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Inaugurazione 53esimo anno del Centro Pannunzio con Quaglieni e Oliva

Venerdì 10 settembre alle ore 17,30 al Parco delle Vallere (corso Trieste 98, Moncalieri), lo storico Gianni Oliva presenterà il nuovo libro di Pier Franco Quaglieni La passione per la libertà. Ricordi e riflessioni, Buendia Books. Introdurrà l’assessore alla Cultura Laura Pompeo

Il prof. Pier Franco Quaglieni

Un libro carico di reminiscenze pannunziane, di figure importanti (a partire da quella del fondatore de “La Stampa“ Alfredo Frassati e dei professori che non giurarono al fascismo , per giungere a Federico Chabod ,Guido Ceronetti  ,Massimo Mila, Giampaolo Pansa , Ottavio Missoni e a tanti altri ). Il volume contiene anche riflessioni  storiche su pagine cruciali delle vicende italiane della più recente storia contemporanea . Chiude il volume una lucida analisi sul tema della laicità, del laicismo del Cristianesimo e dell’Islam con pagine che sembrano scritte dopo l’occupazione talebana di Kabul. Il libro polemizza con Alessandro Barbero sulle foibe, criticando le testi negazioniste ,poi in parte riviste  e fa una confutazione  anche degli attacchi al Risorgimento del comico – politico Grillo.

Laura Pompeo

Sarà anche un modo per rendere omaggio a tanti amici del Centro “Pannunzio” scomparsi, a partire da Giovanni Ramella, Luigi Resegotti , Paolo Macchi di Bricherasio, Nicoletta Casiraghi, Marco Weigmann che costituiscono una parte del libro di Quaglieni. L’autore che  e’ al settimo libro “non accademico”,si occupa da oltre quarant’anni di storia risorgimentale e contemporanea,essendo stato allievo di Alessandro Galante Garrone e di Franco Venturi. E’ pubblicista dal 1968 ed ha fondato insieme ad Arrigo Olivetti e Mario Soldati il Centro Pannunzio in quello stesso anno  .E’ direttore della rivista on line “Pannunzio magazine”. E’ stato insignito in Francia del Premio “Denise Diderot“ e in Spagna del Premio “ Salvador de Madariaga“.

Sono obbligatori il green pass o la certificazione di effettuazione del tampone molecolare con validità 48 ore. 

“Dialoghi con Leucò” Nuova proposta editoriale

LIBRI / Libro cartaceo + audiolibro, per i ventisette racconti scritti fra il 1945 ed il 1946 da Cesare Pavese

In uscita  giovedì 9 settembre

Santo Stefano Belbo (Cuneo)

