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Kintsukuroi, dal Giappone l’arte di curare e aggiustare

L’usa e getta si è insinuato nelle nostre vite con grande prepotenza. Comodo in alcuni casi, seppur con conseguenze gravissime arrecate al nostro pianeta oramai visibili a tutti, in altri davvero incomprensibile o forse semplicemente insito e proprio delle moderne logiche di mercato che hanno condizionato le abitudini e  creato automatismi nella condotta quotidiana di gran parte delle persone. Non funziona più? Lo butto. Si rompe? Va nel cassonetto, senza appello, senza concedere una seconda possibilità. Il problema, la triste realtà è che l’ approccio al monouso si applica spesso anche alle relazioni, alle amicizie, ai rapporti con le persone e ricucire, in caso di conflitti o diversità,sta diventando sempre più difficile e inconsueto. Quel che si è rotto si è rotto passiamo al nuovo oggetto, cerchiamo nuove amicizie e relazioni all’insegna della perfezione e all’impeccabilità, cancelliamo e abbandoniamo.

Eppure il nostro percorso è fatto anche di delusioni, di ferite e di fratture, gli oggetti così come i rapporti sono per costituzionedelicati e frangibili, possono subire gli effetti del tempo e degli eventi provocando a se stessi crepe, a volte profonde. Il nostro viaggio su questa terra è fatto anche di ostacoli e di difficoltà, l’ideale è un’ ambizione spesso irrealizzabile e persino pericolosache ci espone a sentimenti di amarezza, siamo esseri imprecisi che producono cose difettose.

Dalla cultura giapponese, in netta controtendenza con le corrente vocazione alla sostituzione, ci perviene una vera e propria arte, il Kintsukuroi, che letteralmente vuol dire “riparare con l’oro”. Questo tecnica che mira alla rivalutazione degli oggetti, non soltanto ridandogli nuova vita ma elevandone persino il valore, è un metodo che può essere applicato anche  alle ferite dell’anima, utilizzato per curare le delusioni provocate dal comportamento umano, imperfetto, complesso, spesso contorto e incomprensibile.

Il Kintsuroi è una “metafora”, una filosofia per la vita quotidiana,  utile a farci accettare la fragilità e la vulnerabilità della nostra esistenza, l’unicità che ogni vita o cosa  possiede grazie ai suoi difetti, alle insicurezze, alle manchevolezze che, troppo spesso, ci provocano frustrazioni a causa del mito della perfezione che tanto celebriamo.

Lo psicologo Tomas Navarro, fondatore di un centro di consulenza per il benessere emotivo, ha dedicato un libro al Kintsukuroi dove ci spiega come guardare gli oggetti, così come a noi stessi, con occhi nuovi e dove fa incontrare questa saggia arte giapponese con la filosofia zen e la psicologia occidentale. Attraverso una scrittura gentile Navarro ci insegna come curare le ferite interiori con lo stesso metodo con cui si ripara con l’oro in Giappone, per fare di noi stessi “creature forti e preziose”.

“Ciò che si è rotto può essere ricomposto, la sua apparente fragilità si è trasformata in una forza manifesta”.

Maria La Barbera 

Il ricordo di Mario Lattes a cento anni dalla nascita al Circolo dei Lettori

Nell’ambito della diciassettesima edizione del Festival nazionale Luigi Pirandello e del Novecento, il 22 giugno scorso, al Circolo dei Lettori di Torino, si è voluto ricordare la figura di Mario Lattes a più di venti anni dalla scomparsa, ma soprattutto nel centenario della nascita, avvenuta il 25 ottobre 1923, alla presenza del critico letterario Bruno Quaranta, del professor Giovanni Barberi Squarotti e del nipote Simone Lattes, che oggi ha preso le redini della casa editrice. Si è trattato di un ricordo appassionato di una delle figure più articolate e complesse del Novecento.

Sicuramente Mario Lattes ha unito in sé varie anime, da quella dell’editore, per la quale è più conosciuto al vasto pubblico, a quella di scrittore e di pittore.

Dopo la seconda guerra mondiale avrebbe diretto la Lattes Editori, la casa editrice fondata dal nonno Simone Lattes nel 1893, tra le più importanti nel settore dell’editoria scolastica, ma che avrebbe proposto anche opere di autori quali Il’ja Erenberg, William Faulkner e Filippo Burzio.

È stato un importante collaboratore, con scritti e disegni, di riviste culturali eminenti del momento, quali il Mondo di Pannunzio, la Fiera letteraria e la Gazzetta del Popolo.

Fu con un gruppo di amici che fondò la rivista letteraria “ Galleria” nel 1953 che, nel 1954 assunse il titolo di “Questioni”, divenendo una voce influente nel mondo culturale non solo torinese.

Dopo la laurea all’Università di Torino con il professor Walter Maturi prese avvio la stagione della pubblicazione dei romanzi e racconti, tra cui “Le notti nere” del 1958, “La stanza dei giochi” del 1959 e “Il borghese di ventura”, pubblicato da Einaudi nel 1976.

Mario Lattes è stato un testimone acuto delle vicende del suo secolo, interprete delle tensioni e ambiguità del suo ruolo d’artista. Ne ha vissuti i drammi e le esaltazioni, filtrando le emozioni attraverso una personale visione della figurazione, intrisa di umori fantastici e visionari.

In qualità di artista gli va il merito della diffusione in Italia di pittori e autori stranieri di grande valore.

Mario Lattes, nell’ambito pittorico, come ha testimoniato Libero de Libero, risulta “un autore notturno e raffinato, capace di dare vita a immagini oniriche e a fantasmi illuminati da centro del colore”. La sua prima mostra risale presso la galleria La Bussola, a Torino, nel 1947, a testimonianza delle esperienze artistiche maturate nel suo periodo laziale. Partecipò con successo a due edizioni della Biennale di Venezia e alla quadriennale di Torino e di Roma. La sua opera pittorica, dopo un primo periodo “informale”, è sempre stata figurativa, con un approccio visionario e fantastico che si richiamava a Gustave Moreau, a Odilon Redon e James Ensor. Esiste un sottile fil rouge che lega la pittura, le incisioni e i romanzi, talvolta nella scelta dei soggetti identici, ma trasfigurati da mezzi espressivi diversi.

Ha sperimentato linguaggi e tecniche eterogenei nel quale ha espresso il dolore dell’esistenza e la sua rivendicazione della libertà a ogni pregiudizio. La sua opera pittorica attraversa così momenti di ispirazione ora espressionista, ora astratta, per approdare a matrici surrealiste. Le sue tele sono popolate da ombre, crisalidi, fantasmi e nature morte.

