Laura Rossi converserà con Aldo Timossi e Dionigi Roggero durante la presentazione del libro il 24 settembre ore 18, Accademia Filarmonica, Casale Monferrato
L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Carla Madeira “L’amore è un fiume” -Fazi- Euro 18,50
In Brasile è un caso editoriale il romanzo di esordio di Carla Madeira (nata a Belo Horizonte nel 1964, docente di Scrittura pubblicitaria), diventato un best seller grazie al passa parola che l’ha trasformata nella scrittrice più venduta in patria.
E’ la storia dell’amore totalizzante tra Venâncio e Dalva; ma anche della prostituta Lucy e della sua ossessione per Venâncio che non sarà priva di conseguenze.
Venâncio e Dalva si amano fin dal primo casuale sguardo, poi diventano una coppia legata da un rapporto totalizzante di amore assoluto. Si completano in una felicità che esclude il resto del mondo, cementata da una straripante passione.
Ma un rapporto così esclusivo ha sempre anche il rovescio della medaglia. La gelosia esagerata e soffocante porta Venâncio a perdere il controllo, perché si sente escluso dall’amore che la moglie riversa sul loro bambino nato da poco. E’ questa la causa scatenante dalla quale deriva la tragedia che apre una voragine tra i due.
Dalva erige un muro invalicabile tra lei e il marito, colpevole della peggiore delle azioni. Ogni giorno lei scompare per ore, nessuno sa dove vada, però quotidianamente passa davanti al bordello cittadino. E qui si innesta la storia di Lucy, prostituta per libera scelta, con un passato difficile di orfana precoce, poi diventata una sorta di cenerentola in casa di parenti.
Lucy non è solo bella, è anche sensuale e irresistibile, consapevole di esercitare una sorta di malia nei confronti del genere maschile; a partire dallo zio libidinoso, stregato dalla sua femminilità. E’ la più gettonata del casino in cui lavora, tutti la vogliono.
Peccato lei sia ossessionata da Venâncio, l’unico maschio che desidera in modo struggente, l’unico che invece la respinge.
Il romanzo entra negli anfratti dei sentimenti dei personaggi e racconta sviluppi imprevedibili, svolte inimmaginabili che sorprendono il lettore. Tutto scritto con una maestria che ci proietta dritti nel nucleo delle vite interiori dei protagonisti.
Guillame Musso “Qualcun altro” -La nave di Teseo- euro 20,00
Credo sia uno dei romanzi migliori dello scrittore Guillame Musso (nato ad Antibes nel 1974), con una trama incredibile e accattivante; continue sventagliate di colpi di scena, personaggi intriganti e una maestria di scrittura che assembla magnificamente il tutto.
L’inizio è di quelli decisi, che invogliano una lettura vorace. Su uno yacht miliardario, al largo della Costa Azzurra, la bellissima e potente proprietaria viene aggredita e selvaggiamente colpita alla nuca con un attizzatoio di metallo, da un’ombra nera mimetizzata in una tuta da sub.
Lei è Oriana Di Pietro, editrice e ricchissima erede di una delle famiglie milanesi più in vista. A soccorrerla agonizzante sono due studentesse, per puro caso. La donna morirà in ospedale dopo 10 giorni di coma. Sulla vicenda indaga la detective Justine; donna volitiva e preparata, che nel privato fa i conti con il doloroso abbandono del marito, per una ragazza più giovane.
Per un anno la polizia gira a vuoto, fino a quando viene trovata l’arma del delitto in una rimessa per barche. I sospetti ricadono sul marito della vittima, il pianista jazz di successo Adriene; lui però si professa innocente e mal tollera l’invasione della privacy sua e dei figli ancora piccoli.
Musso sa bene come catturare l’attenzione dei lettori e anche stavolta semina le pagine di indizi e smentite, segreti e doppie verità. Ripercorre la vita di Oriana, ne evidenzia il carattere deciso, la determinazione, l’intelligenza e la mania di controllo.
Più verità vengono a galla e con retroscena ambigui.
Nella rosa dei personaggi fa capolino anche la giovane Adele; Oriana l’aveva coinvolta in un piano machiavellico che poi le era scoppiato tra le mani.
La soluzione sembra essere sempre ad un passo. Invece scopriamo che, a seconda dell’angolatura da cui si guarda, tutto cambia e viene rimesso in discussione. Nessuno sta mentendo, ma i fatti oggettivi sono caleidoscopici e il rebus trova soluzione solo alla fine.
Claire Dederer “Mostri” -Iperborea- euro 20,00
Claire Dederer (nota giornalista collaboratrice di prestigiose testate, tra le quali il “New York Times”) in questo libro cerca di rispondere alla domanda: «Dobbiamo continuare ad amare i grandi personaggi che nella vita privata si sono rivelati dei mostri, mentre le loro opere restano delle pietre miliari?».
Risposte lei non ne dà. Piuttosto ripercorre le loro biografie, scava a fondo nei difetti, rivela scheletri nell’armadio, alcuni eclatanti.
Il primo capitolo è sul controverso regista Roman Polanski, vittima di tragedie pesantissime. La madre morta ad Auschwitz e il brutale assassinio della bellissima moglie Sharon Tate incinta, squartata da alcuni membri dalla satanica famiglia Manson.
Eventi che sicuramente hanno inciso nell’anima dell’artista, ma che non giustificano affatto le sue azioni. Polanski è stato accusato di aver drogato e sodomizzato una tredicenne.
La Dederer analizza a fondo questa figura contemporanea in cui alberga il difficile equilibrio tra due forze contrastanti: una mostruosità assoluta e un genio altrettanto supremo.
Nelle pagine poi ripercorre i lati oscuri di altri artisti famosi, tra i quali Woody Allen, Picasso, Michael Jackson, Doris Lessing e Virginia Woolf.
Di ognuno la Dederer analizza anfratti di vita privata e derive caratteriali, che non necessariamente inficiano la grandezza della loro genialità e delle loro opere.
Alcuni si sono macchiati di veri crimini, altri hanno esposto idee inaccettabili, altri ancora, più semplicemente, manifestato difetti e contraddizioni macroscopici.
