ECONOMIA- Pagina 343

Ponte o tunnel? Ecco i rischi

Un ponte od un tunnel che collegasse la Calabria alla Sicilia, specie nel geologicamente famoso “Messina Strait” ovvero nello Stretto che separa l’Italia peninsulare dall’isola siciliana, unirebbe due zone appartenenti a due differenti macro-aree geologiche, connettendo in modo rigido i lembi di una delle aree sismologicamente più attive del Mediterraneo: vista la complessità, alcuni scienziati lo chiamano puzzle tettonico.

Nonostante sia la struttura che la configurazione sismologica dell’area non siano completamente comprese in tutta la loro dinamica ed in tutta la loro possibile evoluzione, mancando ancora sistemi di equazioni differenziali in grado di predirne l’intensità ed il verso in merito ai prevedibili futuri macro-spostamenti, a causa del numero delle variabili in gioco, è comunque possibile farsi un’idea dei rischi del collegare Reggio Calabria a Messina. Guardando il risultato dei rilevamenti degli scorsi decenni, riassunto nella immagine qui allegata, si evidenza in modo palese una serie di importanti faglie sismologiche, fra le quali quella propriamente detta dello Stretto di Messina , quella di Capo Peloro e quella di Scilla. La complessa rete tettonica in quella zona appare controllata da configurazioni indipendenti e sovrapposte, con zone di sub-duzione della placca su cui si trova la Calabria con moto relativo difforme dai movimenti propri della parte occidentale della Sicilia. La tendenza dinamica delle due placche, quella africana e quella europea, su cui rispettivamente si trovano Sicilia e Calabria, è tale da determinare uno scorrimento relativo molto irregolare sulla direttiva sud-ovest / nord-est: un eventuale collegamento viario, ferroviario e/o una galleria sarebbero esattamente a cavallo dell’interfaccia fra tali placche continentali. Dissipatori energetici e vari altri possibili accorgimenti strutturali per rendere il comportamento di tale eventuale costruzione il più possibile spostato nel cosiddetto campo plastico, ovvero soluzioni strutturali atte ad assorbire almeno parzialmente l’energia di tali micro-movimenti tellurici, sarebbero del tutto inutili vista la situazione geosismica. Prevedibili macro-spostamenti dovuti a subduzione tettonica, nei prossimi anni, in qualunque momento, potrebbero generano regimi tensionali compressivi potenzialmente catastrofici, con faglie inverse capaci di generare violenti terremoti come quello già visto all’inizio del Novecento. In parole più semplici, il voler creare un sistema di trasporti pubblici con strutture poste sopra, ad esempio un ponte di una o più campate, o sotto la superficie del mare, ovvero un tunnel, per collegare Calabria a Sicilia, sarebbe come voler tenere chiusa, durante una giornata di vento, una giacca a vento utilizzando una cucitura di un solo filo di cotone posta a cavallo della “zip” frontale i cui lembi accostati siano già parzialmente aperti ed esposti all’aria. I circa centomila morti del terremoto di Messina del 1908 tragicamente ci ricordano gli effetti catastrofici del costruire strutture in zone a tale altissima probabilità di rischio sismico: dopo il COVID-19 ed il ponte di Genova, ci mancherebbe soltanto un’altro evento di tale gravità, il cui potenziale numero di vittime ed il cui ammontare di danni sarebbero assolutamente inaccettabili rispetto agli eventuali benefici di un tale oneroso
collegamento: sarebbe soltanto un’altra tragedia ampiamente prevedibile da tutto il mondo scientifico.

Carlo Viberti

Immobili, mercato in calo

Abitare Co.: nel I trim. 2020 frena il mercato immobiliare in Piemonte, con un calo delle compravendite del -11,7%. Torino prima per compravendite, a Verbania la maggiore flessione (-24,6%)

Nel I trimestre 2020 il mercato immobiliare residenziale piemontese segna una battuta d’arresto, soprattutto a causa del lockdown. Secondo l’elaborazione del Centro Studi di Abitare Co. Abitare Co.società di intermediazione immobiliare focalizzata sulle nuove residenze–, sui dati forniti dall’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate, le compravendite di abitazioni nella regione sono calate rispetto allo stesso trimestre del 2019 del -11,7% (la media nazionale è del -15,5%), con 10.642 transazioni. Il Piemonte si posiziona tra le regioni al 4° posto in Italia per numerosità e al 18° posto per calo percentuale più marcato.

A livello territoriale, nel I trim. 2020 si registra una flessione delle compravendite in tutte le province, con i valori più marcati a Verbania (-24,6% sul I trim. 2019). Seguono Novara (-16,7%), Asti(-14,9%), Vercelli (-14,4%), Torino (-11,6%), Biella (-11,2%), Alessandria (-9,7%), e Cuneo (-4,1%).

Le province che hanno registrato il maggior numero di compravendite sono state, nell’ordine, Torino (6.041), Cuneo(1.390), Alessandria (893), Novara (800), Asti (448), Verbania(379), Biella (352) e Vercelli (339).