Sentimenti, vicende personali, paure, speranze e la vita quotidiana costituiscono i temi di cui sono composti i romanzi di Mario Lattes, che sono sempre opere autobiografiche, scritte con sensibilità, con ironia e profondo senso epico. Nel 1972 veniva pubblicato un libretto intitolato “Fine d’anno” in cui sono raccolte alcune poesie di Lattes, che ripropongono i temi centrali della sua riflessione: la nostalgia per ciò che si è dovuto lasciare, che non c’è più se non nella memoria, la morte, la natura, l’amore che passa, l’esilio. Nel 2015, per volontà degli eredi, veniva pubblicata la tesi di laurea di Mario Lattes a cinquantacinque anni dalla sua stesura, dal titolo “Il ghetto di Varsavia”, a cura del Professor Giacomo Iori.

Mara Martellotta

 

Paolo Pozzi e la linea ideale sul 45° parallelo

 

Al termine di un lavoro di ricerca durato molti anni è stata pubblicato in edizione ristretta l’interessante volume “ 45° parallelo. Similitudini, somiglianze, intrecci e fantasie nelle culture dialettali” nel quale Paolo Pozzi  indaga e confronta vicende e sovrapposizioni lessicali, testi poetici e musicali su una linea ideale che scorre dalla sponda piemontese del Verbano fino alle coste dell’Istria.

 

L’autore, dirigente industriale in pensione e appassionato ricercatore, nato al Mottarello di Masnago (Varese) e residente sulle colline di Stresa, ha potuto attingere sia dalla cultura lacustre dell’ Insubria sia dalle tradizioni friulane, soprattutto della destra del Tagliamento, la terra dei suoi nonni materni. Un volume di 140 pagine dove il testo è accompagnato da numerosissimi rimandi  a fonti esterne attivabili semplicemente con un click e da una chiavetta usb dove sono raccolti numerosissimi documenti. Il lavoro di Paolo Pozzi sui parallelismi nelle culture dialettali tra ovest ed est, viaggiando idealmente sulla linea del 45° parallelo, è molto interessante. La splendida espressione tradotta dall’yiddish di Weinreich (“una lingua è un dialetto con un esercito e una marina“) riassume l’importanza e la nobiltà delle tradizioni vernacolari. Non a caso l’autore cita il cardinal Tonini che, acutamente, sosteneva come le nostre radici non si trovano solo nella terra dove siamo nati ma anche nell’educazione che abbiamo ricevuto. Così, accompagnati dai parallelismi, si può viaggiare tra le pagine confrontando lingue e tradizioni dei progenitori di Pozzi, come nei casi della nonna materna, friulana, e di quella paterna, originaria del varesotto. Un confronto che chiama in causa i poeti lungo quel filo immaginario che corre tra le terre dell’Ossola e del lago Maggiore fino a Pinguente, nella valle del fiume Quieto, un tempo sede della Serenissima nell’entroterra istriano. Il richiamo a Pier Paolo Pasolini che precisa il senso del canto popolare e il viaggio proposto da Pozzi ( dove, pur stando seduti, ci si sente sempre in movimento) tra storie, migrazioni di uomini e parole, contaminazioni maturate su strade polverose battute dalle truppe napoleoniche formate dai grognards de la grande armée, vecchia  e fedele guardia napoleonica proveniente da territori larghi e transnazionali, sono immagini straordinarie. I Savoia che diffondono la lingua italiana per combattere ignoranza e analfabetismo e, al tempo stesso, favorire sentimenti unitari; il popolo che salva il dialetto dalla protervia del fascismo che imponeva l’italianizzazione forzata ( come fece in Istria e Dalmazia, territori occupati) aprono squarci sulla storia. La ricerca sulle similitudini nei vocaboli tra i dialetti bosino e friulano, l’arguto confronto sui diversi significati della parola “briciola” o la scoperta che Madonna” nel dialetto bresciano è un termine con tre significati ( appellativo di Maria – come nel resto del Paese – , suocera e persino una brutta parola). Nanni Svampa fondatore del gruppo cabarettistico e musicale dei Gufi, immaginato in parallelo con George Brassens mentre il padre Nino a Cannobio scriveva poesie e coltivava la passione velistica, raccontate nel libro “Boff de Canobina” (vento di Cannobina), consente a Paolo Pozzi di tracciare un altro parallelo con Biagio Marin, il poeta di Grado che nacque in territori a quel tempo appartenenti all’impero austro-ungarico. Il libro propone spunti e riflessioni offerte in un lavoro che non ha nulla di accademico, come precisa l’autore, ma si trasforma in un vitalissimo affresco di culture e storie. Le vicende narrate si ripetono nelle vicissitudini dei migranti di ieri e di oggi, tra chi conobbe l’esodo da Pinguente e chi raggiunge con una imbarcazione di fortuna Lampedusa dopo aver attraversato un braccio di mare che è diventato un cimitero di disperati in cerca di fortuna o in fuga da guerre e fame. Le suggestioni che si offrono al lettore sono tante e c’è una continuità, un filo rosso che lega personaggi e luoghi, profili come quello di Toti Dal Monte e paesi come Pieve di Soligo. La solida ricerca condotta da Paolo Pozzi confrontando canzoni e poesie e la parte che dedica a Trieste e alla terra friulana dove si dipana parte del suo “lessico famigliare”, è una sorta di compendio alle tracce che si trovano leggendo “Gli aghi”, un suo libro di qualche anno fa. Se ci si può permettere un ulteriore parallelismo questo è possibile chiamando in causa il Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejević, un libro che sembra una finestra spalancata sul mare nostrum, su moli e banchine, sagome di chiese e architettura di case, sui fari delle coste e gli itinerari delle carte nautiche. Leggerlo equivale a sfogliare le pagine di un dizionario di gerghi, espressioni, idiomi, parlate che cambiano nel tempo e nello spazio. Quello di Paolo Pozzi è un breviario poetico sull’uso della lingua e di quello che, volgarmente, viene definito dialetto ma che a ben guardare , essendo “una varietà della lingua”, ne ha la stessa dignità, trasmettendo emozioni e calore, traducendo i sentimenti in parole spesso più appropriate di quanto possano fare le lingue ufficiali. Già nella sua silloge “Le rime migranti”  usò le varietà delle “sue lingue” con garbo e maestria, sia quella bosina che svela la radice paterna, legata al territorio della provincia di Varese, che le friulane e istriane, rispettivamente della madre e della moglie, frutto del pluralismo linguistico che si trova sulla linea del confine orientale, dove la tradizione mitteleuropea sfuma nei Balcani. Lì si toccano due mondi: l’Occidente, dove la verità è adeguamento della cosa all’intelletto; e l’Oriente, dove la verità è ciò che sembra che la cosa sia. Così, sfogliando le pagine, si respirano le atmosfere del Verbano, dove si sente “l’acqua che sciaborda contro i sassi” e s’intuisce il profilo dei monti che lo circondano ( “come stirate dalle dita del vento, delle nuvole grigie si strappano sulle cime della Val Grande”) fino all’Istria e dell’Adriatico (“Non si può solo camminare sulla riva per capire cosa vuol dire Mare! Ma con l’impeto di un’onda che ti spinge a vele tese, prova a navigare..”). E’ il lievito del racconto, dell’impasto dei suoi pensieri. Ci sono le riflessioni sociali, immagini d’attualità, i segni di una sensibilità ricca, profonda, mai banale – in questo peregrinare tra le brume e le nebbie del lago Maggiore e l’ombra del campanile “dritto e aguzzo” di Pinguente (la croata Buzet di oggi). Quella di Paolo Pozzi è una ricerca che meritava d’essere conosciuta perché lasciarla chiusa e al buio nel fondo di un cassetto sarebbe stata davvero un peccato.