Alla luce delle gravi rivelazioni le loro opere possono continuare ad essere accettate, ammirate o dileggiate? Risposta univoca non c’è.
“The book of Printed Fabrics” -Taschen- euro 150
Il titolo precisa che i due monumentali volumi (per un totale di 880 pagine) tracciano la storia dei tessuti dall’inizio nel 1600 fino ad oggi. L’opera nasce dalla collezione del Musée de l’Impression sur Etoffes che si trova a Mulhouse (cittadina della Francia Alsaziana, quasi al confine con la Svizzera) dove ha sede il più importante museo di tessuti stampati al mondo.
Una messe di stoffe, colori, disegni, tessiture da capogiro; dal crêpe de chine Kensington al raso di seta, transitando per le romantiche fioriture e bouquet trompe-l’œil tipici del Liberty. Negli schedari degli immensi archivi di Liberty britannici ci sono più di 45mila stampati, da perderci la testa.
Il nome viene dal commerciante di stoffe che aprì l’emporio londinese nel 1875, Arthur Lasenby Liberty, ed è diventato sinonimo di uno stile intramontabile e subito riconoscibile.
Tornando a Mulhouse e alla storia del museo, vale la pena ricordare che la zona si era data lo statuto di repubblica neutrale
e indipendente rispetto alle leggi francesi e il loro monopolio delle manifatture reali.
Dal 1586 al 1798, durante la rivoluzione industriale la piccola cittadina Alsaziana era l’unica a poter produrre liberamente le “indiennes”, cosiddette “indiane” copiate dalle tele stampate provenienti dall’India, che arrivavano nelle stive delle navi e avevano conquistato l’Europa.
Nei secoli di storia dei tessuti arte e moda si sono incrociati e i due volumi raccontano il gusto europeo e la passione per le stoffe esotiche. Da lì il via a una florida industria tessile , anche a dispetto del proibizionismo promulgato, per esempio, in Francia nel 1686, quando il sovrano vietò l’importazione di tessuti indiani per di proteggere la produzione nazionale di sete.
Rol, “L’ultimo mago”
Al “Castello di Miradolo”, si presenta, a trent’anni dalla scomparsa, il libro di Francesca Diotallevi dedicato al celebre “sensitivo” torinese, Gustavo Rol
Domenica 22 settembre
San Secondo di Pinerolo (Torino)
Esattamente trent’anni fa, il 22 settembre del 1994, moriva a Torino (città dov’era nato il 20 giugno del 1903) Gustavo Adolfo Rol. A portarselo via, all’età di 91 anni, fu una broncopolmonite accompagnata da un forte attacco di “ansia cardiaca”. Le sue ceneri riposano da allora nella tomba di famiglia a San Secondo di Pinerolo (Torino), dove la famiglia Rol possedeva una grande casa di campagna, adibita alle vacanze estive e dove nel 2005 gli è stata intitolata dal Comune una piazzetta a titolo commemorativo, dopo che una via del paese era già stata intitolata alla sua famiglia. Ebbene, proprio per commemorare il trentennio dalla scomparsa del celebre “sensitivo” torinese, San Secondo torna a ricordarlo e a raccontarlo, domenica prossima22 settembre (ore 15), presentando al “Castello di Miradolo” (sede della “Fondazione Cosso”) il libro “L’ultimo mago”, a lui dedicato, per i tipi di “Neri Pozza”, dall’autrice milanese Francesca Diotallevi, in dialogo con la scrittrice Enrica Melossi.
L’appuntamento rientra nel calendario di “Bellezza tra le righe” che porta, fino a domenica 13 ottobre, nei giardini di tre dimore storiche del Pinerolese (oltre al “Castello di Miradolo”, “Casa Lajolo” di Piossasco e “Palazzo Conti di Bricherasio” a Bricherasio) “autori e voci del presente”. Il volume della Diotallevi, fondato su una approfondita documentazione oltre che su una sciolta e piacevole capacità descrittiva, ha finora ottenuto brillanti risultati dalla critica. “Con la sua capacità di rendere l’essenza di personaggi storici attraverso la lente romanzesca – è stato scritto – Francesca Diotallevi ci incanta e ci ipnotizza … ponendoci interrogativi di fronte ai quali l’anima più razionale vacilla”. E certo non poteva essere che così, raccontando di Rol. Sulla cui vera “identità” e sulle cui concrete capacità di svelare le ombre e gli enigmi dell’irreale, ancora oggi, a tanti anni dalla sua nascita e dalla sua morte, ancora nessuno è in grado di fornire definitive risposte. Ancora nessuno sa, per certo, chi fosse Rol. Anche perché lui stesso si oppose sempre, in vita, e ben ne aveva diritto, a sottoporsi ad alcuna verifica, sotto controllo scientifico, di quei suoi incredibili “prodigi” (indovinare le “carte” senza mai toccarle, scrivere su un foglio senza neppure sfiorarlo, “straordinarie capacità di veggenza e contatto con altri mondi”, lettura di libri senza aprirne una sola pagina e tant’altro); “prodigi” che assolutamente, ripeteva agli increduli detrattori, non sarebbero mai stati “fenomeni ripetibili o eseguibili a comando”. “Nei miei esperimenti – diceva in un’intervista a Roberto Gervaso – è la psiche a far da ‘grondaia’ allo spirito”. “Sensitivo”, dunque? O semplice “prestigiatore” o un “ipnotista” o un “fattucchiere” o un “mago”? Egli stesso se lo chiedeva: “Chi sono io?” E pare si rispondesse definendosi “un ‘ricercatore’, uno ‘sperimentatore’, avente quale unico obiettivo quello di incoraggiare gli uomini a guardare oltre l’apparenza e a stimolare in loro lo ‘spirito intelligente’”. Una famiglia benestante alle spalle, tre lauree, Rol si dedica, fin da giovane, a varie attività (quelle da lui predilette): dal giornalista, al bancario, all’antiquario, dedicandosi anche alla pittura. Solo dopo il 1927 si avvicinerà