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A che punto è la notte

Dalla morte di Cesare Romiti ai 35 giorni alla Fiat il passo è breve. 40 anni giusti giusti. Si rientrava la terza settimana d’Agosto, visto che agli inizi di settembre incominciava la Festa dell’Unità al Parco Ruffini.

Concerti al Palasport ricordando di quando giocavamo a Basket. A 23 anni hai il mondo in mano. Magari ancora per poco. Stava cominciando la stagione delle disillusioni.
Qualcosa nell’aria si sentiva. Il vento era cambiato ma ammetterlo era dura. Nel 1979 alle politiche anticipate il Pci, per la prima volta nella storia repubblicana, ebbe meno voti della precedente. Alle amministrative dell’ 80 l’emorragia sembrava finita. In particolare a Torino  l’ effetto Diego Novelli si fece sentire. Se non ricordo male superò le 100 mila preferenze. In molte schede c’era solo il suo nome. Indubbiamente il Sindaco più popolare di Torino. La conosceva a menadito. Da Gianpaolo Pansa fu soprannominato “penna bianca”. Da noi figiciotti il Santo. Perché? In via Chiesa Della Salute 47, storica sede della Federarazione, 5 piani con relativi sottotetti adibiti ad uffici. Si votava fino alle 14. Poi iniziavano gli scrutini. Notoria l’efficienza della macchina organizzativa nella raccolta dei dati elettorali. Per le prime volte una ventina di seggi campione da dove il solerte compagno telefonava in federazione ogni 100 schede scrutinate. Concretamente, in tempo reale si capiva cosa stava succedendo. Verso le 16 si capiva che i comunisti vincevano, e verso le 18 che i comunisti stravincevano a Torino. Ed eccolo Diego Novelli comparire all’orizzonte reduce da Palazzo di Città. La via bloccata dalle tante persone che leggevano i risultati sulla bacheca. Per telefonini ed internet si sarebbe dovuto aspettare un decina di anni. Il Sindaco dovette scendere dall’auto “protetto” da un un cordone del mitico servizio d’ordine del PCI. Applausi a go go. Ad un certo punto un urlo di gioia. Uno solo, un solo un grido con mille significati. Diego bacia mio figlio. Avrà avuto dai tre ai quattro anni, issato dal padre, appunto per essere baciato. Novelli sorrise ed accarezzò il bambino. Indubbiamente aveva connaturato il senso del limite che non aveva il sottoscritto. Infatti, raccontando il tutto, un po’ ci ricamai sopra. Scherzavo con il fuoco, cercando di dissacrare un mostro sacro. Il numero uno in assoluto. Sovversiva la regola che vedeva nel segretario provinciale il numero uno. Renzo Gianotti che sarebbe diventato senatore della Repubblica. Già da alcuni anni si parlava della sua sostituzione. Due galli nel pollaio: Piero Fassino e Giuliano Ferrara. Pezzi da novanta perché allora Torino contava. Ugo Pecchioli propose al giovane Fassino di diventare segretario dei Giovani Comunisti, e dopo responsabile delle fabbriche. Giuliano Ferrara il rampollo per eccellenza. Troppo romano per diventare segretario di Torino. Il braccio destro di Novelli, Giancarlo Quagliotti, magari ci fece un pensierino. Due anni dopo, con il caso Zampini fu spazzato via ed addirittura sospeso e poi espulso dal PCI. Diego Novelli denuncio’ lo scandalo e pagò momentaneamente. Al congresso del pci era tra i candidati per essere eletto nel Comitato Centrale. Fu tutto rinviato e a nulla valse la sua decennale