Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Passano gli anni ma la storia degli Alpini è sempre attuale

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Gianni Oliva ci parla del suo legame con il famoso e antico corpo militare.

Ottantamila penne nere hanno sfilato per le vie di Rimini per celebrare il raduno annuale degli Alpini. Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto ringraziandoli per il loro storico contributo alla pace e per l’impegno profuso durante la pandemia, migliaia di persone hanno partecipato a questo importante e tradizionale evento associativo condividendo momenti di festa e solenni memorie.
Gianni Oliva, legato anche per motivi familiari, allo storico corpo e membro ad honorem della “Tau”, la Brigata Alpina Taurinense, ci parla del suo significato storico e collettivo e dei valori di cui è portatore.

Perché gli Alpini sono così amati e seguiti in Italia?

Perché gli Alpini tra le unità dell’Esercito sono quelli che si identificano maggiormente con la società civile, è un corpo che si è radicato sul territorio con tante associazioni. Le loro manifestazioni coinvolgono molte persone, non esiste in Italia una festa popolare laica così partecipata e così ripetuta, siamo nel 2022 ed è davvero ancora molto seguita.
La commemorazione degli Alpini è anche la rievocazione dell’Italia, esiste una corrispondenza tra la storia degli Alpini e quella nazionale.

Chi sono e cosa rappresentano per la collettività?
Possiamo dire che gli Alpini sono una trasposizione delle attitudini dei montanari: pazienti, coraggiosi, resistenti, determinati. E poi sono portatori di una solidarietà quasi genetica che gli viene dalla provenienza geografica. L’Associazione Nazionale Alpini, poi, è la forma di volontariato laico con un’ottima organizzazione e mette diversi ed importanti servizi a disposizione della comunità, dalla protezione civile alla raccolta fondi, dalla collaborazione con le pro loco nell’organizzazione delle feste patronali ai campi scuola.

Perché è particolarmente affezionato a questo corpo dell’Esercito Italiano?

Ho un legame affettivo in quanto la mia famiglia proviene da una vallata di reclutamento alpino, hanno fatto parte del terzo Alpini sia mio nonno, nato nel 1881, che mio padre, classe 1910. Inoltre sono affezionato perché il mio primo libro è stato “Storia degli Alpini”, pubblicato nel 1984 da un editore della “Rizzoli”, Edmondo Aroldi .

 

“Il procuratore e la Casa del Pavone”, il nuovo romanzo di Giorgio Vitari

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

L’autore ci parla del suo ultimo romanzo con una nota di nostalgia.

Dopo i primi due romanzi, “Il vestito nuovo del procuratore” e “Il procuratore e la bella dormiente” ambientati rispettivamente a Torino e ad Ivrea, accolti dal pubblico con grande entusiasmo, è uscito il terzo libro della serie, “Il procuratore e la Casa del pavone” , edito da Morrone, che vede il procuratore Francesco Rotari impegnato in intricati casi giudiziari dal sapore dolce amaro nello splendido scenario piemontese tra Asti, Monforte e Bra.
Giorgio Vitari, già Procuratore della Repubblica, dedica questo nuovo libro a sua moglie, alias Luisa nella narrazione, e fa un’ operazione nostalgia ricordando le persone che hanno lavorato a lungo con lui, un gesto di gentile riconoscenza per la loro dedizione professionale.

Diversamente dai primi due, che raccontano storie effettivamente accadute seppur con uno stile romanzato, quest’ultimo libro è una commistione di realtà e fantasia. Sono esistenti i luoghi dove è ambientata la storia, come il Palazzo di Giustizia di Asti, ed alcuni tra i protagonisti, come l’assistente, la segretaria e la tirocinante, ma di fantasia i casi che il procuratore segue.
Francesco Rotari, ora in età matura, è comunque lo stesso uomo che abbiamo conosciuto nei romanzi precedenti, acuto, a tratti severo e caustico al punto giusto, ma soprattutto cortese e garbato, un uomo d’altri tempi dedicato al lavoro e alla famiglia con qualche veniale e licenzioso pensiero.

Cosa c’è di nuovo in questo terzo romanzo, Il procuratore e la Casa del pavone?

In questo terzo libro oltre ai protagonisti, veri ed inventati, che hanno dato corpo alle diverse storie e vicende, ho voluto raccontare la vita ed il lavoro in un ufficio giudiziario, i problemi quotidiani, forse banali ma pur sempre da risolvere, il meccanismo delle indagini e poi i rapporti interpersonali non sempre semplici. Confesso comunque di essermi sentito fortunato per aver trovato molta armonia nel gruppo di lavoro e credo che questo sia intuibile nelle pagine del libro.

La trama è molto coinvolgente e i ritmi molto dinamici.

E’ un romanzo vivace e in continuo movimento che gode dello scenario dei paesaggi bellissimi delle Langhe e racconta la storia di un pregiatissimo vino d’annata . Si apre con un semplice caso di interdizione che poi si scoprirà legato ad un omicidio, c’è la malavita che si inserisce “aiutando” con risorse finanziarie facili, ma anche storie di ordinari tradimenti coniugali ed intercettazioni che mettono in allarme un’intera categoria di professionisti. E poi c’è lei, Gretel, il personaggio a cui mi sono affezionato di più e a cui ho dato un volto prima che un ruolo nella storia.
Infine ci sono i viaggi che Rotari giornalmente fa in treno tra Torino ed Asti dove si animano incontri, conversazioni, ipotesi ed aspettative; quando arriva a casa lo aspetta sua moglie Luisa con le sue intelligenti osservazioni, le conversazioni per decidere cosa mangiare, il film da vedere in tv e a fine serata le brevi , ma attese, telefonate da con la figlia Virginia.

E’ vero che ha pensato ad un posto speciale per il lettore?

