ECONOMIA- Pagina 315

Negli uffici postali di Torino la nuova carta ricaricabile Postepay Green

/

Anche quest’estate è disponibile presso i 420 uffici postali torinesi la nuova carta di pagamento ricaricabile Postepay Green, realizzata in collaborazione con Visa, dedicata ai ragazzi da 10 a 17 anni e prodotta in materiale biodegradabile (composta per l’82% da acido polilattico di origine biologica) all’insegna della sostenibilità.

La gestione della nuova carta è ottimizzata dall’App Postepay, che consente di soddisfare sia le esigenze dei figli che quelle dei genitori: i giovani possono fare acquisti e pagamenti quotidiani in autonomia, in modalità fisica e digitale, o scambiare piccole somme di denaro con i propri amici; i genitori, invece, possono utilizzare l’App per personalizzare l’uso della carta Green in base alle necessità di spesa del momento.

I Governatori Rotary per i profughi dell’Afghanistan

Caro direttore, i Governatori dei quattordici Distretti Rotary d’Italia hanno inviato una lettera al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi per manifestare la loro piena disponibilità a svolgere unazione di supporto al programma nazionale di accoglienza in favore dei rifugiati afghani, al fine di offrire loro concrete occasioni di inserimento sociale, lavorativo e culturale.

Il Rotary International – come noto – è attivamente impegnato in Afghanistan nel programma per l’eradicazione della poliomielite e per il sostegno attivo alle comunità locali con le proprie professionalità e le proprie risorse.

Alla luce dei noti tragici eventi che stanno sconvolgendo il Paese asiatico e che hanno messo a rischio la libertà e l’incolumità di migliaia di donne, uomini e bambini, i Governatori dei Distretti Rotary d’Italia, in rappresentanza degli oltre 40.000 soci, vogliono essere al fianco del Governo italiano per offrire a chi ha collaborato con le istituzioni e le organizzazioni nazionali e internazionali e per i loro nuclei familiari il sostegno necessario per consentire una vita sociale e lavorativa dignitosa.

Così si esprime in merito Luigi Viana, Governatore del Distretto 2031, portavoce di tutti i Governatori d’Italia: «Nel riconoscere il valore della solidarietà tra i popoli, siamo pronti a dare supporto a programmi di integrazione culturale e lavorativa di chi è minacciato dalla crisi politica e umanitaria dell’Afghanistan per aver collaborato per oltre vent’anni ai processi di integrazione del Paese con la comunità internazionale. La nostra attenzione è rivolta in modo particolare alla popolazione infantile, cui storicamente il Rotary dedica il suo impegno per un mondo libero dalla poliomielite, attraverso il piano di vaccinazione mondiale che ha recentemente ridotto il contagio residuale ai soli Afghanistan e Pakistan. Ogni sforzo che potremo compiere avrà dunque un effetto di carattere civile, culturale e umanitario».

Piemonte: per Confagricoltura le assicurazioni da sole non bastano più

Gelate primaverili, tempo eccessivamente umido e grandinate estive dirompenti stanno costringendo i frutticoltori piemontesi a veri e propri tour de force per controllare lo sviluppo di parassiti e fitopatie.

E’ un’annata difficile – chiarisce Michele Ponso, presidente della federazione nazionale di prodotto frutticola di Confagricolturache ci vede impegnati a tempo pieno per adottare pratiche colturali integrate per limitare al  minimo i trattamenti chimici per la difesa dei frutteti. Il cambiamento climatico in atto impatta pesantemente sulle modalità di coltivazione e le calamità che si susseguono stanno assestando duri colpi alla nostra capacità imprenditoriale. Per questo chiediamo un aiuto alle istituzioni, le quali devono presente che il comparto frutticolo in Piemonte coinvolge oltre 5.800 aziende agricole e una superficie di 13.000 ettari”.

Le gelate dell’ultima primavera, in particolare nel Saluzzese e, seppur in minor misura, negli altri areali frutticoli del Piemonte hanno ridotto drasticamente se non azzerato del tutto la produzione di albicocche, susine, kiwi e pere. Michele Ponso, di Lagnasco (Cuneo), frutticoltore che conduce un’azienda con 130 ettari di frutteti nelle province di Cuneo e Verona, dove vengono prodotti piccoli frutti (mirtilli, lamponi e kiwi berry), pesche, nettarine, susine, kiwi e mele, conosce bene i problemi.

“Le difficoltà sono molte – sottolinea Ponso – a partire dalla carenza di liquidità, indispensabile per sostenere i costi di gestione delle coltivazioni, che quest’anno non daranno frutti, in attesa del raccolto del prossimo anno. Auspichiamo un sostegno degli enti pubblici nelle garanzie da fornire al sistema bancario per prorogare le scadenze delle operazioni di credito, oltre alla definizione puntuale delle provvidenze, che oggi ancora manca, relative allo sgravio contributivo per i lavoratori autonomi e per i dipendenti delle imprese danneggiate”.

Alle difficoltà climatiche e a quelle del Covid – spiega Confagricoltura – si aggiungono i danni dell’infestazione della cimice asiatica, parassita difficile da contenere.

Confagricoltura ribadisce inoltre la necessità di una rivisitazione complessiva del decreto legislativo 102/2004, relativo al cosiddetto Fondo di solidarietà nazionale contro le calamità atmosferiche: oggi gli aiuti sono limitati, non coprono tutto il danno e vengono erogati con molto ritardo. “Servono strumenti più agili – sottolinea Enrico Allasia, presidente di Confagricoltura Piemonte – integrando la dotazione del Fondo che manifesta tutti i suoi limiti nell’offrire una compensazione adeguata rispetto alle perdite del settore primario”.