Era l’opera che Cesare Pavese – scrittore, poeta, traduttore, critico letterario, fra i maggiori intellettuali del secolo scorso –considerava come la più importante del suo percorso di scrittura e della sua attività letteraria. Il suo “capriccio”, il suo “quarto di luna” ebbe a definire lui stesso i“Dialoghi con Leucò” (27 racconti brevissimi, a sfondo mitologico e simbolico in cui divinità ed eroi della Grecia classica discutono i grandi temi universali dell’esistenza) in occasione della prima pubblicazione nel 1947. Libro per lui così importante (“l’unico che valga qualcosa”, scriveva manu propria in una lettera indirizzata a Parigi, il 25 agosto del ’50, al critico cinematografico Nino Frank) da diventare spazio su cui lasciare impresse le sue ultime parole rivolte al mondo. Era il 27 agosto del 1950, quando il corpo senza vita di Cesare Pavese, nato il 9 settembre del 1908 a Santo Stefano Belbo nell’Alta Langa, fu trovato disteso sul letto –  dopo avere ingerito oltre dieci bustine di sonnifero- in una camera dell’albergo “Roma” in piazza Carlo Felice a Torino, dove soggiornava dal giorno precedente. Accanto, sul tavolino, a fargli compagnia nel suo estremo viaggio, proprio il libro da lui più amato, i “Dialoghi con Leucò”, recanti sulla prima pagina le sue ultime parole: “Perdono tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”. Qualche mese prima, nel giugno del ’50, aveva vinto il “Premio Strega” con “La bella estate” e, dieci giorni prima, aveva scritto sul diario (pubblicato postumo nel 1952 con il titolo “Il mestiere di vivere. Diario 1935 – 1950”): “Questo il consuntivo dell’anno non finito, che non finirò…Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più”. Parole che scavano l’anima, in cui si legge a chiare lettere il profondo disagio esistenziale di un uomo,  di uno scrittore per cui tutto è ormai buio totale. Silenzio, dolore, massacro dell’anima. La sua fama superò di gran lunga, però, la sua breve vita. E le sue parole, le  sue opere, continuano e continueranno ad accompagnarci come fossero appena partorite dalla sua penna e dal suo pensiero. Nasce di qui l’dea di omaggiare il grande scrittore di Santo Stefano Belbo con una nuova proposta editoriale, nata dalla collaborazione fra la “Fondazione Cesare Pavese” ed “Emons” dedicata proprio ai suoi tanto amati “Dialoghi”: una proposta da  leggere e da ascoltare, un audiolibro con le voci recitanti di sei attori (fra i più apprezzati del panorama teatrale italiano, da Michela Cescon a Paolo Cresta, da Alessandro Curti a Marcello Fois a Iaia Forte e a Neri Marcoré), accompagnato dal libro cartaceo, con la curatela dello scrittore Marcello Fois, che andrà a far parte della nuova collana “Double face” di “Emons”, editrice leader nella realizzazione di audiolibri. Così, nell’anno in cui sono scaduti i diritti per la pubblicazione delle opere pavesiane, i “Dialoghi con Leucò” saranno presentati, nella nuova veste editoriale, il prossimo giovedì 9 settembre, giorno del compleanno di Pavese,  a Santo Stefano Belbo (Cn) nel corso del “Pavese Festival”, organizzato ogni anno dalla “Fondazione” a lui dedicata e diretta da Pierluigi Vaccaneo. Alle ore 18.30, sul palco di Piazza Umberto I, Marcello Fois, la “Fondazione” ed “Emons” racconteranno il progetto e leggeranno, con sottofondo musicale di Gavino Murgia, diverse pagine dei racconti. Alle ore 21.30 l’attore Alessandro Preziosi proporrà in prima nazionale un ampio viaggio, tra letture e musica, nell’opera di Pavese.  “Nei ‘Dialoghi con Leucò’ il lettore trova uno specchio – spiega Pierluigi Vaccaneo – in cui trovare e ritrovare il proprio percorso umano, attraverso il Mito e la traduzione che del Mito fa Pavese stesso. I ‘Dialoghi’ sono dunque una conversazione a più voci, dove lettore, autore, personaggi e Mito sono sullo stesso piano, svelati. Dare voce a questo dialogo, attraverso l’audiolibro che assieme a ‘Emons’ abbiamo realizzato, è offrire a un pubblico sempre più vasto, attraverso grandi artisti italiani, una nuova opportunità di conoscenza e consapevolezza. Una sfida che la casa editrice Emons ha accolto con entusiasmo e passione, condividendo una visione inclusiva e partecipata della cultura che la nostra ‘Fondazione’ sta portando avanti con le sue diverse attività”.

g.m.

Don Dante Caprioglio un monferrino sulle orme di Don Bosco

LIBRI / Don Dante Caprioglio, ma tutti lo ricordano come Don Dante è una di quelle persone che nel loro passaggio terreno hanno lasciato un segno, anzi più di un segno, come religioso, come insegnante, come sportivo. Nato nel 1920 a San Martino, frazione di Rosignano Monferrato (in provincia di Alessandria) a soli 10 anni intuì la vocazione frequentando il Seminario di Casale Monferrato e concludendo il corso ginnasiale presso i salesiani del Valentino, sempre a Casale.