Sì è vero, ho voluto scrivere un romanzo con un “dietro le quinte”. Chi legge, in questo caso, me lo immagino anche come un osservatore, un testimone silenzioso seduto in poltrona nello studio del procuratore che assiste agli eventi e ne comprende il senso giuridico. Inoltre ho voluto spiegare, attraverso le mie conversazioni con la tirocinante Cristel, una cosa molto importante sul processo penale in sé e cioè che il suo obiettivo non è esclusivamente quello di raggiungere la verità e che dal punto di vista dello Stato non è determinante solo avere la condanna o l’assoluzione. Il processo raggiunge il suo fine anche se l’imputato viene assolto perché lo Stato, tramite esso e la sua teatralità, vuole affermare che quella specifica condotta il cittadino non la deve tenere. Il processo ha, dunque, una implicita funzione pedagogica.

 

 

Piemonte Musei rilancia l’arte sul territorio

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

A SAVIGLIANO LA MOSTRA DI DANIELE FISSORE

Il 5 marzo si è inaugurata a Savigliano, a Palazzo Muratori Cravetta, la mostra dedicata a Daniele Fissore. Sono moltissime le opere esposte in questa bellissima location piemontese, in provincia di Cuneo, che ripercorrono i 50 anni di carriera del pittore iperrealista.

La mostra è gratuita per favorire la “democratizzazione” dell’arte e vuole promuovere, inoltre, la valenza del progetto culturale dell’Associazione BeLocal e di Piemonte Musei insieme alla cittàdi Savigliano.  Un ringraziamento particolare va al sostegno di Banca CRS, Fondazione CRS e Fondazione CRC. L’esposizione, curata dallo storico dell’arte Francesco Poli, è composta da molteopere che ripercorrono l’intera produzione dell’artista segnata da una costante ricerca sul linguaggio della pittura e sulle sue possibili interazioni con la fotografia. La mostra è arricchita, inoltre, dall’ animazione di un dipinto realizzata da Phantasia, azienda specializzata negli effetti speciali multimediali e da una esperienza sensoriale, con le suggestioni olfattive proposte da Muses Accademia Europea delle Essenze. Per chi lo desidera saràdisponibile un video anch’esso inedito, da scaricare sul proprio cellulare realizzato nel 2016 dalla videomaker Federica Borgato,per seguire la narrazione di questo artista che si racconta in prima persona. Uno splendido catalogo in edizione limitata è acquistabile presso il bookshop  per tutta la durata della mostra. 

Stefano Gribaldo, ideatore e organizzatore della mostra per Piemonte Musei, di cui è Presidente, ci racconta la genesi di questo importante evento culturale e i progetti futuri.

Come è nata  l’idea di organizzare questa mostra dedicata all’artista Fissore?

Sono sempre stato affascinato dai lavori di Daniele e in passato abbiamo avuto delle collaborazioni molto interessanti.  Dopo la sua scomparsa incontrando Miresi , la moglie, in un modo molto semplice abbiamo pensato di organizzare questa mostra che conta cinquanta opere che ripercorrono tutta la sua vita, con tutti suoi momenti, quelli colorati e quelli  grigi.  Invito tutti a venire a visitarla perché raccontiamo un artista unico nel suo genere.

Ci può dire qualcosa su Piemonte Musei?

Piemonte Musei nasce da una mia visione del brand nel 2018. Ho lavorato per circa 20 anni in aziende e agenzie di comunicazione dove ho avuto la fortuna di essere formato. Ho collaborato con artisti, grafici, designer, architetti, giornalisti, musicisti e stilisti. Un pool di esperti e visionari che è riuscito a rendermi oggi quello che professionalmente sono.

Quali sono i prossimi progetti a cui si sta dedicando?

La novità degli ultimi giorni e che la mostra  di Daniele Fissore verrà prolungata a Torino all’Archivio di Stato, grazie allintervento del Presidente Quaglia della Fondazione CRT. Nel 2023 sono già in cantiere due mostre di grande interesse, che presto saranno svelate al pubblico, progettate e costruite con uno storytelling evoluto, supportato dalla tecnologia, che consentiranno la fruizione dei contenuti della mostra in una modalità innovativa e divertente. Inoltre è nato ed è in via di evoluzione un magazine che abbiamo chiamato “LINKED”, un vero e proprio “collegamento” tra diversi mondi: quello del food, del design, dell’arte e  del territorio, come richiama il nome stesso della rivista. Posso assicurare che è un progetto innovativo che rivoluzionerà il settore della distribuzione delle riviste.

Luminosa polvere d’oro, l’ultimo libro di Giovanni Cordero

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Lo scrittore ci parla del suo ultimo romanzo e dei suoi progetti futuri

Ascoltare Giovanni Cordero parlare delle sue esperienze e della sua vita, vissuta tra arte, storia, psicologia e biologia (la sua prima laurea) è stato davvero interessante e piacevole così come leggere il suo libro “L’impronta di cioccolato”, primo premio al concorso Nazionale “Mario Soldati” nel 2020.
Sono convinta che questi siano incontri importanti per arricchire le propria biografia, allargare lo spettro delle proprie conoscenze e immergersi in storie che, tra la realtà e la narrazione, sono capaci di rapirti e di sospendere il tempo.
Consigliere del Ministro Urbani per il settore arte contemporanea, membro del Comitato per la nuova Fondazione del Museo Egizio e della Fondazione De Fornaris presso la Gam di Torino, funzionario della Soprintendenza per Beni storici, artistici ed etnoantropologici del Piemonte, Giovanni Cordero ha un curriculum professionale fitto di esperienze ed incarichi prestigiosi nell’ambito della cultura e dell’arte.
Ideatore di importanti eventi scientifici come “Esperimenta” e co-curatore di mostre e festival d’arte a Torino, dirige, inoltre, l’Istituto di Ricerca e documentazione europeo: arte, tecnoscienza e cultura.