Confagricoltura chiede inoltre alla Regione e ai parlamentari del territorio di impegnarsi sulla ristrutturazione del sistema assicurativo, che con il cambiamento climatico in atto spinge le compagnie a trascurare questo ramo di rischio per la frequenza dei sinistri. “Dobbiamo garantire un miglior efficacia della difesa passiva, costituita dal sistema assicurativo, e al tempo stesso sperimentare nuove possibilità di intervento nella difesa attiva – conclude Allasia – per limitare danni che diventano sempre più importanti”.

 

Wizz Air annuncia una nuova rotta internazionale da e per Skopje

Wizz Air, la principale compagnia low cost dell’Europa Centro-orientale, annuncia l’espansione del proprio network da Torino con una nuova rotta internazionale da e per Skopje, in Macedonia del Nord.

I voli saranno operati dal 18 dicembre 2021 con due frequenze settimanali (martedì e sabato) e sono in vendita sin da oggi con tariffe a partire da 19,99 euro* sul sito della compagnia aerea www.wizzair.com o sulla mobileapp del vettore.

La programmazione prevede partenza da Skopje alle ore 6:45 e arrivo a Torino alle ore 8:55; la partenza da Torino è invece prevista alle ore 9:25 con arrivo nella capitale della Macedonia del Nord alle ore 11:25.

NUOVO VOLO WIZZ AIR DA TORINO

Rotta     Operatività                         Data di avvio                      Tariffe da

Skopje  Martedì e sabato             18 dicembre 2021            19,99 €*

Aumentano così le novità di Wizz Air da Torino. Nella stagione invernale 2021/2022 saranno infatti 12 le destinazioni del network della compagnia collegate da Torino Airport: oltre alla new entry Skopje, anche Bacau, Bari, Bucarest, Catania, Chisinau, Iasi, Napoli, Palermo, Tirana e le due ski route San Pietroburgo e Varsavia.

Andras Rado, Senior Communications Manager di Wizz Air, ha dichiarato: “Siamo orgogliosi di annunciare questa nuova rotta dall’Italia, per una meta piena di carisma e tutta da scoprire, che intensifica, ancora una volta, gli scambi interculturali tra Paesi, fondamentali per la formazione umana e personale di ognuno di noi. Wizz Air ha molto a cuore il benessere dei suoi clienti, affinché possano godere di un’esperienza di viaggio sicura e senza intoppi, sempre a bordo della nostra moderna flotta”.

Andrea Andorno, Amministratore Delegato di Torino Airport ha commentato: “Siamo soddisfatti dell’avvio del nuovo volo Torino-Skopje annunciato oggi da Wizz Air. La compagnia aerea amplia così il proprio network internazionale aprendo una rotta che non era mai stata operata prima da Torino: questo consente al nostro territorio di essere collegato direttamente per la prima volta con la Macedonia. Wizz Air ha aumentato i propri impegni sul nostro aeroporto in maniera esponenziale negli ultimi due anni, passando da 2 voli dell’estate 2019 ai 12 del prossimo inverno; dopo essere cresciuta in termini di destinazioni e traffico sul network nazionale nel corso della stagione estiva 2021, ora Wizz Air guarda anche al segmento internazionale da Torino, dando perciò un importante segnale sulle prospettive di crescita dello scalo nei prossimi mesi su questo mercato”.

Aeroporto “isolato”: attività in crescita grazie a Ryanair ma Ita concede solo due voli per Roma

La compagnia Ryanair lo scorso giugno ha aperto la sua 16a base italiana a Torino con due aerei basati – un investimento di  200 milioni di dollari- e 32 rotte che collegano il capoluogo piemontese sia a livello nazionale che internazionale, a 13 paesi in Europa, Nord Africa e Medio Oriente.

La nuova base Ryanair di Torino include:

  • Due aerei basati (investimento di $ 200 milioni), 60 posti di lavoro diretti
  • 18 nuove rotte (16 internazionali / due nazionali) nella stagione Winter*
  • 32 rotte in totale (23 internazionali / nove nazionali)*
  • Collegamenti con destinazioni perfette per le vacanze invernali come Lanzarote, Malta, Maiorca e Marrakech, per city break come Copenaghen, Budapest, Londra, Parigi, nonché collegamenti nazionali per Palermo, Napoli e Bari
  • Oltre 123 voli in partenza a settimana

Nonostante questo investimento Caselle rischia di essere penalizzato dalla nuova Alitalia, almeno per quanto riguarda i voli Torino-Roma. Ita, la nuova compagnia di bandiera tricolore non implementa infatti la rotta con la capitale è dal 15 ottobre fino a marzo del prossimo anno i voli per Roma saranno solo due.

Il turismo e la montagna. Storia di un amore cresciuto nel tempo

Di Marco Travaglini

Fino a metà dell’800, le mete turistiche in quota furono quasi essenzialmente elvetiche. Le vette più ambite e ammirate erano quelle della patria di Guglielmo Tell, mentre le “altre Alpi”, dal Delfinato alle Dolomiti, a quel tempo erano pressoché sconosciute.

