GUSTO- Pagina 49

Al Bar Cavour San Valentino inizia il 13 a ritmo di Jazz

LA GIORNATA DEDICATA ALL’AMORE PRENDE IL VIA DOMENICA 13 FEBBRAIO AL BAR CAVOUR SULLE NOTE DI BRANI JAZZ

 
Chi lo ha detto che San Valentino bisogna necessariamente festeggiarlo solo il 14 febbraio? Il 13 febbraio, infatti, alle ore 20 al bar Cavour di Piazza Carignano a Torino, prende il via la IV edizione della rassegna ” Bar Cavour in Jazz” : la direzione artistica di Marco Piccirillo della ” Yes We Jazz Musica Management” darà vita alle musicalità tipiche e raffinate del jazz ma contaminate da interessanti e diversi stili musicali.

Domenica 13 febbraio, nelle sale dell’ elegante cocktail bar ” Cavour” , proprio sopra alla ” Farmacia del Cambio”, il trio V. I. P. – Virtuoso Italian Performers – darà vita brani  caratterizzati da tre stili, provenienti dalle diverse e personali esperienze musicali, coinvolgenti e appassionanti ma unite da un unico suono.

Ed è così che si potranno ascoltare brani classici della tradizione jazz americana contaminati da canzoni pop e grandi successi internazionali ed italiani, riproposti in chiave jazz.
Per gli appassionati del genere un ritorno all’ascolto di sonorità familiari e sempre vive, per i neofiiti  una grande e intensa scoperta, da cui difficilmente potranno più non accostarsi e ascoltare.
I grandi successi della canzone tradizionale americana, resi famosi da artisti del calibro di Frank Sinatra, Ella Fitzgerald , uniti ai più grandi sucessi delle superstar del pop internazionale, come Alicia Keys e Michael Jackson e un ricco repertorio di grandi canzoni italiani anni ‘60, ‘70 e ‘80 di grandi autori come Mina, Lucio Battisti, Lucio Dalla e molti altri.
La formula della proposta musicale ricalca quella dei jazz club americani: dalle 19.30 in poi i musicisti suoneranno dal vivo per 4 set di mezz’ora ciascuno, intervallati da 30 minuti di pausa.  La musica accompagnerà il pubblico dai repertori tratti dalla canzone tradizionale swing americana fino ai grandi successi del pop italiano e internazionale arrangiati in chiave jazz, latino americana, New Soul e R&B.
Fino alle 24.00 sarà possibile gustare una stuzzicante selezione di piatti di cucina internazionale , nati dalla fantasia – oltrechè gastronomica anche scenografica –  dello chef Yari Sità, oltre ai cocktail classici, quelli della nuova “signature” firmata dal barman Marco Torre e alla migliore scelta di etichette fra distillati e vini.
Per la vera e propria cena del 14, invece, i due hanno ideato uno special menù, in abbinamento con un cocktail, nelle sale magiche del Bar Cavour.

Il percorso di degustazione, molto curioso, prevede tre tappe: il ” Dai Valentino ! ” , composto da salmone scottato, salsa ponzu e indivia alla brace; il ” Cupido Cavour” che propone  taco di coniglio, guacamole e platano fritto ; il ” Jazz in Love” dove, lo scrigno di cioccolato, vaniglia tahiti e caramello al lampone, segnerà la fine del  viaggio gastronomico nel quale gusti e intensità avranno sicuramente lasciato un ricordo della serata più romantica e dolce dell’anno

Il costo previsto è di 70 euro a persona con cocktail in abbinamento.

Chiara Vannini

Bar Cavour – Piazza Carignano 2, Torino
Per informazioni e prenotazioni:
eventi@delcambio.it
+39 011 1921 1270
+39 340 1776083

Da Eataly Lingotto si festeggia l’amore in maniera semplice ed elegante

Il menu pensato dall’executive chef Patrick Lisa

Pranzo o cena per festeggiare San Valentino? Di gran lunga, i più sceglieranno di dedicarsi una cena, forse anche per le atmosfere coinvolgenti e intriganti che le luci della sera sanno donare.
L’ingrediente che più di tutti ha la capacitâ di sprigionare eleganza nella presentazione dei piatti è sicuramente il pesce: e , almeno nella serata dedicata alla esaltazione dell’amore,  ci si augura che questa stessa eleganza, presente nella proposta gastronomica pensata per l’occasione,  possa deliziare, in maniera inaspettata,  la serata.
Il menù , proposto dall’executive chef di Eataly Lingotto Patrick Lisa , a base di pesce,  saprà soddisfare mente e cuore, in una equilibrata e fantasiosa scelta di piatti da gustare per emozionarsi e ricordare nel tempo.
Il Torinese ha avuto il piacere di intervistare lo chef per illustrarci il menu per la serata piú dolce dell’anno:
1. Cosa significa per te, da un punto di vista di realizzazione del menù, proporre dei piatti realizzati appositamente per la serata di questo particolare San Valentino?
Per questo menu sono partito dallo studio e dalla ricerca di ingredienti che presentassero virtù afrodosiache, cioè stimolatrici dell’umore e in grado di ammorbidire le tensioni: molti dei piatti che troverete saranno densi di questi componenti. Altro aspetto, sul quale purtroppo attualmente ci deve essere uno studio diverso alla base per esaltare la sua importanza, è quello della condivisione del cibo, momento molto sentito in occasioni come quelle di san Valentino, durante le quali ci si dedica uno all’altro in una maniera diversa da quelle abituali: nel mio caso, ho pensato a portate che gli ospiti potessero gustare facilmente servendosi da soli. Verranno infatti presentate al tavolo su un supporto senza essere direttamente serviti dell’assistente di sala.
2. La tua è una proposta ” tutta pesce”: ci sono motivi particolari?
Il pesce è un ingrediente che permette di realizzare piatti dal sicuro effetto scenico ed elegante, caratteri in linea con la serata in questione,  ma favorisce anche l’azzardo ad abbinamenti che con la carne non si potrebbe. Il piatti principale, ad esempio, i plin di gamberi, limone e zenzero e brodetto di gamberi, dettano una freschezza e una fantasia nel prosieguo della serata un pô meno ” pesante” rispetto ad un menù declinato tutto alla carne. Il gioco dei gusti fra acido e piccante realizzato sulla carne rischia di essere noioso : sul pesce risulta, invece, facile e di più libera ispirazione per svariate ricette che, in un menù con tante portate, si esprimono nei loro gusti intensi ma leggeri allo stesso tempo.
3. Togliendoti un attimo dai panni dello chef di Eataly e  San Valentino lo andassi a festeggiare lì, su quali piatti del menù proposto cadrebbe la tua attenzione e quali, quindi, consiglieresti?
Per il mio gusto, avrei ordinato subito il gazpacho , capasanta e pane croccante e il toast con la seppia, proprio perchè mi piace toccare il cibo e sentirne la consistenza.