La passione per scrittura è stata sublimata dalla pubblicazione di saggi, articoli e monografie artistiche in catalogo e, nel 2011, dal primo romanzo “Silenzi. Il destino alle 18”, Libreria editrice Psiche di Torino. Nel 2017 esce “ L’Albergo dei gatti” Editore Albatros e nel 2021 scrive il romanzo, “Luminosa polvere d’oro”, edito da Castelvecchi, una storia travagliata di un artista che dipingendo sfugge la sofferenza del mondo violento del riformatorio e del manicomio, come afferma l’autore, istituzioni totali, luoghi di ottusi rituali e obbedienza cieca. L’arte costituirà, per il protagonista del romanzo, un modo per salvarsi la vita, per sopravvivere ad un periodo funesto.

 

Professor Cordero cosa l’ha portata a scrivere il romanzo “Luminosa polvere d’oro”?

Sono stato contattato da un collezionista per una mostra antologica su Pietro Augusto Cassina, il protagonista del libro nato nel 1913 a Torino, il quale mi ha convinto ad esporre 40 dei suoi quadri al Museo Diocesano. Sono rimasto colpito dalla sensibilità che traspare dai suoi dipinti, dal suo stile e dalla sua capacità di imprimere una cifra personale molto forte. Mi hanno raccontato la sua storia e ho letto i suoi diari, scritti in calligrafia, che mi hanno rivelato il suo animo complesso e fragile, frutto della sua vita difficile e complicata. Attirato dalla sua biografia e dal suo riscatto sociale, grazie all’arte che gli ha fatto ritrovare anche uno spessore ed un equilibrio psicologico ed emotivo, ho deciso di scrivere la sua storia cercando di ritrarre gli avvenimenti di un artista autodidatta, di un uomo anticonformista segnato drammaticamente dagli eventi.

 

Cosa rappresenta per lei la scrittura?

Scrivere è stata una attività e una passione centrali nella mia vita, dai saggi agli articoli e i cataloghi d’arte, fino alle poesie. I romanzi sono arrivati dopo completando così un percorso che mi sta dando molte soddisfazioni, sapere di essere letto e apprezzato è un grande piacere.

 

Ci vuole parlare dei suoi progetti futuri?

“Luminosa polvere d’oro” si ferma ad un certo punto della vita del protagonista, io sono in possesso di diverso materiale che mi permetterebbe di continuare a parlare del suo percorso esistenziale. Sarebbe bello sviluppare la narrazione aprendo un altro capitolo della vita di Cassina, concentrandosi sull’aspetto storico, approfondendo vicende che ci rimandano all’epoca della seconda guerra mondiale e al fascismo.
Un altro progetto editoriale che intendo perseguire riguarda una casa che mio figlio ha ereditato ad Aglié dove ha vissuto Guido Gozzano; mi piacerebbe scrivere di questa dimora e del famoso poeta che l’ha visitata come ospite in quanto amico fraterno del proprietario, un’altra storia dedicata alla cultura del nostro paese, ad un personaggio che ne ha fatto parte.

 

 

Sara D’Amario, ispirare e non fermarsi

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

L’attrice moncalierese ci parla dei suoi progetti e della voglia di andare avanti, con dedizione e impegno costante, e soprattutto si rivolge alle donne affinché escano dall’ombra.

Fare due chiacchiere con Sara è stato molto piacevole, ho scoperto una donna colta, divertente e generosa. Il suo essere femminile è un misto di dolcezza e di determinazione, di eleganza e tenacia. Diplomata alla Scuola per Attori del Teatro Stabile di Torino, laureata in Lettere con una specializzazione in drammaturgia, da diversi anni tiene laboratori di teatro e public speaking.

Teatro, cinema, televisione, commedie leggere ma anche interpretazioni più impegnative e profonde, Sara D’Amario, attrice nata nella deliziosa Moncalieri, ama mettersi alla prova, affrontare sfide e non fermarsi, il suo percorso artistico è multiforme ed eclettico, frutto di una lunga e costante preparazione.
Scrittrice di successo e doppiatrice, Sara D’Amario ha una lunga e fortunata carriera da attrice con la partecipazione ad importanti produzioni televisive, tra cui I Fratelli Caputo, Il Commissario Nardone e Centovetrine, e spettacoli teatrali come Storie di Donne di Fuoco e di Luce, Madiba – un omaggio a Nelson Mandela – e moltissimi altri.
Mamma felice di una splendida adolescente, Sara oggi è impegnata in diversi lavori e scritture, immersa in una professione che è nel suo Dna, nella sua essenza.

 

Sara come stai vivendo questo momento di allentamento delle attività professionali dovuto alla pandemia?
E’ un momento difficile e complesso per tutti, una esperienza nuova che ci sta mettendo davanti a diverse difficoltà. Molte date degli spettacoli che erano state organizzati sono saltate, questo però non ci ha fermati, se non si poteva andare in scena ci siamo concentrati sulla scrittura cercando di proseguire, di dare seguito alle attività come potevamo. Lo spirito di abnegazione e un profondo amore per il lavoro ha dato vita a nuove creazioni teatrali come: Un Quartetto per la Resistenza, Negli Occhi di Mia Madre e Green Minds, una storia molto interessante e attuale, di una idrologa che nel cercare l’acqua su altri pianeti ci racconta, in modo ironico e con una prospettiva esterna, cosa accade sul nostro pianeta, ci avverte di non credere a tutto ciò che ci viene detto e ci esorta alla salvaguardia della Terra ed a inventare o ricercare nuovi mestieri, green jobs.