Era la Svizzera dall’immagine quasi mitica che venne descritta, nel 1781, da William Coxe nelle sue “Lettres sur l’état de la Suisse”. E l’élite europea corse a visitare la nazione delle alte cime, dei ghiacciai e delle cascate, dei laghi e della democrazia, degli alpeggi e delle “persone autentiche” che valeva la pena di conoscere e d’incontrare nei vari cantoni. Ci si trovava davanti ad uno dei segni più evidenti del tramonto dell’egemonia urbana e della ricerca, soprattutto attraverso la villeggiatura, di grandi spazi di libertà, del contatto con la natura “in presa diretta”. La sedentarietà veniva vista con diffidenza, era sinonimo di perdizione, corruzione mentre l’avventura del viaggio, della scoperta di un orizzonte più largo esercitava un fascino irresistibile. Fino alla grande depressione del 1929, il turismo fu in ogni caso un fenomeno per pochi. Erano gli aristocratici a conoscere e praticare l’arte del savoir-vivre e del saper viaggiare. Basta vedere il profilo del turista-tipo del 1800 per rendersene conto. Scorrendo i resoconti dei bollettini delle stazioni turistiche che, nella loro compilazione, riportavano l’elenco delle nazionalità e delle professioni si comprende come il fenomeno turistico era composto per un buon 80% da nobili ereditieri, da un 15% formato da rappresentanti del clero, ufficiali e uomini di legge e, in ultimo, da un restante e modesto 5% di commercianti e banchieri. A metà del XIX secolo fecero la loro comparsa le grandi collane di guide e i “tascabili” conquistarono il mercato. E, guarda caso, sia l’inglese “Murray” sia la tedesca “Baedeker” e la francese “Joanne” esordirono con un volume sulla Svizzera. La montagna “chiamava” i più arditi a praticare l’alpinismo, un fenomeno che appassiona e travolge. Nell’arco di una generazione, dopo la fondazione dell’Alpine Club nel 1857, gran parte delle vette delle Alpi furono conquistate. Due categorie di persone che amavano le “quote alte” s’incontrarono: gli alpinisti, una minoranza, e i villeggianti che, a valle, osservavano, commentando. Col passare degli anni ci si chiese se non potesse essere la montagna, d’estate, a surrogare la funzione del mare d’inverno, quella di “far prendere dell’aria buona”, contemplare i panorami e rimettersi in forma. A metà dell’800 una pattuglia di intraprendenti albergatori delle Alpi, soprattutto in Svizzera ed Austria, ma anche sul versante italiano, riuscì ad attirare una buona clientela promettendole la bellezza del soggiorno in montagna, godendo il sole e l’aria frizzante, senza rinunciare ai comfort. Nascono così le prime stazioni climatiche e, verso la fine del secolo, si sviluppa una nuova usanza: il breve soggiorno in montagna dopo la cura termale.

 

Ma il turismo non poteva essere solo un’affare per i tre mesi estivi e così, nel Natale del 1864, Johannes Badrutt, il proprietario dell’Hotel Kulm di S. Moritz, inventò la villeggiatura invernale. Dunque, in origine, il turismo fu necessariamente d’élite. Il Verbano-Cusio-Ossola non faceva eccezione. Anzi, la collocazione geografica sul crocevia tra l’Europa centrosettentrionale e il bacino mediterraneo ne fece un  punto di passaggio obbligato per quell’aristocrazia nobiliare, intellettuale, borghese che contrassegnò l’epoca dei grandi viaggiatori. Direttrici privilegiate di questo flusso verso l’Italia erano il Lago Maggiore da un lato e il valico del Sempione dall’altro. Uno scrittore di fama, come Charles Dickens nel suo “Pitcures d’Italy”, edito negli anni ’50 del XIX secolo, raccontò il viaggio in carrozza che, nell’arco di una giornata e mezza, lo condusse da Milano a Briga con l’ascesa a tratti avventurosa del Sempione e la discesa in direzione della cittadina valle sana, compiute nottetempo. Gli stessi grandi alberghi affacciati sul Verbano sorsero per soddisfare quella ristretta aristocrazia internazionale che si ritrovava, in vari periodi dell’anno, in diverse località alla moda. Alla gente di montagna non restava che assecondare questa aristocrazia turistica accompagnandola alla conquista di qualche cima, come le guide che portarono Margherita di Savoia in vetta alla Gnifetti dove oggi si trova il rifugio intitolato alla memoria della sovrana, oppure occuparsi dell’alloggio e del vitto di quella clientela. I poveri, quando si mettevano in viaggio, lo facevano per necessità alla ricerca di un lavoro che non riuscivano a trovare in loco. Il vocabolo vacanza, semplicemente, non apparteneva al loro lessico. Né da un saggio efficace, in uno dei periodici “Racconti d’estate” pubblicati dal quotidiano “La Stampa”, Mario Rigoni Stern. Per lui e la sua generazione, bambini e adolescenti negli anni ’30 del ‘900, la vita trascorreva sui banchi tra l’autunno e la primavera e nei campi, coadiuvando gli adulti nei lavori agricoli, in estate. Il servizio militare, persino la partecipazione di Rigoni Stern al secondo conflitto mondiale, consentì allo scrittore di fruire di “licenze” trascorse non nell’ozio ma, ancora una volta, nei campi. Anche il periodo postbellico non mutò sostanzialmente questo tenore di vita spartano. Fino a quando, ormai passati i quarant’anni, per festeggiare il primo contratto firmato con una casa editrice si concesse alcuni giorni in un alpeggio poco sopra casa, sull’altipiano dei Sette Comuni. Ma anche in quel caso Rigoni Stern aiutava l’alpigiano con la mungitura, coadiuvandolo nella confezione del formaggio, cuocendo la polenta. La prima vera vacanza, al mare di Puglia ormai raggiunta una certa notorietà letteraria, nel Racconto d’estate di Rigoni Stern arriva praticamente alle porte della pensione. Ci fu invece chi, come il verbanese Nino Chiovini, partigiano e scrittore, che le vacanze scolastiche ebbe la fortuna di farle, già negli anni ’30, nel paese d’origine della famiglia a  Ungiasca, in valle Intrasca. Ecco l’affresco che, delle estati dell’infanzia e dell’adolescenza, tracciò in “Ungiasca perduta” (pubblicato nel fascicolo n. 9 di Verbanus, edito nel 1988). “Mi piacque – racconta – fin dal principio passare le vacanze estive a Ungiasca. In quanto ad amicizie, problema importante per un ragazzo fuori sede, le circostanze mi consentirono di tenere il piede in due staffe.