Marco Travaglini

“Destini” di Manuele Zambardi. Un amore che si tramanda nei secoli

Informazione promozionale

Il romanzo è ispirato ad una leggenda giapponese che racconta di un filo rosso che lega le anime di chi si ama all’infinito. Lo spunto per partire con questo romanzo me lo diede la notizia di un messaggio ritrovato in una bottiglia rimasta in mare per chissà quanto tempo. Anche i due protagonisti di DESTINI trovano un messaggio nascosto e per saperne di più dovranno cercarne altri sparsi per il mondo. Una specie di caccia al tesoro progettata dal destino

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L’AUTORE SI RACCONTA

Mi è sempre piaciuto leggere perché per me leggere equivale a sognare. Se ci pensate, poche parole scritte possono creare nella nostra mente mondi nuovi che prima non conoscevamo; nel momento in cui si legge o si sogna la nostra mente si distrae e confonde la realtà con quello che non lo è. La lettura ha il vantaggio di poter smettere o riprendere quel sogno e riviverlo ogni volta che si vuole. Anche quando scrivo provo la medesima sensazione di distacco dal mondo, e vivo la vita dei miei personaggi nel bene e nel male come se fossero persone vere. Mentre scrivevo il mio primo romanzo, Infinito, più volte è successo che non riuscivo a proseguire per le intense sensazioni che mi attanagliavano. Ancora oggi mi emoziono a leggere certe pagine… credo che non si possa scrivere di qualcosa se non la si sente dentro. Mi piace creare nella mente di chi mi legge il disegno di ciò che i miei personaggi vedono o sentono, ma lascio la possibilità di mettere i propri colori, affinché le emozioni arrivino più intense. DESTINI parla di un amore che si tramanda nei secoli attraverso le vicende di alcuni destinati a ritrovarsi e a ricongiungersi. Il romanzo è ispirato ad una leggenda giapponese che racconta di un filo rosso che lega le anime di chi si ama all’infinito. Lo spunto per partire con questo romanzo me lo diede la notizia di un messaggio ritrovato in una bottiglia rimasta in mare per chissà quanto tempo. Anche i due protagonisti di DESTINI trovano un messaggio nascosto e per saperne di più dovranno cercarne altri sparsi per il mondo. Una specie di caccia al tesoro progettata dal destino. Per scrivere DESTINI mi sono occorsi ben cinque anni, in quanto ho dovuto documentarmi su diverse cose, le strade, ad esempio. Alcune parti della storia si svolgono nel 1930; quali strade erano percorribili a quei tempi? E quali automobili le percorrevano? Volevo inoltre approfondire la storia delle città che i miei personaggi visitavano. Non avendo potuto vedere di persona tutti i luoghi descritti, mi sono avvalso delle descrizioni di chi quei posti li ha visitati veramente. Vorrei che le conoscenze di cui mi sono arricchito diventassero piccoli cammei narrativi che impreziosiscono il racconto. Costruire una trama con delle storie dentro la storia stessa, confesso, è stato un lavoro immane e faticoso… ma credo che ora stia a voi giudicare. Buona lettura. Il libro è disponibile sia in edizione cartacea che in digitale su tutti i principali store: Feltrinelli, Mondadori, Amazon, ecc.

Qui troverete il link per Amazon: https://www.amazon.it/Destini-amore-oltre-confini-tempo/dp/B0BV5GBDJR

Il Diario Italiano di Pier Franco Quaglieni

Diario Italiano è l’ultimo libro di Pier Franco Quaglieni, storico e saggista, colto polemista che ha abituato i lettori a riflettere su testi che brillano per lo spiccato anticonformismo che ne accompagna da sempre l’assoluta libertà di pensiero, riluttante nei confronti della piaggeria e dei condizionamenti che abbondano in gran parte delle pubblicazioni più o meno engagé che affrontano i temi della storia e del costume contemporanei. Risulta di grande interesse la raffigurazione della storia contemporanea attraverso le biografie di questi ventinove personaggi che hanno saputo influenzare le vicende della nazione e del territorio piemontese. Un’ impresa italiana per nulla scontata e assai ardua poiché Quaglieni ha inteso puntualizzare che i personaggi descritti sono solo alcune delle più importanti personalità che hanno impresso il loro segno in questa storia. Eppure il quadro d’insieme che scaturisce è quanto mai interessante, testimoniando una profonda conoscenza e quello spirito libero e critico che da sempre contraddistingue il direttore del Centro Pannunzio. Sono ritratti di personaggi a loro volta scomodi, capaci di intuizioni o imprese non scontate, molto diversi tra loro come, per fare qualche esempio, Giovanni Agnelli e Carlo Donat-Cattin, Alberto Asor Rosa e Luigi Firpo, Frida Malan e Gino Strada, Andrea Cordero Lanza di Montezemolo e Carol Rama. Oltre a queste personalità e ai loro profili tratteggiati vanno segnalati i due contributi finali contenuti nel libro ( Il mio 25 aprile tra ricordi e storia e I conti con il fascismo) dove Pier Franco Quaglieni riprende e affronta la riflessione sui grandi temi delle ideologie novecentesche, dal comunismo al fascismo, all’antifascismo post bellico e odierno, ai sovranismi del Terzo Millennio. Lo fa con le sue opinioni destinate a far discutere, scegliendo deliberatamente di rappresentare anche le ragioni dei vinti “perché una storia scritta dai soli vincitori appare non accettabile”. In fondo tutto il libro riprende la riflessione “su destra e sinistra nella storia del Novecento, andando oltre le contrapposizioni manichee”. Il male e il bene assoluto, secondo l’autore, “sono assolutizzazioni incompatibili con la ricerca e la comprensione storica che esige invece il distacco dai fatti di cui fu capace Federico Chabod nella sua Storia dell’Italia contemporanea del 1950”. La sua scrittura è animata da una passione civile che, come in più occasioni ha avuto modo di sottolineare, affonda le sue radici culturali nel Risorgimento e nei suoi valori ideali. E la passione per la libertà, il piacere del confronto delle idee e della discussione viene esternata con chiarezza, senza il timore di apparire scontroso o persino urticante nell’esprimere i suoi giudizi, pur rispettando le varie posizioni.  Non è del resto una novità per chi conosce la sua ampia produzione culturale, improntata saldamente su alcuni principi come la difesa dell’oggettività storica e l’allergia nei confronti di ogni fondamentalismo, in nome e per conto di una idea di moderno umanesimo che non può che far bene in questi tempi pigri e opachi.