Se fossi intollerante o allergico, ad esempio, ai crostacei o a qualche mollusco, so che c’è sempre la possibilitá di comunicarlo e di richiedere un piatto diverso, fuori menu, a base di un pesce che  posso scegliere direttamente dalla pescheria di Eataly e farmelo cucinare.

Chiara Vannini

I sapori di Capo Verde all’Osteria della ASD Madonna del Pilone

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Saranno protagonisti di una cena a  Torino, venerdì 11 febbraio

 

Una serata con protagonisti i sapori di Capo Verde è in programma venerdì 11 febbraio prossimo a partire dalle 19.30 presso l’Osteria della ASD Madonna del Pilone, dove l’osteria stessa e CapoverdeGo.it condurranno gli ospiti in un viaggio attraverso i sapori, le immagini (con foto e video), le parole e la musica del meraviglioso arcipelago al largo delle coste africane, che rappresenta un crocevia tra Africa, Europa e America Latina, dove la lingua parlata è quella creola.
Il menu a tema capoverdiano, preparato dallo chef Gabriele Accardi e dalla sua brigata, consentirà di conoscere l’arcipelago di Capoverde attraverso i sapori d’influenza lusitana, in quanto il Paese è stato fino al 1975 una colonia portoghese, diventando poi una repubblica indipendente con la Rivoluzione dei Garofani.
Durante la serata verranno anche proiettati fotografie e video di ‘Capo Verde Go’, la guida realizzata e prodotta da giornalisti italiani che vivono e da anni frequentano queste isole. Nata due anni fa in tempi di pandemia, si è attestata quale un valido punto di riferimento per il pubblico italiano che voglia visitare l’isola. Capo Verde Go contiene informazioni che sono verificate e vissute e si rivolge a pubblici differenziati, a partire da chi desideri trascorrervi anche solo una settimana di vacanza, fino a chi, in particolar modo, voglia conoscere davvero le isole e vivere un’esperienza immersiva a contatto con le culture autectone.
Capo Verde presenta molti aspetti invitanti trattandosi del secondo Paese dell’Africa per livello di democrazia, con un buon PIL e la presenza di Università quotate. Situato tra il Tropico e l’Equatore, offre un clima buono tutto l’anno, con temperature dell’acqua che non scendono mai al di sotto dei 22 gradi e quelle atmosferiche che si aggirano intorno ai 28/-30 gradi grazie all’aliseo che soffia costante. Da dicembre a marzo, infatti, nelle isole di Sal e Boa Vista si svolgono i campionati di Kite Surf. È presente un mare intatto ricco di pesce, da febbraio a maggio, che regala la vista delle megattere, che transitano spesso vicino alla Costa. Si tratta, inoltre, del secondo posto sull’Atlantico per la deposizione delle tartarughe Caretta-caretta. Nel Paese la pandemia sembra quasi non essere arrivata e la situazione vaccinale è piuttosto buona. Nonostante ciò dall’Italia non si può ancora viaggiare per turismo, ma si spera che la situazione possa normalizzarsi per questa estate.
Capo Verde può rappresentare per le sue caratteristiche una scelta molto interessante dal punto di vista dell’investimento e anche da quello lavorativo, a patto di conoscere le proprie esigenze, il posto, i vantaggi e gli svantaggi presenti.
Il menu che verrà proposto, servizio incluso, è al costo di 29 euro.
Per prenotazioni e informazioni ASD Madonna del Pilone- L’Osteria 3317293939/ 0118999205
La bocciofila Madonna del Pilone, nata nel 1922, aveva originariamente sede in corso Casale e nel ’46 si trasferì in quella attuale. Sui campi di corso Michelotti 102/A si sono misurati, nel corso dei decenni, campioni e star di bocce, compreso il grande Pinin Corno. Oggi la ASD Madonna del Pilone è sinonimo di sport, cultura, eventi, attività per famiglie e ristorazione, di cui l’Osteria rappresenta un fondamentale punto di riferimento non soltanto per il quartiere circostante.
Il 2022 ne costituisce l’anno del centenario e si prevedono festeggiamenti e novità.

Mara Martellotta

Osteria Rabezzana, due tradizioni secolari in una

Una realtà controllata da tanti investitori che, credendo nel progetto di Franco Rabezzana, hanno aderito alle campagne di crowdfunding

Due tradizioni secolari fuse in una. Questo è il caso molto originale in Piemonte, precisamente a Torino, che vede protagonisti il Pastificio Giustetto, in via Santa Teresa, e l’attigua Enoteca-Osteria Rabezzana, in via San Francesco d’Assisi. Essi costituiscono oggi una realtà unica, seppur variegata nelle loro rispettive produzioni, sotto la guida del patron Franco Rabezzana, nipote degli originari titolari della pastificio, i fratelli Anna e Luigi, e figlio di Renato Rabezzana e Maria Giustetto, che hanno gestito dal 1947 l’enoteca più storica di Torino. Dal 2019 questa realtà si è aperta alla partecipazione di molteplici investitori, attraverso l’utilizzo dello strumento finanziario del crowdfunding, di origine anglosassone.


Le origini del pastificio risalgono al 1911, quando Francesco, nato nel 1887 e padre di Anna e Luigi, aprì il suo primo laboratorio in via Nizza, per poi lasciarlo a favore di una sede più ampia. Venne scelta via XX Settembre, mentre qualche anno più tardi il laboratorio medesimo si sarebbe spostato in via Santa Teresa, ma al civico 15. Fu durante gli anni Sessanta che il pastificio avrebbe trovato posto nella sede attuale, all’angolo tra via San Francesco d’Assisi e via Santa Teresa.

“Il pastificio Giustetto – spiega Franco Rabezzana , che lo ha rilevato dagli zii alla fine del 2019 – negli anni Ottanta era rimasto uno dei pochi pastifici torinesi che scegliesse ancora di lavorare a mano la pasta, senza ricorrere al supporto di macchinari. Gli agnolotti venivano lavorati senza neanche adoperare gli stampini. Mia nonna, di cognome Giraudo, gestiva il ‘Salsamentario’ in corso Casale, non lontano da Madonna del Pilone. Il pastaio, il papà di Anna e Luigi, Francesco, una volta appreso il mestiere, iniziò a lavorare in proprio e divenne anche fornitore della Real Casa, servendo abitualmente il cuoco di Umberto di Savoia, che prediligeva soggiornare a Torino piuttosto che a Roma, quando gli impegni glielo permettevano.