anicizia con Giancarlo Pajetta. Al sindacato Fausto Bertinotti addirittura segretario nazionale di Rifondazione comunista. Più che sindacalista sembrava un poeta. Sostitui’ Sergio Garavini anche lui sindacalista e soprattutto torinese. Alla Fiom Cesare Damiano, grande amico e sodale di Piero Fassino , futuro Ministro del lavoro e dell’industria. Ci si stava preparando ad uno “scontro all’ultimo sangue ” tra due forze opposte. Poi si seppe che c‘erano stati incontri segreti tra le parti con in nulla di fatto. All’inizio di settembre le idee non erano così chiare , almeno nella cosiddetta base.C‘era sempre la speranza che Fiat provocasse per alzare il prezzo di richiesta di contributi. Da lì a poco si capì’ che Cesare Romiti non scherzava. Tra l’amministratore delegato Fiat e il  Sindaco non ci fu mai un buon rapporto. Indubbiamente questione di stili diversi. Diego Novelli vide nel siluramento di Umberto Agnelli da parte di Cuccia la conferma che Cesare Romiti era solo un esecutore delle volontà della finanza capitanata da Mediobanca. Nulla di più distante da quella cultura del lavoro rappresentata dal PCI, dal sindacato e sicuramente da Diego Novelli -classe 1931- che aveva imparato la lotta di classe quando aveva ancora i calzoni corti. Per l’ennesima volta stavano cambiando i cosiddetti rapporti di forza tra padronato e classe operaia. Storicamente altalenanti. Ma stava anche cambiando Torino in modo irreversibile ed in modo irreversibilmente negativo per la nostra città. Diciamola in un altro modo. La ferocia dialettica e il conflitto tra capitale e lavoro portava due cose. Sviluppo della città e formazione di una classe dirigente su tutti e due i fronti. La Storia non si fa con i se ed i ma. I fatti, ad esempio, sono che le auto Fiat non si vendevano più come una volta. Secondo, che in questi ultimi 40 anni la classe operaia è ridotta ai minimi termini. Torino vive una crisi d identità e di rapprentanza politica totale. Per decenni ha cercato di costruire e costruirsi alternative credibili non riuscendoci. Oggi siamo oltre il viale del tramonto e il non funzionamento del Sistema del paese si concretizza nel non sviluppo del nostro non-sistema. Appunto l’incapacità a più livelli di proporre per poi decidere ed attuare, realizzare. Troppo presto per poter avere una memoria condivisa. Anzi , quasi sicuramente si sprecheranno giudizi di parte che partiranno dall’ideologia e non dai fatti. Molti, fin troppi , più preoccuoati di colpevolizzare l’avversario politico che capire del perché di certi processi economici, politici e sociali. L’ideologia è nemica della Storia. Anche l’ignoranza che produce, di fatto e concretamente,  l’incapacità di proporre, decidere e fare. Vero, oggi ci sono meno soldi di ieri. Ieri non c’era il drammatico problema dell’immigrazione non controllata e dunque selvaggia. Anche se (giusto per dovere di cronaca) il romanzo A che punto è la notte di Fruttero e Lucentini e’ decisamente chiaroveggenza su quello che sarebbe avvenuto in Fiat come sull’emigrazione. Editato nel 1979, giusto un anno prima del settembre 1980. Personalmente non vedo alternative. Chi ci governa dovrebbe conoscere e sapere. E l’intelligenza si abbina al sapere.  Su questo, ultimamente siamo decisamente debolucci sia Torino che Roma.
Patrizio Tosetto