Marco Travaglini

Libri. Alla scoperta di Marcos y Marcos

Marcos y Marcos, casa editrice con sede a Milano, è specializzata nella proposta e riproposta di narrativa italiana e straniera, ma è attiva anche nel settore della poesia. Le loro storie provengono da ogni parte del mondo, rispondendo ai molteplici gusti dei lettori. Libri e non solo, Marcos y Marcos propone ai lettori molteplici iniziative: l’ultima è “un libro per tè” ovvero un gruppo di lettura frutto della collaborazione tra la casa editrice e le librerie di tutta Italia. Durante il mese di lettura i partecipanti ricevono contenuti speciali multimediali dedicati al titolo scelto: curiosità, video, ricette, colonne sonore, percorsi di lettura e perfino di viaggio. Perché ogni libro apre un mondo. Con un catalogo appena rinnovato, libri dai colori più vari e accesi per lettori di tutti i gusti e tante iniziative per grandi e bambini, la Marcos y Marcos si riconferma un caposaldo tra le case editrici in grado di innovarsi e adattarsi ai tempi. Abbiamo letto due proposte considerate tra le novità più interessanti del momento.

Poco mossi gli altri mari- Alessandro della Santunione- a cura di Valeria Rombolà

Immaginate un paese in Italia, uno di quelli in cui tutti si conoscono. Ora provate a pensare ad una grande famiglia che decide di vivere insieme in una casa stretta e sempre uguale a se stessa. Non solo il nucleo famigliare, ma anche tutto il parentato comprensivo di bis-nonni. In quella famiglia, infatti, è da un pezzo che non muore più nessuno ed il tempo si è fermato. L’unico a morire, alla fine, è Dio e con lui anche quel minimo di speranza che era loro rimasta. In questo racconto, Della Santunione descrive una realtà paradossale, ma capace di portare il lettore verso riflessioni profonde e intese: il senso di sé rispetto alla famiglia, la malinconia, il tempo e la fede. Lo stile narrativo ricorda Saramago narrando episodi “insoliti e controversi, cercando di mettere in luce il fattore umano dietro l’evento. Sotto molti aspetti, l’opera potrebbe essere definita allegorica”. Consigliatissimo per chi vuole leggere una storia diversa dalle altre, in grado di far sorridere ed emozionare allo stesso tempo e di farci riflettere sul perché “abbiamo accumulato così tanta rabbia negli anni, a forza di desiderare cose che non si sarebbero avverate?o che comunque non ci avrebbero soddisfatti?”.

Se gli dei ti fanno impazzire- Richard Powell a cura di Francesca Bono

Se gli dei ti fanno impazzire”, di Richard Powell, è un titolo ha un che di Saramago, irrimediabile passione da sempre. Subito la ragazza dello staff presente al Salone del Libro 2023, appassionata almeno quanto me, ci racconta di questa ristampa italiana, la prima dopo tanto tempo, connessa a questo autore.

Con questo romanzo lo scrittore, noto per il grande successo de L’Uomo di Philadelphia del 1956, si distacca dal filo conduttore della tematica poliziesca caratterizzante buona parte della sua attività, per passare a interpretare in chiave del tutto originale un contesto tra lo storico e il mitologico.

La linea della vita di un bambino spaurito e trasportato da eventi che, impercettibilmente, lo trasformano in uomo, traccia la narrazione della guerra di Troia attraverso una prospettiva inedita.

E’ lo sguardo di Helios a catapultare il lettore nella realtà del conflitto fulcro dell’Iliade, regalando, con un linguaggio concreto e diretto, un ritratto personalizzato e senza sconti di attori e contesti. Descrizioni che sono fotogrammi, focus introspettivi sui personaggi, ironia. Questi i semplici e potenti strumenti con cui l’autore stravolge significati e restituisce tratti profondamente umani persino agli eroi cantati dagli aedi. Senza ridondanze né eccessi, l’autore rende quasi breve questo lungo romanzo. Tanto che, di non letto, non resta neppure l’indice.

Due donne si fronteggiano tra la sfida e l’avventura del viaggio

Alessandra Fagioli, arrivando ai sessanta, continua a guardare ai panorami marini della costa nord dell’isola d’Elba, tra il vento e la spuma delle onde, fa capo all’antica casa dei nonni paterni appollaiata a picco sul mare, dove ama trascorrere lunghi periodi, nel borgo antico di Marciana Marina. Le considera le sue terre. Di vita e di scrittura. Ha vissuto anche in altre città, Padova e Torino tra le altre, ma il suo cuore è là. Le sue prime tre passioni rimangono il mare, Shakespeare e la follia, “tra lo spettacolo di una natura agitata, la magia della messinscena del Bardo e il delirio di un ‘mare matto’”. I suoi interessi e il suo lavoro sono gli studi di Antropologia Culturale e il cinema e il teatro, la Storia della Fotografia, frequenta corsi e seminari, corre da Shakespeare alla sessualità di Pasolini, scrive libri e inanella riconoscimenti. Inizia a scrivere i suoi romanzi nel ’96, otto titoli che l’avvicinano anche allo Strega. Padroneggiando la Settima Arte, passa da “Vera Drake” a “Match Point”, da “Babel” a “Vicky, Cristina, Barcellona” a “Hugo Cabret”.

Uno sguardo sfaccettato che spazia, non soltanto nelle differenti discipline. Uno sguardo che spazia nei panorami azzurri (leggi l’intero arcipelago toscano: e ben oltre, si vedrà), che avanza e che ama allo stesso tempo tornare sui suoi passi. Dopo “Scacco all’isola” (2020), la scrittrice affida ancora a Robin Edizioni il successivo “Mistero allo specchio” (2022), confermandoci nell’idea che per dare alle definitive stampe un buon giallo ci vogliono un’impalcatura convincente, un plot inoppugnabile, ben distribuiti colpi di scena che tengano ad ogni istante viva l’attenzione del lettore (giustamente esigente), un pugno di personaggi che non sia facile dimenticare. Tutto questo e molto altro è in “Mistero allo specchio”, proseguo folgorante e appassionato, dove l’azione non poche volte cede il passo alle psicologie cesellate pagina dopo pagina, dove lo studio di passioni e di sconfitte, dell’accanirsi della vita quotidiana e del disgregarsi del nucleo familiare, della necessità di rivalersi su una realtà troppo nemica si fa sempre più concreto, accadimento dopo accadimento. Se “Scacco” guardava ai rapporti tra la protagonista Anna Tesei incaricata di far luce su tre delitti e l’amica d’infanzia Emma Lamon, celebre autrice di gialli e prolifica dispensatrice di preziosi consigli per lo sviluppo delle indagini, in “Mistero” (“a Emma Lamon, perché glielo dovevo”) ogni aspetto è ben diverso.