E sul fronte dei prezzi? Tra le città capoluogo di provincia, Verbania è la più cara, con prezzi che si attestano a 2.050 al mq,seguita da Cuneo con €1.800, Torino con €1.650, Novara con €1.150, Asti con €1.100, Vercelli con €920, Alessandria con €880 e Biella con €720.

Comprare oro a 2000 dollari?

In questi giorni dal deposito di Paperon de’ Paperoni le urla di gioia soffocano il rumore del caotico traffico di Paperopoli: sono quelle del papero più ricco del mondo che, tuffandosi nelle sue monete d’’oro, vede il loro valore crescere di un fantastiliardo al giorno…

, perché il metallo giallo, che lo zio di tutti i paperi tesaurizza,cresce apparentemente senza limiti ed ha sfondato il “muro” che sembrava invalicabile di 2.000 dollari l’oncia (una misura inglese che vale 28,35 grammi).

Uscendo dai fumetti e tuffandoci nella realtà, conviene fare alcune riflessioni sul fenomeno.

ALTI E BASSI: NON SEMPRE UN AFFARE

Tesaurizzare l’oro è una forma d’investimento che risale alla notte dei tempi; perché mettere da parte il metallo giallo ha affascinato milioni d’investitori.

E chi accumula sterline auree, marenghi o krugerrand, oggi si frega le mani guardando con commiserazione chi preferisce comprare un appartamento o sottoscrivere BTP…

Ma vale veramente la pena tesaurizzare l’’oro o non è meglio usarlo come ogni altra forma d’investimento, cercando di sfruttare periodi positivi, ma vendendolo, invece, quando l’onda del rialzo rischia di creare una bolla speculativa?

Per rispondere è bene guadare fatti e cifre.

Dall’inizio del millennio ad oggi il prezzo è salito da 270 a 2.050, un rialzo impressionante del 650%; ma dal 1995 al 2001 il prezzo è sceso da 400 a 270 (con una flessione del 32%). E nel più lungo periodo, notiamo che nel 1981 la quotazione era (guarda caso…) 400 dollari, quindi nei 14 anni dal 1981 al 1995 il rendimento è stato nullo!

Diverso il discorso per uno speculatore attento e capace: nel 1860, ad esempio, durante la guerra civile americana, la quotazione dell’oro passò da 22 a 60 dollari l’oncia, triplicando il valore in pochissimo tempo. Ma, appena sopraggiunta la pace, la quotazione tornò sui precedenti livelli

Alla fine della seconda guerra mondiale (dopo ottanta anni) il prezzo era arrivato a 35 dollari l’oncia (guadagno del 50%, niente rispetto ad investimenti alternativi in un periodo così lungo!) e restò immutato fino alla fine della convertibilità in oro del dollaro, quando il prezzo balzò, in quattro anni, fino ad oltre 150 dollari.

Un altro grande boom si verificò negli anni Ottanta, con un prezzo cresciuto fino a 850 dollari l’oncia, livello rimasto, però, isolato fino al 2007…

Sì, l’oro trasmette valore attraverso i secoli ed i millenni, ma non è un affare nel lungo periodo, anzi. Dal 1700 ad oggi il metallo giallo si è incrementato, in termini reali, dell’1,5% anno.

Insomma, non è tutto oro quel che luccica; nemmeno l’‘oro…

E guadagna chi non tesaurizza ma specula, comprando e vendendo (sperando di azzeccare i momenti giusti!).

 

COME COMPRARE ORO: LE MONETE

Per investire in oro il sistema classico è quello di comprare monete auree, che possono essere vendute anche per piccole quantità, in caso di necessità.

Il vantaggio delle monete è che possono essere custodite in una cassetta di sicurezza in banca, in forma totalmente anonima, consentono di accumulare un grande valore in poco spazio, sono un bene “incorruttibile” e facilmente trasferibile tra privati, sfuggendo alla tassazione su redditi e plusvalenze.

È importante non confondere le monete in metallo prezioso con le monete commemorative o numismatiche, il cui valore dipende dal disegno e dalla finitura più che dal contenuto in oro, e che non convengono come investimento (quando andate a venderle, scoprirete che non valgono nulla in più dell’‘oro contenuto…).

Le monete più trattate sul mercato sono le sterline inglesi (“vecchie” e “nuove”), i marenghi di vario conio (francese, italiano, belga), i krugerrand sudafricani, i dollari USA (aquila o indiano), i cileni, i pesos messicani. Per l’‘acquisto ci si può rivolgere a negozi specializzati, stando attenti a richiedere un certificato di garanzia per eventuali necessità di rivendita.

I prezzi delle varie monete sono pubblicati dai principali quotidiani finanziari.

UN’’ALTERNATIVA: TITOLI MINERARI

In un mondo in cui il “bene fisico” sembra sparire, ci sono le alternative all’acquisto dell’oro: si tratta delle azioni delle società minerarie che estraggono il metallo giallo oppure i fondi comuni che investono esclusivamente in oro.