A gennaio 2020 abbiamo attuato l’ampliamento delle cucine, grazie alla prima campagna di crowfunding, che ha consentito di creare un laboratorio comune, in grado di produrre la pasta sia del Pastificio, che ha conservato il nome originario, sia dell’Enoteca e ristorante di Osteria Rabezzana”.

“L’ enoteca e l’osteria nel seminterrato – spiega il patron Franco Rabezzana – sorgono dove in origine era presente, agli inizi del Novecento, una sala da ballo, che faceva parte di un albergo, il cui ingresso, in stile Liberty, è ancora visibile, in alcuni suoi aspetti ornamentali, nei locali del vicino supermercato di via Santa Teresa. I genitori di Franco, originariamente, nei locali della sala da ballo procedevano all’imbottigliamento dei vini, poi Franco nel 2012 ha trasformato la sala che, prima di diventare il ristorante attuale, era destinata a spazio per eventi; in quel periodo l’enoteca offriva anche il servizio catering. Nel 2016 Franco ha proceduto a una seconda ristrutturazione, aprendo la cucina per il ristorante e, tra il 2019 e il 2020, alla terza ristrutturazione con l’acquisizione del pastificio”.
“La cucina proposta da Osteria Rabezzana – continua Franco Rabezzana – è affidata allo chef Giuseppe Zizzo, di origine siciliana, e risulta di ispirazione piemontese, anche se rivisitata, con la presenza del pesce e dei dolci siciliani. L’enoteca propone un’ampia scelta di vini, di cui alcuni di sua produzione, nel Monferrato. Accanto ai vini a marchio, nell’enoteca si trovano quasi mille etichette, sia italiane, sia straniere, di vini, spumanti, champagne, liquori, birre e amari.

Dal 2019 l’enoteca Rabezzana è diventata “Maestro del Gusto”. La cucina dell’osteria valorizza la tradizione gastronomica piemontese, ma anche e soprattutto la stagionalità dei suoi prodotti, utilizzando materie prime di qualità e a km zero. Ad ogni stagione cambia il menù e ogni settimana si possono gustare sapori diversi e nuovi piatti della tradizione. Vengono organizzati anche dei corsi di degustazione sui vini, champagne e sui brandy, in collaborazione con il Gambero Rosso e con Slow Food, e eventi musicali la sera a cadenza settimanale (ogni mercoledì sera), con la programmazione di “Rabmataz” e la partecipazione di gruppi jazz, cantautori italiani, gruppi di cantanti degli anni Sessanta e Settanta, e anche la lirica, con cantanti del Teatro Regio di Torino . Il locale è inoltre diventato “location” del Torino Jazz Festival e del Moncalieri Jazz Festival”.


“ L’ enoteca osteria Rabezzana – aggiunge il suo patron Franco – è stata una delle prime società tradizionali in Italia a utilizzare lo strumento di investimento del crowdfunding, che permette anche ai piccoli investitori di diventare soci.
Avendo come attività principale una società di consulenza alle aziende nell’utilizzazione dei fondi europei, quando sono subentrato a mio fratello Carlo, ho compreso l’importanza di apportare innovazione all’interno di un settore tradizionale, come è quello della ristorazione; il crowdfunding poteva rappresentare proprio questo. E l’Osteria Rabezzana è stata una delle prime società in Italia nel settore della ristorazione a utilizzare questo strumento. Alla prima campagna hanno aderito cento investitori, con la seconda siamo arrivati a centocinquanta e con la terza attualmente in corso, già a oltre duecento investitori.
Originariamente il crowdfunding era nato come uno strumento rivolto alle start up e alle PMI innovative; in seguito un decreto legge del 2019 ne ha esteso la possibilità di utilizzazione anche alle società di capitale. In questa terza campagna di crowdfunding gli investitori possono adottare una “barbatella”, ovvero una propaggine di vite, seguirne le varie fasi di coltivazione e essere aggiornati mensilmente sulla sua crescita con notizie, fotografie e filmati.

Coloro che aderiranno alla campagna otterranno il certificato di adozione, la posa della targhetta con il proprio nome sul filare e la ricezione gratuita, ogni anno, per cinque anni, di un numero di bottiglie di Barbera e Grignolino DOCG per un valore pari al 20 per cento dell’investimento, rientrando così in cinque anni del cento per cento dell’investimento effettuato“.
“ L’enoteca osteria- conclude Franco Rabezzana – mostra anche una certa sensibilità nei confronti del mondo dell’ arte, ospitando spesso esposizioni di quadri di artisti, per lo più piemontesi. In primavera verranno poi montati dei murales artistici realizzati da allievi dell’Istituto d’arte torinese Passoni”.

Mara Martellotta

Gustose meraviglie nell’antica foresteria di Sant’Antonio da Padova

Prima Foresteria della chiesa di Sant’Antonio da Padova, poi forno di panificazione, nel 2000 ristorante Dadò ed ora, come un artista che perfeziona la propria opera d’arte, Stefano Sforza ci accoglie da OPERA ingegno e creatività.

Il nome dice tutto. Sono molti gli elementi del menù e del locale che richiamano le origini del posto che ci ospita, un ambiente accogliente ed elegante, con il soffitto a volte, mattoni a vista e lampade a luci calde.

 

Partiamo da una deliziosa kombucha fatta in casa, aromatizzata all’arancia e lavanda, fresca e leggera pulisce il palato e ci prepara alle successive portate. Il passato da forno di panificazione giunge a noi con una pagnotta, a lievitazione naturale, tagliata a spicchi che invita alla condivisione; accompagnata da un burro aromatizzato al limone, la cui freschezza ancora una volta ci permette di gustarne più fette senza esserne appesantiti.

 

Seguono gli antipasti, in cui ovviamente la stagionalità e la sostenibilità la fanno da padrone; piatto simbolo è sicuramente Hokkaido, topinambur e bergamotto, che prevede la zucca Hokkaido con buccia cotta al vapore e poi rosolata, a questa viene aggiunta una nota di croccantezza con una tartare di topinambur, le cui bucce vengono utilizzate per preparare un brodo a cui si aggiungerà del succo di bergamotto per finalizzare il piatto.

 

La cena prosegue con convivialità alternando primi e secondi dalle consistenze differenti, come a riprova della grande padronanza in cucina dello chef e della sua brigata. A dei golosi gnocchi brasati ripieni di ricotta di capra e riduzione di cavolo viola, segue un morbido stracotto di vacca, con patata al fieno e mirtilli, il tutto accompagnato da un Nebbiolo 2019 di Scarzello.
La cena si conclude con la piccola pasticceria, anch’essa deliziosa e al tempo stesso studiata nel servizio per poterne assaporare ogni boccone senza però rovinarsi il gran finale, il dessert.