Poi frequentò il corso di filosofia presso i Pontificio Ateneo Salesiano a Torino, conseguendo il Baccellierato, cui seguirono 3 anni di tirocinio pratico all’Istituto San Lorenzo di Novara, Nel 1940 sostenne la maturità classica al liceo classico Carlo Alberto di Novara, frequentò per 4 anni il corso di teologia all’Istituto internazionale teologico di Torino e venne ordinato sacerdote il 30 giugno 1946. Nello stesso anno fece il suo primo incontro con il collegio San Carlo di Borgo San Martino, poi fu ad Asti, Vercelli, Novara, Faenza, e nel 1951 si laureò in lettere e filosofia all’Università di Torino. Dopo aver insegnato dal 1949 al 1955 nel liceo salesiano a Novara ritornò a Borgo San Martino nel 1956 e qui iniziò il suo lungo rapporto con il collegio salesiano fondato nel 1870 da Don Bosco, un rapporto durato 60 anni nei ruoli di consigliere, direttore, preside e docente.  La storia di Borgo San Martino, del collegio San Carlo e delle centinaia e centinaia di ragazzi che sono transitati nelle sue aule, in tutto questo periodo è legata alla sua figura, carismatica, oltre che al suo ruolo nella promozione dello sport, nella profondissima convinzione (secondo lo stile e l’insegnamento salesiano) che questo sia una pare integrante dello sviluppo della personalità dei giovani. Così Borgo San Martino divenne un polo di eccellenza tra le scuole salesiane e non solo, con tanti docenti che sono passati di lì, ed un polo sportivo con una squadra, l’Us San Carlo che militò per 27 anni in Promozione ed impianti sportivi di primissimo livello, invidiati da tutti (ed oggi rilevati dal Comune di Borgo San Martino). Don Dante Caprioglio ha terminato il suo cammino terreno il 27 novembre 2016 ma nella sua vita ha lasciato delle profonde orme che rimarranno nel tempo. Per ricordarlo l’Associazione Don Dante Caprioglio Aps ha pubblicato un bel libro, scritto a più mani, “Orme di un passaggio – Don Dante, il San Carlo e altri Racconti’, edito con il patrocinio dei Comuni di Casale Monferrato, Borgo San Martino, Rosignano Monferrato, dell’associazione Amis d’la Curma e del Fai Delegazione di Casale Monferrato. In poco più di 220 pagine viene offerto un vero e proprio ‘affresco’, sprizzante di energia tutta salesiana, dei vari contributi che Don Dante ha dato durante la sua vita, come salesiano, come docente, come sportivo (tra l’altro era appassionatissimo di calcio, in particolare della Juventus), con una serie di simpatici ricordi in libertà che solo chi ha vissuto quegli anni nel Collegio di Borgo San Martino, a contatto con una personalità non comune, può riportare. Il lavoro è chiuso da un ampio cenno storico sul Collegio San Carlo, ad opera di Dionigi Roggero. La presentazione del libro è avvenuta sabato 5 settembre al Castello Paleologo di Casale Monferrato. A fare da moderatore c’era il presidente dell’Associazione, Gabriele Ferraris, che ha ringraziato tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’evento, dai relatori a Julien Coggiola ed Ester Patanella per il supporto organizzativo. Poi si sono susseguiti gli interventi di monsignor Alceste Catella, vescovo emerito di Casale Monferrato, don Marco Durando, responsabile dei Salesiani del Valentino di Casale Monferrato, del dirigente scolastico Maurizio Primo Carandini che ha sottolineato come gli incontri con persone come Don Dante ‘siano incontri che ti cambiano la vita’, del sindaco di Borgo San Martino Giovanni Serazzi. L’incontro è stato impreziosito dalle letture di Gigi Rossi, attore della Compagnia della Nebbia, che ha proposto alcuni brani tra i più significativi del libro. Infine Gabriele Ferraris ha evidenziato che le offerte raccolte dalla distribuzione del libro andranno ad implementare i fondi per le Borse di studio che l’associazione elargisce ogni anno a giovani meritevoli del territorio monferrino nel ricordo di Don Dante.

 

Massimo Iaretti

 

Roberto Calasso: più libri, meno bombe

« Leggere è un eternità all’indietro » affermò una volta Umberto Eco.

In questi giorni di fine estate è venuto a mancare Roberto Calasso,
fondatore insieme a Roberto Bazlen, della rinomata casa editrice
Adelphi. Leggendo i suoi scritti, quella sensazione evocata dal
semiologo alessandrino è percepita chiaramente. Soprattutto nel suo
ultimo saggio uscito in questi giorni luttuosi per la cultura italiana
(”Allucinazioni americane”, Piccola Biblioteca, Adelphi, pagg. 133,
euro 14) una breve raccolta di saggi sul cinema e dintorni. Lo conobbi
di persona molti anni fa al Salone del Libro di Torino, allo stand della
sua casa editrice. Mi colpì per la sua semplicità e disponibilità. Non è
esperienza frequente vedere un editore del suo calibro, incontrare il
grande pubblico, parlando come due persone al bar. Adelphi nacque con il
motto « pubblichiamo solo quello che ci piace » disse Bazlen, triestino,
amico di Calasso fin dagli anni giovanili. Religioni orientali, ”autori
minori” molto comprati in quegli anni, ma poco letti, ripresero ad
essere riediti con una nuova veste grafica, in brossure color pastello,
a prezzi per tutte le tasche. E Adelphi compì il miracolo: gli italiani
ripresero a leggere. Di destra e di sinistra. Calasso, fiorentino, con
in tasca una laurea in letteratura inglese, si trasferì a Milano e lì
diede vita al suo progetto culturale. Mettere in contatto la filosofia
orientale con l’occidente ”moralmente fiaccato” e riconoscere il
debito intellettuale che la tradizione ellenistica, classica e
ebraica-cristiana intrattiene con quella parte di mondo. Videro la luce
tra gli altri testi sui veda, sul sufismo islamico, sul buddismo zen,
sulle mitologie mesopotamiche, sulla gnosi.Gli studi e le conoscenze
esoteriche di Calasso, lo portarono a scrivere contributi sul rapporto
tra il mito e la società dei consumi, il mito come attualità nella
tradizione, la metempsicosi e il cinema di Hitchcock, l’esilio ebraico e
il nomadismo identitario. In questi anni di inizio secolo, le
drammatiche cronache di guerra di questi giorni lo stanno a
testimoniare, sono più che mai urgenti questi scambi di saperi.
Nonostante motivazioni economiche e geopolitiche siano sottese a ogni
conflitto della storia, sono sempre le civiltà e le culture che si
confrontano e si scontrano come sosteneva lo storico americano Samuel
Huntington. Diviene così di importanza vitale, diffondere una visione di
società aperta, per prevenire nuovi conflitti e lenire le tragedie in
corso. Forzando le nostre naturali difese psicologiche e culturali. Come
recita un proverbio afghano «voi avete gli orologi, noi abbiamo il
tempo». Non serve esportare la democrazia o fare intelligenza col
nemico. Roberto Calasso ci dice oggi, che l’Occidente è in decadenza
nichilista, come sostenevano Robert Musil, Ezra Pound, Martin Heidegger
o ai nostri giorni Oriana Fallaci e Michel Houellebecq. I taliban e la
loro visione del mondo censoria e violenta, maschilista e sessista è
filtrata da noi, negli Stati Uniti dalla east alla west coast degli
adepti ‘’anarchici e radical’’ della ‘’cancel culture”, che imbrattano
e distruggono monumenti dedicati a personaggi storici e scrittori, non
in linea con il loro modo di concepire il ”politicamente corretto”.
Ricordano da vicino la distruzione da parte dei guerriglieri sunniti dei
templi buddisti. Questa chiusura mentale che in qualche modo coinvolge i
due emisferi del pianeta è la vera insidia del terzo millennio.
Roberto Calasso l’aveva intuito da intellettuale illuminato e
lungimirante quale è stato. Dopo la diagnosi, aveva suggerito la cura:
più libri, meno bombe . Mancherà come un faro per la società italiana e
europea nel suo complesso e a ognuno di noi, con i nostri pregiudizi.