La prima alternativa è basata sulla considerazione che il rialzo del prezzo dell’’oro porta maggiori utili per chi lo estrae (perché i costi sono fissi, ma i ricavi aumentano). La maggior parte delle società è quotata in Sudafrica, ma ce ne sono quotate anche nelle Borse di Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti ed Australia. La scelta naturalmente va fatta con molta attenzione, avvalendosi del consiglio di esperti in grado di selezionare i titoli migliori. E’ un investimento tipico per speculatori e per chi conosce abbastanza bene le regole della Borsa e dell’acquisto di titoli all’estero.

Sarebbe fuorviante equiparare l’investimento in azioni ordinarie di un’azienda mineraria specializzata in estrazione aurifera con un investimento diretto in oro, poiché vi sono differenze significative. Il potenziale di rivalutazione di un’azione di un’azienda mineraria dipende dalle aspettative per quanto riguarda il prezzo futuro dell’oro, il costo dell’estrazione, la probabilità di ulteriori scoperte d’‘oro e vari altri fattori. Il successo dell’investimento dipende quindi, in una certa misura, dai profitti futuri e dal potenziale di crescita dell’azienda e non solo dal prezzo del metallo.

MA CI SONO ANCHE GLI ETF

La seconda alternativa apparentemente è migliore, perché si tratta di acquistare quote di un ETF che investe in oro. Come noto, gli ETF sono fondi comuni quotati in borsa, facilmente comprabili e vendibili con costi irrisori, che riflettono passivamente l’andamento della Borsa o del bene cui sono indicizzati.

Nessun problema di cassetta di sicurezza, ricerca dell’eventuale compratore in caso di necessità di ricuperare i soldi, nessun problema di incappare in truffatori che ti rifilano patacche con l’immagine della regina Elisabetta…

Ma attenzione!

Non tutti i fondi investono effettivamente in oro (acquistandolingotti ed immagazzinandoli). Si sono, purtroppo, diffusi anche ETF “finti” che non comprano l’oro, ma certificati rappresentativi dell’oro o addirittura speculano attraverso futures o contratti derivati. In certi casi si è verificato che alcuni fondi non hanno beneficiato dell’’enorme rialzo del prezzo del metallo giallo, perché i costi di continuo rinnovo dei contratti di futures erodeva in misura rilevante gli utili teorici conseguiti.

Attenzione, quindi, a scegliere un fondo “vero” che detenga sul serio l’‘oro e che quindi ne segua perfettamente l’andamento.

 

I VANTAGGI DELL’INVESTIMENTO IN ORO

Aggancio dell’investimento al dollaro

Mercato mondiale

Possibilità di forti guadagni nel breve periodo

Massima riservatezza

Nessuna tassazione (neanche di successione, se conservato in casa

GLI SVANTAGGI DELL’INVESTIMENTO IN ORO

Nessun reddito

Alto costo di commissioni

Rischio di acquistare pezzi falsi

Possibilità di forti perdite

Gianluigi De Marchi

Un nuovo 8 settembre?

IL COMMENTO di Pier Franco Quaglieni/ Tra poco più di una settimana, anche a Torino e in Piemonte,  si dovrebbero riprendere tutte le attività produttive e la vita normale dopo le vacanze

Forse mai come quest’anno la ripresa sarà difficile e dolorosa. Quanti riapriranno dopo le ferie ? E‘ l’interrogativo da porsi con amaro realismo. Draghi ci ha parlato del futuro dei giovani a cui bisogna guardare,  ma esiste la priorità di chi oggi ha un’attività e rischia di doverla chiudere e di chi può perdere il posto di lavoro. Questa è la vera emergenza e gli errori e le gravi omissioni del governo rischiano di portarci al tracollo. Le vacanze si stanno per concludere con scarsi affari nel campo del turismo e un aumento del contagio del Coronavirus.

Le discoteche sono state chiuse, ma è in forse la riapertura delle scuole il 14 settembre. Il governo appare più che mai in affanno con un presidente del Consiglio in vacanza, un ministro degli interni incapace di affrontare gli sbarchi e un ministro della Salute che non sa più che pesci pigliare. Tutti abbiamo invocato la riapertura, ma forse aveva ragione chi voleva la gradualità. Oggi il contagio con gli sbarchi e con la mancanza di distanziamento e di mascherine e’ arrivato a toccare anche regioni che erano quasi rimaste indenni. I veri e propri irresponsabili che sono andati in vacanza all’estero tornano infettati e non c’è un servizio idoneo di controllo negli aeroporti che ci preservi come non ci fu in febbraio.

Il governo, come se niente fosse, continua a destinare irresponsabilmente migranti alle regioni del Nord senza comprendere il pericolo di disastri che ciò’ può comportare. Ad aggravare oggettivamente la situazione è la sempre minore autorevolezza politica del governo anche in rapporto ad elezioni regionali del 20 e 21 settembre, una data sbagliata anche perché comporta una chiusura delle scuole dopo pochi giorni dalla riapertura . A quell’esito elettorale e’ appeso il destino del Conte bis .