all’“occulto”, a seguito di uno strano incontro a Marsiglia con un polacco che gli mostrerà inizialmente giochi di prestigio con le carte. Da quell’incontro e, pare, dalla conversione dello stesso polacco alla fede cristiana, la sua vita cambia e Rol elabora una propria “teoria metafisica” sull’“associazione fra suoni, colori e altri elementi”. E’ questo per Rol un periodo di profonda crisi esistenziale, che lo porterà a ritirarsi addirittura in un convento per tre mesi. Superata questa crisi giovanile e, fatta sua la certezza di quel “dono” arrivato a guidarne inspiegabilmente l’esistenza, a partire dagli anni ’30 “la sua fama si diffonde nei circoli più importanti dell’aristocrazia, della cultura e della politica”. Nella sua elegante casa torinese al civico 31 di via Silvio Pellico (ricca di cimeli napoleonici, per i quali nutriva una smisurata passione), passano per decenni figure del calibro di Federico Fellini (che ai suoi collaboratori diceva “La mia vita si divide in prima di Rol e dopo Rol”), di Franco Zeffirelli(“Rol aveva poteri straordinari – scriveva nella sua autobiografia il regista fiorentino – che aprirono la mia mente alla possibilità … di accedere a dimensioni sconosciute di quello che mi era successo”) e ancora personaggi dello spettacolo e dell’economia, come Marcello Mastroianni, Cesare Romiti, e, si dice, parte della famiglia Agnelli. Fondamentale la sua fraterna amicizia con Giuditta Dembech, celebre giornalista esploratrice dei grandi misteri del “paranormale” e dallo stesso Rol prescelta come sua biografa ufficiale, non mancarono tuttavia le critiche, le incredulità anche da parte di personaggi illustri nel campo scientifico: da Piero Angela a Tullio Regge (che parlarono di “trucchi illusionistici”) fino al noto prestigiatore Silvan e al presidente del Circolo torinese “Amici della magia”, Marco Aimone, che sottolinea d’ aver riconosciuto in Rol una “tecnica di mentalismo”. Dubbi, tanti. E mai pienamente disciolti. Destinati, per sempre (è probabile) a soccombere alla concreta rigidità del “reale”.
Per info: “Castello di Miradolo”, via Cardonata 2, San Secondo di Pinerolo (Torino); tel. 0121/376545 o www.fondazionecosso.com
g.m.
Nelle foto: Cover “L’ultimo mago” (Neri Pozza); Francesca Diotallevi
Sabato 21 settembre alle ore 17,30 nell’Auditorium “ Baldassarre “della Biblioteca Civica “Deaglio “ di Alassio (piazza Airaldi e Durante, 7)
Il prof. Pier Franco Quaglieni, il dr. Roberto Pirino ed il gen. Franco Odello che coordinera’ l’incontro, presenteranno il libro della nota scrittrice torinese Stella Bolaffi Benuzzi “Il Penny Black e altri racconti marinareschi. Storie e ricordi di avventure in barca a vela”, Salomone Belforte Editore, Livorno. Interverrà il vice Sindaco di Alassio Angelo Galtieri. L’autrice, con la sua consueta verve, offre al lettore, anche a quello non esperto di navigazione a vela, una nostalgica traversata di un’epoca, vissuta da lei e dalla sua famiglia, sulla loro prima barca dedicata al “Penny Black”, il primo francobollo emesso al mondo, non a caso vista la professione di filatelico noto in tutto il mondo del padre Alberto Bolaffi comandante di un una divisione alpina durante la Guerra di Liberazione intitolata alla figlia Stella.
“Il mio vicino di casa è robusto. E’ un ippocastano di Corso Re Umberto; ha la mia età ma non la dimostra. Alberga passeri e merli, e non ha vergogna, in aprile, di spingere gemme e foglie, fiori fragili a maggio; a settembre ricci dalle spine innocue con dentro lucide castagne tanniche.. Non vive bene. Gli calpestano le radici i tram numero otto e diciannove ogni cinque minuti; ne rimane intronato e cresce storto, come se volesse andarsene.. Anno per anno, succhia lenti veleni dal sottosuolo saturo di metano, è abbeverato d’orina di cani. Le rughe del suo sughero sono intasate dalla polvere settica dei viali; sotto la scorza pendono crisalidi morte, che non diventeranno mai farfalle. Eppure, nel suo torpido cuore di legno sente e gode il tornare delle stagioni”. Sono alcuni brani della poesia intitolata Cuore di legno che Primo Levi dedicò nel 1980 agli alberi che ombreggiavano la casa dove visse sempre, dal giorno della nascita – nel luglio del 1919 – a quel tragico 11 aprile del 1987 in cui decise di togliersi la vita. Per sessantasette anni visse nel palazzo torinese al civico 75 di corso Re Umberto. L’unico periodo in cui fu costretto a lasciare la sua dimora – tra il 1942 e l’ottobre del 1945 – lo raccontò nei suoi libri. Un tempo duro e drammatico scandito dal periodo trascorso lavorando a Milano in una fabbrica di medicinali, dai pochi mesi vissuti da partigiano in Val d’Aosta, dall’arresto il 13 dicembre 1943, la deportazione nel campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, gli undici mesi nel lager di Auschwitz e gli altri nove passati sulla via del ritorno verso casa. Una sua biografia si apre con la descrizione di questo luogo, “uno degli ampi viali che tagliano a scacchi l’elegante quartiere della Crocetta.. i pesanti portoni dei palazzi dalle facciate austere..in mezzo alla folta vegetazione di ippocastani, i tram scivolano sui binari presi d’assalto dalle erbacce”. Un modo semplice per elevare un forte grido d’allarme per l’ambiente urbano, con la stessa coscienza civile che era propria di Levi quando scriveva per tutti perché desiderava che tutti comprendessero l’importanza della memoria e del rispetto. Per gli uomini, e anche per la natura.