Aldo Colonna

Quaglieni presenta alle Vallere “La passione per la libertà”

Venerdì  10 settembre alle 17,30 al Parco delle Vallere (corso Trieste 98, Moncalieri), lo storico GIANNI OLIVA presenterà il nuovo libro di PIER FRANCO QUAGLIENI “ La passione per la libertà. Ricordi e riflessioni”, Buendia Books,un libro carico di reminiscenze pannunziane, di grandi figure storiche, di riflessioni su pagine cruciali delle vicende italiane

Chiude il volume una lucida analisi sul tema della laicità,del Cristianesimo e dell’ Islam con pagine che sembrano scritte dopo l’occupazione talebana di Kabul . Sarà anche un modo per rendere omaggio a tre anni dalla morte a Giovanni Ramella ,preside del Liceo “ d’Azeglio” a cui è dedicato un capitolo del libro. E’ stato scelto un parco attrezzato per grandi eventi alle porte di Torino, con il massimo distanziamento ed ampio parcheggio, messo a disposizione dall’Assessore alla Cultura di Moncalieri, LAURA POMPEO, che coordinerà l’Incontro. Sono obbligatori il green pass e la prenotazione ( prolocomoncalieri@gmail.com o 0116407428). Sarà a disposizione gratuita un bus con partenza da Torino (corso Stati Uniti 27) con il dovuto distanziamento di posti.  Per prenotazione obbligatoria tel. al 3488134847.

Con coraggio per la verità

Alba.3 settembre 2021, alle ore 17:00, Sala Beppe Fenoglio(Cortile della Maddalena)

Tavola rotonda e presentazione del libro “Con coraggio per la verità – Storie pubbliche e private di un magistrato coraggioso” di Sebastiano Sorbello.  

Un corso di formazione e aggiornamento professionale accreditato dall’Ordine degli Avvocati del Foro di Asti e dall’Ordine dei giornalisti (ndr: a breve in piattaforma Sigef)sul tema della Giustizia in Italia.

La Tavola rotonda – corso di formazione, si terrà a cura del Club Lions Alba Langhe, dell’Associazione Culturale Giulio Parusso di Alba e Solstizio d’Estate Onlus.

Il corso prenderà spunto dalla presentazione dell’ultimo lavoro editoriale del dottor Sebastiano Sorbello: “Con coraggio per la verità – Storie pubbliche e private di un magistrato coraggioso”.  

Sorbello: una vita professionale e lunga carriera di Magistrato (Giudice presso il Tribunale Penale di Torino e poi Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Asti) si incrociano per rappresentare una verità scomoda ed a tratti irriverente.  

Il racconto su indagini eclatanti fa da prologo alla disamina delle problematiche della giustizia italiana: connivenza con la politica, spartizione di incarichi, indipendenza e credibilità della Magistratura.