A proposito di scuole, il governo e la ministra preposta sta rivelando tutta la inadeguatezza e l’improvvisazione possibili. I banchi ,con o senza rotelle, non arriveranno in tempo e il tentativo di scaricare tutto su provveditori e presidi e’ fallito. Sia chiaro, va detto con chiarezza che chiunque fosse al posto della Azzolina o di Speranza si troverebbe in difficoltà,  ma il governo appare davvero in grosso affanno con un’alleanza giallo – rossa che esce usurata dal dibattito di luglio- agosto.

Non vogliamo apparire delle Cassandre , ma il rischio di un nuovo 8 settembre sotto il peso della pandemia e della crisi economica e’ purtroppo ipotizzabile.  L’ insofferenza e il disagio sociale sono palpabili e il ritorno dalle ferie (o dalle non ferie) può coincidere con una situazione vicina al collasso. Senza voler creare allarmismo bisogna dire che bisognerà fidarsi del buon senso degli Italiani e delle loro imprevedibili risorse.

Da storico ritengo che la crisi economica in cui stiamo precipitando, sia paragonabile a quella determinata dalla II Guerra Mondiale, forse persino più grave.  La politica che ha ancora una certa idea dell’Italia, come diceva Spadolini , dovrebbe avere, al di là degli schieramenti che dividono, uno scatto di orgoglio e di unità nazionale. Senza questa assunzione di responsabilità rischiamo un collasso da cui sarà difficilissimo riprendersi. E non ho voluto considerare la variabile (non indipendente) dell’Europa e degli aiuti europei. Dopo mesi di chiacchiere stiamo ancora discutendo se chiedere o non chiedere il Mes …

Romiti, un quarto di secolo alla Fiat

Cesare Romiti è morto a 97 anni. Tranne l’ultimo è sempre stato in pista con la sua presidenza della associazione Italia Cina. 70 anni di onorata carriera tra e nelle stanze del potere economico e finanziario italiano e non solo. Ma è passato alla storia per i suoi 24 anni alla Fiat e con la famiglia Agnelli. Era orgoglioso nel precisare che con l’Avvocato si davano del lei.

Una vita intensa e diremmo anche  contro corrente. Diceva d’ essere un uomo contro il potere politico ed al tempo stesso lui uomo di potere. Romano de Roma venuto a Torino per mettere in riga i torinesi. La prima sua vittima fu Carlo De Benedetti. Scontro di personalità e scontro (anche) di potere. Del resto si è sempre detto che gli Agnelli regnano e lui governava. Tradotto faceva il lavoro “sporco”. Da Luca di Montezemolo ai Sindacati è stato durissimo . Cacciato il primo perché  si diceva che vendesse gli incontri con l’Avvocato e salvato dallo stesso. Gli operai erano in esubero e dopo i 35 giorni ci pensò lo Stato con la cassa integrazione. Ebbe il coraggio della rottura ma ebbe sempre bisogno della mediazione di quella politica che non amava tanto. Anche lui con i suoi begli appoggi come Cuccia che lo preferì ad Umberto Agnelli. Probabilmente l’unico grande manager pubblico che passerà all’ industria privata. In una intervista di 4 anni fa sostenne di essere stato scelto direttamente dall’ Avvocato.Viceversa molti sostenevano che il suo vero sponsor era Cuccia e che Gianni Agnelli facesse sempre quello che Cuccia desiderava. Molti lo sconsigliano di
accettare perché con gli Agnelli e Torino entrava in un mondo fondamentalmente chiuso. Era una sfida che non poteva non accettare. Carlo De Benedetti durò solo tre mesi ai vertici Fiat. Per allora fu cacciato (con faraonica buona uscita) perché, si diceva , voleva fare le scarpe agli Agnelli. L’ ingegnere dopo diede la sua versione dei fatti. Sosteneva che in Fiat bisognava licenziare subito e lo disse immediatamente a Gianni Agnelli che gli rispose: domani vado a Roma e le saprò dire. Al suo ritorno fu categorico: non si può fare. Del resto dalla prima guerra
mondiale la Fiat ha sempre avuto stretto rapporto con lo Stato. Dal fondatore Giovanni Agnelli a Vittorio Valletta una sana tradizione. Dopo la seconda guerra mondiale continuò barattando condizioni di favore per la Fiat che appena poteva assumeva. Notorio che pur controvoglia Vittorio Valletta si faceva periodicamente un viaggetto a Roma in visita ai suoi amici funzionari
del ministero dell Industria. Gianni Agnelli da Presidente di Confindustria fu grande mediatore e protagonista dell’accordo con Lama sulla scala mobile. Toccherà a Cesare Romiti nell’80 quello
che voleva fare Carlo De Benetti anni prima. Appunto il lavoro “sporco” di licenziare. Cominciava il tramonto industriale di Torino. Sia ben chiaro, non è stata colpa sua. Ma qualche responsabilità sì.Quasi cento anni da protagonista, indubbiamente. Protagonista ed interprete di questo secolo. Passerà anche alla storia per essere passato da manager ad industriale nel periodo post
industriale, dove si è preferito produrre dove costava meno e consumare dove si produceva una volta. Si rammaricava molto che la Fiat non è più italiana. E non era compito suo proporre e realizzare politiche industriali. Talmente indispettito con i politici attuali che ha votato la Raggi a Sindaco di Roma. Aggiungendo che non lo avrebbe più fatto visto la inconsistenza pentastellata. Pragmatico in tutto. Lui che ha avuto i suoi guai con tangentopoli. In cassazione assolto. Non l’ unico del resto. La corruzione era assimilabile alla concussione e  si diceva che aveva pagato la sua scelta di collaborare con la magistratura milanese producendo l’invidia di quella torinese. Un pragmatico che come tale non pensava all’ insieme visto che doveva solo assolvere al compito che gli era stato assegnato.

