La giornata conclusiva, quella di sabato 27, è stata all’insegna della conoscenza diretta del territorio piemontese e delle eccellenze locali. I giornalisti accreditati hanno potuto partecipare a percorsi enogastronomici presso diverse aziende. Vi racconteremo l’Educational “Imbottigliati… in collina” che ci ha portato alla scoperta delle colline della Gattinara e delle sue prelibatezze, il vino e il riso
Torino ha ospitato la prima edizione del Festival del Giornalismo Alimentare dal 25 al 27 febbraio presso l’Aula Magna dell’Università nel complesso della Cavallerizza Reale. Una tre giorni di incontri, lezioni, dibattiti e workshop sui temi più caldi che affronta il giornalismo alimentare. Si è discusso di politiche alimentari, sicurezza del cibo, educazione alimentare, reati alimentari e di comunicazione a tutto tondo sul tema. Relatori importanti si sono susseguiti sul palco, dal presidente di Slow Food Carlo Petrini al vice presidente della Lavazza, ai vari esperti di zoo profilassi e al magistrato Guariniello.
La giornata conclusiva, quella di sabato 27, è stata all’insegna della conoscenza diretta del territorio piemontese e delle eccellenze locali. I giornalisti accreditati hanno potuto partecipare a degli Educational, cioè dei percorsi enogastronomici presso diverse aziende. Vi racconteremo l’Educational “Imbottigliati… in collina” che ci ha portato alla scoperta delle colline della Gattinara e delle sue prelibatezze, il vino e il riso. Il primo step è stata la visita all’Azienda Vitivinicola Travaglini nata nel 1958, rinomata per la produzione del vino Gattinara DOCG. Attraverso i racconti di Massimo, genero del fondatore dell’azienda Giancarlo Travaglini, abbiamo conosciuto una storia di intraprendenza, lungimiranza e passione per la propria terra. Giancarlo Travaglini ha portato ad alti livelli nazionali e internazionali il vino prodotto dal vitigno Nebbiolo. L’azienda esporta nel mercato estero il 65% della produzione, in testa gli Stati Uniti e poi i paesi del Nord Europa. Innovativa è stata ed è tuttora la forma della bottiglia, ideata nel 1958, che contiene il Gattinara Travaglini. La “pancia” pronunciata e la forma “storta” permettono la decantazione trattenendo l’eventuale sedimento naturale che si forma nel lungo riposo del vino in cantina. Il Gattinara DOCG viene lasciato riposare per tre anni mentre quello Riserva per quattro. Il Tre Vigne DOCG è invece quello che strizza di più l’occhio ai compratori internazionali e nasce dall’unione di uve provenienti da tre vigneti posti a diversa altitudine. Il sogno e L’altro sogno sono frutto dell’idea di Giancarlo di utilizzare uve stramature fatte appassire per cento giorni. Il secondo si differenzia dal primo per la presenza di un maggiore residuo zuccherino. Il signor Travaglini, venendo a mancare, non ha potuto però assistere alla realizzazione del sogno, ma la famiglia lo ha portato a compimento. La degustazione di questi vini ci ha permesso di sentire gli odori e i sapori intensi, frutto di una terra rocciosa ricca di sali minerali di ferro. L’accompagnamento con salame della Gattinara e toma valsesiana è stato perfetto.
Il tour è continuato con il pranzo presso il Ristorante Villa Cavalleri di Gattinara, dove il cuoco ci ha servito pietanze piemontesi tra un aneddoto e l’altro con una genuinità disarmante. Principe delle portate è stato il Risotto alla Gattinara, perché il riso nasce nell’acqua e muore nel vino, come si dice da queste parti.
L’ultima tappa ci ha portato a scoprire la produzione del riso anche attraverso i racconti della guida Alberto Pistola. Sono stati i monaci cistercensi dell’Abbazia di Lucedio a portare il riso nella zona alla fine del Quattrocento e a coltivarlo grazie alla presenza delle paludi. Ad accoglierci presso la Riseria di Rovasenda dei fratelli Tomanosi è stato il signor Giovanni. La famiglia Tomasoni coltiva e produce riso dal 1976 nella cosiddetta “Baraggia”. Si tratta di un terreno argilloso poco fertile bagnato dall’acqua proveniente dal Monte Rosa, che viene bonificato attraverso la coltura del cereale. La peculiarità del prodotto consiste in un chicco più piccolo rispetto alle altre varietà, ma compatto, translucido e con un’ottima tenuta in cottura. Giovanni Tomasoni, con un sorriso puro e scavato dalle rughe della fatica degli anni di lavoro, ci ha raccontato la sua storia. La sua è un azienda piccola che non ha nulla da invidiare a quelle più grosse, stessi procedimenti, stessa resa e qualità. Il processo di lavorazione meccanizzato dura circa 15 minuti, inizia dalla sbramatura del risone che viene pulito e diventa chicco. Da questo processo viene scartata la lolla, parte esteriore del chicco poi utilizzata per la produzione di mangimi per animali. Il secondo step è la sbiancatura del chicco, dal quale si elimina invece la pula. La Tomasoni Riso produce principalmente quattro varietà di riso: il Carnaroli, l’Arborio, il S. Andrea e il Baldo. Dal 2007 il prodotto ha ricevuto la Denominazione d’Origine Protetta “Riso di Baraggia Biellese e Vercellese”, l’importante rinascimento tutela e allo stesso modo garantisce l’unicità e la qualità del riso.
Questa esperienza ci ha permesso di conoscere tradizioni locali sedimentate nel territorio e che per questo lo rendono unico. Soprattutto abbiamo ascoltato le storie delle persone e del duro lavoro che stanno dietro ai prodotti e che rappresentano la forza del Made in Italy e dell’Italia stessa.
Federica Monello