Anni sono trascorsi da quegli episodi, Anna, ex commissario della squadra mobile di Livorno, è arrivata al comando della Direzione Centrale Anticrimine grazie alla cattura di Emma che sta scontando l’ergastolo nel carcere di Rebibbia, colpevole d’aver commesso sei omicidi premeditati presso diverse località dell’isola d’Elba, in nome di una passione assoluta ed esclusiva per uomini che non hanno voluto condividere con lei né la vita né l’isola. Ogni attimo di vita s’è incrinato, dieci anni hanno lasciato un solco non indifferente. Mentre Emma (“aveva fatto carriera in carcere, non come i criminali incalliti che accrescono il loro potere attraverso vessazioni e minacce: ma come i creativi che si distinguono per il loro talento e arrivano a esercitare un carisma più influente di quello di un boss”) è chiusa nella sua cella con i propri fantasmi (ma ha tempo di coltivare anche personali momenti di cucina, “tra un fiotto di chantilly” e “una pastafrolla”), Anna tenta di ricostruire la propria esistenza (“La verità è che ogni sera le costava sedersi a tavola da sola”), vissuta senza riposo a fare del lavoro l’unico scopo, una vita “interamente spolpata da sentimenti e umanità”, ripensando ad un ex marito, Zeno, paraplegico, che s’è rifatto una vita, lui sì, con un’altra donna, come a quel figlio Rocco che ha sempre coltivato il bullismo e a Tania, la figlia, da sempre vicino agli stupefacenti, entrambi lontani, entrambi assenti, “figli che le erano sfuggiti di mano”.

Quello che maggiormente fa sentire abbandonata e sola Anna è il silenzio dell’amica di un tempo: ma l’attesa durerà poco tempo. Emma è evasa, in un racconto d’evasione che raccoglie le più belle e frenetiche pagine del romanzo. E con l’evasione “Mistero” s’ispessisce con uno sviluppo che targa Fagioli come una robusta scrittrice. Al romanzo di Anna s’affianca il romanzo di Emma, i resoconti di misteriosi delitti, sei capitoli e un sottofinale, fogli riposti in buste gialle e la buca delle lettere a fare da ultimo contenitore, distinti anche graficamente, tante tracce e innumerevoli direzioni, “percorsi d’invenzione”, indizi a condurre Anna da un nugolo di isole speciali (isole carcerarie) ad anfratti e grotte, da acquari a dirupi a musei, da una cresta di Montecristo alla presenza di un’allevatrice di orsi o a una fotografa di guerra, a città sparse in tutta Europa, da Barcellona a Marsiglia, da Berna a Monaco di Baviera, da Zagabria a Sarajevo, personaggi (?) femminili che si nascondono sotto antichi nomi, da Andromaca a Ecuba, da Clitennestra a Penelope a Cassandra, ogni parola costruita per illudere l’inseguitrice a scoprire dove la fuggitiva si nasconda. In ultimo la parola chiave, Watteau e “Imbarco a Citera”, in ultimo la resa dei conti (“Cara Anna, se leggerai questa lettera vuol dire che sarai riuscita ad arrivare fin qui”).

La sfida, l’avventura e il viaggio, l’acqua del mare e le grandi città europee, le due solitudini, una donna di fronte all’altra ma anche una donna verso l’altra, una duplice partitura, la padronanza nell’alternare inganno e realtà. Un romanzo convincente e avvincente, in cui, arrivando alle ultime righe sai di trovarti di fronte a una fervida, esatta, splendida e armoniosa scrittura: “Tanto la sera era languida e desolante, quanto il mattino possedeva un’energia incandescente che cresceva con l’elevarsi del sole, sparato sulla città dai primi albori senza alcuno schermo a stemperare le sue imperiosità, da spingere chiunque a trovare riparo nelle più esili ombre…”.

Elio Rabbione

Nelle immagini: la copertina del romanzo “Mistero allo specchio”, Robin Edizioni; due fotografie dell’autrice Alessandra Fagioli.

Bellezza tra le righe

 

Un viaggio attraverso la bellezza dei romanzi e della letteratura in location esclusive, come casa Lajolo a Piossasco, il castello di Miradolo a San Secondo di Pinerolo e il palazzo dei Conti di Bricherasio

 

Bellezza tra le righe 2023 è il titolo della rassegna che, nata nell’estate 2020, proprio poco dopo l’arrivo del Covid, desiderava far parlare una serie di voci autorevoli del presente in location affascinanti come i parchi e giardini di casa Lajolo a Piossasco, il castello di Miradolo, a San Secondo di Pinerolo,  proprio con loscopo di comunicare messaggi di speranza per il domani.

Il primo appuntamento della rassegna dell’edizione 2023 sarà per domenica 25 giugno prossimo e proseguirà fino all’ 8 ottobre,  all’ombra degli alberi secolari di casa Lajolo e di quelli del castello di Miradolo.

La quarta edizione vede aggiungersi  il parco di una nuova dimora ancora tutta da scoprire,  Palazzo Conti di Bricherasio.

Quest’anno la rassegna è  stata inserita nel cartellone “Luci sul Festival”, attività promossa dal Salone Internazionale del Libro per sostenere la diffusione e la conoscenza delle realtà  che risultano legate al mondo dei libri e della lettura.

“Cura” rappresenta la parola chiave intorno al quale ruota il titolo “Maneggiare con cura. Incontri e letture per mettersi in salvo”.

Saranno nove gli incontri che narreranno l’idea della cura da angolazioni diverse.

La cura è  impegno, attenzione, assistenza, diritto, oltreché un’esigenza salvifica che contiene e rassicura, rivolgendosi all’esterno come all’interno, includendo, così, ogni ambito della nostra esistenza.

Gli spunti sono infiniti e vanno dall’indagine al comprendereinsieme per coltivare e condividere percorsi di senso. L’edizione 2023 prevede una novità. In contemporanea a molti degli incontri,  vi saranno dei laboratori gratuiti di lettura per i più piccoli, un modo che consentirà  a tutta la famiglia di fruire di una simile iniziativa.

A curarli la casa editrice Babalibri, che edita libri e giochi per l’infanzia dal 1999.

I laboratori saranno condotti da ABC, acronimo di Anna, Barbara e Cristina, ma anche acronimo di “Art, book and creativity”. Si tratta di un gruppo formato da tre professioniste che da tempo operano nel campo del letteratura per l’infanzia, rivolgendosi soprattutto a bambini di età scarse e prescolare, ma aperti anche a attività e età diverse.

Ogni proposta si articola in un momento di lettura animata dell’albo, e da una seconda fase durante la quale viene offerto un ampio e ricco materiale creativo per liberare la fantasia. I bambini, per esempio, incontreranno Dagfrid, la bambina vichinga,  e faranno scorte di baci con Zeb, immersi nel verde delle dimore storiche.

L’inaugurazione di “Bellezza tra le righe” avverrà in maniera congiunta, con tre appuntamenti tutti domenica 25 giugno.