La Tavola rotonda accreditata, è a ingresso libero e sarà coordinata da Gian Mario Ricciardi già capo redattore centrale Rai del Piemonte.

Gli altri relatori saranno Giuseppe Rovera, già giornalista Rai, esperto di cronaca giudiziaria, Stefano Zurlo, parimenti esperto di cronaca giudiziaria de Il Giornale, l’avvocato penalista Roberto Ponzio del Foro di Asti e Tommaso Lo Russo, giornalista e presidente del Lions Club Alba Langhe.

La Giustizia italiana è come un giallo. Non si sa mai come va a finire.

Si entra e si esce dal carcere. Chi dovrebbe andarci non ci va oppure ne esce troppo presto, mentre altri, se ci entrano, non ne escono più.

E, sulla certezza della pena, ci sono molte declinazioni. Tutti la pensano in un modo antitetico rispetto all’altro.

Figuriamoci se ci si mette di mezzo la politica e pure certa magistratura.

Sulla separazione delle carriere fra magistrati e Pubblico Ministero le opinioni sono contrastanti, stantie, vecchie di anni.

Per non parlare della riforma della Giustizia che, ogni tanto, torna di moda e qualche volta subisce modifiche normative di vario genere, ma quasi mai in modo coordinato, esaustivo, efficace e lungimirante. Semmai sono norme tampone, valide nella provvisorietà.

I nodi della Giustizia sono tanti, di questi tempi; ci sono in previsione i Referendum proposti dai Radicali e dalla Lega. Le opinioni sull’argomento sono discordanti e, come le convergenze parallele, non si incontreranno mai.

Ma se separazione delle carriere ci dovrà essere, anche l’introduzione della responsabilità dei giudici è importante. Questo è il momento ideale per portarle avanti perché, mai come adesso, la Magistratura, per via di scandali eclatanti, è sotto accusa e indebolita. Si potrebbe dire ora o mai più. Sembra il refrain di una canzone: meglio stasera che domani o mai. Noi pensiamo che sarà mai, ma forse siamo pessimisti.

Il focus sarà in particolare sugli Affair da Palamara ad Amara per arrivare a quello di Davigo, il Grande Vecchio della Magistratura e di Mani pulite, con la proposta conseguente di una riforma del CSM ed un referendum popolare.

I radicali, intanto, hanno portato avanti la raccolta delle firme.

Sono tempi bui per la magistratura e i magistrati e sono all’evidenza tutte le peggiori tragedie e nefandezze in cui si dibatte la Giustizia italiana.

Il libro di Sorbello è un report, una sorta di Bignami denso di notizie, alcune note, altre meno: da Ezio Enrietti, già presidente della Regione Piemonte, a Adriano Zampini, alla metropolitana leggera, allora abortita per passare ad un fantomatico Jumbo Tram, al giallo irrisolto di Ilaria Alpi e le conseguenti indagini partite proprio a cura di Sebastiano Sorbello, fino alle storie di malaffare della stagione di Mani Pulite e alla fine della Prima Repubblica che sarà stata anche corrotta, ma vi erano un fior fiore di capacità politiche.

Per passare ai giorni nostri, dove l’evidenza di desolazione è sotto l’occhio di tutti, anche di quelli miopi.

Ci vuole fegato per parlarne, <<Con coraggio, per la verità>> è un libro che svelerà molti retroscena.

Un viaggio nella memoria di storie e vicende, anche personali, che vi potranno sorprendere.

