IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni
Fu il governo Monti a bloccare il ponte sullo stretto di Messina che ora ha trovato nell’attuale governo chi intende riprendere il lavoro erroneamente interrotto. Queste polemiche sul ponte di Messina che si trascinano da tanti anni, rivelano una visione provinciale che condanna il Sud e la Sicilia a rimanere indietro ed isolata, sarebbe proprio il caso di dire. Sono stato ad Istanbul e i due ponti che collegano le sponde del Bosforo, opera di un’impresa italiana, sono elementi essenziali della vita della grande metropoli che lega Occidente e Oriente. In Turchia erano tanto più avanti di noi. Bloccare tutto perché potrebbe esserci la mafia ad approfittarne è un ragionamento obsoleto che offende in primis i siciliani. Non parliamo degli ambientalisti che vedono nel ponte colate di cemento destinate a distruggere la natura. Il cemento della speculazione edilizia può essere a volte delittuoso, ma il cemento per un’opera pubblica ciclopica come un ponte è cosa indispensabile. E’ persino un’ovvietà. Ci possono anche essere alcune obiezioni legittime perchè le aree sismiche interessate devono prevedere la massima cautela, come ci dimostra l’esperienza giapponese. Ma essere per principio contrari alle grandi opere è cosa non accettabile che ha gravemente penalizzato l’Italia in generale. C’è stato chi ha definito l’impresa del ponte “un vecchio modo predatorio di concepire il mondo“ . Il vecchio, insostenibile modo di bloccare tutto, ululando alla luna, ha ridotto l’Italia a non essere più da tempo al passo con la modernità. La decrescita felice deve finire una volta per tutte. Cominciamo dal ponte, ben sapendo che l’arretratezza italiana non è solo a Villa San Giovanni e a Messina.