Patrizio Tosetto

Uncem: “Banda ultralarga, Piemonte fanalino di coda”

Il Piano banda ultralarga vedrà il Piemonte fanalino di coda.

 

Secondo quanto comunicato alla Regione, Anci e Uncem, da Infratel e Open Fiber, i lavori negli oltre 1.100 Comuni si completeranno solo nel 2023. Due anni di ritardo rispetto alla tabella di marcia annunciata nel 2017. Un quadro che preoccupa fortemente le Associazioni degli Enti locali, tra le prime a credere nel Piano ma anche le prime a denunciare errori, tempi troppo lunghi, complicazioni per gli Enti locali, eccessivi ritardi e mancanza di efficacia nel raggiungere le valli. Per ogni Comune sono previsti due progetti e due cantieri, uno per la fibra e un secondo per l’FWA, i sistemi wireless. E mentre operatori privati come Tim ed Eolo stanno intervenendo autonomamente, con loro risorse, al di fuori del Piano nazionale BUL, Anci e Uncem non accettano, con tutti i Sindaci, di rimanere con il cerino in mano.

I Sindaci sono molto arrabbiati per i ritardi del Piano BUL – spiega Lido Riba, Presidente Uncem Piemonte – La Regione nella recente Cabina di Regia di luglio ha chiesto chiarimenti e tempi certi. Lo abbiamo scritto anche nell’importante dossier ‘La Montagna in rete’. Serve un’azione più incisiva che le Associazioni locali sono pronte a supportare. I Sindaci sono pronti anche a scendere in piazza se il Piano banda ultralarga non viene sbloccato e accelerato. Per ora è dormiente. Ed è gravissimo”.

“Il lavoro che stiamo facendo per costruire con i Comuni soluzioni per ridurre il digital divide, è complesso ma necessario – evidenzia il Vicepresidente Anci con delega all’innovazione, Michele Pianetta – Occorre agire sulle competenze, e lo stiamo facendo con Anfov, Asstel, le associazioni delle imprese, le Telco stesse. Dobbiamo intervenire per ridurre il digital divide e sbloccare con urgenza il Piano BUL. Poi vogliamo premiare i Comuni, le Unioni, tutti gli Enti che stanno facendo di più e meglio sul fronte dei servizi. E per questo, il Premio Piemonte Innovazione è strumento di crescita e di condivisione. Permette anche emulazione oltre a una conoscenza di quanto sta avvenendo nella nostra regione. Non certo poco, ma grazie alla spinta di Sindaci, dirigenti, Amministratori illuminati. Che sosteniamo con tutte le nostre forze”.

“Rispetto alle infrastrutture digitali, occorre unire il Piano BUL con quello che stanno facendo le Telco. Penso all’importante lavoro di Eolo, BBBell ovvero al Piano di TIM per cablare tutta l’Italia. Un lavoro importantissimo quello di TIM. È urgente un percorso più virtuoso rispetto al passato. Cambiamo rotta. Andiamo verso una rete unicaChe integri Piano BUL e 5G. I ritardi sono gravissimi – sottolinea Marco Bussone, Presidente nazionale Uncem – e come abbiamo detto con il Ministro Pisano due settimane fa, la Montagna in rete deve essere tale grazie a un lavoro congiunto di imprese e soggetti pubblici. Su questo stiamo lavorando intensamente”.

Allegato il file con tutti i dati del Piano nazionale Banda ultrlarga per il Piemonte, Comune per Comune

Scarica qui il dossier “La Montagna in rete”

Lavoro e agricoltura: la Regione vuole rivedere il nuovo voucher

Gli assessori regionali al Lavoro e all’Agricoltura hanno scritto ai loro colleghi di tutta Italia per ribadire l’attenzione nei confronti dell’utilizzo delle prestazioni occasionali in agricoltura e della loro efficacia sul sistema agricolo. La richiesta: estendere l’attuale strumento alle imprese con più di 5 addetti.