Le donne dell’Età dei lumi, libere e ignorate

LIBRI / Massimo Novelli “Donne  libere” Interlinea  18 euro

Di Pier Franco Quaglieni

Massimo Novelli è uno dei  migliori giornalisti  torinesi  della sua generazione, figlio dell’ indimenticabile Piero, grande firma della “Gazzetta del Popolo“.  E ‘ stato firma autorevole di ”Repubblica“ ed oggi scrive sul “Mattino“. La sua città, come sempre capita ai grandi torinesi, non gli è stata finora sufficientemente grata. I maggiori riconoscimenti li ha avuti come scrittore non sotto la Mole, ma in tutta Italia. Novelli è un rarissimo esempio di giornalista con una vasta ed approfondita cultura storica. Di norma i giornalisti che scrivono di storia sono leggibili (pensiamo a Montanelli), ma poco approfonditi ed a volte poco attendibili. Cosa opposta si può dire per gli storici che seguono criteri metodologici più o meno rigorosi, ma sono riescono a raggiungere il vasto pubblico con il loro periodare trascurato ed a volte persino contorto (pensiamo a De Felice). Novelli riesce ad essere leggibile, pur affrontando i temi con rigore storico che lo rende un giornalista anomalo. In questo nuovo libro, l’ultimo di una lunga e fortunata serie, affronta un tema di particolare interesse: le donne dell’Eta’ dei lumi: amanti, patriote, eroine e pensatrici settecentesche  in molti casi quasi del tutto sconosciute. L’autore ha sicuramente fatto un lungo e disagevole lavoro di ricerca per consentire ai lettori di conoscere un mondo femminile che fa parte dell’Illuminismo anche se non ha mai contato abbastanza . La Rivoluzione Francese che fu la fase che affermò i principi dell’Illuminismo e li tradì quando scelse il giacobinismo, non fu abbastanza attenta alla parità tra i due sessi perché i suoi protagonisti furono quasi interamente ed esclusivamente uomini. Il cammino della parità non è neppure concluso oggi a distanza di secoli. Le figure femminili che Novelli indaga sono state ignorate da una storia scritta al maschile. Anche un maestro come Franco Venturi che ha scritto pagine conclusive sul ”Settecento riformatore“ e sui diversi Illuminismo, malgrado la militanza politica della giovinezza in G.L., ha rivolto la sua attenzione ai Verri, ai Beccaria, al Passerano amato da Gobetti  e a tanti altri personaggi maschili. Un illuminista sui generis, uomo controcorrente anche lui molto amato da Gobetti, il Baretti manifestò una incomprensione astiosa verso il mondo femminile, malgrado le aperture internazionali della sua vita e della sua cultura. Novelli sembra rispondere a Baretti dimostrando che l’universo femminile settecentesco che passa dai cicisbei e dalle parrucche incipriate alle ghigliottine e alle trichoteuses, è ricco di personalità diverse in tutta Europa che attraversano le classi  sociali, rivelandosi protagoniste capaci di battersi per le loro idee. Novelli  scrive di un  amore del principe Eugenio di Savoia, di una margravia di Brandeburgo, dell’amica di Lord Byron, delle ballerine di Casanova, ma scrive anche di donne che non vivono di luce riflessa. La stessa  moglie del Conte Passerano è un esempio di donna con una sua precisa e forte personalità. Ci sono donne di umili origini, cortigiane, persino soldatesse. Se l’Illuminismo fu una sfida ai pregiudizi, questa sfida andrebbe declinata soprattutto al femminile. E’ un libro obbligatoriamente da leggere da parte di chi chi ritiene il Secolo dei Lumi la grande stagione del rinnovamento  civile e kantianamente  lo sente come l’uscita dallo stato di minorità.  Quello di Novelli è un libro che avrebbe dovuto scrivere Venturi o anche solo Ricuperati. Ma succede che gli storici trascurino elementi importanti e siano i giornalisti a colmare le lacune. Non voglio far arrabbiare l’autore, ma mi sia consentito di ricordare cosa scrisse il giornalista  Pansa su temi ignorati dagli storici. Tra Pansa e Novelli c’è però una grande differenza : il primo non andò mai oltre il giornalismo , mentre Novelli si rivela corazzato di una cultura storica che gli consente di scrivere libri di significativo ed originale spessore storico.

Il Grifo e il Leone, Genova e Venezia in guerra nel Mediterraneo

Fu l’abile mediazione di Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, a far tacere le armi tra Genova e Venezia. La pace, che concluse la guerra di Chioggia, fu siglata a Torino l’8 agosto 1381. A fare il padrone di casa nell’attuale Palazzo Madama fu proprio il Conte Verde che ricevette le numerose delegazioni per la firma del trattato di pace che poneva fine a quattro anni di ostilità tra le due città, super potenze navali e commerciali del Mediterraneo, rivali da almeno due secoli.