Marco Travaglini
La presentazione del libro di Salvatore Vullo “Vitaliano Brancati- Scoprire e riscoprire il grande scrittore nel 70° della morte”, Morrone Editore, è in programma Lunedi 23 settembre 2024 alle ore 18, presso il Caffè Letterario Fiorio, via Po, 8/C Torino. Con l’autore interverranno Enzo Ghigo, presidente del Museo Nazionale del Cinema di Torino, Giuseppe Mastruzzo, direttore International University College Torino. Condurrà l’incontro Giovanni Firera, organizzatore dell’evento, fondatore e presidente dell’Associazione Culturale Vitaliano Brancati che ha promosso e patrocinato la pubblicazione di questo libro per ricordare e celebrare Brancati di cui in questo 2024 ricorre il 70° della morte. La presentazione di questo libro al Caffè Letterario Fiorio, fa seguito a quella in anteprima nel maggio scorso al Salone del Libro di Torino, nell’area incontri della Regione Siciliana. L’impegno per la promozione del libro, assieme a Giovanni Firera, proseguirà con due presentazioni programmate in terra di Sicilia: il prossimo 11 ottobre a Caltanissetta e il 12 ottobre, a Pachino (SR) (Città natale di Brancati).
Informazione promozionale
Tra la popolazione torinese, è scoppiato un vero e proprio boom di acquisti di libri di arredamento!
Gli abitanti della città hanno sempre più a cuore la personalizzazione della propria abitazione (con un tocco di arredamento zen) e andare a caccia di mobili su misura a Torino!
Con la crescente passione per l’arredamento d’interni, che si tratti di un hobby o di una necessità pratica, i torinesi stanno investendo un 70% del loro tempo e diverse risorse per arredare la propria casa in maniera esteticamente gradevole e funzionale.
Una ricerca in merito ha rivelato, inoltre, che la maggior parte dei soggiorni a Torino, sono creati ( o ricreati) con un arredamento stile giapponese.
Questa tendenza è tra le scelte più amate e ricercate per la progettazione arredi interni.
I libri di arredamento che trattano questo stile offrono una panoramica delle principali caratteristiche dell’ arredo e design giapponese, come, ad esempio, l’uso dei materiali naturali, linee pulite e spazi aperti.
Questo stile è ideale per chi cerca un ambiente minimalista e tranquillo.
Questo fenomeno si riflette anche nelle librerie, dove gli scaffali dedicati ai libri di arredamento sono sempre più forniti e variegati.
I migliori libri di arredamento d’interni per ispirare il tuo stile
Possiamo dire che tra gli hobby e passione di molti torinesi è presente l’arredamento d’interni, ormai un vero e proprio cult tra diverse generazioni della popolazione.
La crescente domanda di libri di arredamento riflette il desiderio di apprendere nuove tecniche e stili per personalizzare gli spazi domestici.
Tra i libri più ricercati e letti troviamo l’“Enciclopedia degli schemi di colore e di superficie” di Adrienne Chinn, una guida completa all’uso dei colori e delle superfici nell’arredamento.
Questo “libro arredamento“ è particolarmente apprezzato per la sua capacità di fornire consigli pratici e ispirazioni per creare ambienti armoniosi e ben equilibrati.
Se sei alla ricerca di ispirazione per arredare la tua casa, eccoti altri libri di arredamento che non possono mancare nella tua libreria!
Esposizione libri di arredamento e letture piacevoli tra le tue mura
Ecco un piccolo elenco e titoli consigliati.
“La magia del riordino” (titolo originale: The Life-Changing Magic of Tidying Up) è un bestseller internazionale scritto da Marie Kondo, una consulente dell’arredamento stile giapponese specializzata nell’organizzazione degli spazi abitativi.
Il libro propone il metodo KonMari, un approccio rivoluzionario al riordino, con l’obiettivo non solo di liberare lo spazio fisico dagli oggetti inutili, ma anche di apportare cambiamenti positivi nella vita di chi lo adotta.
Invece di riordinare una stanza alla volta, il metodo KonMari suggerisce di concentrarsi su una categoria di oggetti, come vestiti, libri o documenti, e affrontarla completamente prima di passare alla successiva.
“Arreda la tua casa secondo il tuo stile. Comodità, funzionalità e armonia nella scelta dei mobili” di Frida Ramstedt
Il libro racchiude i consigli dell’interior designer svedese Frida Ramstedt su come scegliere i mobili e organizzare i progetti di arredamento interni della casa dei sogni, focalizzandosi su comodità, funzionalità e armonia. Ramstedt spiega che, quando si scelgono i mobili, è fondamentale non solo l’estetica, ma anche la qualità e l’adattabilità alle esigenze personali.
” Sentiti bene nella tua casa.” di Frida Ramstedt
Un altro libro arredamento che riassume i consigli di Frida Ramstedt su come rendere un ambiente accogliente, armonioso e ben studiato attraverso regole di interior design accessibili a tutti. Anche se non esistono soluzioni uniche, Ramstedt condivide principi consolidati basati sull’architettura e la progettazione arredi interni, per aiutare a creare l’atmosfera desiderata senza costosi interventi.
“Uno spettacolo di casa” di Romina Sita
Arredare casa è un momento magico, sia che si tratti della prima casa, di una ristrutturazione o di un rinnovo degli spazi esistenti. L’entusiasmo iniziale può diminuire a causa di dubbi e problematiche, ma questo libro è pensato per mantenere vivo l’entusiasmo e le emozioni positive legate alla creazione di un arredo e design della casa dei sogni. Con volontà, conoscenza, hobby e passioni, il libro offre gli strumenti necessari per progettare gli spazi domestici in modo funzionale ed esteticamente gradevole.
“Hygge: la filosofia danese per raggiungere la felicità nella vita quotidiana” di Lifestyle Emporium
Il concetto di hygge è una filosofia danese che mira a creare un’atmosfera di benessere e felicità nella vita quotidiana. Si tratta di trovare serenità e gioia nei piccoli momenti, come immergersi in una vasca calda, accendere candele, creare con dei cuscini per arredare un angolo relax o leggere un buon libro.