Alle 11, presso  il Castello di Miradolo, Margherita Oggero presenterà il suo nuovo romanzo ambientato a Barriera di Milano, dal titolo “Brava gente”  (Harper Collins, 2023). Alle 14.30 a palazzo Bricherasio  verrà  presentato il “Diario di un viaggio che cura” con Beppe Pezzetto che parlerà di “Pala e Tequila”, diario di un viaggio in Messico tra luoghi e persone,  ma anche modi di dire e canzoni degli anni Novanta. La giornata in domenica 25 giugno si concluderà con l’appuntamento, alle 18, a Piossasco,  a Casa Lajolo con Daniele Cassioli,  cieco dalla nascita e laureato in fisioterapia, coach e formatore, che ha scritto un manuale dal titolo ‘Insegna il cuore a vedere’.

Il romanzo di Margherita Oggero dal titolo “Brava gente” è  ambientato nella periferia Nord di Torino, a Barriera di Milano  e vi si intrecciano, con un misto di meschineria e generosità, odi e  amori che contraddistinguono persone diverse come Debby, che a quindici anni fa la badante, ma pensa di uccidere il padre, o Florin, camionista che sogna una casa tutta sua, o Vanessa Delice, estetista al soldo di un coiffeur, Alexander The Best.

“ Pala e Tequila” rappresenta il diario-viaggio, una missione in Messico con una pala e una bottiglia di tequila nello zaino, da seppellire in un luogo spirituale e significativo, per compiere un gesto scaramantico, che rappresenterà  il passaggio dalla gioventù  all’età adulta.  L’autore, avvertendo la necessità di mettere ordine nella propria vita,  seppur ricca di esperienze e di amici, sente l’esigenza di guardarsi indietro per fissare un punto di riferimento, purché  individuabile, su una mappa.

Questo viaggio presenterà  stimoli per pensare alla  propria esistenza in modo diverso.

Per gli altri appuntamenti si prevede domenica 16 giugno  a Casa Lajolo un incontro su “Musica e cura: suoni, testi, illustrazioni” a cura di Maria Luce Possentini, che presenterà il volume “La cura”, editore Einaudi Ragazzi 2022.

Domenica 30 luglio a Palazzo Bricherasio si parlerà  di un viaggio interiore come cura propria e Bruna Macaluso presenterà il volume “La rotta migratoria dell’anima”.

Domenica 10 settembre alle 17, a casa Lajolo incontro sul tema  “Di umore, amore e cure possibili”, con Massimo  Vitali che presenterà il testo “Il circolo degli ex”( Sperlimg  Kupfer 2022).

Domenica 24 settembre duplice incontro, alle 15 , a Miradolo sul tema della “Scrittura e cura: voci femminili che cambiano il mondo” con  la scrittrice Vera Gheno che presenterà “Parola d’altro genere. Come la scrittrici hanno cambiato il mondo”.

Nella tenuta Calleri di Sala, a palazzo Bricherasio, lo scrittore Mark Mc Candy,  pseudonimo di Marco De Candia, parlerà  dei post ironici per curare la quotidianità, essendo la sua opera una silloge di post e frammenti tratti dalla quotidianità.

Presenterà  il suo ultimo libro dal titolo “De rebus brevi”, edizioni Radici Future, 2022.

Il viaggio nelle bellezze letterarie si concluderà domenica 8 ottobre, con la partecipazione della sociologa Chiara Saraceno,  che presenterà, alle 15, presso Miradolo, “Cura con un intervento inedito di Elena Pulcini”, insieme a Roberto Burlando e Adriano  Mione.

MARA MARTELLOTTA

L’isola del libro

RUBRICA SETTIMANALE A CURA DI LAURA GORIA

 

Romolo Bugaro “I ragazzi di sessant’anni” -Einaudi- 16,00

Forse non è un caso che Romolo Bugaro i 60 anni li abbia compiuti da poco; sembra attingere anche dal suo ingresso in questa fase della vita per imbastire la trama del romanzo che è un ritratto generazionale, con sconfinamenti lievi e acuti in studio socio-antropologico.

L’autore è nato nel 1961 a Padova, dove vive e lavora, ed è autore di svariati romanzi.

Qui in 135 scorrevolissime pagine punta con ironia lo sguardo su una precisa stagione della vita; sviscera sentimenti, stati d’animo, delusioni, speranze, modi di affrontare l’esistenza, ed annovera episodi vari che animano il romanzo.

Occorre precisare subito che “I ragazzi di sessant’anni” è il nome del protagonista, un plurale singolare che simbolicamente include il capitolo di vita dei 60enni. E’ sposato con Stefania, ha due figli, un buon lavoro. Nato nei primi anni Sessanta è il prototipo emblematico di chi è cresciuto nella fase del boom economico, ha attraversato oltre mezzo secolo, ed ora è un professionista disincantato, a tratti cinico.

Lui e la moglie vivono a Padova dove frequentano sempre meno gli amici, lottano contro l’incedere del disfacimento degli anni facendo ginnastica e cyclette, consci che la vecchiaia e la morte siano dietro l’angolo.

L’esperienza e le disillusioni li hanno resi quello che sono. Sentono il tempo incalzare e ora più che mai sono attanagliati dall’ansia di fare, vedere, provare più possibile, vivere l’attimo fuggente finché c’è vita.

Insieme a loro seguiamo le vicende di un corollario di umanità varia.

Inquilini anziani pieni di manie che possono rendere la coesistenza molesta; ma anche divertente se si guarda con la lente dell’umorismo e si avverte il paradosso sul quale sorridere.

Dal vicino di casa che immancabilmente alle 3 di notte scatena un putiferio di rumori, alla ragazzina che rischia di sbandare nella vita.

E ancora, i rovesci del destino; come la vicenda del notaio Spadaro che, per un passo falso, si vede ipotecare tutto il successo e i beni racimolati nel corso di una vita di lavoro, fatica e ambizione.

In scena c’è proprio la vita, vari episodi e personaggi che i ragazzi di sessant’anni affrontano con malinconia; ma anche pagine esilaranti e comiche.

Perché in fondo, bilanci, esperienze e magagne varie a 60 anni rendono più fragili e al contempo più saggi….e poi del domani non c’è certezza. Tanto vale prenderla con filosofia e ironia…. qui ce n’è parecchia.

 

Pascal Mercier “Il peso delle parole” -Fazi Editore- euro 20,00

Le parole sono le vere protagoniste di questo corposo romanzo dell’autore che ha ottenuto un enorme successo con il precedente “Treno per Lisbona” (da cui è stato tratto anche l’omonimo film).

Pascal Mercier è lo pseudonimo adottato da Peter Bieri negli anni Novanta per iniziare la carriera di romanziere. E’ un filosofo svizzero nato a Berna nel 1944, ricercatore scientifico con studi di filosofia della psicologia, gnoseologia e filosofia morale. Le oltre 500 pagine di questo libro sono un elogio alle emozioni suscitate dalle parole, dai libri e dai pensieri profondi.