Stefano Sforza ci ha dato prova del suo ingegno e della creatività con le quali ha plasmato un nuovo locale, senza però discostarsi da quella che è ed è stata la sua essenza; una mensa, un forno, un ristorante. A terminare la serata arriva quella che a primo impatto è stata per me la rappresentazione di Opera, il dessert Mela. Un incontro tra un sottile guscio di cioccolato bianco dorato ripieno di una dadolata di mele cotte aromatizzate alla cannella.

La presentazione scenografica ed il connubio tra gli ingredienti hanno reso il paragone immediato con il dipinto di Gustave Klimt, Il bacio, 1907-1908; in cui i due amanti si abbandonano in un bacio su uno sfondo dorato, il cui contesto etereo viene volutamente ignorato dall’intensità dell’incontro. Proprio come la cena, è stato un continuo accostamento tra sapori ben distinti ma al tempo stesso complementari, in grado di fondersi come un bacio tra due amanti.

Eleonora Persico

 

Via Sant’Antonio da Padova 3, 10121 Torino

 

La ricerca tra gusto ed estetica nel menù del ristorante Aroma

Via Monferrato, zona Gran Madre, alle spalle di Piazza Vittorio Veneto, a Torino. Una via che, dopo i processi che hanno portato alla sua graduale pedonalizzazione, offre “chicche” scenografiche e di gusto uniche nel loro genere:

il susseguirsi delle poche ma selezionate attività commerciali di vendita e somministrazione delle eccellenze enogastronomiche del territorio, la presenza di piccoli negozi di abbigliamento e oggettistica per la casa particolari nel loro genere, l’aria “ urban style “ ed elegante  tipica sabauda, suggellata dalla luce dei soli lampioni, rendono quest’area  un piccolo gioiello di cui la città va particolarmente fiera.

Tra i vari ristoranti presenti che si affacciano direttamente sulla via, spicca il ristorante “ Aroma”, che già dal nome invita ad entrare per una visita.

Ad accoglierci i fratelli Diego e Denis  Lamarca: chef il primo, responsabile di sala il secondo.

L’arredo, all’apparenza freddo, è in realtà frutto di un sapiente studio di luci e ombre in contrapposizione ai colori sgargianti che compongono i quadri dell’artista spagnolo Joan Llaverias e che regalano climi diversi, sia che si tratti di incontri di lavoro sia dedicati a esperienze gastronomiche da godersi in tutta serenità.

I ragazzi hanno viaggiato parecchio in giro per il mondo e tutto il sapere acquisito alla scoperta delle varie culture gastronomiche hanno voluto riportarlo a casa, con il desiderio di creare e proporre ricette dai gusti inaspettati e presentate con un deciso impatto scenografico, con la cura di conservare la tradizione culinaria del territorio che, in molti dei lori piatti, è presente.

Noi de “ Il Torinese” abbiamo intervistato i fratelli Lamarca per farci raccontare il loro percorso gastronomico.

 


L
’anno in cui avete aperto il locale era il lontano 2015 e già da anni erano insediate alcune  attività dedite alla ristorazione. In  che modo ha inciso, se è accaduto, sulla vostra volontà di dare vita alla vostra realtà in “concorrenza” con le altre attività storiche della zona, già molto conosciute ?

Il primo maggio, proprio in occasione della festa dei lavoratori, abbiamo inaugurato “ Aroma “ , in segno di buon augurio per l’attività. Non abbiamo mai effettivamente sentito molto l’eventuale concorrenza che si sarebbe potuta percepire: eravamo ben consci che non avremmo potuto  contare su un numero di coperti pari a quelli dei colleghi storici, caratterizzato da una una cucina profondamente tradizionale piemontese, che incontrava e incontra tuttora il gusto di molti torinesi. Riteniamo, infatti, che coloro i quali frequentano i ristoranti, per quanto se ne dica che il torinese è abitudinario, non è così, anzi. Piace loro cambiare e provare nuove esperienze di gusto : e con questo pensiero, stiamo proseguendo il nostro percorso in una zona privilegiata della città.


Che tipo di clientela frequenta il vostro locale?

 

Inaspettatamente molti giovani, di età intorno ai 28-30 anni. Apprezzano molto, in particolare, la presentazione dei piatti.  L’effetto“ uao ! “ è sempre la prima parola che sentiamo dire all’arrivo del piatto:  questo aspetto, sicuramente, ci fa capire che, nel nostro piccolo, stiamo facendo un buon lavoro. Lo stupore abbinato al gradimento dell’effetto sorpresa nell’abbinamento degli ingredienti,  non può che farci piacere.

 

Il nome del ristorante è chiaramente evocativo nel dare identità al locale: ne avete fatto uno studio particolare?

 

Non uno studio particolare, ma sicuramente abbiamo pensato ad un nome che potesse invogliare le persone ad assaggiare la nostra cucina e che, attraverso la sua “ aroma “, potesse portarli in un viaggio alla riscoperta di sapori ancora inesplorati. Proprio come durante i  nostri lunghi pellegrinaggi gastronomici in giro per il mondo che hanno ispirato gran parte del nostro menù


Com’è composto il vostro menù e quale piatto vi identifica di più?

Chi frequenta il nostro ristorante sa che le portate del menù  cambiano in base alla disponibilità dei prodotti di stagione.     Quello che possiamo definire “ invernale” , può cambiare più volte durante i mesi e questo ci permette di “giocare” un pò di più con gli ingredienti. Nei tre menù degustazione che proponiamo – Piemonte, Aroma e Pesce – i piatti, anche se  presentati in maniera scenografica,  non dimenticano di presentare ricette della tradizione piemontese. Quelli che ci identificano di più e che sono proposti  sempre nel menù alla carta, sono rappresentati sicuramente dall’agnello alla liquirizia , crumble di mandorle salato e gelato alle cipolle rosse ; tra i primi, i tagliolini in brodo di manzo, capesante scottate e uovo marinato; fra i secondi il coniglio alla wellington, con il quale abbiamo rinnovato un classico del passato ma la cui realizzazione è sempre molto apprezzata; in ultimo, il dolce, quello che davvero da sempre identifica che è il porcino ( che non è un porcino) realizzato con una ganache di cioccolato bianco e frutti rossi e glassato con il  cioccolato fondente. Una coccola che difficilmente ci si potrà dimenticare!