 

Al mattino mi accompagnavo con i figli dei milanesi d’origine e d’adozione, coloro i quali si esprimevano solo in italiano, esibivano buone maniere, trasudavano perfetta educazione (….) Ma per tutto il resto del tempo frequentavo i due unici autoctoni che avevano un’età prossima alla mia”. Chiovini, di passaggio, delineava l’evoluzione del turismo comune a gran parte del paese. Il progressivo allargarsi di un costume, la vacanza, a strati sempre più ampi della popolazione. Dai nobili, ai grandi borghesi, ai ceti urbani che in misura sempre maggiore si dedicavano alla villeggiatura. Del resto, al contrario di Rigoni Stern, Chiovini e i suoi amici milanesi vivevano in una realtà cittadina e industriale nella quale i figli non potevano coadiuvare in fabbrica, come i loro coetanei della campagna, i genitori. Almeno fino al termine degli studi. Ma, tornando allo sguardo più ampio, l’innovazione che rivoluzionerà la vacanza in quota è il soggiorno all’insegna degli sport invernali. Anche in questo caso gli “apripista” furono alcuni sudditi della corona britannica: sir Doyle, il dottor Lunn, Fox saranno i pionieri a Davos, Grindelwald, Chamonix. I turisti si appassionarono, sfoggiando sgargianti divise, alla slitta, l’hockey, il pattinaggio e lo sci alpino. L’invenzione era inglese, i materiali e gli istruttori venivano dalla patria dello sci, cioè la Norvegia. Era l’ebbrezza della discesa, del vento in faccia, inframmezzata dalle faticose salite e risalite con le pelli di foca. Il motto per questi turisti era “downhill only”, che sarebbe un po’ come dire “ giù a rotta di collo”. Prima adagio, con circospezione, e poi sempre più in fretta, le stazioni solo estive si convertirono alle discipline degli sport invernali e dello sci. A Megève nacque la prima stazione sciistica “ad hoc”, seguita da Meribel e dal Sestrières. Vennero lanciati stili nuovi nella pratica sciistica, come la curva con gli sci paralleli. In Italia, lo sci mosse i suoi primi passi nel novembre 1896, per merito dell’ingegnere Adolfo Kind, che risiedeva a Torino. Negli stessi anni, in Svizzera, Austria e Francia esistevano già club di sciatori. In Italia il primo sci club fu quello di Formazza nel 1912 mentre tre anni prima, nel 1909, si disputarono a Bardonecchia i primi campionati italiani di sci. Le specialità erano: fondo, salto, combinata fondo-salto, velocità in discesa e gare per pattuglie militari.

 

macugnaga montagnaL’avvenimento non sfuggì ai quotidiani nazionali, che ne diedero ampio risalto.Con la teleferica, dopo gli anni ’20, iniziò l’era degli impianti di risalita meccanica. Lo ski-lift sganciabile fu inventato nel 1935 da Pomagalski. Esplose la moda in un vero e proprio “boom” nelle regioni alpine: lo sci, a tutti i livelli, diventò il tratto di unione tra turismo e montagna.  Tra il Verbano e il Cusio il Mottarone venne preso d’assalto grazie alla sua collocazione geografica che consentirà di ribattezzarlo con il nomignolo di “montagna dei milanesi”. Macugnaga e Formazza diventarono le due perle della discesa e della disciplina nordica del fondo. In generale i centri che abbinavano vacanza e sport si moltiplicarono in ragione dei profondi cambiamenti per gli sciatori che erano sempre più attrezzati a percorrere piste veloci, grazie alle risalite più agevoli. Ci volle ancora un po di tempo per far diventare il turismo invernale un fenomeno di massa anche perché i costi non serano del tutto agevoli. Negli anni cinquanta il costo di una settimana bianca per quattro persone era pari a uno stipendio medio mensile ed erano ancora delle élite a praticare questo tipo di vacanza. Ma l’attrazione fu tale da rendere fragile anche questa barriera. Nacquero a quel tempo le stazioni in alta montagna, si costruirono strade e alloggi, si instaurò una forte competizione anche nei prezzi e nell’offerta ricettiva. E il turismo montano diventò una radicata – e praticata – realtà. Questo processo fu più lento e complicato in una realtà come quella del VCO, all’estremo nord del Piemonte. Per molto tempo il turismo si era sviluppato attorno ai grandi alberghi del lago, alle ville patrizie, a villeggiature più modeste. E anche dopo il secondo conflitto mondiale resistette  per anni un turismo povero, spesso di giornata con l’utilizzo generalizzato di mezzi pubblici. Ad esempio le ferrovie Nord di Milano, il traghetto Laveno-Verbania Intra, la ferrovia Intra-Premeno.Oppure la strada ferrata del Sempione sulla tratta tra Milano e Stresa, il trenino a cremagliera che saliva dalla “perla del lago Maggiore” fino alla vetta del Mottarone. O, ancora, in treno fino a Domodossola da lì con la ferrovia Vigezzina fino alle Centovalli e Locarno in Svizzera.