Rom, Forzese (FdI): “Comune doppiogiochista”

“Apprendiamo con stupore che, dopo aver negato per quasi una settimana l’esistenza del problema, finalmente l’Amministrazione comunale si sia decisa ad intervenire per sgomberare il campo rom abusivo sorto dopo l’abbandono di via Germagnano.” Così Enrico Forzese di Fratelli d’Italia.

“Per primi, come Fratelli d’Italia, ci siamo recati sul posto per vedere la situazione con i nostri occhi ed ascoltare i residenti. L’Appendino aveva risposto alle sollecitazioni dell’opposizione sostenendo che, di fatto, ci fossero soltanto due roulotte abusive: ancora una volta ha mentito ai torinesi.” continua Forzese.

“Chiediamo chiarezza al Comune: quali misure saranno attuate per recuperare i 1000€ assegnati alle famiglie sgomberate in via Germagnano che non hanno rinunciato al nomadismo? Pretendiamo che quei soldi vengano recuperati coercitivamente, se necessario: si tratta di soldi e risorse dei torinesi che non possono esser buttate via nell’ennesimo regalo agli irregolari. Il Sindaco ci deve delle risposte e, per una volta, dovrà essere Chiara.” conclude Forzese.

Forza Italia: “Impegno per il tribunale dei brevetti”

Osvaldo Napoli e Daniela Ruffino, parlamentari piemontesi di Forza Italia intervengono Sulla candidatura di Torino per ospitare la sede del Trinunale europeo dei brevetti

”E’ scritta nella sua storia. Per questa ragione non esitiamo a riconoscerci nella richiesta avanzata nei giorni scorsi dall’assessore Sacco. Al di là delle ovvie distinzioni politiche, non possiamo non condividere la legittimità di una candidatura come quella di Torino, città dove è stata fondata l’Accademia delle Scienze e dove è stata inaugurata la prima sede dell’Ufficio italiano brevetti e marchi. Senza trascurare il fatto che a Torino hanno la loro sede i più importanti studi legali specializzati in proprietà intellettuale.”

Referendum, Di Maio ribadisce il proprio SI’

Il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ribadisce il proprio sì e quello di M5S al referendum sul taglio dei parlamentari, in una intervista rilasciata a Fanpage: 

“L’obiettivo di questa riforma è portare il numero dei parlamentari italiani a quello della media europea: la Germania ne ha circa 700, la Francia circa 500, mentre  l’Italia ne ha 945. E’ un numero ampio perché questo Parlamento è stato disegnato dopo il fascismo, quando andava creato uno Stato.

Poi sono nati i consigli regionali, i consigli comunali. Oggi tagliare 345 parlamentari significa tornare a una normalità”.  Per Di Maio “Non è una battaglia di anti-politica, ma ci sono anche dei risparmi, mezzo miliardo nel complesso. Sono soldi che gli italiani risparmieranno. All’ultima votazione tutti i partiti l’hanno votata, e quindi ci aspettiamo un sostegno anche da chi l’ha votata in Parlamento”.

 

Referendum, Grimaldi (LUV): “Voglio farmi rappresentare meglio, non meno”

“Per questo voteremo NO”

“La nostra Costituzione è nata, tra gli altri scopi, per unire un Paese profondamente diviso, mentre il prossimo 20 settembre il Referendum sarà l’ennesima occasione per disgregarci – commenta Marco Grimaldi, capogruppo di Liberi Uguali Verdi in Regione. 

“Il taglio dei parlamentari ci rende tutti più distanti, e questo è d’altronde il ruolo del populismo: metterci sempre gli uni contro gli altri sotto slogan che non rappresentano la realtà: non possiamo farci sfamare continuamente dagli slogan populisti che equiparano un parlamentare ad uno spreco”.

“Noi – prosegue Grimaldi – da sempre ci battiamo per aumentare la qualità dei nostri rappresentanti: crediamo che si debba raggiungere la parità di genere in Parlamento e nei Consigli regionali e siamo convinti che ci voglia più rappresentanza. Sappiamo che ancora oggi molta parte della società non riesce a far sentire la propria voce nelle istituzioni e la diminuzione del numero dei parlamentari non risolve questo problema, lo esaspera e allontana ancora di più il Parlamento dai cittadini. Voglio farmi rappresentare meglio, non meno: per questo settembre noi voteremo NO”.

Flash mob radicale davanti al consolato della Bielorussia

Si è svolto oggi a Torino un flashmob di Radicali Italiani e dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta di fronte al Consolato onorario della Bielorussia proprio mentre a Minsk infuriano le violenze del regime contro i manifestanti.

I militanti e dirigenti radicali avevano in mano fiori bianchi e rossi, i colori delle bandiere sventolate nella capitale della Bielorussia dai democratici che pretendono libertà e nuove elezioni.
Igor Boni, presidente di Radicali italiani, commenta:
“Il nostro regalo al dittatore liberticida, Aleksandr Lukashenko, che proprio oggi compie gli anni, mentre nella capitale i suoi militari reprimono con la forza le manifestazioni nonviolente che chiedono nuove elezioni, sono i fiori bianchi e rossi della bandiera storica della Bielorussia. Una bandiera che oggi significa democrazia e libertà dal giogo del regime. Serve un’Europa unita, con una politica estera e militare comune, per difendere gli amici bielorussi dalla repressione del loro dittatore e dall’ingerenza dell’espansionismo russo. Una vera e propria vergogna che di fronte a Putin, il quale candidamente dichiara di aver preparato le forze militari per un intervento in Bielorussia, non si levi una indignazione e una risposta adeguata.”