Da poco sei andata in scena con Negli Occhi di Mia Madre, ovvero: il Mammone di François-Xavier Frantz. Di cosa si tratta?
E’ una commedia feroce che racconta di un “giocoso carnage familiare” in cui , in maniera paradossale, sconfinano amare verità con esplosioni di verità comiche e scandalose perché inconfessabili. E’ un invito alla riflessione riguardo la famiglia di origine, di come ci condiziona con l’educazione e i modelli che ci impone. Due attrici e un attore ci mostrano cosa succede quando siamo alle prese con il fenomeno della “mammite” attraverso la lente dell’ironia, per arrivare a concedersi, alla fine, una risata liberatoria, probabilmente terapeutica.

 

Quali sono i tuoi progetti per il prossimo futuro?

Il prossimo 11 febbraio sarò al Planetario di Torino con Sfumature di Donne di Scienza, una versione speciale, inedita e unica dello spettacolo, pensato proprio per la cupola, per essere immersi nell’universo, fondendo teatro, scienza e tecnologia. E’ un viaggio nel tempo, un percorso che farà conoscere 20 scienziate eccezionali. Si parte da una domanda: l’intelligenza ha un sesso? La risposta è no. Le donne possono e devono uscire dall’ombra, osare, sentirsi meritevoli, accedere a posizioni professionali di rilievo e fare i mestieri che desiderano inseguendo i propri sogni, sviluppando i propri talenti e superando pregiudizi legati a limiti e consuetudini culturali.
Con semplicità, umorismo ed emozione si raccontano le storie di queste donne geniali perché siano di ispirazione e facciano da modello di genere.
E’ importante continuare sulla strada delle opportunità, stimolare le future generazioni di donne con un messaggio chiaro e cioè che si può ambire professionalmente senza dover rinunciare alla conciliazione con altri ruoli tipicamente femminili.

Inail, il direttore regionale: “Formazione, controlli rigidi e più tutela assicurativa”

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Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

In una breve intervista il direttore regionale dell’Inail, Giovanni Asaro, ci parla di alcuni degli interventi da attuare per garantire sicurezza e regolarità ai lavoratori.

I dati del 2021 relativi agli incidenti mortali sul lavoro nella regione Piemonte sono molto allarmanti, più di 40 persone decedute con Torino che, da sola, ne conta 13. Una media funesta di 3 decessi al mese, una situazione drammatica che necessita, quanto prima, di interventi rapidi e risolutivi. L’ultima tragedia, avvenuta nel capoluogo piemontese il 18 dicembre scorso che ha provocato la morte di 3 operai a causa del crollo di una gru, ha scosso l’Italia tutta e certamente ha posto nuovamente, e con forza, la questione della sicurezza sul lavoro portandola sul piano della massima priorità.

Il direttore regionale dell’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, il dr. Giovanni Asaro, ci spiega quali saranno gli interventi per garantire maggiore sicurezza ai lavoratori.

Direttore a cosa dobbiamo attribuire la crescita degli incidenti sul lavoro e quali sono gli interventi da attuare per limitarne e prevenirne l’entità?

Il Paese è in ripresa economica e un po’ tutti i settori stanno recuperando in seguito al periodo del lockdown. In particolare le agevolazioni previste nel settore edilizio, i super bonus, hanno fatto lievitare il numero delle commesse con un innalzamento del costo dei materiali creando una frenetica e consistente domanda di addetti ai lavori a cui il mercato non era pronto. Ne è conseguita una esasperata parcellizzazione delle attività da svolgere con il coinvolgimento di maestranze, anche straniere, spesso non in possesso della formazione richiesta, con contratti formalmente ma non sostanzialmente regolari. Il rischio di interferenze all’interno dei cantieri è pertanto cresciuto insieme alla mole di lavoro con conseguenze spesso molto gravi. È essenziale che si seguano regole e protocolli rigidi, che il personale venga formato in maniera completa, nel caso dei lavoratori stranieri, per esempio, è indispensabile che comprendano la nostra lingua. Inoltre, in sede di cantiere, deve essere garantito il coordinamento e il controllo puntuale delle varie attività attraverso figure professionali presenti, responsabili, rigorose che, tra l’altro, adeguino il numero di lavoratori richiesto all’entità del lavoro da realizzare e che assicurino trasparenza e legalità. In questa direzione si stanno assumendo in ambito territoriale misure idonee nel settore edile per mitigare i rischi.

Riguardo alla tutela assicurativa cosa ci può dire?

È determinante che la tutela assicurativa venga estesa a tutte quelle categorie di lavoratori a cui ancora non è stata riconosciuta come, per esempio, i liberi professionisti.

Per fortuna si sta andando in questa direzione. Nei giorni scorsi il Ministro del Lavoro Orlando ha firmato, infatti, il decreto attuativo con cui si riconosce ai lavoratori autonomi dello spettacolo la copertura assicurativa Inail. È un segnale forte e positivo nella direzione dell’ampliamento della tutela sociale. La platea degli assicurati sarà sempre più ampia e attraverso le necessarie modifiche legislative si arriverà a garantire una copertura assicurativa dei rischi legati al lavoro sempre più diffusa, in linea con il dettato costituzionale.

Cosa si può fare per le aziende, affinché possano garantire gli standard di sicurezza ai lavoratori?

Con il nuovo bando ISI, pubblicato il 16 dicembre 2021, l’Inail a livello nazionale mette a disposizione delle aziende che hanno intenzione di investire in materia di sicurezza e in formazione 274 milioni di euro, di cui oltre 18 milioni solo in Piemonte. Nel frattempo procedono le attività per l’assegnazione dei finanziamenti ISI 2020 che ammontano per il Piemonte a oltre 13 milioni di euro. L’impegno è importante ma non copre tutte le richieste presentate dalle imprese piemontesi. Sarebbe necessaria, dunque, una sinergia con tutti gli altri attori coinvolti, come la Regione o gli istituti bancari, che vogliano condividere tali politiche di sostegno alle aziende per assicurare migliori livelli di sicurezza innovando, in tal modo, anche i sistemi di produzione, attraverso la messa a disposizione di ulteriori risorse.