Il libro arredamento “Hygge, la Filosofia Danese per Raggiungere la Felicità nella Vita Quotidiana” insegna come gestire meglio il proprio tempo e godere di questi momenti semplici per migliorare il proprio benessere e felicità. L’obiettivo è stare bene con se stessi per poter essere felici.
Come arredare una cameretta piccola: un libro molto utile in merito
Un ulteriore opera letteraria consigliata tra i libri di arredamento per sapere come arredare una cameratta piccola è
“Piccole idee d’arredo. Per rendere esclusiva la tua casa.” di Mara Antonaccio
L’opera racchiude diverse idee creative e ispirazioni per l’arredamento per trasformare il proprio arredamento d’interni con poche e semplici mosse. Suggerimenti come, ad esempio, adoperare specchi su misura, usare per l’esposizione libri mensole a muro strategiche, decorazioni perfette, tappeti originali e vecchi mobili su misura rinnovati con interventi artistici. L’obiettivo è personalizzare l’ambiente con gusto e fantasia, creando oggetti d’arredamento unici e rinnovando lo spazio con creatività.
I libri di arredamento rappresentano una risorsa preziosa per chi desidera progettazione arredi interni, trasformare e personalizzare la propria casa con stile e creatività.
La passione dei torinesi per la lettura e l’arredamento si riflette nella crescente domanda di diverse opere, che offrono consigli pratici e ispirazioni per creare ambienti funzionali e armoniosi. Che si tratti di adottare un arredamento stile giapponese minimalista o di esplorare il concetto di hygge, i torinesi trovano nei libri di arredamento validi alleati per rendere le loro abitazioni accoglienti e uniche.
L’isola del libro
Rubrica settimanale a cura di Laura Goria
Lee Kravetz “Le ultime confessioni di Sylvia P.” -Fazi Editore- euro 18,50
Secondo alcuni critici questo libro di esordio dell’americano Lee Kravetz può essere definito un mistery letterario che ruota intorno alla poetessa Sylvia Plath; suicidatasi a Londra, a soli 30 anni, poco dopo la pubblicazione (nel febbraio 1963) de “La campana di vetro” che la rese immortale.
“Le ultime confessioni di Sylvia P.” si basa su tre voci femminili, in qualche modo legate alla vita della poetessa ed articolate in una serie di capitoli-stanze. Tre donne che, a distanza di tempo, in un misto di fatti veri e immaginari, incrociano l’esistenza della Plath.
Nel 2019, Estee, curatrice di una piccola casa d’aste del Massachusetts, si ritrova tra le mani tre quaderni firmati Victoria Lucas. Intuisce subito che si tratta del manoscritto “La campana di vetro” e si chiede come queste preziose pagine siano finite nella soffitta di una casa in Massachusetts.
Poi ci sono i ricordi di due donne che la Plath l’avevano conosciuta.
La poetessa Boston Rhodes (dietro la quale sembra celarsi Anne Sexton) che la incontra a un corso di scrittura del poeta Robert Lowell. Entrambe sono fragili, talentuose, sensibili e finiscono per instaurare un legame ambiguo e pieno di chiaroscuri tra amicizia, competizione e invidia.
Infine c’è Ruth Barnhouse, una delle prime psichiatre americane che nel 1953 curò la Plath, nella clinica per malattie mentali in Massachusetts, dov’era stata ricoverata a 20 anni, dopo un primo tentativo di togliersi la vita. La Barnhouse ebbe un ruolo importante nell’aiutarla a riprendere la strada letteraria.
Attraverso le tre diverse prospettive delle coprotagoniste (delle quali emergono anche le vicende più intime), Lee Kravetz ricostruisce la breve, intensa e tormentata vita della Plath.
Corrado Augias “La vita s’impara” -Einaudi- euro 20,00
Alla soglia dei 90 anni il giornalista e scrittore -tra i più importanti del panorama italiano- affida a questa sorta di memoir il resoconto della sua vita e del suo impegno civile. Una narrazione libera, senza linea di confine tra vita vissuta e quella elaborata dal pensiero.
Bellissime le pagine in cui ripercorre le tappe salienti della sua lunga ed interessante vita. Emozionanti i ricordi dal suo album di famiglia.
La guerra quando era ancora bambino; scioccato di fronte
all’estrazione dei corpi dalle macerie lasciate dai bombardamenti e ai «morti infarinati di cemento».
Il padre ufficiale in servizio a Tripoli; la nonna ebrea convertita ad un cattolicesimo semi fanatico.
Poi ci sono gli incontri determinanti per la sua formazione di uomo e intellettuale, quelli che l’hanno portato a scegliere la carriera da intraprendere; il giornalismo ai massimi livelli.
Nomi della caratura di Scalfari e Angelo Guglielmi (legato alla rivoluzione televisiva della quale Augias è stato uno dei principali protagonisti).
Ma anche gli incontri di carta con il pensiero e la vita di Piero Gobetti, Gramsci e di altri esponenti della cultura progressista e cosmopolita.
Pagine che mettono a fuoco il pensiero di un grande divulgatore. Emerge a tutto tondo la vastissima cultura accumulata fin da giovanissimo; anche attraverso le letture di Lucrezio, Spinoza, Macchiavelli, Kant e tanti altri che l’hanno affascinato e trasportato nella storia passata dell’umanità.
Ann Pratchett “Tom Lake” -Ponte alle grazie- euro 18,00
La scrittrice, giornalista e proprietaria di una libreria a Nashville, ci regala questo romanzo d’amore, che è anche uno spaccato dei rapporti familiari. Ambientato al tempo del lockdown in una fattoria nel Michigan del Nord, dove vivono e lavorano Lara e il marito Joe.
Le figlie della coppia tornano per aiutare i genitori nella raccolta delle ciliegie. E’ l’occasione intima e bucolica scandita dai tempi lenti e confortanti di una piccola operosa quotidianità; ma anche il pretesto per farsi raccontare un capitolo della vita della madre.
Quando Lara aveva 24 anni aveva recitato in una compagnia teatrale estiva chiamata Tom Lake. Un passato da attrice, ai tempi del liceo e dell’Università; breve ma indimenticabile.