 

Per non parlare poi delle linee d’autobus per le vallate ossolane con le gite parrocchiali, le colonie estive, le escursioni di sezioni del CAI. Lo sviluppo del turismo residenziale, sulle colline del Vergante piuttosto che nell’entroterra verbanese, a Macugnaga piuttosto che a Santa Maria Maggiore e in tutta la Val Vigezzo sarebbe venuto più tardi. Con un impatto forse eccessivo nelle zone più a ridosso dell’area metropolitana milanese, forzatamente ridotto nelle arcigne valli dell’Ossola. Lo sviluppo dell’edilizia residenziale, la presenza di un sistema di sfruttamento idroelettrico dei fiumi, un’attività per certi versi depauperante come quella delle cave consentirono, pagando gli inevitabili prezzi ambientali che ciò comportava, un certo presidio del territorio. Si pensi, ad esempio, al sistema di rifugi attorno ai bacini artificiali dell’alta Val Formazza o altre realtà simili nelle restanti valli. Dove, invece – il caso più rilevante è quello della Val Grande – al tramonto della vecchia società rurale-alpina, integrata da quell’attività economica per decenni fiorente come il commercio del legname, non s’è sostituita nessun altra forma di presidio del territorio, il disastro è stato completo. Almeno fino alla nascita del parco nazionale che ne ha valorizzato  sotto il profilo turistico-escursionistico il territorio, rilanciando le tradizioni enogastronomica, la riscoperta del patrimonio artistico-architettonico, una rinnovata sensibilità ambientalista che porta un numero crescente di persone a ripercorrere quei sentieri abbandonati dopo la morte, o la collocazione a riposo, dei vecchi alpigiani “cancellati” dalle leggi del mercato. Ma questa è una storia che guarda al futuro, in gran parte ancora da scrivere.


Montagna, dopo gli incentivi i servizi essenziali

“L’iniziativa intrapresa dalla Regione Piemonte per incentivare i giovani, e non solo, a vivere in montagna non può che essere salutata positivamente e va sicuramente incoraggiata e condivisa. Lo stanziamento già individuato e la finalità che persegue l’iniziativa rappresentano un aiuto concreto a privilegiare un territorio, la montagna appunto, da troppo tempo non sufficientemente valorizzato e, di conseguenza, relegato ai margini dei grandi investimenti decisi dalle istituzioni. Nazionali e locali. Forse è giunto il momento, anche e soprattutto dopo la terribile pandemia, di invertire la rotta.

E, sotto questo versante, per evitare che il potenziale trasferimento in montagna si riduca solo ad un fatto burocratico e protocollare – ormai quasi una prassi legata alla richiesta della residenza – deve partire contemporaneamente una politica mirata all’attivazione dei servizi necessari ed essenziali per garantire uno stile di vita adeguato, cioè normale. E quindi, dai trasporti alla mobilità, dai servizi postali a quelli bancari ai servizi commerciali. In una sola parola, alla garanzia della cosiddetta multifunzionalità. Insomma, a quella rete di servizi che sono e restano indispensabili anche e soprattutto nei territori montani per poter condurre una vita all’insegna della normalità e della tranquillità.

Comunque sia, la scelta politica della Regione Piemonte va nella giusta direzione. Ora si tratta di qualificarla e rafforzarla anche sul versante dei servizi essenziali per la vita delle persone”.

Giorgio Merlo, Sindaco Pragelato, Assessore Comunicazione Unione Montana Comuni Olimpici Via Lattea.

Un successo la campagna di influencer marketing “Torino Tales”

Dal 3 giugno al 18 luglio 2021 oltre 6 milioni e mezzo di persone raggiunte e 8 milioni e mezzo le impression totali
 
La campagna di influencer marketing “Torino Tales” – realizzata della Camera di commercio di Torino in collaborazione con Turismo Torino e Provincia, affidata all’agenzia Happy Minds e avviata nel luglio 2020 – ha registrato ottimi risultati grazie al coinvolgimento di prestigiosi content creators italiani e francesi con l’obiettivo di rilanciare turisticamente la destinazione Torino.
Dall’8 al 30 giugno hanno scoperto e raccontato il capoluogo subalpino con l’obiettivo di promuovere modelli di viaggio/vacanza Francesco e Veronica di PositiviTrip, Gabriele Colzi in arte “Gabdetails“, Marion Bertorello e Sebastien ClosuitManuela Vitulli con il blog Pensieri In Viaggio e la famiglia Our Amazing Travels.

Guardando ai risultati: dal 3 giugno al 18 luglio sono stati quindi 6 gli influencer coinvolti18 i post pubblicati e 335 le stories prodotte42.915 i like totali2.897 le condivisioni1.704 i commenti e circa 1.884 i salvataggi dei contenuti da parte delle varie fan base. A seguire sono stati prodotti 3 blog post per 1.957 visualizzazioni. Ma quante singole persone hanno visto un contenuto? Ben 2.322.515. E quante volte un contenuto è stato visto? Oltre 3.313.467.
Sono state inoltre 5.425 le persone che hanno postato con l’hasthag #torinotales, ovvero la linea guida di narrazione e storytelling individuata per parlare delle principali experience della destinazione, e 3.245 i post prodotti; 7.257 invece le persone che hanno postato con l’hastag #lamiatorino e 4.003 i post prodotti. In totale577.094 le interazioni (interazioni intenzionali con i post che contengono gli hastag e keyword in relazione a #torinotales e #lamiatorino su tutte le piattaforme digital rilevate) 6.612.723 le persone raggiunte e 8.546.773 le impressions totali (numero di impressions derivanti da hastag, keywords e mentions su tutte le piattaforme digital rilevate).