Orangogo, il motore di ricerca degli sport che aiuta a scoprire il proprio talento

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Giulia Pettinau, fondatrice e Ceo della startup a vocazione sociale, ci racconta come è nata la sua creatura digitale.

Torinese, trentanove anni, una laurea in Marketing Territoriale, Giulia Pettinau è la fondatrice di Orangogo, motore di ricerca degli sport, primo in Italia nel suo settore dopo una costante ascesa iniziata nel 2018 e 22.500 società sportive iscritte.
Determinata, entusiasta e vulcanica, la fondatrice di questa start up di successo destinata a diventare una PMI innovativa, ha le idee chiare su cosa vuole per la sua creatura digitale e ci racconta quale è stato il cammino che l’ha portata a dare vita ad un’impresa che, attraverso lo sport e la sua approfondita conoscenza, migliora la vita delle persone.
Il successo di Orangogo si deve all’intuizione della sua fondatrice, capace di intravedere opportunità concrete al di là delle proprie inclinazioni e dei propri desideri, ma anche alla volontà e al duro lavoro delle persone che inizialmente insieme a lei, quando l’azienda percorreva i primi passi, hanno creduto in questo progetto. I risultati positivi sono anche il frutto, come afferma Giulia Pettinau, di un modello di business gentile, del rispetto e dell’entusiasmo che evita di ricorrere ad un atteggiamento aggressivo che erroneamente viene associato alla competenza e alla sicurezza. Una azienda che innova il sistema legato allo sport, dunque, ma che vuole rilanciare, allo stesso tempo, valori come la disponibilità e la cortesia, un progetto che cerca di scardinare quei luoghi comuni che legano troppo spesso il successo unicamente ad una condotta imprenditoriale cinica.

3 domande a Giulia Pettinau

Dottoressa Pettinau come è nata l’idea di creare un motore di ricerca dello sport?
Orangogo è il prodotto di un percorso complesso e ricco, il frutto di diverse esperienze professionali, dalla consulenza aziendale agli incarichi come marketing manager in differenti ambiti come la robotica o il mercato immobiliare, ma anche del cambiamento avvenuto dopo una pausa di riflessione durante la quale il desiderio di stare a contatto col mare ed insegnare surf ai bambini mi ha fatto capire cosa volevo fare e cosa non doveva mancare più nella mia vita: lo sport. E’ stata una rinascita che mi ha portato ad una maturazione interiore, una evoluzione personale che ha determinato anche la mia carriera professionale come imprenditrice.

Cosa è esattamente Oragogo, come funziona?
E’ il motore di ricerca degli sport che fa scoprire alle persone i propri talenti. Lo sport diventa lo strumento per capire cosa ci piace veramente e per cosa siamo naturalmente portati. Lo sport, inoltre, ti fa vivere meglio e anche “performare” meglio, questo lo vediamo ad esempio nel lavoro. Abbiamo cominciato occupandoci esclusivamente dei bambini e dei centri estivi, poi ci siamo allargati e dedicati anche agli adulti. Attraverso il nostro sistema gli utenti possono cercare le attività a cui sono interessati, scoprirne le caratteristiche e le abilità che aiutano a sviluppare, sia fisiche che mentali, anche grazie a schede dedicate complete di ogni informazione. Ai centri sportivi membri, invece, siamo in grado di fornire un sistema per coordinare le diverse attività professionali, dalle iscrizioni ai pagamenti, dai documenti ai tornelli virtuali (durante la pandemia abbiamo creato integrazioni tecnologiche per essere conformi alle norme vigenti).
In sostanza mettiamo in contatto le persone con lo sport e con chi lo gestisce, siamo promotori del benessere che passa attraverso la pratica di discipline che favoriscono molteplici capacità e attitudini.

Ci sono novità all’orizzonte per Orangogo?

Intanto stiamo procedendo con il fund rising per l’aumento di capitale ed è molto seria l’intenzione, il prossimo anno, di allargare il nostro business espandendoci in Europa. Un’altra novità a cui teniamo molto e che conferma la nostra vocazione sociale è il miglioramento della questione delle disabilità. Stiamo lavorando con molto impegno affinché nel nostro motore di ricerca la distinzione delle disabilità abbia una connotazione netta, che le diverse capacità di praticare le varie discipline siano divise in categorie chiare così da poter fornire agli utenti indicazioni su quanto ogni struttura sia in grado di assistere ogni singola problematica. Il mio sogno è che un giorno i Giochi Paralimpici si svolgano all’interno delle Olimpiadi, naturalmente con tutte le cautele e gli interventi del caso, perché lo sport sia un punto di riferimento per una società inclusiva e garante di pari opportunità.

 

 

 

 

Riprende DaCasaCon, le interviste social di Laura Pompeo

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

La fortunata rubrica che va in onda su Facebook, riparte da “punti di svolta” con un calendario ricco di storie e personaggi.

 

E’ ripartita a settembre la seguitissima serie #DaCasaCon ideata da Laura Pompeo, Assessore alla Cultura e al Turismo di Moncalieri. Dopo un anno e mezzo di attività, più di 1 milione di visualizzazioni e tanti incontri social con eminenti personaggi dei vari ambiti della comunità che hanno raccontato come stavano vivendo il periodo di chiusura dovuto alla pandemia, la rubrica è ripresa, sfoggiando una nuova e brillante grafica, con l’intervista a Valentino Castellani, già sindaco di Torino e professore ordinario al Politecnico.
DaCasaCon , come nelle scorse edizioni, sarà trasmessa in diretta dal salotto privato di Laura Pompeo ma guarderà avanti, intraprenderà un nuovo ciclo proponendo conversazioni informali, dibattiti interessanti e ponendo una domanda fissa riguardante i “punti di svolta”, gli eventi o le circostanze che hanno segnato le vite delle persone facendone spesso cambiare il percorso. Un nuovo capitolo, dunque, con un calendario che promette incontri appassionanti, ogni mercoledì alle 19, in un coinvolgente scenario che vedrà una passerella di personaggi e di storie nella ritrovata e cordiale atmosfera creata da una conduttrice d’eccezione che ha fatto interagire ospiti e pubblico anche attraverso interventi in diretta.