Referendum, il voto “contro” e non solo “per”

In ogni contesa referendaria – e la concreta esperienza storico e politica italiana lo conferma in modo persin plateale – si vota per riaffermare la propria posizione con forza ed intransigenza ma, al contempo, si vota anche “contro” qualcuno o qualcosa. Sono gli stessi dibattiti referendari che ce lo dicono con rara chiarezza.

Perchè, accanto al merito dei quesiti referendari, c’è sempre un contesto, o meglio, un ambiente politico da cui non si può prescindere. E in ballo, dietro al quesito referendario, ci sono degli avversari/nemici da ridimensionare o da abbattere politicamente. Com’è sempre, e puntualmente, avvenuto.

Insomma, c’è sempre una miscela permanente e strutturale tra voto “per” e voto “contro”. E questo vale anche, se non soprattutto, per il voto sul taglio dei parlamentari del prossimo 21/22 settembre. Dopo una partenza in sordina e un po’ piatta, forse per l’atavica paura di incrociare le spade contro il populismo anti politico ormai dominante, gli organi di informazione hanno iniziato a sviscerare e a spiattellare i vari retroscena che giustificano questo assunto. Cioè il voto “contro”. Ma non contro la casta, l’establishment, il potere costituito e i privilegi. Cioè tutto l’armamentario caro alla storica, e ormai sempre più noiosa, propaganda del populismo grillino. Perchè, oggi, su tutti gli elementi che si vogliono o si possono accampare, ce n’è uno che svetta sugli altri. Senza concorrenza. E cioè, per chi voterà No, si tratta anche e soprattutto di un voto contro l’antipolitica, contro l’antiparlamentarismo, contro la demagogia, contro il populismo, contro i detrattori della democrazia rappresentativa, contro i predicatori della tanto detestata casta. E quindi, contro i detrattori della rappresentanza democratica parlamentare. E cioè, per sintetizzare ancora meglio, contro il progetto politico e l’esperienza politica dei 5 stelle. Senza coinvolgere il Governo o il Premier che, francamente in questo caso, sono abbastanza estranei alla materia in questione. Perchè è inutile girarci attorno. Se vince il Sì, come è evidente a quasi tutti, vince il progetto populista, antiparlamentare e antipolitico dei 5 stelle. E basta. Con tanti saluti a quel 95% che ha votato, irresponsabilmente e forse anche un po’ ipocritamente, Sì al quarto passaggio parlamentare. Non a caso sta progressivamente, ed esponenzialmente, aumentando di numero di tutti quelli che rivedono la propria posizione al punto che la fatidica “libertà di coscienza” o “libertà di voto” sta diventando la parola d’ordine che alcuni partiti lanceranno ai propri elettori, pur sostenendo molto timidamente un Sì burocratico e protocollare. Una posizione tipicamente ed autenticamente pilatesca, nonchè irresponsabile, perchè tutti ben sappiamo che la libertà di coscienza centra poco, se non nulla, con i processi di revisione costituzionale e con la visione della democrazia e delle istituzioni repubblicane che ogni partito, almeno per decenza, dovrebbe avere senza appellarsi qualunquisticamente alla coscienza dei singoli. Ma, al di là di questo malcostume politico, è indubbio che il voto “contro” in questo mese può innescare un meccanismo politico ed elettorale difficilmente controllabile e verificabile. Anche perchè il voto cosiddetto “anti casta ed antiestablishment” esaltato e teorizzato dai 5 stelle per giustificare il Sì rischia, almeno in questa occasione, di trasformarsi in un potenziale boomerang. E questo per un semplice motivo. Di norma, chi conta il maggior numero di parlamentari, di ministri, di sottosegretari, di membri dei più importanti consigli di amministrazione del potere nazionale, difficilmente può continuare a fare battaglie contro la casta e contro l’establishment. Perchè, come dovrebbe essere noto un po’ a tutti, la casta, da sempre, coincide con chi detiene il potere e con chi è al potere in quel particolare momento storico. Per questo il voto “contro” la propaganda populista e anti politica dei 5 stelle entra a pieno titolo nella battaglia referendaria del prossimo 21/22 settembre. Piaccia o non piaccia ai sostenitori, legittimi, del Sì e del No.

