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Quando la solidarietà trabocca sul marciapiede

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L’idea, sulla carta, è di quelle che scaldano il cuore: un contenitore in strada dove deporre abiti usati, destinati a nuova vita grazie a qualche associazione benefica. Un piccolo atto di civiltà, una carezza all’ambiente e al prossimo.

Poi, però, c’è la realtà. Passate da via Duchessa Jolanda, a Torino. Lì, quel contenitore appare come la versione laica di un confessionale che ha smesso di contenere peccati. Gli abiti straripano, come se il cassonetto fosse stato colpito da un’epidemia di bulimia tessile. E allora i cappotti cadono a terra, i maglioni si trascinano sul marciapiede, le camicie ondeggiano al vento come bandiere di resa.

Il risultato? L’iniziativa, che doveva essere un aiuto al prossimo, si trasforma in un regalo al degrado. E così, paradossalmente, quel cassonetto che avrebbe dovuto dire “noi ci prendiamo cura” finisce col gridare “noi ce ne freghiamo”.

Iago Antonelli

 

Solidarietà senza ostaggi: ricordarsi di dimenticare

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Anche a Torino grande successo di partecipanti, al netto delle devastazioni dei “soliti facinorosi”, per le manifestazioni in occasione dello sciopero generale. Uno sciopero per la Palestina. Non per il lavoro, non per i salari che non crescono, non per le bollette che strozzano le famiglie, non per i treni che non passano e gli ospedali che cadono a pezzi.

Con motivazioni altissime, intendiamoci: la pace, i diritti umani, la solidarietà internazionale. Tutto giusto, tutto bellissimo. Peccato che, sotto la patina idealista, sembri esserci più una passerella politica. Con la partecipazione di migliaia e miglia di giovani in buona fede.

Serve davvero bloccare un Paese intero non per affrontare i problemi italiani, e forse nemmeno  tanto per la causa palestinese, quanto piuttosto per onorare  la Flotilla? Serve mettere in piedi una missione umanitaria che porta viveri… e poi i viveri non vengono consegnati?

E ancora: è etico sventolare solo una bandiera, senza mai parlare degli ostaggi israeliani ancora in mano ad Hamas, senza mai ricordare la strage del 7 ottobre, senza mai nominare gli orrori compiuti dal movimento che governa Gaza col terrore?

La solidarietà, quella vera, non è a senso unico. Non dovrebbe essere un alibi per fare propaganda o per dare lustro a un’agenda politica. Altrimenti lo sciopero generale rischia di diventare meno un atto di coscienza e più un atto di ipocrisia.

Iago Antonelli

A Torino ci si accoltella troppo

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A Torino ci si accoltella  troppo, pare che la lama sia  sempre a portata di mano. I casi di cronaca negli ultimi mesi sono davvero tanti, e non si tratta “solo” di regolamenti di conti tra spacciatori. Così, alle 19.15 di un tranquillo lunedì, Roberto, 22 anni,  esce a comprare le sigarette in zona Mirafiori e si ritrova protagonista di un duello che nessuno gli aveva annunciato. Un malvivente incappucciato, felpa nera, passamontagna da manuale e un coltello da cucina, di quelli che si usano per tagliare l’arrosto. Gli salta addosso, lo stende a terra, poi gli regala un fendente alla caviglia prima di dileguarsi verso via Barbera. Prognosi: dieci giorni. Una ferita, dicono i medici, “non grave”. Come se l’aggettivo potesse medicare la paura.

Torino, più che Milano, sembra oggi la capitale italiana del fendente improvvisato. Mentre il capoluogo lombardo si consola con le statistiche e le piste ciclabili, sotto la Mole si affila il coltello.

La politica risponde con le solite litanie. Più pattuglie, più telecamere, più controlli. Ma la lama non si ferma davanti a un cartello di divieto. E noi continuiamo a raccontare questi episodi come “piccole ferite”, quando la vera ferita è un’altra: la lenta, inesorabile abitudine alla paura, indissolubilmente legata a una questione sociale e culturale frutto dell’immigrazione, quella incontrollata. Torino, città elegante, sembra oggi una signora che esce in tailleur, ma con lo sguardo di chi si volta ogni tre passi.