Ottimi risultati che documentano quanto i contenuti prodotti siano stati in grado di raccontare tutti gli aspetti di una Torino che riesce ad ammaliare e stupire pubblici eterogeni e target molto diversi tra loro. Anche grazie alla collaborazione con i Maestri del Gusto di Torino e provincia, i produttori Torino DOC e gli hotel a marchio “Yes! Enjoy Torino Top Hospitality” che hanno partecipato attivamente al progetto.

Per la riuscita di questa campagna – sottolinea Marcella Gaspardone, Dirigente di Turismo Torino e Provincia – è stato fondamentale strutturare 4 programmi e tour diversi che presentassero le molteplici attrattive ed eccellenze, anche le meno note; sono stati infatti molti i commenti di apprezzamento per aver saputo coniugare la tradizione di luoghi ed enogastronomia ad esperienze nuove e stimolanti da parte delle varie community e in molti hanno salvato i post e i consigli dati dagli influencer seguiti”.

L’analisi dell’intero arco di azione evidenzia quindi come la scelta di raccontare una Torino fuori dai classici tour e percorsi sia stata premiante sia in relazione a breve periodo (messaggi di persone che hanno chiesto informazioni e approfondimenti in tempo reale perché in loco o in procinto di partire per la destinazione) sia in relazione al medio-lungo periodo con centinaia di salvataggi dei contenuti e dei commenti che manifestano l’intenzione di scegliere Torino come meta per un prossimo viaggio.

” L’organizzazione delle esperienze torinesi presentate dagli influencer è solo una delle attività che la Camera di commercio di Torino ha messo in pista per la ripresa del settore turismo – spiega Dario Gallina, Presidente dell’ente camerale torinese. – Stiamo infatti lanciando varie iniziative di promozione del territorio cittadino e provinciale attraverso l’offerta dei Travel box, che consentono di abbinare al soggiorno numerose esperienze di qualità; abbiamo, poi, appena concluso una partnership con Lonely Planet per la realizzazione di un reportage su come trascorrere 48 ore a Torino. Proseguiremo, infine, anche in autunno, l’intensa attività formativa per le imprese che vogliono mettersi in gioco, con una particolare attenzione alle opportunità offerte dal digitale”.
 
I CONTENT CREATORS OSPITATI

PositiviTrip si sono rivolti ad un pubblico cha ama viaggiare in coppia: Francesco & Veronica, travel bloggers in giro per il mondo, appassionati di video e di fotografia, hanno un blog di viaggi dove raccontano le loro esperienze e un account tiktok con più di 200mila follower e video che raggiungono un 1 milione di visualizzazioni. A loro è stato dato il compito di raccontare “La Torino inattesa del food”, un viaggio alla scoperta di tutti quei luoghi che, per storia o a livello contemporaneo, faranno conoscere alle persone la grande tradizione di Torino legata all’esperienza culinaria.   >  Hanno registrato una reach totale* di 155.017 e 160.458 impression** 
 
Gabriele Colzi si è addentrato alla scoperta della storia e della tradizione, grazie al patrimonio artistico, cuore della città, rivolgendosi principalmente a chi viaggia in autonomia. In arte “Gabdetails” è un giovane igers toscano. Seguito da oltre 73mila followers su IG si definisce “creator compulsivo di guide di viaggio” e ha scelto instagram come veicolo per raccontare i suoi viaggi e condividere i suoi scatti attraverso luce e colori pastello. >  Ha registrato una reach totale * di 668.234 e 680.171 impression ** 

Marion Bertorello (seguita su IG da oltre 122mila follower) e Sebastien Closuit (seguito su IG da oltre 41mila follower) hanno  scoperto le eccellenze storiche e culturali della città con un occhio di riguardo alla cucina vegetariana e con esperienze dal taglio lifestyle. > Hanno registrato una reach totale * di 509.728 e 562.921 impression ** 

Manuela Vitulli, seguita su IG da oltre 130mila persone, è da sempre appassionata di scrittura e viaggi, da qui nasce il suo blog Pensieri In Viaggio, un punto di riferimento per chi cerca ispirazione e idee. Ha vissuto un tour strutturato ad hoc alla scoperta di Torino, rivolgendosi agli amanti dell’arte e del buon cibo, che amano viaggiare e fare esperienze dal taglio lifestyle. > Ha registrato una reach totale * di 252.117 e 268.492 impression ** 

Valeria e Giuseppe di Our Amazing Travel sono stati a Torino con i loro bambini (10 e 11 anni) alla scoperta delle bellezze di arte e paesaggio che caratterizzano la città, attraverso la natura, nei grandi parchi, ma anche grazie alle opere artistiche, molte delle quali sono proprio immerse nelle oasi verdi. Attraverso il loro account Instagram, seguito da più di 24mila persone, raccontano i loro viaggi e la loro quotidianità alla loro community, che li segue in tutte le loro avventure. > Hanno registrato una reach totale * di 188.189 e 206.260 impression ** 
 
*il numero di utenti che hanno visto i contenuti
** il numero di volte che è stato visto un contenuto
 
 
TORINO TALES – I NUMERI PRINCIPALI DEL PROGETTO 2020-2021
Influencer ospitati: Bimbi e Viaggi (1-3/07/2020) – Miprendoemiportovia (2-4/07/2020) – Running Charlotte (8-9/07/2020) – Anastasia Pupkova (19-22/10/2020) – PositiviTrip (8-10/06/2021) – Gabriele Colzi (11-13/06/2021 – Manuela Vitulli (21-23/06/2021) – Marion Bertorello (21-23/06/2021) – Our Amazing Travels (25-27/06/2021)
Nazionalità: Italiana – Tedesca – Francese
Numero giornate: 28
post/stories/video prodotti: 546
reach totale (persone raggiunte): Oltre 8 milioni
Impression totali (numero totale di visualizzazioni): Oltre 12 milioni e 600 mila

