“Sacrosanta l’ordinanza della Regione Piemonte.
Così il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari.
Così il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari.
In Direzione Sanità mancavano per pensionamento i responsabili dei settori Farmacia, rapporti con le strutture erogatrici, prevenzione veterinaria e anticorruzione; inoltre erano bloccati per malattia il ragioniere capo e un altro responsabile a Milano dal lockdown.
“Un quadro desolante, di assoluta carenza di programmazione delle risorse umane, che ovviamente l’epidemia ha reso ancora più esplosiva” sottolineano il Coordinatore del Gruppo d’Indagine Covid-19 (Pd) e il Presidente del Gruppo Pd in Consiglio regionale Raffaele Gallo “Non solo si poteva arrivare più preparati ad affrontare l’emergenza, ma anche in tempo ordinario non è ragionevole ricorrere sistematicamente a strumenti straordinari come il vicariato”.
“Torneremo a occuparci della questione dispositivi” rileva il coordinatore del Gruppo d’Indagine: “mentre il direttore Aimar scriveva alle ASL di continuare ad approvvigionarsi, rilevando questo come un compito esclusivo delle aziende, l’Unità di crisi regionale (e anche la protezione civile nazionale) si intestavano il tentativo vano di centralizzare rilevazione dei fabbisogni e acquisti, contribuendo a una situazione confusionaria e poco chiara nelle responsabilità. L’unità di crisi, a differenza delle ASL, era peraltro dotata in questo senso di poteri straordinari per gli acquisti previsti dal governo dall’ordinanza protezione civile 630/3 febbraio”.
“Dispiace rilevare che da parte della maggioranza emerge disinteresse; soltanto tre consiglieri hanno partecipato ai lavori del gruppo: un’occasione persa di confronto e approfondimento” chiosa il Presidente del Gruppo PD
Locatelli:”cambiare rotta, riprendere la lotta prima che sia troppo tardi”
Sabato, a Torino, in piazza Castello, Rifondazione Comunista era presente alla manifestazione di Cgil, Cisl e Uil indetta per sollecitare risposte alla crisi occupazionale e produttiva che investe il Piemonte e l’area metropolitana di Torino. Stando a uno studio commissionato dall’Anci, Torino è l’area che più di altre subirà gli effetti di una caduta del fatturato e del reddito in una percentuale compresa tra il 14,4% e il 20%. “Un dato impressionante – commenta Ezio Locatelli, segretario provinciale Prc-Se di Torino – non riconducibile solo all’emergenza sanitaria ma a problemi preesistenti. Basti dire che in soli 12 anni, dal 2007 al 2017, l’incidenza della povertà assoluta tra le persone tra i 18 e i 34 anni per mancanza di lavoro e di reddito è più che quadruplicata passando dall’1,9 al 9,1%. Questo per dire che il problema non è quello di tornare a prima della pandemia, come chiedono a gran voce gli industriali che pensano di uscire dalla crisi rilanciando le grandi opere, le privatizzazioni, riducendo il costo del lavoro, tornando alla libertà di licenziamento, avendo mano libera di attuare spoliazioni e delocalizzazioni. Grandi aziende come Fca che dopo aver intascato da parte del pubblico garanzie e prestiti, non si fanno remore di eludere gli obblighi fiscali e di trasferire le produzioni all’estero. Una spoliazione in piena regola a fronte dell’inerzia delle istituzioni locali e nazionali. Basta attendismo, bisogna imporre un cambiamento di rotta, un piano per il lavoro, il reddito, lo sviluppo sostenibile. C’è solo un modo per farlo che è quello di riprendere la lotta prima che sia troppo tardi”.
Irriducibile antifascista, partigiano e vicecomandante delle Brigate d’assalto Garibaldi, parlamentare della Repubblica fin dalla Costituente, dirigente di primo piano del Partito Comunista Italiano, Pajetta è stato uno dei protagonisti del ‘900. La sua salma riposa in Val d’Ossola, nel piccolo cimitero di Megolo , frazione di Pieve Vergonte, nella stessa tomba che ospita l’intera famiglia Pajetta, dai fratelli Gaspare (morto giovanissimo in battaglia proprio a Megolo, durante la Resistenza, nel febbraio del ‘44) e Giuliano, a mamma Elvira e papà Carlo.