Chiara Vannini

Aroma Ristorante

V.Monferrato 23/a – Torino

011 8196013

aromaristorante.it

 

 

Caffè Vergnano, 140 anni di storia

Questa è la storia di una famiglia piemontese, delle sue quattro generazioni e delle sue
intuizioni più felici, passate attraverso 140 anni ed una tazzina di caffè come costante che
attraversa il tempo.

La storia di Caffè Vergnano parte nel 1882 da una piccola drogheria voluta e sognata da
Domenico Vergnano dove la passione per la miscela si fa ben presto culto e – soprattutto –
impresa. Un luogo in cui si sprigionano profumi, si raccontano leggende, si parla di bellezza,
si instaurano rapporti umani duraturi e sinceri, si sogna molto e si lavora tanto.

L’intuito vede sempre prima degli occhi e certamente è stato così anche nel 1930, quando
Enrico Vergnano, figlio di Domenico, decide di acquisire la prima fattoria produttrice di caffè
in Kenya andando a segnare una svolta rilevante per l’impresa di famiglia.

Nel 1970, a quasi cento anni di distanza, Carlo e Franco (nipoti di Domenico) che in quella
stessa drogheria hanno vissuto momenti felici da bambini, prendono le redini dell’azienda
portando Caffè Vergnano verso gli albori di una nuova era.

Il 1986, l’acquisizione di Casa del Caffè a Torino, segna il consolidamento imprenditoriale
nel mondo dell’Horeca. Si arriva così al 1996 quando i confini di Caffè Vergnano si allargano
verso il mercato estero attraverso un processo di internazionalizzazione e sviluppo che
permetterà al brand di affermarsi in 90 paesi.

Nel corso degli anni, Caffè Vergnano ha fatto della cultura del caffè una filosofia di vita,
grazie al suo know-how di eccellenza e qualità, differenziandosi in questo modo dalle
politiche commerciali dei maggiori competitor.

È proprio con l’entrata nel business della quarta generazione composta da Carolina, Enrico
e Pietro Vergnano che la voglia di mantenere e consolidare i valori familiari in ottica di
sviluppo, soprattutto affermandosi in mercati emergenti e in forte crescita, diventa centrale
per il successo dell’azienda che si avvia, oggi, verso un anniversario importante.

Parole come sostenibilità ambientale e sociale sono da sempre la cifra distintiva di Caffè
Vergnano e si traducono in tutte le azioni quotidiane, grandi e piccole, intraprese dal brand:
dalle capsule compostabili compatibili, ai processi di riciclo e di riduzione degli sprechi oltre
al recupero dei rifiuti.

In ambito etico, Women in Coffee è sicuramente il progetto che meglio racconta l’impegno
di Caffè Vergnano. Nato nel 2018 per sostenere piccole realtà di donne coltivatrici di caffè,
il progetto è in continua evoluzione ed ambisce a supportare iniziative concrete che parlano
di empowerment, inclusione e rispetto al femminile.

Altro valore chiave del brand è la cultura, intesa come processo di crescita e miglioramento
continuo. Per questo è nata l’Accademia Vergnano, istituita nell’antica casa di famiglia a
Chieri, dove vengono organizzati corsi teorici e pratici per i baristi che vogliono imparare
tutti i segreti del mondo del caffè e approfondire le loro competenze.

Con il 2021, arriva la partnership strategica con Coca-Cola HBC per la distribuzione esclusiva
dei prodotti di Caffè Vergnano nei territori di Coca-Cola HBC, con l’esclusione dell’Italia.
L’accordo rappresenta un’importante opportunità di crescita internazionale e di sviluppo del
business export attraverso un rafforzamento della propria presenza, oltre i confini italiani.
Giunto oggi ai suoi primi 140 anni, Caffè Vergnano continua ad affrontare nuove sfide che
lo porteranno a scrivere nuovi capitoli di un libro che racconterà molto di questa famiglia,
della sua passione per il caffè e dei suoi grandi sogni.

Il 2021, nonostante le difficoltà affrontate, si è chiuso con un fatturato totale di 92mil di
euro, andando quasi a pareggiare il 2019. Nel dettaglio l’export ha chiuso a 22,4mil di euro,
il retail a 37,6mil, il comparto Horeca a 29,4mil e il vending a 2,6mil di euro.
Un risultato ambizioso in un contesto ancora delicato ed incerto.

Il nuovo anno sarà un intero anno di celebrazioni, eventi, sorprese e regali per i nostri
consumatori. Ci sarà una limited edition di prodotti iconici dell’azienda che per l’occasione
si vestiranno d’oro, oltre ad una reinterpretazione del coccio in terracotta toscana, storico
regalo di Natale.

Caffè Vergnano compirà inoltre un viaggio lungo l’Italia durante il quale porterà il vero
espresso italiano vicino ad amici, partner e consumatori.

“Siamo “vecchi” ma non ci siamo mai sentiti più giovani. Abbiamo tante idee, energia
positiva, ottimi partner ad affiancarci, ma soprattutto tanti amici che ogni giorno dimostrano
amore per la nostra famiglia ed il nostro marchio. Sarà un anno da celebrare e ricordare
perché tante cose succederanno e tutte saranno ispirate dai valori in cui da 140 anni
crediamo, da quei sentimenti che arricchiscono i nostri sogni e li fanno diventare realtà. Il
nostro sguardo è e sarà sempre rivolto al futuro perché il domani è ancora tutto da costruire
assieme.” Carolina Vergnano – CEO di Caffè Vergnano

Caffè Vergnano
Caffè Vergnano è la più antica torrefazione italiana a livello nazionale. Fondata nel 1882 e ancora
oggi guidata dalla famiglia, da 140 anni racconta il rito dell’autentico espresso italiano portando in
una tazzina profumi e aromi di tutto il mondo. Il segreto delle miscele è la tostatura, lenta e
tradizionale che valorizza ogni singola origine, nel rispetto della materia prima.
Le miscele Caffè Vergnano si trovano nella grande distribuzione, nei migliori bar e negli oltre 179
Caffè Vergnano 1882, la catena di caffetterie all’italiana presente in tutto il mondo.

Una storia lunga 15 anni: auguri Eataly Torino

Era il lontano gennaio 2007: mi trovo entusiasta ad aver scoperto questo nuovo supermarket in zona Lingotto, a Torino,forse un po’ più caro rispetto agli altri, ma pieno di prodotti che non gustavo più da tanto e ai quali la tradizione culinaria di famiglia era molto affezionata.