Green Pass nei luoghi di lavoro, Confartigianato: “Governo forte con gli imprenditori e debole con i sindacati”

GREEN PASS. GIORGIO FELICI (PRESIDENTE DI CONFARTIGIANATO PIEMONTE):  “SURREALE IL DIBATTITO”

«La vicenda del Green Pass sui luoghi di lavoro e nelle mense aziendali è surreale, ma anche rivelatrice del fatto che i cd. rigoristi, a cominciare dal ministro Speranza, il rigore paiono volerlo applicare solo nei confronti dei piccoli imprenditori. Evidentemente, tutte le misure di contenimento necessarie per un negozio, una bottega ed un ristorante non valgono laddove c’è una rappresentanza sindacale pronta a mobilitarsi contro le “discriminazioni dei lavoratori” e a difesa della “privacy”. Le mense, dicono taluni, non sono equiparabili ai ristoranti: evidentemente il Covid19 è meno infettivo quando circola nelle prime. Ai gestori delle mense, dicono taluni, si chiedono controlli oltre la loro mansione, mentre, si sa, commercianti, artigiani e ristoratori hanno una lunga e consolidata tradizione di controlli delle proprie clientele. Quando abbiamo criticato il Green Pass nella misura in cui costringeva gli esercenti a trasformarsi in “buttafuori”, siamo stati additati come filo no-pass e no-vax. Ora, invece, di fronte alle posizioni dei sindacati registriamo il silenzio imbarazzato dei più intransigenti vaccinisti, segno che la “cinghia di trasmissione” tra partito e sindacato funziona ancora. Abbiamo pagato il prezzo più duro alla pandemia, abbiamo sopportato lockdown e chiusure, abbiamo investito in sicurezza, dai plexiglass alle sanificazioni, e ora non accettiamo che il Governo faccia il forte solo con chi ha un bisogno disperato di lavorare  e si dimostri debole di fronte al sindacato. I dati epidemiologici devono valere per tutti. Se vaccini e Green Pass sono le armi più efficienti per sconfiggere la pandemia, allora non vi possono essere differenze tra imprenditori, lavoratori, operatori sanitari e scolastici. A questo punto sarebbe preferibile l’introduzione dell’obbligo vaccinale anziché varare protocolli che distinguono un mondo del lavoro di serie A da uno di serie B. Forse i sindacati avrebbero fatto meglio a dare un contributo alla campagna vaccinale, dal momento che la maggior parte dei loro iscritti sono over 60, quindi particolarmente esposti. Si era detto e scritto che dopo la pandemia nulla sarebbe rimasto come prima: nulla, tranne il sindacato».

I commercialisti: “Famiglie più povere e tartassate”

La fotografia scattata dall’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane

IN DIECI ANNI +46 MILIARDI DI EURO DI TASSE E SOLO +2,8 MILIARDI DI EURO DI PIL 

Nell’anno del Covid-19, nonostante i massicci aiuti statali, le famiglie povere sono aumentate di 333 mila colpendo in particolare il Nord, le famiglie con minori e quelle con stranieri 

 

Nello stesso tempo, però, la pressione fiscale delle famiglie, pari al 18,9%, è aumentata di 1 punto di Pil, mentre quella generale si è incrementata di 0,7 punti, arrivando al 43,1% 

 

Dal 2011 il Pil è aumentato di 2,8 miliardi di euro, mentre la pressione fiscale delle famiglie è aumentata di 46 miliardi di euro: +2,8 punti di Pil rispetto a -1 punto di Pil di tutte le altre entrate fiscali 

 

Il 50% dell’incremento di pressione fiscale delle famiglie è imputabile all’Irpef e all’Imu. Dal 2011 il gettito erariale dell’Irpef è cresciuto di 11,7 miliardi di euro (+7,2%), quello dell’IMU è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120% 

 

L’Irpef, comprensiva delle addizionali locali, è aumentata di 17 miliardi di euro. Nello stesso periodo, il gettito erariale dell’Iva si è incrementato di soli 1,2 miliardi di euro

 

Roma, 14 agosto 2021 – La pandemia ha spinto 333 mila famiglieil 20% in più rispetto al 2019, nell’area della povertà assoluta e non ha frenato la pressione fiscale che, anzi, è cresciuta ancora di più. L’anno scorso, mentre molte famiglie oltrepassavano la soglia di povertà non riuscendo a mantenere il livello dei consumi ritenuto essenziale dall’Istat, la pressione fiscale generale pari al 43,1%, è aumentata di 0,7 punti di Pil, mentre quella delle famiglie, pari al 18,9%, è cresciuta di 1 punto di Pil. L’incremento è avvenuto a causa della rigidità del gettito delle imposte dirette, in particolare dell’Irpef, e dell’Imu al calo del Pil.

 

Il dato emerge dall’Osservatorio del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti sulle famiglie italiane che traccia un bilancio del primo anno di pandemia e di dieci anni di crisi. L’Osservatorio evidenzia come nel 2020 sia Il Pil che il gettito fiscale si sono ridotti, ma in misura diversa. Nel dettaglio, mentre il Pil è calato del 7,8%, le entrate fiscali delle famiglie sono diminuite del 3,2%, mentre tutte le altre entrate fiscali si sono ridotte dell’8,7%. Di conseguenza, la pressione fiscale generale è salita, ma quella delle famiglie, costituita in massima parte dalle imposte dirette e dall’Imu, è aumentata in misura maggiore. Ad aver inciso in modo particolare su tale tendenza è stato il gettito erariale dell’Irpef che nel 2020 si è ridotto solo del 2,2%.