Iago Antonelli

Veicoli a passo di donna

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E così, a Torino, il glorioso “Circolo dei lettori” diventa – squilli di tromba, rullo di schwa – Circolo dei lettori e delle lettrici. Finalmente la giustizia trionfa, le vocali riprendono fiato.

Si cambia la targa, si spolvera la desinenza, si mette l’asterisco e via, il patriarcato è sconfitto. Nel frattempo, però, i tram restano quelli, i libri costano sempre troppo, e le buche sulle strade non si rattoppano. Ma vuoi mettere la soddisfazione di aprire un evento con “Care lettrici e cari lettori” e sentire che il mondo è un po’ più giusto, almeno fino alla pausa caffè?

Già che ci siamo, però, si faccia giustizia fino in fondo. Perché sui cartelli stradali c’è scritto “pedoni a sinistra” e non “pedoni e pedone”? (O, per parità di genere, “pedoni, pedone e pedon*”?). Perché ancora “veicoli a passo d’uomo” e non “passo d’uomo e di donna”?

Il paradosso è che, mentre la sinistra si affanna a spostare accenti, vocali e asterischi come se fossero pedine di Risiko, il centrodestra brinda in silenzio: meno si parla di lavoro, scuola, tasse e più si discute se dire “lettori e lettrici”, più facile sarà vincere le elezioni.
Del resto il problema dell’Italia non è la lingua, ma chi la parla.

Iago Antonelli

Piazze e saloni

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Un salone dell’auto a Torino che non è più la città dell’auto e  dopo tutte le recenti vicende anche giudiziarie  della famiglia  Agnelli – Elkann? Una famiglia che non ha più il diritto morale di vivere a Torino.  Un  salone con poco senso purtroppo. Sembra  infatti che sarà  un salone di auto prevalentemente cinesi. L’auto italiana quasi non c’è più. Neppure il Presidente della Repubblica viaggia più su una macchina italiana. Cosa voglia dire un salone a Torino oggi non so dirlo. Torino ha il museo dell’auto. Chi lo ideò, vide lontano. Circa le piazze non ho idee precise. Certo Cioccolatò o altre feste campagnole in piazza San Carlo erano peggiori del Salone dell‘Auto nella città in cui la Fiat si è suicidata. Questa è diventata una città di camerieri, era una città di operai che producevano, malgrado i sindacati abbiamo fatto di tutto per assecondare il suicidio della Fiat.

Pier Franco Quaglieni

Manifestare non è danneggiare

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Che si manifesti per Gaza è legittimo. Ma – e qui sta il punto – la libertà di manifestare non è licenza di sequestrare un Paese. Occupare i binari di Porta Susa, o peggio minacciare di bloccare l’aeroporto di Caselle, non è un atto politico: è un sopruso. Non colpisce i governi né i generali, ma i pendolari, i lavoratori, le famiglie che viaggiano. Il coraggio non sta nel paralizzare un treno o un volo, ma nel saper gridare le proprie ragioni senza trasformare la protesta in un ricatto. Per questo sarebbe sbagliato bloccare l’aeroporto come è stato annunciato. Manifestate, sì. Ma lasciate che il Paese cammini. Anche verso Gaza.

Iago Antonelli

Furti e aggressioni: non è percezione, è realtà

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L’ultimo episodio è di poche ore fa: un giovane che strappa il portafogli a un anziano, a Madonna di Campagna. La cronaca lo racconta quasi come una riga di routine. Perché ormai, la cronaca nera è diventata abitudine: furti con strappo, borseggi, aggressioni. Non è “percezione”, come qualche sociologo da salotto continua a ripetere: è realtà.

Eppure, a reggere la diga contro questa marea ci sono sempre loro, le forze di polizia. Gli stessi uomini e donne che, quando c’è da prendere le “legnate” in piazza, si beccano le accuse dei professionisti dell’indignazione. Ma sono  quelli che, di giorno e notte, fermano lo scippatore, inseguono il rapinatore, proteggono il pensionato che torna a casa.