Dal giorno in cui ho messo piede in questo nuovo “supermercato del gusto”, l’ho visto crescere, modificarsi, superare crisi, rinnovarsi di continuo per soddisfare sempre più una clientela che nel tempo ha individuato questo posto come un polo di riferimento gastronomico importante. Fin da subito, si respirava un senso di rilassatezza mentale, curiosando nelle varie corsie, quasi a dedicarsi dei momenti di contatto fra il cibo e i produttori, tanti, tantissimi e ognuno con le proprie peculiarità.

In quell’anno Eataly iniziava la sua avventura aprendo le porte del primo punto vendita, quello nell’ex opificio Carpano al Lingotto di Torino. Un luogo inedito dedicato alla valorizzazione e al racconto del meglio delle tradizioni eno gastronomiche italiane.

Col passare del tempo, Eataly Lingotto ( e poi anche nella sede più centrale della città, quella di via Lagrange) è diventata una tappa importante del sapere sul cibo piemontese e nazionale. Dalla pasta secca, alla pasta fresca, le cui vetrine di esposizione sono a “ cielo aperto” : si possono così scegliere agnolotti e plin come ci si trovasse in un vero e proprio pastificio. La loro realizzazione è stata improntata secondo lo stile della storica  famiglia Alciati – che in termini di lavorazione dell’agnolotto è fra le più famose in Piemonte – e che da poco tempo aperto il nuovo bistrot  “Giù da Guido”. Eun luogo dedicato al “mangiare con lentezza” –  ricavato in un’ampia area proprio vicino alla zona dei vini regionali e della cantina che contiene quelli più rinomati – dove è possibile gustare tante proposte della tradizione piemontese ma proposte in maniera rinnovata e allo stesso tempo gustosa : tra tavoli in stile retrò, in un’atmosfera rilassante e immersi in un tempo indefinito, assaporando portata dopo portata, l’amore e l’eleganza della loro cucina.

Eataly è anche molto altro: è riuscita a distinguersi anche per la realizzazione di un’area vendita adibita alla presentazione di molti strumenti di lavoro professionali ma molto utili anche nelle preparazioni casalinghe: a dimostrazione del fatto che l’attenzione alle ricette che si possono realizzare  successive all’acquisto dei prodotti, è molto sentita.

La rilevanza nella conoscenza del cibo che poi si mangia è un aspetto su cui Eataly si è sempre prodigata molto: il claim con cui sono nati  “ mangia meglio, vivi meglio” , è proprio quello su si poggia la filosofia di questo luogo che anno dopo anno, è sempre più apprezzato, soprattutto dagli stranieri. La frutta e la verdura messa in esposizione appartengono sempre alla stagione in corso, a dimostrazione di come sia particolarmente sentita la divulgazione degli aspetti nutrizionali dei cibi a partire dal rispetto della stagionalità dei prodotti.

Grande attenzione è dedicata sopratutto ai vini, alle birre, ad etichette anche internazionali di  liquori e distillati. Il cuore pulsante è proprio nello shop situato al piano inferiore. Lì una volta si poteva anche mangiare, con un menu un po’ più rustico in abbinamento alle birre: ora questa zona, insieme a tutti gli altri ristoranti a tema, sono stati spostati al piano principale.

Vini regionali ovviamente ma anche tantissime referenze provenienti da ogni parte d’Italia, così come gli champagne rigorosamente provenienti dalla Francia.

Lo spettacolo del cibo e del vino è stato impreziosito, anno dopo anno, dalla programmazione di tanti eventi, che hanno visto il coinvolgimento di chef, stellati e non di tutta Italia e delle filiere alimentari che, con le loro preparazioni, hanno cercato di valorizzare. Questa obiettivo, ha fatto sì che  Eataly da sempre si proponesse con quella filosofia con cui Slow food si è fatta conoscere, cioè quella del “mangiare con lentezza e con consapevolezza”: numerosi sono, infatti, i prodotti promossi sugli scaffali a marchio Slow food , con l’obiettivo di sottolineare l’identità del territorio di cui si fanno portatori.

Il 20 gennaio 2022, Eataly ha festeggiato quindici anni di permanenza sul territorio torinese: la capacità di aver avuto la capacità di  raccontare le storie dei cuochi, dei prodotti e dei territori – in altri termini la nostra biodiversità –  è stata davvero incredibile e oltre ogni aspettativa.  E chissà a quali altre sorprese andremo incontro!

Per 10 giorni, dal 20 al 30 gennaio, si sono succedute numerose cene e pranzi con cuochi e ristoranti di tutta Italia, non solo piemontesi, e che hanno trasmesso i valori dei luoghi di provenienza, le peculiarità e le ricette tradizionali; tutti seduti  intorno ad una tavola al gusto di “ Italia” .

Pranzare, per l’occasione del compleanno della struttura, in uno dei ristoranti coinvolti per l’evento – Felice a Testaccio – luogo che più romano non si può, è stata davvero un’iniezione di energia…gastronomica!

Il menu proposto, ovviamente, in pieno stile romano prevedeva carciofi alla romana, tonnarelli cacio e pepe mantecati rigorosamente al tavolo ( goduria perfetta per gli occhi prima di tutto), mezze maniche all’amatriciana e delle curiose polpette di bollito, realizzate alla maniera delle regioni del sud.

E’ stato molto interessante chiacchierare col titolare di questo locale emblema della capitale, dove si recano personaggi famosi e politici.

Nel pensiero che esprimeva sulla città di Torino, come potenziale sede di un’ulteriore apertura del ristorante, si è compreso come da romano, abituato a tempi e orari dilatati nel tempo, con ritmi di lavoro completamente diversi da quelle tipicamente sabaudi, sentisse forte la necessità- inaspettatamente- di volersi adeguare al rigore della città della mole, ai modi garbati e attenti di accogliere le nuove realtà gastronomiche, soprattutto se provenienti da regioni che portano con sé ricette particolarmente gustose, proprio come quelle della tradizione culinaria romana. E poi, testuali parole “ Torino  è così bella!”

Chiara Vannini

Manca il personale nella ristorazione. Ne parliamo con lo chef Nicola Batavia

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DEL RISTORANTE “ ‘L BIRICHIN “ DI TORINO

Il problema è ormai davanti agli occhi di tutti, soprattutto per gli operatori del settore gastronomico e della ristorazione : manca personale competente nelle brigate di sala e di cucina.

Le motivazioni sono varie,non solo economiche, non solo derivanti dalla pandemia, sia da una parte che dall’altra. I primi rilevano un’incapacità del governo a fornire adeguate misure assistenziali per agevolare le assunzioni e perfezionare i contratti con stipendi adeguati, i secondi – ” coccolati ” , nella maggior parte delle situazioni, dal reddito di cittadinanza e da altre misure di sostegno alla disoccupazione, non trovano motivazioni a rimettersi in gioco per una professione che prevede molta fatica fisica e mentale. Ma anche tanta passione. E forse è proprio questa che manca.