L’assessore regionale al Lavoro e l’assessore regionale all’Agricoltura del Piemonte hanno scritto ai colleghi di tutte le Regioni italiane per ribadire l’attenzione nei confronti dell’utilizzo delle prestazioni occasionali in agricoltura e della loro efficacia sul sistema agricolo.

Si tratta di un tema molto sentito dal mondo lavorativo e imprenditoriale agricolo, non solo piemontese ma anche nazionale, in questo anno 2020 in cui le aziende hanno incontrato grande difficoltà nel reperimento dei lavoratori stagionali provenienti dall’estero a causa dell’emergenza Covid 19.

In alcuni casi, tali lavoratori provengono da zone che attualmente registrano un aumento dei contagi costringendo gli stessi a periodi di quarantena preliminari prima di iniziare il lavoro, provocando dannose perdite di tempo per le imprese.

L’attivazione di contratti di natura occasionale si ripropone ogni anno ed è legato ai tempi dell’agricoltura.

L’attuale strumento, attivabile attraverso la piattaforma «PrestO» è infatti meno agile rispetto al vecchio voucher agricolo cartaceo, abolito nel 2017 e, secondo i due esponenti della giunta regionale piemontese, rende difficoltoso e farraginoso il reclutamento del personale nel settore agricolo, oltre a limitare la possibilità per molti cittadini in difficoltà economiche di fruire di forme di integrazione al reddito familiare.

Tra gli aspetti che l’assessore regionale al Lavoro e l’assessore regionale all’Agricoltura ritengono debbano essere rivisti c’è, in particolare, il numero di dipendenti a tempo indeterminato che segna il discrimine fra aziende che possono fruire dello strumento e aziende escluse.

Non si comprende la ragione per cui il ricorso alla prestazione occasionale sia limitato alle microimprese con meno di 5 dipendenti. Per i due esponenti di giunta, quindi, non si può escludere a priori una fetta del mondo imprenditoriale dalla platea dei soggetti utilizzatori, ma occorre invece garantire che venga svolta una puntuale attività di controllo sul rispetto della normativa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché sul rispetto dei contratti collettivi applicati.

Da qui la richiesta alle altre Regioni di sostenere questa «battaglia» del Piemonte, per una revisione dell’attuale sistema, sollecitando, con una missiva, il governo in modo da chiedere un intervento efficace e tempestivo.

Vendemmia, sarà un’ottima annata

Il Piemonte si prepara alla vendemmia. Confagricoltura: produzione sana e abbondante, qualità elevata. Dal 22 agosto si raccolgono le uve per l’Alta Langa docg, poi toccherà a moscato, brachetto e dolcetto. Si chiuderà con i nebbioli dell’Alto Piemonte e il Caluso Passito.

Il prossimo mese sarà cruciale per l’esito della vendemmia. “Confagricoltura Piemonte – dichiara il direttore regionale dell’organizzazione Ercole Zuccaro –  con una rete di 40 tecnici sul territorio sta seguendo l’evoluzione dell’annata che per il momento si presenta molto buona, con punte di eccellenza: il quantitativo di uva che sta giungendo a maturazione è nella media, paragonabile  al 2018, ma in aumento del 10% circa sulla campagna 2019, decisamente scarsa dal punto di vista produttivo. La qualità delle uve è buona e le gradazioni dovrebbero essere in aumento rispetto a quelle dello scorso anno”.
 