All’epoca era stata travolta da Peter Duke, affascinante attore col quale aveva vissuto una grande passione. Lui era seducente e inafferrabile; ma dopo il successo a Hollywood, aveva finito per perdersi nelle droghe.
Dopo questa esperienza Lara era andata avanti con la sua vita. Aveva scelto il solido Joe, si era trasferita nella sua fattoria e aveva creato una famiglia con tre figlie.
Emily, primogenita fantasiosa e travolgente.
La seconda, Maisie, fin da piccola manifesta l’indole empatica verso degli animali e vuole diventare veterinaria.
Poi la terzogenita, Nell, l’unica ad aver ereditato dalla madre l’amore per il teatro.
Un romanzo che rimanda alle atmosfere di “Piccole donne” e alle opere di Cěchov. Alterna la ricostruzione del passato e le relazioni, le emozioni, gli affetti del presente. Un tuffo nei meandri dell’amore materno, giovanile e coniugale.
Olga Tokarczuk “I libri di Jakob o Il grande viaggio” -Bompiani- euro 29,00
La scrittrice polacca Premio Nobel ha ambientato questa sorta di fiaba storica nella Podolia del 700, scandagliando il mondo di mezzo tra Polonia e Ucraina.
Un imponente romanzo con protagonista il giovane ebreo Jakob Frank, arrivato in Podolia (oggi difficile da circoscrivere tra Galicia, Volynia, Bukovina e Polesia), in un villaggio che è l’incrocio di popoli, lingue e religioni diverse. Ebrei, musulmani, cattolici e relative superstizioni si ritrovano tra le bancarelle dei mercati.
Le vicende narrate si dipanano nella seconda metà del Settecento, quando queste zone venivano chiamate periferie ed appartenevano alla Polonia. Un’area multietnica che risentiva dell’influenza e dei commerci con l’Impero Ottomano.
Attraverso una minuziosa ricostruzione storica seguiamo le vicende dell’astuto Jacob che elabora una sua “Eresia”. Raccoglie una setta di seguaci fanatici, si muove con abilità travalicando i confini degli imperi e le varie fedi religiose, scalando le gerarchie sociali.
E’ veramente esistito quest’uomo eccezionale che creò una sua corte ed attraversò varie esperienze: dalla gloria alla prigionia, dal lusso alla malattia, dall’esaltazione del successo alla disperazione.
Solo Gozzano è riuscito a descrivere Torino come in effetti è. Il poeta parla della sua città natale con una splendida ironia malinconica, prendendola un po’ in giro, ma con garbo e con affetto, esaltandone i caratteri sommessi, le cose quotidiane; del nostro capoluogo sottolinea l’anima altezzosa ed elegante, intellettuale e civettuola, riuscendo a far emergere i tratti che ne contraddistinguono la bellezza e l’unicità, nel presente e nei suoi aspetti “d’altri tempi” con un gusto da stampa antica.
Nel componimento “ Le golose”, Gozzano considera un semplice momento di vita quotidiana, elevandolo a situazione poetica: in questo caso Guido, grazie alla sua vena brillante e ironica, gioca a descrivere il comportamento delle “giovani signore” torinesi all’interno di Baratti, uno dei bar storici della città. Le “signore e signorine”, che subito riusciamo ad immaginarci tutte imbellettate, con tanto di cappellino e veletta, non resistono alla tentazione di assaporare un pasticcino, e, davanti alla invitante vetrina dei dolciumi, indicano con il dito affusolato al cameriere quello che hanno scelto, e poi lo “divorano” in un sol boccone.
È un momento qualsiasi, è l’esaltazione del quotidiano che cela l’essenza delle cose. Nella poesia citata l’eleganza torinese è presa alla sprovvista, colta in flagrante mentre si tramuta in semplice golosità. Ma Gozzano sfalsa i piani e costringe il lettore a seguirlo nel suo ironizzare continuo, quasi non prendendo mai niente sul serio, ma facendo riflettere sempre sulla verità di ciò che asserisce. Se con “Le golose” Guido si concentra su una specifica situazione, con la poesia “Torino”, dimostra apertamente tutto il suo amore per il luogo in cui è venuto alla luce.
Guido Gozzano nasce il 19 dicembre 1883 a Torino, in Via Bertolotti 3, vicino a Piazza Solferino. È poeta e scrittore ed il suo nome è associato al Crepuscolarismo – di cui è il massimo esponente – all’interno della corrente letteraria del Decadentismo. Inizialmente si dedica all’emulazione della poesia dannunziana, in seguito, anche per l’influenza della pascoliana predilezione per le piccole cose e l’umile realtà campestre, e soprattutto attratto da poeti stranieri come Maeterlinck e Rodenback, si avvicina alla cerchia dei poeti intimisti, poi denominati “crepuscolari”, amanti di una dizione quasi a mezza voce. Gozzano muore assai giovane, a soli trentadue anni, a causa di quello che una volta era definito “mal sottile”, ossia la tubercolosi polmonare. Per questo motivo Guido alterna alla elegante vita torinese soggiorni al mare, alla ricerca di aria più mite, (“tentare cieli più tersi”), soprattutto in Liguria, Nervi, Rapallo, San Remo, e anche in montagna. Un estremo tentativo di cura di tale malattia porta Guido a intraprendere nel 1912, tra febbraio e aprile, un viaggio in India, nella speranza che il clima di quel Paese possa migliorare la sua situazione, pur nella triste consapevolezza dell’inevitabile fine (“Viaggio per fuggire altro viaggio”): il soggiorno non migliora la sua salute, ma lo porta a scrivere molto.