Giancarlo Pajetta era nato a Torino il 24 giugno del 1911. Figlio di Carlo, avvocato, e di Elvira Berrini, maestra elementare, iniziò giovanissimo la sua attività politica iscrivendosi nel 1925, a quattordici anni, alla federazione giovanile comunista. Una scelta di campo che gli valse nel febbraio del 1927, mentre frequentava il liceo-ginnasio Massimo D’Azeglio a Torino, l’espulsione da “tutte le scuole del Regno” per tre anni per “propaganda antifascista”, secondo la locuzione dl tempo. Come non bastasse, Gian Carlo Pajetta venne arrestato e rinchiuso, quando non aveva ancora 17 anni, nella sezione minorile delle carceri giudiziarie di Torino. Il 25 settembre del 1928 il Tribunale Speciale lo condannò a due anni di reclusione che scontò nelle carceri di Torino, Roma e Forlì. Nel 1931 espatriò in Francia dove il “ragazzo rosso” assunse lo pseudonimo di “Nullo”, diventando segretario della Federazione giovanile comunista, direttore di Avanguardia e rappresentante italiano nell’organizzazione comunista internazionale. In quel periodo Pajetta compì numerose missioni clandestine in Italia fino a quando, il 17 febbraio del 1933, venne arrestato a Reggio Emilia. Il Tribunale Speciale fascista lo condannò a 21 anni di reclusione. Rimase in carcere dieci anni e sei mesi tra Civitavecchia e Sulmona, fino alla liberazione che avvenne il 23 agosto del 1943, un mese dopo la caduta del fascismo. Poi venne l’8 settembre e la guerra partigiana, durante la quale perse la vita a diciotto anni il fratello Gaspare, combattendo a fianco del capitano Filippo Maria Beltrami e degli altri resistenti sulle balze del Cortavolo, sopra l’abitato di Megolo.
L’altro fratello, Giuliano, anch’esso dirigente comunista fu deportato nel campo di concentramento di Mauthausen e tre suoi cugini persero la vita per mano dei nazisti e dei fascisti. “Nullo” partecipò da protagonista alla lotta di Liberazione come Capo di Stato Maggiore ( anche se, di fatto, fu vice comandante generale) delle Brigate Garibaldi e membro del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà. Fu in questa veste che, tra il novembre e il dicembre del 1944, Pajetta si trovò a Roma, come membro del CLNAI, per trattare con gli Alleati e con il governo Bonomi l’accordo politico-militare che portò al riconoscimento delle formazioni partigiane come formazioni regolari e all’attribuzione delle funzioni di governo al Comitato di Liberazione dell’Alta Italia. Dopo la liberazione Giancarlo Pajetta diventò direttore dell’edizione milanese de l’Unità e membro della Direzione del Pci. Nel 1945 venne eletto alla Consulta (non era potuto diventare senatore perché troppo giovane) e successivamente nel 1946 all’Assemblea costituente. Nel 1948 diventò deputato della Repubblica, ruolo nel quale venne riconfermato ben dodici volte). Negli ultimi anni della sua vita, a partire dal 1984, venne eletto al parlamento europeo. La sua biografia si intreccia con la storia repubblicana del dopoguerra e con le vicende del movimento comunista. Una storia lunga decenni tra i fronti popolari, i legami e le divergenze tra le peculiarità nazionali dell’Europa occidentale e l’Unione Sovietica, i grandi eventi storici e le guerre, la liberazione dal fascismo, il Cominform, la guerra fredda, il promemoria di Yalta e la destalinizzazione, la primavera di Praga stroncata dai carri armati sovietici, la crescente attenzione verso un nuovo internazionalismo e i paesi emergenti nel sud e nell’est del mondo, il destino strategico dell’area mediterranea e la ricerca di una visione nuova attraverso l’eurocomunismo. Un impegno appassionato sul quale occorre ancora oggi riflettere, indagare. In un libro-intervista a cura di Ottavio Cecchi, intitolata “La lunga marcia dell’internazionalismo” e pubblicata dagli Editori Riuniti, Pajetta concentrò il suo pensiero su questi temi di grande attualità sostenendo come dovessero “fondarsi sulla distensione, sulla pace, sulla collaborazione internazionale, su rapporti non imperialisti tra paesi sviluppati e paesi emergenti,sullo scambio di esperienze”. Scriveva( eravamo nel marzo del 1978, anno cruciale) “Circolazione delle idee e degli uomini deve voler significare anche circolazione del socialismo e fiducia nelle forze nazionali e di classe che in ogni paese tendono al rinnovamento sociale”.