Ho chiesto quale fosse la reale situazione, per ciò che rileva nel suo ristorante, ‘L BIRICHIN a Torino, a uno chef di lungo corso nella ristorazione torinese, nazionale ed europea, Nicola Batavia, definito dai più lo “chef internazionale” proprio per questo suo bagaglio culturale eno gastronomico proveniente da più parti del mondo e che esprime nei suoi ristoranti. Il suo punto di vista, paragonandolo anche con il modello inglese che conosce bene, l’ho ascoltato con interesse.

 

1.Da quanto tempo il ristorante è aperto?

Il 4 marzo sono ben ventinove anni. Sono stati anni di grandi soddisfazioni personali ma anche della clientela soprattutto. Il mio modo di fare cucina nel tempo si è adeguato alle loro esigenze che, inevitabilmente, si sono modificate. In questo processo, le mie attività di consulenza in numerose attività ristorative in giro per il mondo, mi hanno aiutato molto nella diversificazione delle mie proposte culinarie. 

2.Quanto ricambio di personale ha subito la sala e la cucina?

Poco. Le figure responsabili, soprattutto in cucina, tendenzialmente rimanevano per cinque o sei anni. In sala, per almeno quattro anni, ho fatto crescere parecchi ragazzi.

In un ristorante ” gastronomico ” come il mio, dove i piatti che propongo partono da una base di studio e di approfondimento della materia che si trova nel piatto, non ho – ad esempio – bisogno di un sommellier: colui che gestisce la sala si attiva anche in quel ruolo. In sala, le persone che rispettano i turni del pranzo e della cena sono due, più qualche figura extra che richiedo quando il weekend è particolarmente impegnativo. In cucina,invece, siamo quattro comprensivo di uno stagista: io stesso sono molto presente in cucina e spesso mi occupo anche della sala. Le modalità nel godersi la sosta al ristorante è cambiata molto, il cliente ama trascorrere più ore seduto, essendo limitate numerose attività per il dopo cena. E così mi piace chiacchierare coi clienti e spiegare loro cosa stanno mangiando. Loro apprezzano e io vengo ripagato dalle fatiche, non solo in termini economici ….

3.Che tipo di caratteristiche deve avere, al di là della qualifica che ricerchi, il personale che ricerchi?

Sicuramente deve avere esperienze nelle tipologie di ristorante come il mio. Non svaluto in alcun modo i curricula che descrivono precedenti lavorativi nelle pizzerie, anzi, ascolto sempre tutti i candidati volentieri e, spesso trovo skills interessanti ma quasi mai in linea con ciò che ricerco. Ad esempio, io ricerco persone che si sappiano rivolgere al cliente in maniera elegante e che sappia spiegare in maniera pulita e tranquilla le portate. Diversamente, snaturo tutto il lavoro che c’è dietro ogni preparazione.

E’ molto difficile la selezione, soprattutto di questi tempi, perchè mi accorgo, leggendo le candidature ( centinaia al giorno,numero molto emblematico della situazione lavorativa attuale) che il problema maggiore per i ragazzi è leggere attentamente gli annunci di lavoro e rendersi conto se si è davvero in grado di proporsi o se si ha voglia di rimettersi in gioco.

4.Quali sarebbero le soluzioni principali da adottare per migliorare la situazione?

Bisognerebbe partire proprio dalle basi che ci proiettano nel mondo del lavoro, e cioè la scuola. Sarebbe utile rivedere tutto il sistema di organizzazione di inserimento lavorativo post diploma fin dal quarto anno e trovare un modus operandi efficace fra presidi, mondo della gastronomia e della ristorazione; così da da attivare stages formativi e tirocini in grado di capire sin da subito se vi siano le potenzialità o meno. E, per quelli selezionati, creare dei percorsi privilegiati.

Ad oggi, in questo particolare momento storico ed economico, ritengo non vi sia interesse, nonostante abbiamo creato le basi per diventare il reparto lavorativo che più alimenta la ricettività turistica e l’attenzione dei media e ha dimostrato di avere le potenzialità alla creazione di nuovi posti di lavoro, non abbiamo un vero e proprio inquadramento legislativo; con tutte le tutele che spetterebbero, sia agli uni che agli altri, ovviamente.

Troppe volte i ragazzi che seleziono mi chiedono in quali orari dovrebbero svolgere l’attività: per me è impensabile inserire negli annunci part time. Il lavoro nella ristorazione è full time, 6 ore al mattino e 6 ore la sera. Gli straordinari – se richiesti, io di solito non ne chiedo mai se non in occasioni particolari – sono regolarmente pagate, come da contratto. Per altro, il part time che intendiamo noi , in Gran Bretagna- ad esempio- non è contemplato.

La questione degli orari è legittima, ma penso che, se all’inizio della carriera di commis o di cuoco, non viene fatto un minimo di investimento su sé stessi, la famosa ” gavetta” di cui io stesso ne vado fiero, di questo mestiere non si avrà mai più passione, ma sarà considerato come un modo per “arrotondare” per arrivare a fine mese.

E anche il grido di allarme innalzato soprattutto dai candidati, rappresentato dagli stipendi inadeguati è sacrosanto; però c’è anche da dire che ogni salario dev’essere commisurato al grado di esperienza e all’ambiente in cui ci si propone. Ma è così non solo nel mio ristorante, ma anche in quello di livello superiore.

5.Perchè un ragazzo dovrebbe essere convincersi a mandare il curriculum al Birichin?

Semplicemente perchè, percentualmente, chi ha avuto esperienze lavorative da me, ha una probabilità maggiore di essere assunto o, per lo meno, di fa sì che il suo cv venga messo in cima alla lista di quelli pervenuti.

Nel mio ristorante si respira serietà, eleganza – quella giusta, senza eccessi che poi ” spaventa” gli ospiti – e amore per il cibo. Una volta percepite e fatte proprie queste caratteristiche che ogni figura lavorativa nell’ambiente della ristorazione di un certo tipo è richiesta, si è maturi per questa professione.

Io consiglio sempre, agli aspiranti commis o chef, di fare sempre qualche anno di esperienza all’estero:le difficoltà di carattere anzitutto linguistico e poi di adattamento ai diversi stili di vita, creano una ” corazza” che difficilmente, una volta rientrati in Italia, non potrà essere notata.