Al ritorno redige su vari giornali, tra cui La Stampa di Torino, alcuni testi in prosa dedicati al viaggio recente, che verranno poi pubblicati postumi nel volume “Verso la cuna del mondo” (1917). A parte l’ampio poema in endecasillabi sciolti, le “Farfalle”, essenziali per comprendere la nuova poesia di Gozzano sono le raccolte di versi “La via del rifugio” (1907) e “I colloqui” (1911), il suo libro più importante. Questo è composto da ventiquattro componimenti in metri diversi, legati tra loro da una comune tematica e da un ritmo narrativo colloquiale, con, sullo sfondo, un giovanile desiderio di felicità e di amore e una struggente velatura romantica. Intanto il poeta scopre la presenza quotidiana della malattia (“mio cuore monello giocondo che ride pur anco nel pianto”), della incomunicabilità amorosa, della malinconia. Egli ama ormai le vite appartate, le stampe d’altri tempi, gli interni casalinghi, ma, dopo aver esaltato le patetiche suppellettili del “salotto buono” piccolo borghese di nonna Speranza con “i fiori in cornice e le scatole senza confetti, / i frutti di marmo protetti dalla campana di vetro”, non esita a definirle “buone cose di pessimo gusto”. Di contro al poeta vate dannunziano, all’attivismo, alla mitologia dei superuomini e delle donne fatali, egli oppone la banale ovvietà quotidiana, alla donna-dea oppone “cuoche”, “crestaie” (“sognò pel suo martirio attrici e principesse, / ed oggi ha per amante la cuoca diciottenne”), alla donna intellettuale contrappone una donna di campagna (“sei quasi brutta, priva di lusinga/ …e gli occhi fermi e l’iridi sincere/, azzurre d’un azzurro di stoviglia”). Si tratta di Felicita che, con la sua dimessa “faccia buona e casalinga” , gli è parsa, almeno per un momento, l’unico mezzo per riscattarsi dalla complicazione estetizzante.
Eppure non vi è adesione a questo mondo, mondo creato e nel contempo dissolto, visto in controluce con la consapevolezza che a quel rifugio di ingenuità provinciale il poeta non sa ne può aderire e, tra sorriso, affetto e vigile disposizione ironica, si atteggia a “buon sentimentale giovane romantico”, per aggiungere subito dopo: “quello che fingo d’essere e non sono”.
Oltre che per questa nuova e demistificante concezione della poesia, l’importanza di Gozzano è notevole anche sul piano formale: “egli è il primo che abbia dato scintille facendo cozzare l’aulico col prosaico” (osserva Montale), e che, con sorridente ironia, riesca a far rimare “Nietzscke” con “camicie”. Gozzano piega il linguaggio alto a toni solo apparentemente prosastici. In realtà i moduli stilistici sono estremamente raffinati. E la sua implacabile ironia non è altro che una difesa dal rischio del sentimentalismo. La consapevolezza ironica abbraccia tutto il suo mondo poetico, le sue parole, i suoi atteggiamenti, i suoi gesti.
Avviciniamoci ancor di più al letteratissimo poeta torinese disincantato e amabile, e cerchiamo di approfondire il suo contesto familiare. Guido nasce da una buona famiglia borghese.
Il Dottor Carlo Gozzano, nonno di Guido, amico di Massimo D’Azeglio, appassionato di letteratura romantica del suo tempo, presta servizio come medico nella guerra di Crimea. Carlo Gozzano, borghese benestante, possiede ampie terre nel Canavese. Il figlio di Carlo, Fausto, ingegnere, porta avanti la costruzione della ferrovia canavesana che congiunge Torino con le Valli del Canavese. Fausto si sposa due volte, dalla prima moglie ha cinque figli; dopo la morte della prima consorte, Fausto incontra nel 1877 la bella diciannovenne alladiese Diodata Mautino, che sposa e dalla quale ha altri figli, tra cui Guido. La donna ha un temperamento d’artista, ama il teatro e si diletta nella recitazione, ed è altresì la figlia del senatore Massimo, un ricco possidente terriero, proprietario della villa del Meleto, ad Agliè (la villa prediletta dal poeta).
Guido frequenta dapprima la scuola elementare dei Barnabiti, poi la «Cesare Balbo», avvalendosi anche dell’aiuto di un’insegnante privata, poiché il piccolo scolaro è tutt’altro che ligio al dovere.
Da ragazzo viene iscritto nel 1895 al Ginnasio-Liceo Classico Cavour di Torino, ma la sua svogliatezza non lo abbandona, egli viene bocciato e mandato a recuperare in un collegio di Chivasso; ritorna a studiare nella sua Torino nel 1898, poco tempo prima della morte del padre, avvenuta nel 1900 a causa di una polmonite. Le difficoltà scolastiche del futuro poeta lo costringono a cambiare scuola ancora due volte, finché nel 1903 consegue finalmente la maturità al Collegio Nazionale di Savigliano. Le vicissitudini tribolanti degli anni liceali sono ben raccontate da Guido all’amico e compagno di scuola Ettore Colla, scritti in cui si evince che il giovane è decisamente più interessato alle “monellerie” che allo studio.
Nel 1903 vengono anche pubblicati sulla rivista torinese “Il venerdì della Contessa” alcuni versi di Gozzano, di stampo decisamente dannunziano (qualche anno dopo, in un componimento del 1907 “L’altro” il poeta ringrazia Dio che – dichiara – avrebbe potuto “invece che farmi Gozzano /un po’ scimunito ma greggio / farmi gabrieldannunziano /sarebbe stato ben peggio!”). Guido si iscrive poi alla Facoltà di Legge, ma nella realtà dei fatti frequenta quasi esclusivamente i corsi di letteratura di Arturo Graf. Il Professore fa parte del circolo “Società della cultura”, la cui sede si trovava nella Galleria Nazionale di via Roma, (poi spostatosi in via Cesare Battisti); anche il giovane Gozzano entra nel gruppo. Tra i frequentatori di tale Società, nata con lo scopo di far conoscere le pubblicazioni letterarie più recenti, di presentarle in sale di lettura o durante le conferenze, vi sono il critico letterario e direttore della Galleria d’Arte Moderna Enrico Thovez, gli scrittori Massimo Bontempelli, Giovanni Cena, Francesco Pastonchi, Ernesto Ragazzoni, Carola Prosperi, il filologo Gustavo Balsamo Crivelli e i professori Zino Zini e Achille Loria; anche Pirandello vi farà qualche comparsa. Nell’immediato dopoguerra vi parteciperanno Piero Gobetti, Lionello Venturi e Felice Casorati.