Dalla bellezza delle parole è affascinato il personaggio centrale di Simon Leyland che, grazie alla passione trasmessagli dallo zio Warren Shawn, ha deciso di imparare tutte le lingue parlate nel Mediterrano e di diventare traduttore.

La sua vita si divide tra Londra e Trieste, città per eccellenza scrigno di varie culture, etnie e lingue, e dove si è trasferito a vivere con l’amata moglie Livia. Lei era una brillante giornalista, erede di una raffinata piccola casa editrice fondata dal padre. Il matrimonio di Simon e Livia è durato 24 anni e benedetto dalla nascita dei figli Sidney e Sophia.

Ora da 11 anni Livia è morta, una dipartita improvvisa e straziante che ha tranciato la vita di Simon in due. A lenire il dolore dell’assenza però ci sono le parole, il suono della voce della moglie che gli riecheggia dentro.

Simon pensa continuamente a lei e continua a scriverle bellissime lettere in cui riversa la sua anima, ripercorre le tappe del loro amore, riflette sull’essenza della vita, sulla possibilità di nuovi inizi derivanti da ogni cambiamento.

Le parole sono l’ancora di salvezza a cui ricorre Simon nelle traversie della sua esistenza, inclusa una diagnosi terribile, un tumore al cervello che non darebbe scampo…poi scopriremo che le cose stanno diversamente. Ma nel frattempo Mercier ci conduce nei meandri di un uomo tormentato che nelle parole trova un valore salvifico.

 

 

Blake Bailey “Philip Roth. La biografia” -Einaudi- euro 26,00

Philip Roth, nato nel 1933 e morto nel 2018, è un pilastro della letteratura americana, direi anche di quella mondiale. E questa monumentale biografia di Blake Bailey è il risultato portentoso di 10 anni di incontri, ricerche, centinaia di ore di interviste.

Blakey ripercorre con empatia la vita di uno dei maggiori romanzieri contemporanei a partire dalle origini: i genitori ebrei immigrati, l’infanzia trascorsa nel New Jersey, poi gli studi all’Università e la passione per il baseball, l’amore per la letteratura e il sesso.

Cinquantacinque anni di carriera, il via con i primi racconti e romanzi, poi il salto con “Il lamento di Portnoy”, personaggio sessuomane al centro di un libro ritenuto scandaloso, che gli procurò accuse di misoginia e antisemitismo. Lo marchierà per sempre, ma lo ha anche trasformato in autore da milioni di copie vendute e uno dei grandi mostri sacri delle lettere.

Emerge l’uomo traditore seriale, esploratore del desiderio sessuale raccontato senza pudore, tra acrobazie dei corpi e dei sentimenti, ma con arte sopraffina. Due i matrimoni finiti male. La prima moglie Maggie che si finge incinta per farsi sposare; legame dettato dal senso di colpa che si infrange in un divorzio astioso. Poi la morte di lei in un incidente stradale; per lui quasi un sollievo perché non deve più versarle gli alimenti.

Il secondo matrimonio con l’attrice Claire Bloom, la vita condivisa tra Londra e America, fino alla rottura definitiva e il memoir della donna che fa a pezzi l’ex marito. E nel frattempo sempre numerose amanti. Alcune ne usciranno invelenite; altre, invece, come Lisa Halliday, ne racconteranno la generosità e le varie premure.

La biografia di Bailey ci restituisce l’immagine dell’uomo, oltre che dello scrittore, lo coglie nell’amata casa nel Connecticut. Un Roth caleidoscopico: nevrotico, ambizioso, umorale, generosissimo, vendicativo, ammaliatore, machiavellico e parecchio ossessionato dal sesso con una predilezione per quello clandestino.

E non manca l’acuta analisi anche della sua opera, con la svolta narrativa verso la fine degli anni Novanta di “Pastorale americana” che gli valse il Premio Pulitzer nel 1998, mentre il Nobel non lo afferrerà mai.

Gli ultimi anni, fiaccato dagli acciacchi dell’età, si rifugia nella fattoria del Connecticut che ha studiato su misura per lui e prende l’abitudine di scrivere in piedi davanti a un leggio. Queste quasi 1000 pagine ci raccontano tantissimo del gigante letterario e dell’uomo contraddittorio e affascinante oltre ogni dire.

 

Lisa Halliday “Asimmetria” -Feltrinelli- euro 10,00

Lisa Halliday è una scrittrice americana che da anni vive a Milano, questo suo libro è stato tradotto in italiano e pubblicato nel 2018; ne parlo perché è collegato a Philip Roth, col quale la Halliday ebbe una relazione poi declinata in amicizia fino alla morte dello scrittore.

Il libro è diviso in 3 parti, la prima narra della 25enne Alice Dodge che a New York lavora in una casa editrice. Caso vuole che un giorno mentre legge sulla panchina di un parco il destino metta sul suo cammino nientemeno che Ezra Blazer, ultrasessantenne Premio Pulitzer della letteratura e in attesa di Nobel. Lui è molto più vecchio di lei, eppure tra il grande scrittore e la giovane in cerca della sua strada nasce una storia d’amore.

L’asimmetria è ovunque nel loro legame. Lui è un uomo maturo e carico di esperienza, famoso, ricco, travolgente, un mito; lei è giovanissima, non è nessuno, è alla ricerca della sua strada ed intanto si adatta a vivere attimo per attimo la vita. Eppure -tra letture, discorsi, gelati, incontri e passeggiate- la loro storia inizia e prosegue per un certo tempo.

La vicenda è ambientata negli anni Novanta e trae ispirazione dall’esperienza dell’autrice, che all’epoca era una editor 20enne spiantata, realmente rimasta affascinata dall’anziano mito letterario Philip Roth. Tra i due nacque un flirt, e l’Ezra del romanzo richiama parecchio di Philip, così come l’asimmetria del titolo rappresenta il loro rapporto sperequato.

Seguono altre due parti, con il racconto lungo “Pazzia” che inanella un altro caso di asimmetrie: la contrapposizione tra occidente e oriente. Protagonista un economista iracheno-americano, Amar Jaafari, che in viaggio per andare a trovare il fratello viene bloccato all’aeroporto di Heatrow, e interrogato come individuo sospetto. Nel week end in cui si trova costretto a restare in aeroporto ha l’occasione di ripensare alla storia della sua famiglia e ai suoi tentativi di conciliare i due mondi tra i quali vive sospeso.

Infine il terzo capitolo, la trascrizione di un’intervista dell’anziano scrittore Ezra Blazer alla Bbc.

Silvia Pizza: “Basta che mi prendi la mano e tutto si aggiusta”

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Una storia non più rinviabile nel tempo: sarà solo da scoprire e da assaporare giorno per giorno, con tante vicende esilaranti, schermaglie puntigliose e divertenti e colpi di scena che terranno col fiato sospeso, fino all’ultimo…

 

L’AUTRICE

Silvia Pizza è nata a Lucca e vive a Pescia, nella provincia pistoiese.