Giorgio Merlo

Scuola, Ruffino (Fi): “Stop ai tagli nei piccoli comuni e in montagna”

“Delle tanto attese compensazioni, e parliamo di 57 miliardi di euro che mancano, non vi è ancora traccia. Intanto, prosegue il piano di desertificazione della valle di Susa e, in particolare di Chiomonte, territorio messo a dura prova da manifestazioni, cantieri, difficoltà, con un eterno cantiere NLTL, una valle che attende da anni risorse, rilancio, investimenti, un commissario, ma che invece riceve solo tagli.

Le compensazioni debbono prevedere uno stop ai tagli ed in particolare sulla scuola.  La decisione delle autorità scolastiche di effettuare tagli delle classi nella scuola primaria di Chiomonte, così come in molti altri piccoli comuni e di montagna, è sbagliata, inopportuna, assurda e in controtendenza rispetto a quanto si sta facendo sul piano nazionale”.

Lo dichiara Daniela Ruffino, deputata di Forza Italia.

“La riduzione delle classi comporta non solo un aumento del numero degli alunni per classe, in un momento in cui si cerca di far ripartire la scuola in totale sicurezza, garantendo il distanziamento, ma riduce drasticamente il numero degli insegnanti, quando invece si parla di assunzioni. Il paese ha bisogno di risorse, investimenti economici e in capitale umano. Tagliare sarebbe sbagliato, una beffa per gli abitanti che da anni attendono. La ministra Azzolina parla di classi pollaio? Bene, si parta dalla montagna. Sono inqualificabili gesti che penalizzano zone già disagiate, zone in cui i governi non hanno mai mantenuto le promesse: ora è tempo di dare, non di tagliare”, conclude.

Travaglini: “Perché  voterò NO al referendum” 

Il 20 e 21 settembre 2020 si voterà per il referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari: la riforma costituzionale propone di ridurre di un terzo i parlamentari di Camera e Senato—da 945 (630 alla Camera e 315 al Senato) a 600 (400 alla Camera e 200 al Senato). 

L’intento della riforma, nata sulla scia dei malumori populisti del Movimento 5 stelle e in seguito appoggiata passivamente da quasi tutto l’arco parlamentare, è responsabilizzare la classe dirigente e ridurre i costi della politica. Al contempo, modificando alla base l’apparato del potere legislativo, potrebbe avere conseguenze nefaste nel lungo periodo, in termini di rappresentanza democratica e funzionamento del processo decisionale istituzionale.

Per responsabilizzare la classe dirigente non basta (e, forse, non serve) ridurre il numero dei rappresentanti: così come per abolire la povertà non basta il reddito di cittadinanza e per eliminare la corruzione non basta il decreto “spazza-corrotti”. La visione per cui basterebbe una legge per raggiungere un obiettivo così complesso è semplicistica nonché mistificatoria. Dietro questa misura apparentemente innocua non c’è alcuna idea di riforma dello Stato, ma soltanto una visione meschina della politica e una volontà punitiva nei confronti della democrazia parlamentare.

Sui costi, invece, il dibattito è puramente demagogico: tra Camera e Santo, la riduzione dei parlamentari creerebbe un risparmio potenziale stimato tra i 57 e gli 81 milioni di euro all’anno — anche arrotondando per eccesso a 100 milioni, si tratta di cifre irrisorie per lo Stato italiano (si pensi che ogni anno lo Stato convoglia verso le scuole private circa 300 milioni). Paradossalmente, Camera e Senato con un solo parlamentare avrebbero costi solo di poco inferiori a quelli attuali: molte delle spese, infatti, sono “fisse”, e non dipendono dal numero di eletti. C’è poi da considerare il costo stesso del referendum: nel 2016, il referendum costituzionale costò circa 300 milioni di euro: in pratica, tre anni di risparmio andrebbero già in fumo con il voto stesso.

Ci sono poi ragioni più tecniche per essere contrari al taglio dei parlamentari. In primis, come sollevato dai Radicali, con meno parlamentari le decisioni potrebbero andare a rilento nonché essere suscettibili al potere di pochi — ad esempio, le commissioni al Senato saranno composte da 10 Senatori che potranno deliberare con una maggioranza di soli 4 Senatori. Discorso simile per i voti di fiducia e le future riforme costituzionali, i cui esiti potranno dipendere da maggioranze risicate e dai Senatori a vita — in pratica, in Italia, il potere legislativo potrebbe essere accentrato nelle mani di oligarchie di partito (ancorché considerando che pochi partiti italiani hanno dinamiche interne trasparenti e partecipate).