Entrambe uscirono sfinite dalla guerra di Chioggia che fu uno dei numerosi conflitti che scoppiarono tra le due Repubbliche marinare. Alla lunga lotta tra Genova e Venezia per l’egemonia nel Mediterraneo orientale è dedicato il libro “Il Grifo e il Leone” di Antonio Musarra, editori Laterza.
Passano le epoche, trascorrono i secoli ma le caratteristiche geopolitiche di quell’angolo di mare non mutano. Anche oggi il Mediterraneo è un luogo di incontri, di scambi culturali e commerciali ma anche di violenti scontri tra potenze rivali. Accadeva nel pieno Medioevo tra Genova e Venezia che per controllare le rotte marine nel Mediterraneo orientale si sono combattute per due secoli e accade oggi tra turchi e greci, con le cannoniere del sultano di Ankara schierate contro le navi ateniesi in una sfida senza respiro per assicurarsi le ricchezze energetiche sottomarine. Una contesa che infiamma l’intero Mediterraneo dell’est coinvolgendo anche Cipro, Israele, il Libano e l’Egitto. Sette-otto secoli fa il commercio era fiorente tra un porto e l’altro dove attraccavano galee e imbarcazioni cariche di merci e prodotti ma poi improvvisamente il Mediterraneo si incendiava e gli scambi lasciavano il posto alla guerra. Genova e Venezia furono protagoniste di una lotta furiosa e feroce per assicurarsi il controllo delle vie marittime. Per imporre la propria egemonia sulle principali rotte commerciali “Genova e Venezia, scrive l’autore, ricorrevano a ogni mezzo, lecito o illecito, pur di sopravanzare l’avversario e dimostrare al mondo la propria superiorità”. Un po’ come oggi la lotta nelle stesse acque tra turchi, greci e ciprioti per controllare gas e petrolio nascosti nei fondali del Mediterraneo orientale affollando quel tratto di mare con navi da esplorazione e da guerra. A convincere veneziani e genovesi a deporre le armi fu, come detto, la mediazione del Conte Verde. Il conflitto nell’Adriatico tra Genova e Venezia, che con “la pace di Torino” si chiuse definitivamente, sancì l’inizio della fine dell’influenza genovese sul Mediterraneo orientale lasciando alla Serenissima il dominio delle rotte commerciali marittime. Fin dalla fine dell’XI secolo le due potenze moltiplicarono i propri insediamenti guardando in modo particolare all’Egitto e alla costa siro-palestinese. La conquista di Costantinopoli nel 1204 ad opera dei crociati veneziani sconvolse il contesto politico e mise Genova e Venezia una contro l’altra. Il primo scontro armato fu la “guerra di San Saba”, combattuta tra la Repubblica di Venezia e la Repubblica di Genova nella seconda metà del XIII secolo per il controllo del commercio nel Vicino Oriente. Scoppiò per il possesso del monastero di San Saba nella città di Acri (oggi l’israeliana Akko) diventato il nuovo centro politico e religioso della regione dopo la caduta di Gerusalemme nel 1187. Si concluse con la sconfitta e l’espulsione dei genovesi da Acri e “da questo momento, annota Musarra, il Grifo e il Leone esprimeranno un’accesa rivalità, scandita da innumerevoli battaglie navali che si protrarrà per oltre un secolo e mezzo”. All’interno della lunga guerra di San Saba, il 14 agosto 1264, si svolse la battaglia di Saseno, attorno all’isola omonima, di fronte alla costa albanese, tra la flotta genovese e un convoglio commerciale veneziano. La prima delle quattro guerre veneto-genovesi fu vinta dalla Repubblica marinara di Genova. Il momento cruciale della seconda guerra fu la battaglia di Curzola, al largo della Dalmazia, l’8 settembre 1298. Anche qui vinsero i genovesi e Marco Polo fu fatto prigioniero. La terza guerra vide la conquista genovese dell’isola di Chio nel Mar Egeo e la guerra per il controllo degli Stretti sul Bosforo nel 1352, uno dei più grandi e sanguinosi scontri navali del tardo Medioevo. La quarta e ultima guerra veneto-genovese si concluse con la pace di Torino.
Filippo Re

A passi andanti. In viaggio con Matteo Vinzoni, cartografo della Serenissima Repubblica di Genova

LIBRI/ A passi andanti (Sagep Editori,2021) è il titolo del libro bello e importante che Clara Cipollina – scrittice nata a Gavi e residente a Novara – ha dedicato a Matteo Vinzoni, cartografo della Serenissima Repubblica di Genova.