Le date di vendemmia
“Le prossime quattro settimane – afferma Alessandro Bottallo, esperto vitivinicolo della Confagricoltura di Alba – saranno fondamentali per capire come si presenteranno i grandi rossi del Piemonte. A partire dalla seconda decade di agosto – chiarisce Bottallo – intensificheremo i prelievi di uve nei vigneti perseguire le curve di maturazione e consigliare ai viticoltori il periodo migliore per avviare lo stacco dei grappoli, quando l’equilibrio acidi zuccheri avrà raggiunto il suo punto ottimale. Pur essendo molto cauti nelle previsioni possiamo esprimere una valutazione moderatamente ottimistica. Se l’andamento climatico ci accompagnerà la vendemmia 2020 potrà riservarci grandi soddisfazioni”.
Le prime uve a essere vendemmiate – spiegano i tecnici di Confagricoltura –  saranno pinot nero e chardonnay per la produzione dello spumante a denominazione d’origine controllata e garantita Alta Langa: la raccolta partirà attorno al 22 – 23 di agosto, nei vigneti con le migliori esposizioni. Per fine mese è previsto l’avvio della raccolta delle uve moscato per la produzione di Moscato d’Asti e Asti a denominazione d’origine controllata e garantita.
Nell’Acquese e nell’Astigiano, anche a causa di alcune grandinate, la produzione di uva moscato è data in leggero calo rispetto allo scorso anno, mentre in provincia di Cuneo il raccolto si presenta con un livello soddisfacente.
Subito dopo il moscato sarà la volta delle uve brachetto per la produzione di Acqui docg.
Attorno al 10 settembre, tempo permettendo, dovrebbe iniziare la raccolta delle uve dolcetto: qualora le temperature notturne dovessero però scendere sensibilmente verso la fine del mese di agosato la raccolta potrebbe essere anticipata di qualche giorno, per evitare problemi di cascola. Il vitigno dolcetto, infatti, a maturazione medio precoce, quando la fase di completamento del grappolo avviene molto celermente, accompagnata da importanti escursioni termiche, va soggetto a un fenomeno di caduta degli acini; per questo motivo i viticoltori potrebbero decidere di anticipare di qualche giorno lo stacco dei grappoli.
Verso metà settembre, o più probabilmente all’inizio della terza decade del mese, è previsto l’avvio della raccolta delle uve cortese per la produzione di Cortese dell’Alto Monferrato doc e di Gavi docg: il vitigno a bacca bianca è tra i più tardivi nella maturazione e i viticoltori, per la produzione di vini fermi, preferiscono non anticipare troppo la raccolta per consentire all’uva di sprigionare tutte le proprie caratteristiche.
Nello stesso periodo è prevista la vendemmia dell’Erbaluce in Canavese: la raccolta, per la produzione di vino spumante metodo classico, verrà probabilmente anticipata di una settimana, mentre le uve destinate al Passito di Caluso docg non verranno staccate prima della metà di ottobre.
Per quanto riguarda le uve per la produzione di vini rossi la vendemmia inizierà attorno al 20 settembre per l’uva barbera, per proseguire con i nebbioli, in Roero, Langa e nell’Alto Piemonte, verso la fine del mese.

L’annata 2020
L’annata – chiarisce Confagricoltura Piemonte – era iniziata con abbondanti piogge in primavera. A seguire il caldo ha fatto partire velocemente il germogliamento delle viti: oggi l’anticipo vegetativo, rispetto all’anno scorso, è di circa una settimana.
Il maltempo primaverile, con un’elevata umidità, ha impegnato non poco gli agricoltori a contenere peronospora e oidio. Oggi le uve si presentano in buone-ottime condizioni sanitarie e le produzioni di alcune varietà, che potrebbero rivelarsi abbondanti, unite alla riduzione dei volumi commercializzati a causa del mercato non favorevole per la pandemia, stanno orientando più di un consorzio di tutela (organismi espressione di produttori, vinificatori e imbottigliatori) a valutare l’opportunità di attivare la “riserva vendemmiale”. Si tratta, spiegano i tecnici di Confagricoltura, di tenere da parte un certo quantitativo della produzione per renderlo disponibile qualora si aprissero interessanti sbocchi commerciali.
“Una delle preoccupazioni che angustiano i viticoltori in questo periodo, aldilà delle condizioni climatiche, è quello della raccolta, in quanto – dichiara il presidente di Confagricoltura Piemonte Enrico Allasia – a causa del delle misure sanitarie  imposte e della scarsa presenza di lavoratori extracomunitari sul nostro territorio, potrebbero esserci difficoltà a reperire manodopera per la raccolta, soprattutto se le operazioni dovessero concentrarsi in pochi giorni per avversità meteorologiche”.

I NUMERI DEL VINO PIEMONTESE 
 

Elaborazioni Confagricoltura su dati Regione Piemonte

10.862 aziende viticole
41.800 ettari di vigneto
20 vini docg e 41 vini doc
2,4 milioni di ettolitri di vino (produzione stimata annata 2020) per volume complessivo di 320 milioni di bottiglie
54 cantine cooperative con circa 12.000 soci
280 imprese industriali produttrici di vini e distillati con circa 3.300 addetti
14 consorzi di tutela
Export vini piemontesi: circa 195 milioni di bottiglie (60% della produzione) per un valore stimato di 1 miliardo di euro (22% del valore complessivo dell’export agroalimentare piemontese)

Elaborazioni Confagricoltura su dati Regione Piemonte

Innovazione e tradizione. Il CAAT al centro della filiera agroalimentare 

La qualità dei prodotti ortofrutticoli che approdano nelle nostre tavole parte da lontano e risponde alla stessa eccellenza di quel variegato sistema rappresentato dalla filiera che coinvolge molti soggetti, a partire dai produttori, passando attraverso Centri Agroalimentari che costituiscono un anello di congiunzione fondamentale tra produttori e consumatori. Il CAAT, Centro Agroalimentare di Torino, è uno degli esempi italiani di eccellenza.

“Esiste a livello nazionale una rete – spiega il Direttore generale del CAAT, l’avvocato Gianluca Cornelio Meglio – che riunisce i sedici Centri Agroalimentari e Agromercati più grandi d’Italia, tra cui figura anche il CAAT di Torino. Questa rete si chiama Italmercati ed avoca a sé un comparto di eccellenza del Nord Italia, che necessita, oggi, di un sostegno per una ripartenza post Covid, contemplato dal Decreto Agosto del Governo e dagli sforzi da parte del Ministro per le Politiche Agricole Teresa Bellanova”.