Chiara Vannini

Oltre la tazzina… c’è il caffè

I vistosi rincari a cui stiamo assistendo, in particolare nel settore gastronomico e della somministrazione delle bevande, sono dovuti a vari motivi, non solo legati alla pandemia.

Alla base vi è un profondo studio della materia, un’attenta lavorazione, importanti investimenti nella comunicazione e, naturalmente, passione per la materia prima: son solo alcuni degli aspetti che, parallelamente alla gestione sanitaria in corso, costituiscono i motivi per i rialzi dei prezzi e, in questo caso, della bevanda più consumata al mondo, la pausa della giornata per eccellenza, il caffè.

Ne ho parlato con Fabio Verona, coffee trainer ed autore del recente libro destinato agli operatori del bar (ma non solo) dal titolo “Professione barista: manuale pratico per l’espresso perfetto”, all’interno dell’ex “Diamante”, l’elegante costruzione in vetro di fronte alla Rinascente di Torino divenuta ormai da 2 anni sede del Costadoro Social Coffee Factory, il flagship store del brand Costadoro, marchio storico nella torrefazione del caffè.

Il libro, oltre che proporsi come un’aggiunta di qualità ai contenuti che già vengono impartiti negli istituti di formazione, vuole divulgare il concetto che la caffetteria non dev’essere solo un complemento all’attività del barista, ma parte integrante della sua attività, così da essere completi nel percorso di formazione. Ed anche qualcosa in più. Attualmente, nelle scuole, viene dato risalto ai reparti consueti quali quelli destinati alla gestione della sala o alle tecniche più moderne relative alla preparazione dei cocktail, ben poche ore sono invece riservate al settore della caffetteria. E, come ci rendiamo spesso conto, se nel bar un caffè non viene  realizzato a regola d’arte, di solito, il cliente in quel locale non ci torna più volentieri.

La composizione del testo rimanda alla struttura delle lezioni che lo stesso Fabio prepara e impartisce ai suoi allievi nei corsi tenuti presso la Costadoro Academy: una prima parte dedicata allo studio della botanica, alla conoscenza della materia prima, fondamentale per riuscire a creare la bevanda perfetta che trovi gradimento e soddisfazione, fino a conoscere gli specialty coffee. In un secondo tempo, come in ogni preparazione gastronomica, anche per il caffè è necessario utilizzare al meglio gli strumenti adeguati, e così l’attenzione si rivolge sugli attrezzi del mestiere: la macchina espresso, il grinder, le regolazioni da effettuare per un’estrazione perfetta, la montatura del latte, ecc. Inoltre, si affrontano anche i metodi di estrazione alternativa quali il chemex, la french press, ecc. Passione per il caffè a trecentosessanta gradi, dunque, unita al desiderio di comunicare nel miglior modo possibile il caffè: aspetti che sono trasmessi in maniera decisa dallo stesso Social Coffee Factory dove, ogni volta che si entra, alla pausa caffè si abbina una vera e propria pausa didattica sensoriale, inebriati dal profumo di caffè appena macinato.

Fabio, provenendo dal settore della cucina nella veste di cuoco e di pasticcere, è anche famoso come “coffee chef “, e cerca di riportare nel caffè il concetto di materia prima da trasformare e da lavorare. Il caffè, quindi, come alimento ancora non lo avevamo considerato. Tutte le declinazioni, nell’espressione e nella lavorazione dei prodotti sono possibili, e non a caso vari sono stati i cuochi che negli anni, proprio con Costadoro, hanno proposto piatti a base di caffè, facendo emergere, in maniera coraggiosa ma consapevole, sapori inaspettati e curiosi.

Così come la pratica del corretto abbinamento del vino al cibo o viceversa, anche nel caso del caffè è possibile.

Questo, come dicevamo, non è ancora percepito come alimento in quanto tale poiché le stesse tabelle nutrizionali non lo riportano dato l’irrilevante apporto calorico. In realtà lo è eccome: è un frutto tropicale dolce – acido, come il mango o la papaya, le cui sostanze vengono estratte e diluite con l’acqua calda. Ovviamente, va da sé che più il frutto è buono, meglio lo si conosce, lo si sa lavorare e trasformare, più la bevanda sarà gradevole e di qualità.

Parlare, però, di principi nutrizionali contenuti nell’espresso non è possibile: lo si può fare, però, declinando tali principi agli aspetti curativi e medici conseguenti al suo consumo. E su questo il dibattito è ampio. Ad esempio, non per tutti i soggetti la caffeina contenuta nelle classiche tre tazzine di caffè (corrispondenti a circa 150 – 300 mg in totale) può risultare “sana”: tutto dipende dal proprio stato di salute e dalle patologie in corso in grado di accogliere o meno i benefici del caffè.

Inoltre, i valori di caffeina contenuti nel caffè possono variare di molto, e dipendono anche dalle condizioni climatiche dove le piante nascono e crescono : ad esempio, una pianta di caffè che si sviluppa in altura (generalmente di specie arabica) dove le condizioni climatiche tendono al fresco,  produrrà poca caffeina con un tenore medio dell’1,3% (ricordiamo che la caffeina è un meccanismo di difesa dai parassiti e dagli insetti) e, quindi, il caffè finale risulterà un po’ più “digeribile”.  La specie “robusta”, invece, che prende vita in condizioni di stress, in territori caldi e pianeggianti, dove le piante sono spesso attaccate dalle muffe e dagli insetti, ha un contenuto di caffeina addirittura doppio. Vediamo quindi come per il vino, anche per il caffè, il microclima e la provenienza del territorio influenzano fortemente le caratteristiche della bevanda.

E a proposito dell’aumento dei prezzi della tazzina di caffè, Fabio è molto sicuro nella risposta: non è l’aumento del prezzo del caffè al kg a determinarlo, ma sono tutti i costi accessori, dalla manodopera alle utenze in generale ad aver inciso sul prodotto finale.

Spesso poi, un caffè non è cattivo perché la materia prima non è di qualità, ma è la presenza di personale non adeguatamente formato a realizzare un “buon” caffè che porta a bere espressi con sentori di bruciato o con sgradevoli acidità.

Torino porta da secoli una tradizione di torrefattori famosi e la stessa prima macchina del caffè è stata inventata proprio nella città sabauda ad opera di Angelo Moriondo, che già aveva avuto l’intuizione di come fosse comodo preparare il caffè in breve tempo e poterlo gustare appena estratto. Dovremmo forse ricordarcelo ed osservare con più attenzione il lavoro del barista che tutte le mattine ci dà la carica per iniziare la giornata: degusteremmo con più consapevolezza ed emozione la tazzina di caffè.

Chiara Vannini