Gozzano diviene il capo di una “matta brigada” di giovani, secondo quanto riportato dall’amico e giornalista Mario Bassi, formata tra gli altri dai letterati Carlo Calcaterra, Salvator Gotta, Attilio Momigliano, Carlo Vallini, Mario Dogliotti divenuto poi Padre Silvestro, benedettino a Subiaco e dal giornalista Mario Vugliano.
Va tuttavia ricordato che per Guido quel circolo è soprattutto occasione di conoscenze che gli torneranno utili per la promozione dei suoi versi, egli stesso così dice “La Cultura! quando me ne parli, sento l’odore di certe fogne squartate per i restauri”. Con il passare del tempo, matura lentamente in lui una più attenta considerazione dei valori poetici della scrittura, anche grazie (ma non solo) allo studio dei moderni poeti francesi e belgi, come Francis Jammes, Maurice Maeterlinck, Jules Laforgue, Georges Rodenbach e Sully Prudhomme.
Da ricordare è anche la tormentata vicenda amorosa (1907-1909) tra Gozzano e la nota poetessa Amalia Guglielminetti, una storia destinata alla consunzione, caratterizzata da momenti di estrema tenerezza e molti altri di pena e dolore.
Ma torniamo a Torino, la sua città natale, la amata Torino, che è sempre nei suoi pensieri: “la metà di me stesso in te rimane/ e mi ritrovo ad ogni mio ritorno”. Torino raccoglie tutti i suoi ricordi più mesti, ma è anche l’ambiente concreto ed umano al quale egli sente di appartenere. Accanto alla Torino a lui contemporanea, (“le dritte vie corrusche di rotaie”), appare nei suoi scritti una Torino dei tempi antichi, un po’ polverosa che suscita nel poeta accenti lirici carichi di nostalgia. “Non soffre. Ama quel mondo senza raggio/ di bellezza, ove cosa di trastullo/ è l’Arte. Ama quei modi e quel linguaggio/ e quell’ambiente sconsolato e brullo.” Con tali parole malinconiche Gozzano parla di Torino, e richiama alla memoria “certi salotti/ beoti assai, pettegoli, bigotti” che tuttavia sono cari al per sempre giovane scrittore. “Un po’ vecchiotta, provinciale, fresca/ tuttavia d’un tal garbo parigino”, questa è la Torino di Gozzano, e mentre lui scrive è facile immaginare il Po che scorre, i bei palazzi del Lungo Po che si specchiano nell’acqua in movimento, la Mole che svetta su un cielo che difficilmente è di un azzurro limpido.
Il poeta fa riferimento alle “sere torinesi” e descrive così il momento che lui preferisce, il tramonto, quando la città diventa una “stampa antica bavarese”, il cielo si colora e le montagne si tingono di rosso, (“Da Palazzo Madama al Valentino /ardono l’Alpi tra le nubi accese”), e pare di vederlo il “nostro” poeta, mentre si aggira per le vie affollate di dame con pellicce e cappelli eleganti, e intanto il giorno volge al termine e tutti fanno ritorno a casa.
Gozzano, da buon torinese, conosce bene la “sua” e la “nostra” Torino, di modeste dimensioni per essere una grande metropoli, e troppo caotica per chi è abituato ai paesi della cintura, un po’ barocca, un po’ liberty e un po’ moderna, stupisce sempre gli “stranieri” per i “controviali” e i modi di dire. Torino è un po’ grigia ed elegante, per le vie del centro c’è un costante vociare, ma è più un chiacchiericcio da sala da the che un brusio da centro commerciale, è piccola ma a grandezza d’uomo, Torino è una cartolina antica che prova a modernizzarsi, è un continuo “memorandum” alla grandezza che l’ha contraddistinta un tempo e che, forse, non c’è più. Di Torino è impossibile non innamorarsi ma è altrettanto difficile viverci, e, se uno proprio non se ne vuole andare, c’è solo una cosa che può fare, prestare attenzione alla sua Maschera: “Evviva i bôgianen… Sì, dici bene,/o mio savio Gianduia ridarello!/ Buona è la vita senza foga, bello/ godere di cose piccole e serene…/A l’è questiôn d’ nen piessla… Dici bene/ o mio savio Gianduia ridarello!…”
Alessia Cagnotto
Un libro affascinante e intrigante, che ha per protagonista, oltre al giovane uomo al centro della vicenda narrata, la Torino magica ed esoterica.
Una prospettiva completamente nuova, in grado di dire qualcosa di più, e di meglio, sugli aspetti più intriganti della nostra amata Torino: questo accade con “La Via del Matto”, opera unica (si spera solo per il momento) di una giovane autrice torinese, Giulia Graglia, tanto addentro alla materia esoterica quanto in quella enologica che – aspetto peculiare – buon ruolo gioca nel romanzo.
Pubblicato dall’editrice “La Corrente”, la cui denominazione sarà più chiara a coloro che si appresteranno alla prentazione del libro (e al dialogo tra autrice e conduttore dell’incontro) e alla lettura, “La Via del Matto” è, in primo luogo, una bellissima storia fatta di Persone, Anime e Cuori.
Un costruttivo percorso di redenzione e iniziazione ricostruito tramite una triplice linea narrativa che, attraverso una prosa gradevolissima e mai stancante, ci accompagna a seguire le vicende del protagonista, Adel Solari (nomen omen…), giovane rampante la cui carriera nel mondo finanziario subisce una brusca interruzione, portandolo ad avere guai con la giustizia.
In bilico tra il racconto del mistero ed il romanzo di formazione, grazie ad una pregevole dinamica narrativa che deve qualcosa al mondo del cinema, “La Via del Matto” si rivela lettura godibilissima e coinvolgente, mai banale e con una peculiarità: al termine della lettura, al lettore rimane la chiara sensazione che chi ha dato vita a questo romanzo abbia piena cognizione delle profonde e complesse tematiche affrontate. Come chi le ha vissute in prima persona e magari sia stato in qualche modo ispirato…
ROBERTO TENTONI