia, gli alleati non hanno ancora trovato un minuto per sedere attorno al tavolo e fissare qualche bandierina.

     Qualcuno potrà obiettare che le cose non vanno meglio nel centrosinistra, visto che Pd e M5s devono ancora definire la propria identità e capire se convolare a nozze. Ma ognuno si preoccupa della propria casa. E nel centrodestra si è accesa una competizione fra Salvini e Meloni che va oltre la normale e fisiologica concorrenza. È evidente che serve uno stop prima che tutta l’alleanza vada a sbattere. Incassare due no, oltre modo autorevoli, come quelli di Albertini e Bertolaso, è un campanello d’allarme da non sottovalutare. E non basta sperare che se non entrambi almeno uno ci ripensi. No, serve proprio un cambio di passo perché l’autunno è domani.

on. Osvaldo Napoli, deputato di Cambiamo!

Democrazia cristiana, il racconto di un partito

Mercoledì 12 maggio 2021 – ore 17:30. Diretta streaming sulla pagina Facebook e sul sito della Fondazione

www.fondazionedonatcattin.it

La DC e l’Italia nella seconda metà del Novecento: un percorso di conoscenza e di ricerca
La presentazione del libro di Marco Follini, che abbiamo più volte rinviato a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia, si inserisce in un percorso di approfondimento avviato da qualche tempo sulla storia della Democrazia Cristiana italiana. Si tratta di una iniziativa che prende le mosse dal retroterra culturale in cui nasce la nostra Fondazione, quello cattolico democratico e cristiano sociale, ma che si sostanzia nel desiderio di proporre una matura riflessione sull’Italia della seconda metà del ‘900. Si tratta di un tema che sta emergendo nel dibattito politico, sociale e culturale del nostro paese. Sovente viene declinato in modo semplicistico, in una sorta di contrapposizione tra detrattori e nostalgici della cosiddetta “prima repubblica”. Talvolta, in modo più corretto, viene affrontato come percorso essenziale per la comprensione della realtà di oggi, un percorso che  presenta luci ed ombre, ma di cui gli storici della società e dell’economia mettono in evidenza ormai più gli aspetti positivi di quelli negativi.
La storia della DC dunque, come tassello fondamentale di una riflessione sui settant’anni della nostra Repubblica. Ma una storia non agiografica, finalizzata a cogliere gli intrecci tra l’evoluzione della società, le sue trasformazioni, e lo sviluppo del sistema politico. E finalizzata a conoscere meglio un fenomeno, quello democristiano, che nelle sue articolazioni e nel rapporto con il suo retroterra rifletteva la complessità crescente della società italiana. Con un occhio particolare alle vicende piemontesi, non solo per il nostro radicamento territoriale, ma anche per l’emblematicità di questa esperienza regionale nella evoluzione della città e della campagna, nei processi di industrializzazione e modernizzazione della metropoli e delle periferie.
Il lavoro che ci proponiamo di fare, e che illustreremo man mano, si svilupperà secondo tre filoni fondamentali:
–    L’acquisizione e la valorizzazione di materiali archivistici, con il progetto “Rete degli archivi della Democrazia Cristiana e del cattolicesimo democratico piemontese”, in corso di realizzazione, e che prosegue idealmente e intende dare sostanza agli orientamenti emersi nel convegno “La Democrazia Cristiana piemontese. La storia, gli uomini, gli archivi” (Torino, Palazzo Madama, 16 aprile 2012). Di questo filone di attività fa ovviamente parte la valorizzazione del consistente patrimonio archivistico già detenuto dalla Fondazione: il riferimento è in particolare alle carte politiche contenute nell’Archivio di Carlo Donat-Cattin ed agli archivi degli organi istituzionali della DC (Comitato Regionale del Piemonte, Comitati provinciali di Torino, Cuneo e Vercelli).
–    Una ricerca sul ruolo fondamentale delle riviste come strumento di dibattito e di formazione della classe dirigente cattolica, con il progetto “Le riviste politico – culturali di area cattolica nella seconda metà del ‘900”, finalizzato alla conoscenza, alla valorizzazione e ad una miglior fruizione della ricca emeroteca della Fondazione. Di questo progetto fanno parte due approfondimenti in corso, il primo relativo ai giornali della sinistra democristiana in Piemonte, ed il secondo relativo alla “rivista Settegiorni”. 
–    Seguiremo il dibattito in corso sul ruolo della DC e del movimento cattolico nella seconda metà del ‘900, con la presentazione dei contributi storici più significativi, il confronto con ricercatori e studiosi, l’attenzione alle novità editoriali, alla memorialistica ed alle attività di altri centri di studio e di ricerca.
Saremo attenti ad evitare un lavoro di contemplazione del passato, traendo dalla nostra attività conoscenze e riflessioni che aiutino nell’interpretazione della complessità dell’oggi.

La Lega in visita alla Casa Circondariale di Ivrea

Presenti gli esponenti della Lega eporediese Alessandro Giglio Vigna e Andrea Cane.

“Ringrazio il Garante Mellano, l’Ispettore Carabotta con i Sovrintendenti Capo Stella e Manoti e tutti coloro i quali hanno reso possibile questa visita – commenta il consigliere regionale Andrea Cane, vicepresidente della Commissione sanità del Piemonte – abbiamo visto un carcere che non ha conosciuto il Covid nei reparti detentivi, un caso quasi unico nella nostra penisola. Nell’infermeria si è lamentata la carenza di medici, di cui mi farò portavoce personalmente nelle prossime sedute di Commissione e direttamente all’Assessorato alla Sanità, situazione naturalmente legata al momento pandemico e che verrà ripristinata grazie ad un agognato ritorno verso la normalità di tutto il personale sanitario disponibile sul territorio”.

“Uno dei problemi della Polizia Penitenziaria a Ivrea – ha aggiunto Alessandro Giglio Vigna parlamentare del collegio eporediese, che ha contribuito a superare il problema delle comunicazioni all’interno delle celle – come in tutta Italia, è la carenza di agenti che ha come risvolto maggior lavoro e meno riposo per gli operatori, inoltre il sovraffollamento aumenta il rapporto fra numero agenti e numero detenuti. Siamo felici che dopo la mia Interrogazione e sollecitazioni al Ministero siano arrivati i dispositivi jammer che rendono inutilizzabili i cellulari”.

“In un paese normale i partiti – ha concluso l’onorevole Giglio Vigna – non si dividono fra chi sta con la polizia e chi sta con i detenuti. In Italia tutta la sinistra sta con i detenuti, come il mainstream; vuoi per buonismo, vuoi per indotto di voti, vuoi perché va di moda. La Lega quindi si schiera con gli altri, con chi ha deciso di servire lo stato, con la Polizia Penitenziaria. Al Carcere di Ivrea abbiamo trovato donne e uomini orgogliosi della loro divisa a cui va il nostro ringraziamento, a nostra volta siamo orgogliosi di portare la loro voce nelle sedi istituzionali “.