 

3 domande a Laura Pompeo

Dottoressa Pompeo si riparte dai “punti di svolta” dunque?

Sì, mi piace scoprire e mettere il luce l’evento che ha cambiato la vita delle persone indirizzandole verso una strada nuova, l’avvenimento o semplicemente quel “click” che ha determinato il momento attuale o quello di massima espressione personale e professionale. Mi piacciono le storie e sono affascinata dalle persone che riescono ad esprimere il loro potenziale e che sono capaci di trasformare una debolezza in un punto di forza o ancora di più in un segno distintivo della loro vita.

Quale è stato l’evento che ha determinato la sua di svolta?

Ce ne sono stati diversi che hanno cambiato irreversibilmente la mia vita, il più importante è rappresentato dalla nascita di mio figlio Lorenzo. Tra gli eventi che hanno determinato cambiamenti decisivi nel mio cammino c’è sicuramente l’incontro con il professor Gullini, che mi ha accolto nel suo gruppo anche grazie ad un piano alternativo di studi che decisi di fare durante l’università. Il privilegio che mi diede far parte del suo team mi ha permesso di operare come archeologa a Selinunte e successivamente in Siria ed in Giordania con incarichi di rilievo. La svolta più recente è avvenuta, invece, grazie alla attività di amministrazione della mia città , Moncalieri, come assessore, importante funzione che mi permette di restituire alla comunità quanto ricevuto nel corso della mia vita. Questa esperienza, soddisfacente e complessa, mi sta dando l’occasione, inoltre, di esplorare parti di me che ancora non conoscevo e di scoprire alcune capacità che non avevano avuto ancora facoltà di rivelarsi.

Sta per uscire il libro dedicato alla serie DaCasaCon, di cosa si tratta?

La serie ha coinvolto moltissime persone che hanno parlato “a cuore aperto” attraverso conversazioni di circa mezzora l’una avvenute in una atmosfera confidente e durante le quali, l’interlocutore o l’interlocutrice, hanno potuto svelare anche il loro lato meno conosciuto. Gli ospiti hanno spaziato tra temi diversi come l’arte, la scienza, il lavoro, l’attualità, la politica e tanti altri argomenti importanti e di valore. Il libro è una raccolta delle prime 40 puntate andate in onda durante il lockdown e sarà presentato in autunno all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino.

Occhio! Gli effetti collaterali del Covid sull’apparato oculare

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

Il dottor Cornelio Paolo Feira ci spiega come proteggere i nostri occhi da fastidiose congiuntiviti e prevenire patologie più serie.

 

E’ vero, siamo stanchi di sentir parlare di pandemia, ora vogliamo senz’altro goderci l’estate, le vacanze e un po’ di serenità dopo mesi di chiusure e preoccupazioni, vogliamo voltare pagina, parlare d’altro, leggere buone novelle e cercare di dimenticare. Tuttavia alcune conseguenze di questo virus , che speriamo ci lasci presto, si sono manifestate e continuano a farlo, non perché siano direttamente legate ad esso ma, al contrario, come conseguenza di alcune misure che sono state adottate, naturalmente per tutelare la nostra salute, che hanno procurato tuttavia diversi effetti collaterali. Una attenzione maggiore e qualche semplice, ma determinante, accorgimento possono risultare utili a proteggere una parte essenziale del nostro corpo, la nostra finestra sul mondo, la bussola che ci permette di orientarci, vedere, guardare, percepire, scrutare, distinguere, osservare, contemplare e non solo: i nostri occhi.
Il dottor Cornelio Paolo Feira, oculista a Torino, ci racconta cosa è accaduto ( e tuttora accade) al nostro apparato visivo a causa dei dispositivi di protezione utilizzati durante questi mesi di lockdown e come i globi oculari si siano dovuti adattare a nuove e spesso stressanti abitudini.

3 domande al dottor Cornelio Paolo Feira

Dottor Feira quali sono gli effetti prodotti dall’utilizzo prolungato delle mascherine?
L’apparato oculare non è stato interessato direttamente dal virus, non ci sono evidenze che confermino che ci sia un legame di trasmissione infettivo lineare, quello che è accaduto invece è di tipo collaterale. L’utilizzo prolungato della mascherina infatti, uno schermo protettivo che produce un micro ambiente caldo-umido favorevole per batteri, virus e miceti, può essere la causa di congiuntiviti e cheratocongiuntiviti dovute al flusso d’aria della respirazione che si dirige verso le palpebre e gli occhi. Inoltre i punti di contatto della mascherina con il viso possono essere causa di herpes e dermatiti; si dovrebbe cambiare la mascherina ogni 2 o 3 ore, ma comunque non si risolverebbe del tutto il problema.

Quali sono gli altri inconvenienti che questa pandemia sta procurando al nostro sistema visivo?
Lavoro e didattica a distanza hanno causato un’impennata delle ore di applicazione ai dispositivi digitali con conseguente aumento dell’esposizione alla luce blu-viola dannosa per la retina e per il cristallino. Trascorrere ore davanti ad uno schermo per lavorare o seguire lezioni e studiare può creare, secondo diversi studi scientifici, lesioni alla vista a causa dell’alta capacità di penetrazione oculare che questo tipo di luce artificiale a led possiede .
L’utilizzo prolungato di cellulari, tablet e computer che costringe , inoltre, ad una continua messa a fuoco tra lo schermo e l’ambiente esterno, può causare effetti deleteri anche sul ciclo sonno-veglia con conseguenti fenomeni di insonnia.