Le istituzioni dovrebbero ricordarselo, perchè la sicurezza non è un optional, è il primo dovere dello Stato. Sostenere la polizia, dare mezzi e rispetto a chi rischia ogni giorno la pelle, non è un favore MA un investimento nella nostra libertà quotidiana.

Perché senza di loro, di fronte a certi delinquenti, non resterebbe che la rassegnazione. E quella, in una città come Torino, sarebbe il furto peggiore.

Iago Antonelli

Torino, il decoro che non c’è

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C’è chi si entusiasma per i grandi eventi, i saloni dell’auto, le passerelle del turismo. E poi c’è la Torino reale, quella che si incontra appena si abbassa lo sguardo: scritte a bomboletta sui muri, portici storici scrostati, marciapiedi che raccontano più incuria che eleganza. Sorvoliamo – per pudore o rassegnazione – sui furti, sulle aggressioni, sulle cronache di microcriminalità che ormai non fanno più notizia.

La foto di un uomo che si denuda in pieno giorno in zona San Secondo – segnalataci dal Consigliere della Circoscrizione 1 Antonio Di Nardo – è solo l’ultima, eloquente, istantanea di un degrado che non nasce in una notte. Non è un fatto di colore, ma il sintomo di un clima. Perché la sporcizia, il lassismo e la scarsa cura del decoro urbano sono sempre l’anticamera di problemi sociali più gravi. Si comincia con un portico lasciato scrostare, con una scritta mai cancellata, con un lampione spento per mesi. Si finisce per abituarsi a tutto.

La città che un tempo dava lezioni di industria e civiltà rischia oggi di dare lezioni di indifferenza. E il peggio, si sa, non arriva mai all’improvviso: si prepara ogni giorno, un graffito alla volta.

Iago Antonelli

Pacifisti e pacifinti

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Pacifisti? A Torino e Napoli bruciano l’effigie di Meloni, a Milano lasciano sessanta poliziotti feriti. Se questa è la pace, figurarsi la guerra.
Le frange estremiste si infilano dietro le bandiere pro-Palestina e trasformano ogni corteo legittimo in una palestra d’odio.
Il risultato: un messaggio che poteva avere un senso politico sepolto sotto fumogeni e spranghe.
La pace non si conquista a bastonate, ma provate a spiegarlo ai nuovi “nonviolenti”: vi rispondono con un sanpietrino.

Iago Antonelli

Diritto alla casa sì, diritto all’abuso no

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Leggo su Torino Cronaca  dell’ennesima storia di case popolari finite sotto assedio, non da parte di chi ha un diritto riconosciuto e documentato, ma di chi decide che il diritto è una scorciatoia da prendersi con le chiavi false dell’occupazione abusiva. Case poi “liberate” grazie alla polizia municipale ma con un lascito di – parrebbe – un milione di danni. La chiamano “emergenza abitativa” – e nessuno nega che l’emergenza ci sia, eccome: le liste d’attesa parlano chiaro, le famiglie che aspettano pure. Ma c’è una differenza sostanziale tra il bisogno e la prepotenza.

Il problema è che, a Torino e in Italia, la pietà si confonde troppo spesso con la resa. Non si tratta di criminalizzare la miseria, ma di ricordare che una casa popolare non è un regalo di Natale: è un bene pubblico, che va a chi rispetta le regole e ne ha diritto. Se cominciamo a giustificare l’occupazione abusiva in nome del “poverino”, domani sarà legittimo pure saltare la fila al pronto soccorso perché “l’urgenza è vera”.

Il risultato? Chi aspetta onestamente rimane fregato due volte: la prima perché resta senza tetto, la seconda perché vede premiato chi scavalca la legge. È il solito teatrino: l’emergenza diventa alibi, l’abuso diventa prassi e alla fine ci si domanda come mai il rispetto delle regole sia ridotto a un optional.

Ecco allora la triste ironia: le istituzioni predicano legalità e giustizia sociale, ma quando la porta viene forzata, preferiscono chiudere un occhio, a volte entrambi, come se fosse più semplice e persino giusto proteggere l’abusivo “bisognoso” che difendere il cittadino onesto. Ma così l’emergenza non si risolve: si istituzionalizza l’arbitrio.

Iago Antonelli

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