Il volume è la realizzazione di un progetto che l’autrice coltivava da tempo, riprendendo il filo delle ricerche negli archivi storici e gli incontri con il geografo Massimo Quaini che fu suo professore all’Università di Genova. Scorrendo le pagine del libro si ripercorre la storia di questo ligure – nato a Montaretto, frazione di Bonassola (La Spezia) il 6 dicembre 1690 e deceduto a Levanto nel 1773 – che rivoluzionò la storia della cartografia, rendendola meno arida e asettica. Lo studio dell’attività di Matteo Vinzoni cartografo proposta da Clara Cipollina si intreccia alla riflessione sulla sua esperienza del mondo e della vita come uomo del suo tempo, si focalizza sui percorsi del viaggiatore impegnato a mappare i territori della Serenissima, percorrendo nel corso della sua lunga vita, con la minuziosità di un agrimensore, il dominio genovese, prendendo misure di notte, in incognito, per anticipare le mosse avversarie, spostandosi tra terra e mare, interfacciandosi con una folla di personaggi minori e con gli abitanti dei territori stessi, validissimi confidenti. Cartografo ufficiale della Repubblica di Genova il Vinzoni realizzò non solo carte geografiche dello stato ligure (che comprendeva parte del basso Piemonte e altri possedimenti) ma anche cartine di molte città. Un attività minuziosa, incredibilmente precisa e sorprendente per la qualità delle raffigurazioni considerando i pochissimi mezzi di cui poteva disporre a quell’epoca. La repubblica della Lanterna contando sulle sue innate qualità, gli affidò gli incarichi più svariati: dirimere controversie sui confini di Stato, come quello con il Regno di Sardegna, o interni con i Feudi Imperiali, progettare i restauri delle fortezze, individuare percorsi di strade senza dazi, predisporre i lavori per l’arginamento dei corsi d’acqua, controllare mulini e un’infinità di altre missioni che lo tennero sempre lontano dalla sua casa di Levanto. Matteo Vinzoni, con le sue innovative riproduzioni, influenzò le basi della cartografia moderna, utilizzando anche gli acquarelli per colorare le sue precise  e artistiche mappe. Nell’introduzione a A passi andanti la geografa spezzina Luisa Rossi scrive che quella di Clara Cipollina non è solo interessante sotto i profilo scientifico-culturale ma ripropone in chiave odierna lo studio su Vinzoni che significa “offrire la possibilità di scoprire il legame diretto fra paesaggi del passato e paesaggi contemporanei”.  Un testo quindi molto importante per riscoprire l’enorme contributo del grande cartografo nel quale Massimo Quaini vedeva incarnati” aspetti del Barone rampante di Calvino”: come quel personaggio, pur partecipando agli avvenimenti e alle criticità della collettività, sapeva vedere la realtà dall’alto, operando scelte audaci, fuori dagli schemi e dalle consuetudini nelle quali era spesso obbligato a rientrare, con il vantaggio di aver scelto autonomamente le procedure e con il rischio di vivere momenti di separatezza e persino di isolamento. Clara Cipollina, con una scrittura al tempo stesso lieve e profonda, ha idealmente percorso a passi andanti con il Vinzoni molta strada, concentrandosi soprattutto sui territori interni, su di un paesaggio, quello ligure, in cui è ancora facile ravvisare l’armonia cromatica delle tavole dell’Atlante dei Domini della Serenissima Repubblica di Genova e Terraferma, forse il più importante lavoro che Vinzoni approntò con il figlio Panfilo.

Marco Travaglini

“L’ultimo lenzuolo bianco”, viaggio interiore in Afghanistan

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Vi riproponiamo questa recensione che torna di stretta attualità per le drammatiche vicende afghane

LIBRI / L’AFGHANISTAN E IL VIAGGIO INTERIORE DI FARHAD BITANI

Dice di non essere uno scrittore Farhad Bitani, ma un militare che la vissuto la paura, un essere umano che porta i segni indelebili della guerra, visibili e invisibili, che hanno condizionato, facendolo tuttora,  il suo modo di guardare la vita. Figlio di un generale e mujaheddin, appartenente ad una delle famiglie più ricche e fortunate dell’Afghanistan, Bitani ha vissuto nella guerra, assuefatto dalla normalità del conflitto, proprio come, purtroppo, tutte le ultime generazioni della popolazione afghana.

Da vincitore prima, il padre contribuì alla sconfitta del potere sovietico,  e da perseguitato in un secondo momento, a causa della presa di potere da parte dei talebani, ha egli stesso partecipato alla guerra che ha significato assisterne agli orrori, vivendoinevitabilmente una vita che non ha mai conosciuto la pace.

Nel 2011, durante una vacanza che lo riporta dall’Italia, dove studiava presso l’Accademia Militare,  al suo paese d’origine  accade un terribile episodio, un attentato, che cambia la sua esistenza per sempre: “la strada era piena di dossi, ho rallentato, dai boschi arriva uno sparo, poi una grandinata di colpi, cinque o sei sparano coi kalasnikov, corriamo come pazzi in mezzo ai colpi”. Bitani si salva, ma rimane ferito. “Non sono morto, ci ripenso e non so spiegarmi perché”.

Il libro racconta la vita dell’autore, un afghano di Kabul, ci porta in un disperato scenario di guerra cronica, in una realtà scandita da un indottrinamento radicato contro l’occidente, da una cultura opprimente. Si narra di una quotidianità che cambia drammaticamente sotto il potere talebano, vessazioni giornaliere, interrogazioni sulla dottrina seguite da terribili punizioni, burqa per le donne e barba per gli uomini con obbligo inappellabile di osservanza.

Quella di Bitani è una testimonianza importante, una critica robusta ai fondamentalismi, una presa di consapevolezza sulle falsità raccontate a proposito della “guerra santa”,  complice il ruolo dell’ignoranza, che ha portato ad utilizzare “il nome dell’Islam per il potere”.

Il lavoro dello scrittore è un racconto consapevole, vissuto sulla propria pelle, del dramma di tutte quelle persone che fuggono dalla guerra con una speranza, carichi di una tragedia inimmaginabile, avvolti da quella disperazione a volte incompresa.

 

Maria La Barbera