C’è poi un problema in termini di rappresentanza: attualmente, in Italia si ha 1 eletto ogni 64.000 cittadini (un rapporto già inferiore rispetto quanto immaginato dai Padri Costituenti: ci sono 20 milioni di cittadini in più rispetto il 1948). Se passasse la riforma costituzionale, con 600 parlamentari eletti, si avrebbe un rapporto di un eletto ogni 101.000 persone. Con la riduzione dei collegi verrà compromessa l’omogeneità della popolazione elettorale (si pensi alle minoranze linguistiche) e aumenterà la discrezionalità con cui i perimetri dei collegi stessi verranno disegnati. Inoltre, la riforma porterà uno squilibrio di rappresentanza tra le varie Regioni italiane. Proprio per questi motivi sarebbe necessario che il mero taglio del numero dei parlamentari venisse accompagnato da una riforma più ampia dell’ordinamento e della legge elettorale.

Responsabilizzare la classe dirigente ed efficentare la spesa pubblica sono obiettivi nobili ma devono essere perseguiti in una visione complessiva d’insieme e non con un mero taglio della rappresentanza parlamentare. Per questo , come uomo di sinistra, voterò NO.

Marco Travaglini, già dirigente della sinistra piemontese e consigliere regionale DS-PD

No al moralismo populista

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IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni / La questione del referendum sul taglio dei parlamentari è questione squisitamente politica, con risvolti chiaramente costituzionali.

La coscienza non c’entra nulla e il Pd, che si è convertito di recente al  sì al taglio, non può contemporaneamente dirsi per il sì e lasciar liberi i suoi elettori.

 

Un partito politico, specie un partito che afffonda le sue radici nel vecchio PCI,  non può, su una questione del genere, oscillare per motivi di governo e di trasformismo.  E questo vale  anche per il centro-destra che pavidamente ha votato la legge e oggi riscopre in parte le ragioni del no. Guardando ai parlamentari attuali, esclusi pochissimi, verrebbe voglia di mandarli a casa con un taglio che impedisca  a molti di tornare. Ma chi ci dà la garanzia che verranno ricandidati i migliori? Nessuno, perché i parlamentari restano designati dai partiti e messi in ordine di preferenza. Il ritorno alla preferenza nessuno lo vuole. Il risparmio rappresentato dal taglio è minimo, semmai bisognerebbe tagliare l’indennità e abolire i rimborsi spesa. In ogni caso il taglio riduce la rappresentatività del Parlamento sia in sede territoriale sia in rapporto alle minoranze. Non sono un fanatico del no, ma non riesco a capire i partiti politici che si schierano e poi danno libertà agli elettori. Amalia Guglielminetti parlava di vergini folli, adesso si potrebbe parlare, come ha detto un’amica giornalista, di vergini incinte. La politica appare davvero finita e quindi la stessa democrazia è in crisi. I referendum non ammettono il ni, bisogna scegliere. Neppure su divorzio ed aborto, dove era  realmente in gioco la coscienza dei credenti e  la laicità dello Stato, vennero fatte scelte ambigue, forse obbligati da Pannella che era il leone che ruggiva in difesa dei referendum. In ogni caso va respinto il populismo moralistico di stampo qualunquistico che da Giannini a Stella confondono  la  Politica con la casta. L’unica cosa giusta della legge sul taglio  è  quella di contenere i senatori a vita in carica e non consentire ad ogni presidente di nominare senatori che possono alterare le maggioranze  parlamentari in modo penoso con senatori a vita che sorreggevano il governo Prodi. La legge avrebbe dovuto abolire e non ridurre i parlamentari eletti all’estero, un’esperienza non riuscita, anche se apparentemente giusta. I parlamentari venuti dall’estero si sono rivelati trasformisti e mediocri. In ogni caso chi non paga le tasse in Italia non deve poter votare. La legge del taglio è errata e demagogica. La cultura liberale non può non schierarsi con chiarezza per il No

 

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