Un pensiero che, in un epoca di appannamento e confusione valoriale, di scarse capacità di elaborazione di un pensiero di sinistra e progressista, di profonda debolezza delle classi dirigenti della politica, rivela all’opposto la preparazione, la passione e la determinata volontà dei protagonisti di una fase importante della storia italiana. Il giorno prima di morire a causa di un arresto cardiaco Giancarlo Pajetta rilasciò al Messaggero un’intervista nella quale, riferendosi alla “svolta della Bolognina” che avrebbe portato allo scioglimento del PCI, confessò di vivere i giorni più brutti della sua vita. Un sentimento comprensibile per chi aveva vissuto e partecipato a quella storia collettiva che segnò la vita di intere generazioni. Pajetta sapeva cogliere le novità, il bisogno di cambiare, l’evoluzione della storia ma temeva che un grande patrimonio di idee e valori potesse in qualche modo disperdersi. Era toccato a lui, con la sua voce tonante, pronunciare l’orazione ai funerali di Enrico Berlinguer, dopo aver accompagnato Giorgio Almirante, avversario di mille battaglie, a render visita alla salma del leader comunista nella camera ardente alle Botteghe Oscure. Anche da quell’episodio si coglie la cifra democratica e la levatura di un grande personalità. Miriam Mafai, giornalista e scrittrice scomparsa nel 2012, visse per trent’anni al suo fianco e così raccontò il “ragazzo rosso”: “È morto a casa mia. Ma ho vissuto con lui molti anni, se si intende per vivere insieme stare insieme, viaggiare insieme, studiare insieme. Stiamo stati anche molto felici ma non abbiamo mai vissuto da coniugi: non eravamo interessati né io, che avevo già più di 30 anni né lui, che ne aveva oltre 50, a scambiarci l’esistenza dalla mattina alla sera. Giancarlo si trasferì a casa mia solo nell’ultimo periodo”. Pajetta morì senza assistere alla fine, ormai decretata, del Pci. Lo raccontò, ancora, Miriam Mafai: “Lui muore quando sta morendo il partito comunista. Quindi ha già visto il crollo del muro di Berlino ma non ha visto, per sua fortuna, la bandiera rossa calare dal pennone del Cremlino.Ma all’epoca il Pci sta cambiando nome e lui sa che finirà. Certo Giancarlo è morto perché non era più un giovanotto ma credo che non abbia voluto vedere il seguito”. La drammaticità della sua personalità stava nell’estrema fedeltà al socialismo e al Pci, vissuta senza nasconderne e denunciandone limiti e difetti. Era consapevole di quella che Berlinguer chiamò “l’esaurimento della spinta propulsiva” dell’URSS pur riponendo molte speranze in Gorbaciov. Pajetta, tra i leader più amati e popolari nel vecchio partito comunista era un grandissimo oratore e i suoi comizi si trasformavano ogni volta in un avvenimento perché riusciva a stabilire un rapporto straordinario con il sentimento popolare di quelle piazze piene. Quando chiesero alla Mafai che uomo fosse, questa fu la sua risposta:“Era una personalità ricca di sfumature, per alcuni versi insopportabile.Impaziente, molto colto, un divoratore di libri di ogni genere. E poi viveva di niente, a Roma in un appartamento orrendo. Non aveva mobili e io gli dicevo che aveva nostalgia del carcere. Parlando della mia casa diceva: Vedi? Qui in Unione Sovietica ci vivrebbero tre famiglie! Io gli rispondevo: infatti, io non voglio andare a vivere in Unione Sovietica. Giancarlo immaginava una società che non esisteva più e il suo sogno, da vecchio, era una camera in affitto in una casa di operai a Torino. E, diversamente da tutti i deputati, ai suoi figli ha lasciato praticamente niente”.
Marco Travaglini
Mancano circa 50mila insegnanti di sostegno specializzati in tutto il Paese, il trasporto pubblico è indebolito da tagli e restrizioni che mettono a rischio la frequenza scolastica, l’eventuale isolamento o quarantena avrà effetti devastanti su studenti e genitori e le linee guida sono lacunose, escludono le famiglie e non garantiscono progetti inclusivi. Rivolgo un appello accorato al ministro Azzolina: nessuno deve restare solo. Gli studenti disabili e le loro famiglie non sono invisibili e non meritano di essere cancellati come il governo ha fatto con il ministero ad hoc voluto dalla Lega. È necessario un impegno anche economico concreto, serio, efficace. C’erano problemi negli anni passati, dopo il virus e la chiusura i problemi saranno ancora più grandi: cosa ha fatto il ministro negli ultimi sei mesi, ha dormito?”. Lo dice il leader della Lega Matteo Salvini.