Quali accorgimenti possiamo adottare per evitare spiacevoli conseguenze di salute legate ai nostri occhi e migliorare la vita del nostro apparato oculare?

Sicuramente fare delle pause durante le nostre sessioni di studio e di lavoro davanti allo schermo e limitare le nostre attività sui dispositivi digitali. Ogni 20/30 minuti bisognerebbe alzarsi e farne 5 di pausa proiettando lo sguardo verso grandi distanze, il nostro occhio è infatti strutturato per una visione da lontano. Un altro consiglio importante è di utilizzare lenti, sia correttive che neutre, con trattamento per la luce blu mentre per curare infiammazione e secchezza si possono utilizzare delle lacrime artificiali in collirio ( in gran parte a base di acido ialuronico). Ovviamente sarebbe meglio essere sotto controllo di uno specialista che può consigliare il rimedio più adatto ad ogni caso specifico.
In generale comunque bisognerebbe evitare di utilizzare luci a led ed adoperare il meno possibile i dispositivi tecnologici avvalendosi magari di schermi protettivi; infine sarebbe ottimale leggere, studiare o lavorare utilizzando supporti cartacei . Non dimentichiamoci che gli occhi sono una parte del nostro corpo molto importante, la nostra guida e il nostro varco sul mondo, trattiamoli bene, non trascuriamoli!

 

Atelier Riforma, la moda sostenibile che protegge il pianeta

Il punto di vista / Le interviste di Maria La Barbera

La start up creata da due giovani imprenditrici promuove l’economia circolare, l’inclusione e l’occupazione ridando una nuova e preziosa vita ai capi di abbigliamento usati.

E’ davvero straordinaria l’idea di Elena Ferrero e Sara Secondo, due giovani e laboriose imprenditrici conosciutesi durante il percorso formativo della Fondazione CRT “Talenti per l’impresa”, che con Atelier Riforma, la loro start up innovativa e a vocazione sociale nata nel maggio 2020, lavorano per preservare l’ambiente con il tentativo di frenare l’impatto drammaticamente negativo, soprattutto quello legato al consumo e all’inquinamento della risorsa idrica e allo sfruttamento delle risorse naturali, che il settore moda ha sul nostro ecosistema. Qualche esempio? Per fare una t-shirt servono 2700 litri d’acqua (la stessa quantità che ne utilizza una persona per vivere 2 anni e mezzo), il settore mondiale del tessile utilizza ogni anno all’incirca 79 miliardi di m3 d’acqua, l’intero fabbisogno d’acqua dell’economia europea nel 2017 è stato di 266 miliardi di m3.
Si stima che il comparto tessile sia responsabile del 20% dell’inquinamento acquifero mondiale mentre per quanto riguarda le emissioni, la valutazione dice che il 10% di quelle globali di gas a effetto serra siano causate dalla produzione di vestiti e calzature (più di quelle di tutti i voli internazionali e della navigazione marittima messe assieme!). I dati del 2017 ci dicono inoltre che l’acquisto di indumenti nel nostro continente determina ogni anno l’emissione di 654 kg di CO2 per persona e parlando di rifiuti i dati sono ugualmente allarmanti, dal ’96 ad oggi, infatti, il numero di vestiti acquistati in Europa per persona è aumentato del 40% (a causa dei bassi prezzi e dell’elevato turnover della fast fashion). I cittadini europei ogni anno usano 26 kg di vestiti e ne buttano circa 11 kg, la maggior parte di questi vengono bruciati o destinati alle discariche (87%), meno dell’1% viene riciclato in nuovi capi di abbigliamento anche a causa di mancanza di tecnologia ed efficienza nella gestione della filiera.

Atelier Riforma raccoglie gratuitamente capi usati, li riqualifica ridandogli una nuova vita stilistica per poi metterli in vendita attraverso il negozio online con una certificazione di tracciabilità. Questa azienda rivoluzionaria vuole lanciare un messaggio forte che mira alla sensibilizzazione e spinge verso una moda sostenibile e circolare che grazie al potere rivitalizzante del riciclo permette il riutilizzo dei vestiti che troppo presto vengono abbandonati nella spazzatura o dismessi senza consapevolezza.
Elena e Sara, 28 e 30 anni, non si sono fatte scoraggiare dal difficile periodo pandemico, hanno cominciato a raccogliere i capi usati e in un anno hanno creato una rete che conta, sul tutto il territorio nazionale, più di 20 realtà sartoriali, dato nuova vita a più di 700 capi d’abbigliamento e creato una attività produttiva e una organizzazione trasparente e sostenibile. Tra le realtà coinvolte nel progetto ci sono oggi anche 5 sartorie sociali che sostengono l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate come migranti, ex-detenute e donne vittime di violenza; una azienda profit quindi ma con una consistente attitudine alla inclusione, alla creazione di occupazione e alla lotta contro l’inquinamento di cui si sente tanto parlare.
Atelier Riforma, arrivata seconda alla RomeCup 2021 di Fondazione Mondo Digitale e Invitalia e attualmente tra i finalisti del “Green Skills Award” dell’European Training Foundation (unico progetto italiano in finale), sta lavorando inoltre ad una tecnologia di Intelligenza Artificiale per la catalogazione e lo smistamento degli scarti tessili che consenta di utilizzare questo modello circolare di attività in maniera diffusa. Entro il 2025 in tutta l’Unione Europea sarà infatti obbligatoria la raccolta differenziata dei rifiuti tessili e questo lavoro di ricerca farebbe dell’Italia un paese all’avanguardia nel cambiamento di normativa nel settore.