 

Il bilancio complessivo della pandemia, per il 2020, nonostante gli ingenti aiuti statali è dunque negativo. In particolare, a fronte di un calo del Pil di 139,4 miliardi di euro (-7,8%) e di un incremento del deficit pubblico di 129 miliardi di euro, il reddito disponibile delle famiglie si è ridotto di 32 miliardi di euro (-2,8%), mentre l’effetto combinato degli aiuti pubblici e del crollo dei consumi, calati di 116 miliardi di euro (-10,9%), ha determinato un incremento del risparmio lordo delle famiglie di 83,4 miliardi di euro (+88,3%). L’analisi dell’Osservatorio fa emergere, dunque, il paradosso di un aumento della povertà e allo stesso tempo di un aumento del risparmio reso evidente anche dall’incremento dei depositi bancari delle famiglie unito ad un aumento della pressione fiscale.

 

Su quest’ultimo fronte, inoltre, pesano i risultati già negativi del 2019 che aveva segnato un’interruzione della fase di rientro della pressione fiscale avviata nel 2014 e durata cinque anni. Il passo indietro dell’ultimo biennio ci riporta agli anni dello shock fiscale seguito alla crisi del debito sovrano del 2011, annullando quasi del tutto i progressi ottenuti dal 2014 al 2018. L’effetto finale, inoltre, è fortemente sbilanciato dal lato delle famiglie che, a conti fatti, hanno sopportato interamente il peso dello shock fiscale e dell’aggiustamento di bilancio. Dal 2011 ad oggi, infatti, a fronte di un incremento del Pil di 2,8 miliardi (+0,2%), le entrate fiscali delle famiglie, che pesano per meno della metà sulla pressione fiscale generale, sono aumentate di 46 miliardi di euro (+17,3%), mentre le altre entrate fiscali sono diminuite di 15,7 miliardi di euro (-3,8%). In particolare, il gettito erariale dell’Irpef dal 2011 è cresciuto di 11,7 miliardi (+7,2%) e quello dell’Imu, confrontato con il gettito Ici, è aumentato di 11,1 miliardi di euro facendo registrare l’incremento più elevato in termini percentuali pari, addirittura, al 120%. Stessa dinamica, per le addizionali regionale e comunale che hanno contribuito ulteriormente con impatti diversificati e rispettivamente pari a +3,5 e +1,8 miliardi di euro. Le imposte sui redditi di capitale sono aumentate di 9,3 miliardi di euro (+92,8%) e i contributi sociali sono aumentati di 8,5 miliardi di euro (+12,6%).

 

Dall’Osservatorio dei Commercialisti emergono altri dati sull’andamento dei redditi familiari e sulla povertà. I dati mostrano come la lunga crisi economica e finanziaria degli ultimi anni abbia depresso fortemente i redditi familiari: dal 2003 al 2018, il reddito medio in termini reali ha perso l’8,3% del suo valore. Nello stesso periodo, il divario Nord-Sud è aumentato (+1,6%) arrivando a raggiungere i -478 euro al mese. Nelle famiglie in cui prevale il reddito da lavoro autonomo la crisi ha colpito ancora più duramente: la perdita in termini reali è pari al 28,4%. Il divario Nord-Sud è forte anche nella spesa media mensile dei consumi delle famiglie anche se, in questo caso, il Covid-19 ha giocato all’inverso, colpendo maggiormente il Nord e riducendo, anche se solo leggermente, il divario. Nel 2020, la spesa mensile media di una famiglia meridionale è pari al 75,2% rispetto ad una famiglia che vive al Nord: 1.898 contro 2.525 euro. Il calo dei consumi è certamente alla base dell’aumento della povertà. Infatti, l’Istat misura la soglia di povertà nei termini di un livello di consumi ritenuto essenziale per una famiglia in base alle sue caratteristiche, tra cui spicca anche la residenza. E dal momento che i consumi si sono ridotti molto di più al Nord che al Sud, la povertà è aumentata più al Nord che al Sud. In realtà, però, mentre molte famiglie scendevano sotto la soglia di povertà (+333 mila famiglie), l’intensità della povertà, cioè la distanza dalla soglia, si riduceva (dal 20,3 al 18,7%). Infine, la povertà relativa migliora più al Sud che al Nord.

 

“Da questa analisi – dichiara il presidente del Consiglio Nazionale dei Commercialisti, Massimo Miani – risulta evidente come che le famiglie italiane, su cui grava in definitiva il peso dell’Irpef, hanno pagato e continuano a pagare un conto salatissimo a causa degli squilibri macroeconomici e di finanza pubblica del nostro Paese. L’Irpef, la principale imposta italiana, includendo anche le addizionali locali, nel 2020 ha raggiunto il livello di 191 miliardi di euro, pari all’11,6% del Pil. Basti pensare che nel 2011, alla vigilia dello shock fiscale causato dalla crisi del debito sovrano, era pari al 10,5% del Pil e che, addirittura, nel 1995, prima dell’introduzione delle addizionali locali, si fermava all’8,4%. La riforma fiscale non può non farsi carico di questa problematica. Come più volte abbiamo sostenuto, il peso dell’Irpef grava soprattutto sui redditi del ceto medio ed è evidente anche da questa analisi come negli ultimi dieci anni il peso dell’Irpef su questa categoria di contribuenti sia aumentato a dismisura. Se volessimo riequilibrare le cose e riportare il rapporto tra l’Irpef e il Pil ad una dimensione normale, potremmo parametrarlo alla media europea pari al 9,6%. In questo modo, restando ai dati a consuntivo del 2020, occorrerebbe ridurre il gettito complessivo di almeno 33 miliardi di euro”.