“C’è solo rumore di fondo nella Giunta regionale in merito al rientro a scuola e così si mandano in tilt le famiglie che ogni giorno assistono a questo delirio da “annuncite”; il suono della prima campanella è stato confermato per il 14 settembre, e questa è l’unica cosa certa, su tutto il resto Cirio, Chiorino, Icardi e Marnati fanno solo baccano come se fossero già all’uscita da scuola – commenta Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Regione.
“Cirio si misuri la febbre e porti l’autocertificazione in Capigruppo appena gli passa l’incandescenza da annuncio” – commenta Grimaldi, ricordando i numerosi strilli di agenzia prontamente ritirati o sbugiardati: “sul finire della scorsa settimana Marnati ha annunciato che ci sarebbe stato un medico in ogni scuola, fatto smentito categoricamente lunedì scorso dall’Assessore Icardi; martedì l’Assessora Chiorino, prima di fare scena muta davanti alle nostre domande, ha annunciato 500mila euro per l’acquisto futuro di termometri per ogni scuola, mentre oggi, su tutti i giornali, leggiamo che la Regione non ha spedito neppure un termometro. Ma non basta – prosegue Grimaldi – ad aggiungere altra confusione c’è l’Ordinanza regionale di ieri, nel quale Cirio ‘raccomanda a tutte le scuole di ogni ordine e grado del Piemonte di adoperarsi con ogni mezzo a disposizione al fine di procedere alla misurazione della temperatura corporea agli studenti prima dell’inizio dell’attività didattica’ ma obbliga anche tutte le scuole a leggere le autocertificazioni prima di entrare”.
“Noi non ci stiamo capendo più niente, e immagino in che condizioni siano i tanti genitori alle prese con uno o più figli che lunedì dovrebbero entrare in classe: noi avevamo ipotizzato che la misurazione della febbre all’ingresso potesse essere effettuata per la fascia d’età 0-6, dove i numeri sono piccoli e la situazione più gestibile, non ci immaginiamo certo cortei e assembramenti di centinaia di studenti davanti alle scuole elementari, medie e superiori. Anche perché – commenta Grimaldi – a me non risulta che la Giunta abbia provveduto a organizzare una macchina così imponente di controlli, né che i termoscanner siano arrivati in qualche scuola”.
“Le considerazioni del direttore dell’Agenzia Mobilità, laddove afferma che il trasporto pubblico locale tornerà a regime non prima del 2023, confermano le nostre previsioni che, peraltro, avevamo puntualmente riportato in una mozione depositata dal Gruppo PD in Consiglio regionale nello scorso aprile. Sarebbe davvero un peccato se questa Regione, a seguito della crisi Covid, non raccogliesse la sfida di ripensare il modello di TPL soprattutto nel ripensare la relazione tra le aree extra-urbane e il centro città, con particolare riferimento alla mobilità in ingresso e uscita verso Torino da parte dei pendolari”: lo afferma il Consigliere regionale Alberto AVETTA (Pd), a margine dell’audizione del Direttore dell’Agenzia della mobilità, ing. Cesare Paonessa in Commissione regionale trasporti.
“La flessione della domanda di TPL causata dal Covid c’è, ed era ampiamente prevedibile per tante ragioni: ora, se non vogliamo compromettere i progressi che negli anni sono stati realizzati per garantire una mobilità pubblica a sempre più basso impatto ambientale, occorre adottare tutte le misure idonee a garantire la sicurezza degli utenti del TPL, anche agendo sulla percezione del pericolo con adeguate campagne di comunicazione che, tuttavia, non vediamo ancora all’orizzonte. Affrontare l’emergenza Covid di per sé è necessario ma non sufficiente: serve una strategia chiara sugli investimenti e sulle scelte. Ad oggi registriamo che gli unici soldi destinati dalla Regione al rinnovo dei mezzi pubblici sono quelli messi a disposizione dal Governo nazionale”
“Se le prossime settimane non saranno affrontate adeguatamente – conclude Alberto AVETTA – la flessione del TPL si consoliderà nelle abitudini dei cittadini e rischia di trovare risposta nel ritorno all’utilizzo massivo dell’auto privata. E questo è uno scenario che dobbiamo assolutamente scongiurare sia per le conseguenze finanziarie sulle casse delle aziende di trasporto sia per le conseguenze sull’aria che respiriamo”.