Scrittrice, poetessa e divulgatrice di ottimismo, di resilienza, di saggezza.

Ha esordito con tre romanzi, cinque sillogi di poesie e tre antologie tra saggi, riflessioni e divagazioni d’impronta psicologica.

Racconta di sé con un lessico schietto, esplicito, profondo e, dal 2018 trasmette questa passione letteraria sui canali social, postando tanti componimenti inediti e pensieri oculati sull’introspezione, sulla psicologia femminile, sull’adolescenza, sulle relazioni umane e sui conflitti esistenziali.

Nel 2016 esordisce con il romanzo “Mi scordo di dimenticarti”, nel 2017 con un altro romanzo “Memorie di un amore folle”, poi con la silloge “Urlo nelle stanze infinite dei miei pensieri” e infine con una raccolta di riflessioni, e-mail e liriche, intitolata “Un’icona su WhatsApp”.

Nel 2018 pubblica un’antologia di saggi intitolata “Perle di Primavera” e nel 2022 ritorna a scrivere le divagazioni senza filtro presenti in Autenticità”, scegliendo un approccio franco, incisivo, intenso sui canali social perché finalmente ha imparato a esporre la sua scrittura, senza confini, senza prevenzione, senza freni. Tutte le pubblicazioni sono edite con la Booksprint.

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IL LIBRO

È un romanzo rosa che desidera infondere e trasmettere tenerezza, sorrisi, leggerezza e buonumore.

In esso si ritrovano tanti sentimenti di complicità emotiva, di coesione di intenti e buoni propositi, di incredulità e di conferme per le tante sensazioni evocate nell’amore maturo.

Si tratta di una storia d’amore delicata e genuina, dove alcune brevi e sporadiche parentesi d’intimità, anche se descritte in modo esplicito, non intaccano la purezza dei sentimenti vissuti e degli accadimenti.

Entra in gioco il destino in più fasi temporali come a dominare gli avvenimenti remoti e futuri, tanto da offrire ai miei personaggi la grande occasione di un amore maturo, appagante, consolidato da tanta esperienza nel vissuto di ognuno.

Ma l’imprevedibilità del fato rimetterà tutto in discussione, tanto da porre Giada innanzi ad un’ulteriore prova esistenziale … e sarà da scoprire leggendo il libro.

Di sicuro emergono tanti concetti profondi ispirati alla dedizione, alla cura e all’affiatamento nella coppia con tutte le connotazioni che la maturità intellettiva attribuisce a viversi appieno e in serenità nell’oggi, nel qui ed ora, ma anche in qualsiasi domani che ci è concesso.

I miei personaggi hanno imparato ad amarsi, perché hanno capito dopo tante batoste vissute che si devono tanto amore arretrato … Tutto quello di cui hanno bisogno ed è stato negato oppure non si sono donati a loro stessi. In un certo senso il romanzo lascia intendere che è necessario ed essenziale amare noi stessi in primis e poi si è pronti per amare la vita e chi vorremo al fianco o accanto.

Edoardo è uno dei protagonisti del romanzo che stupisce in positivo Giada e attira la sua attenzione in modo carismatico, da emozionarla fino a farle intuire che forse Edoardo è proprio quell’opportunità che le mancava da vivere. O forse non ci sperava più che potesse capitarle.

In effetti Edoardo è un partner molto speciale … È un ritorno di fiamma che Giada non si sa spiegare dopo ben 35 anni … A dire il vero è abbastanza paradossale un evento del genere!

È un qualcosa di folle e al contempo di straordinario nella tempistica della vita.

Come se la resa dei conti per i protagonisti del romanzo non virasse del tutto in negativo, ma volesse aggiustare il tiro, con un regalo inaspettato: ovvero un incontro voluto dal destino.

Eppure Edoardo si mette in gioco per la sua donna e non ha intenzione di farsela scappare.

Quest’ultima capisce che vale la pena di rischiare per Edoardo, pur di vivere un amore serio, che sa di meritare. La loro storia non è più rinviabile nel tempo, ma sarà solo da scoprire e da assaporare giorno per giorno, con tante vicende esilaranti, schermaglie puntigliose, divertenti e colpi di scena che terranno col fiato sospeso fino all’ultimo.

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Dietro le quinte del libro …

Nell’ultimo anno ho scelto di scrivere questo romanzo, cavalcando l’onda delle emozioni o meglio della passione autentica che realmente Giada ha vissuto nella realtà. Sono del parere che bisogna dedicarsi a ciò che accende il buonumore, la psiche e anche il sorriso. Ho assecondato la mia voglia di scrittura, senza tralasciare gli obblighi professionali, i doveri familiari e il privato residuo.

Scrivere questo romanzo ha comportato tuttavia un incastro pazzesco, a tratti imprevedibile, utopistico e in altri momenti finalmente un fluire libero e snello di emozioni, di scrittura creativa e di motivazione giusta.

Ho seguito una scaletta complessa, da maggio scorso fino a tutto aprile di questo 2023.

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SINOSSI

Quando Giada viene contattata su Facebook da un ex-fidanzatino della sua adolescenza crede che si possa trattare di uno strano scherzo del destino.

Almeno sul principio, quando lo stupore è davvero incontenibile e non lascia pensare a qualcos’altro.

Non lascia supporre chissà quale sorpresa, con l’affiorare dei ricordi, lontani ben trentacinque anni prima, precisamente dell’estate del 1986.

E invece è uno di quei momenti strabilianti che Giada non si sa spiegare. Quasi utopia, perché rivedere Edoardo in poco tempo, di fatto, le dà l’impressione di conoscerlo da una vita.

Non c’è imbarazzo, non c’è esitazione, non c’è alcun freno inibitorio da parte di entrambi.

E quello che succede a Giada e a Edoardo accade solo perché è del tutto un incastro spontaneo, naturale, come è giusto che sia, tra adulti consapevoli e liberi.

Giada avverte che l’essersi ritrovata con Edoardo non è proprio un caso, ma bensì un paradosso, un qualcosa di folle e, al contempo, di straordinario nella tempistica della loro vita.

Come se la resa dei conti, per Edoardo e Giada, non virasse del tutto in negativo, ma volesse aggiustare il tiro, con un regalo … ovvero un inaspettato ritorno di fiamma.

E Giada sa come si sente quando Edoardo l’abbraccia.

Capisce che vale la pena di rischiare con Edoardo pur di vivere un amore maturo che sa di meritare. Così, dall’altro canto, Edoardo si mette in gioco per Giada e non se la vuol far sfuggire un’altra volta.

Questa storia non è più rinviabile nel tempo, ma sarà solo da scoprire e da assaporare giorno per giorno, con tante vicende esilaranti, schermaglie puntigliose e divertenti e colpi di scena che terranno col fiato sospeso, fino all’ultimo.