3 domande a Elena Ferrero

Cosa vuole dire creare una azienda in controtendenza, che promuove l’upcycling e il riutilizzo dei capi di abbigliamento, in un periodo in cui impera il consumismo compulsivo, la fast fashion e la tendenza all’usa e getta?
E’ certamente una sfida. Se facciamo riferimento al momento storico sicuramente la pandemia, con tutti i timori in termini di igiene e sicurezza che si sono accentuati con l’emergenza sanitaria nell’ultimo anno, non aiuta un’iniziativa che propone capi usati. Ovviamente, come già avveniva nel periodo pre-Covid, abbiamo posto molta attenzione a questo aspetto; a tal proposito vorrei anche evidenziare che i vestiti nuovi in vendita nei negozi non sono più puliti di quelli usati.
Riguardo invece alla questione legata alla tendenza di acquisto siamo consapevoli che non è facile mettersi in competizione con giganti del fast fashion o con un orientamento così radicato all’acquisto compulsivo e usa e getta, inoltre molte aziende cadono nel “GreenWashing”, ovvero astute attività di marketing che cavalcano il trend dell’ecologia senza un impegno realmente concreto. Vediamo spesso , soprattutto in occasione di particolari “Giornate Mondiali” come quella della Terra o dell’Ambiente, brand che pubblicizzano micro-progetti apparentemente virtuosi volti alla sostenibilità per poi, nella pratica, continuare a produrre la maggior parte delle proprie collezioni con processi criticabili dal punto di vista etico e ambientale. Una grande parte della popolazione, purtroppo anche quella più attenta, si lascia ancora incantare da queste pseudo buone azioni e noi vogliamo rispondere a tutto questo cercando di fare informazione e sensibilizzare attraverso i social, i media, facendo podcast ed interviste.

La beneficenza attualmente è un tema molto significativo e una pratica diffusa che spesso dà anche molta visibilità. Perché fondare una azienda “profit” che vende capi riformati invece di una “no profit” che raccoglie e dona?

La donazione dei vestiti è un argomento nella realtà poco conosciuto soprattutto l’enorme problema sociale e ambientale legato ai capi usati dismessi. Tante persone pensano che regalare i propri vestiti sia una azione unicamente virtuosa, noi a nostra volta ne riceviamo moltissimi da privati o associazioni che ne hanno accumulati troppi e che affermano che “non ci sono abbastanza poveri per tutti i vestiti usati donati”. In realtà il problema è che il mondo è letteralmente invaso dai rifiuti tessili e disfarci di altri capi usati non fa altro che ingigantire il problema, questo perché questi vestiti raccolti nel nostro Paese (così come in Europa e negli USA), di bassissima qualità a causa della fast fashion, vengono per la maggior parte esportati in Africa o in altri Paesi del Sud del mondo. La questione è che stiamo trasformando quei continenti nella nostra discarica considerato che la maggior parte dei capi viene buttato e i restanti che vengono rivenduti, non donati come si potrebbe pensare, hanno prezzi bassissimi, così che l’economia tessile locale viene messa in seria difficoltà. Molti stati africani stanno mettendo dei divieti nell’importazione di vestiti usati nei loro Paesi, perché la situazione non è più gestibile. Stiamo spostando le conseguenze del nostro stile di vita consumistico in altri continenti senza provare a risolvere qui il problema o a cambiare approccio. La beneficenza non è sempre una soluzione, semplicemente perché per problemi complessi come questo ci vogliono soluzioni altrettanto complesse.
La sensibilizzazione su questo argomento si fa mostrando le immagini della situazione reale, portando trasparenza nella filiera, cercando di eliminare le infiltrazioni della criminalità organizzata ed eliminando la mala gestione dei rifiuti tessili. Senz’altro una piccola startup non può fare tutto da sola, ma può dare un input alla creazione di regolamentazioni più stringenti e controlli capillari da parte delle autorità competenti.

 

In un momento difficile come quello che stiamo vivendo voi avete deciso con molta determinazione di dare vita ad una azienda articolata che ha alla base una idea innovativa. Quali sono stati gli stimoli e gli impulsi motivanti? Cosa si sente di consigliare, a titolo pratico, ai giovani che hanno idee e obiettivi di business che vogliono perseguire?

Lo stimolo più grande che ci ha portato ad avviare il progetto è stato il capire che di questo tipo di cambiamenti c’è estremo bisogno. Forse in controtendenza con la maggior parte del mondo start up, abbiamo concentrato l’attenzione sui risvolti ambientali e sociali che avremmo assicurato con il nostro lavoro, più che lanciarci in spavalde previsioni di crescita economica esponenziale. Ai ragazzi, che spessissimo incontro nelle nostre numerose attività divulgative, consiglio sempre di non tenere le loro idee nascoste. Di parlarne, di condividere i propri progetti senza paura che qualcuno “rubi” loro l’idea. Ciò che conta, lo abbiamo capito con Atelier Riforma, non è l’idea, ma se la si porta a termine e come. Serve costruirsi una solida rete, utilizzando i social in modo corretto, e imparare il più possibile. Più nel concreto, noi siamo andate per gradi, Sara ed io, abbiamo prima seguito un percorso formativo sul mondo start up, formulato la nostra idea prima nella nostra mente, poi sulla carta e infine abbiamo proseguito con test e tentativi, inizialmente affiancando questo “sogno” alle nostre precedenti attività lavorative e in seguito dedicandoci interamente ad esso. Bisogna considerare che l’idea è qualcosa in continuo mutamento e non bisogna necessariamente “innamorarsi” della visione iniziale, ma trasformarla in risposta agli stimoli esterni, finché non diventa la soluzione migliore per risolvere il problema da cui si è partiti.