“Una delle filiere – prosegue il Direttore generale del CAAT, Gianluca Cornelio Meglio – su cui si deve assolutamente puntare in questa fase temporale post pandemia è quella agroalimentare,  che è risultata in grado di contenere gli effetti negativi della crisi seguita al lockdown ed è ora capace di favorirne uno sviluppo. Il comparto risulta assolutamente variegato, in quanto si compone di molti attori, tra i quali figurano il settore agricolo, l’industria alimentare, il settore della logistica e quello dei trasporti, il commercio dall’ingrosso e quello al dettaglio”.

“Il comparto agroalimentare – aggiunge il Direttore generale del CAAT Cornelio Meglio – è  tra l’altro quello in cui maggiormente, in Italia, si sono conservate e tramandate le tradizioni, attraverso passaggi generazionali, che hanno significato e sono coincisi con la trasmissione di conoscenze pratiche sul campo, nel settore agricolo e della coltivazione, unite ad una comune passione per la terra. Il settore agroalimentare è stato, inoltre, uno dei pochi che, in epoca Covid, non si è mai arrestato e, con lui, ovviamente, i Centri Agroalimentari italiani, tra cui il CAAT, che ha consentito, con la sua operatività, il continuo approvvigionamento di prodotti ortofrutticoli freschi, capaci di raggiungere le nostre tavole, anche durante il periodo del lockdown “.

“Il CAAT – precisa il suo Direttore generale Gianluca Cornelio Meglio – ha fatto poi, da sempre, della sicurezza il punto di forza del suo operato, anche e soprattutto durante il periodo del lockdown, attraverso l’applicazione dei principi previsti dai protocolli dell’emergenza Covid 19, salvaguardando al massimo la salute di tutti quanti quotidianamente hanno fruito degli spazi del Centro Agroalimentare di Torino, e procedendo ad una costante sanificazione dei locali a tutela, anche, del consumatore finale. In tutto questo periodo, peraltro, non sono mai state interrotte le attività di rilevamento prezzi all’interno del Centro; attività che hanno contribuito a connotare il Centro quale “termometro” dell’economia locale, e non solo, all’interno del settore agroalimentare”.

“Proprio alla luce delle migliorate condizioni sono riprese – aggiunge l’avvocato Gianluca Cornelio Meglio – talune visite che concorrono ad aprire le “porte” del Centro Agroalimentare, con l’intento di mostrare – a quanti non conoscano questa realtà – l’attività che ogni notte dalle 3.30 a.m., attraverso il lavoro di quasi duemila persone – anima questa piccola “Città” alle porte di Torino.

La conoscenza di un anello fondamentale di questa filiera, quale è il CAAT, certamente non potrà che aumentare la consapevolezza dei consumatori durante l’acquisto di prodotti ortofrutticoli”.

Mara Martellotta

Un postamat nel piccolo comune di 54 abitanti

La presenza di Poste Italiane si estende ai piccoli Comuni senza Ufficio Postale

Poste Italiane ha installato un nuovo sportello automatico ATM Postamat nel Comune di Massello, nella provincia di Torino, presso il quale risiedono circa 54 abitanti.
Le installazioni sono parte di un più ampio progetto che ha l’obiettivo di estendere la presenza capillare di Poste Italiane nei territori non direttamente serviti da un Ufficio Postale per meglio soddisfare le esigenze delle comunità locali come promesso nei “dieci impegni” per i piccoli Comuni presentati dall’Amministratore Delegato, Matteo Del Fante, in occasione dell’incontro con i “Sindaci d’Italia” dello scorso 28 ottobre a Roma. L’effettiva realizzazione di tali impegni è consultabile sul nuovo portale web all’indirizzo www.posteitaliane.it/piccoli-comuni.

Disponibili sette giorni su sette ed in funzione 24 ore su 24, gli ATM Postamat consentono di effettuare operazioni di prelievo di denaro contante, interrogazioni su saldo e lista dei movimenti, ricariche telefoniche e di carte Postepay, accanto al pagamento delle principali utenze e dei bollettini di conto corrente postale.
I nuovi Postamat di ultima generazione possono essere utilizzati dai correntisti BancoPosta titolari di carta Postamat-Maestro e dai titolari di carte di credito dei maggiori circuiti internazionali, oltre che dai possessori di carte Postepay. Gli sportelli sono anche dotati di monitor digitale ad elevata luminosità e di dispositivi di sicurezza innovativi, tra i quali una soluzione anti-skimming capace di prevenire la clonazione di carte di credito e un sistema di macchiatura delle banconote.

L’iniziativa è coerente con i principi ESG sull’ambiente, il sociale e il governo di impresa, rispettati dalle aziende socialmente responsabili, che contribuiscono allo sviluppo sostenibile del Paese.